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Riforme.net  -  2 febbraio 2011
 
Dal “Premierato senza vergogna” al “Presidenzialismo di fatto”


di Franco Ragusa 

Da alcune cronache giornalistiche si ha notizia di un “dietro le quinte”, nell’ambito dei rapporti riservati tra il Quirinale e la Presidenza del Consiglio, che ha rimesso al centro dell’attenzione la discussione sul potere di scioglimento delle Camere in capo al Presidente della Repubblica.
Sulla base dell'interpretazione letterale dell'art. 88 Costituzionale, il Presidente della Repubblica potrebbe, di fronte a fatti e circostanze eccezionali, sciogliere le Camere anche contro la volontà del  Presidente del Consiglio che ancora gode della fiducia del Parlamento e che dovrebbe peraltro controfirmare l’atto del suo suicidio: il decreto di scioglimento.
Ora, al di là della situazione specifica, con le tifoserie schierate da una parte e dall’altra sulla base delle convenienze politiche del momento, ammesso e non concesso che esista, nell’ambito della democrazia parlamentare così come è quella disegnata dalla nostra Costituzione, un potere di scioglimento presidenziale di tipo esclusivo, senza cioè il necessario consenso di altri Organi, vi sono delle domande che tutti dovremmo porci.

- Chi e come potrebbe certificare l'eccezionalità della situazione?

- Ma chi e come, soprattutto, potrebbe impedire al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere appena elette solo perché non contento del risultato elettorale?

L’ipotesi estrema appena fatta ci consente, inoltre, di allargare ulteriormente il campo di esplorazione.
S’immagini, ad esempio, che l’incarico di Presidente del Consiglio venga affidato, contro le indicazioni provenienti dal Parlamento appena eletto, ad una persona di fiducia del Presidente ma, appunto, non in grado di ottenere la fiducia; e che il Presidente della Repubblica, anziché tentare con un nuovo incarico, decida per lo scioglimento anticipato della legislatura e che tutto proceda senza l’opposizione di ostacoli per quanto riguarda la controfirma da parte del Premier ormai provvisorio (il che per il momento ci permette di non affrontare altre questioni quale il possibile conflitto di attribuzione tra i Poteri dello Stato).
Sotto il profilo formale, infatti, nulla esclude che potremmo trovarci di fronte ad un atto pienamente condiviso e completo ai fini dello scioglimento, ma non per questo meno lesivo delle prerogative  costituzionali delle Camere e, quindi, dell’espressione della Sovranità popolare.
In linea di principio, quindi, fatta salva la correttezza della forma, nulla potrebbe impedire un uso arbitrario del potere di scioglimento da parte del Presidente della Repubblica che fosse accompagnato da un Presidente del Consiglio fantoccio. E la minaccia dello scioglimento potrebbe addirittura essere utilizzata proprio per imporre al Parlamento di votare la fiducia al Governo del Presidente.
Per fortuna o per la lungimiranza dei Padri costituenti, alle Camere è però consentito di porre in stato di accusa il Presidente della Repubblica per “alto tradimento o attentato alla Costituzione” (art. 90). Prerogativa che può essere esercitata anche a Camere sciolte, in quanto i poteri delle stesse sono prorogati sino alla riunione delle nuove Camere (art. 61).
Sarebbe quindi nella disponibilità delle Camere sciolte poter quanto meno avviare la procedura per contestare al Presidente l’abuso di potere compiuto in un ambito di inoppugnabile correttezza formale. Ed è probabilmente questo il freno che ha sino ad oggi impedito ai Presidenti della Repubblica di andare oltre il ruolo di garanzia da tutti riconosciutogli.

Tornando, ora, all’attualità dei giorni nostri, e non potendo trascurare il clima politico del momento, dobbiamo ora chiederci cosa potrebbe succedere in caso di scioglimento delle Camere contro la volontà del Presidente del Consiglio Berlusconi che ancora gode della fiducia parlamentare.
Come già fatto dal Presidente Ciampi, avverso il Ministro di Grazia e Giustizia che si era rifiutato di dar corso alla sua determinazione di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi, il Presidente Napolitano potrebbe sollevare un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato per omesso adempimento.
Al di là dell’ovvia crisi istituzionale che tale scelta potrebbe comportare nell’attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale, c’è da ricordare che ai supremi giudici spetta solo individuare, asetticamente, a chi spetta l’ultima parola.
Ammesso e non concesso, quindi, che nell’eventuale conflitto di attribuzione tra i Poteri dello Stato la Consulta dovesse decidere a favore del Presidente della Repubblica, ritenendo la controfirma del Presidente del Consiglio un mero “atto dovuto” di fronte ad un atto presidenziale adottato in “via di prerogativa” (così come ad esempio deciso con la sentenza 200/2006 in ordine al potere di grazia all’art. 87), le sorti del conflitto istituzionale finirebbero per spostarsi, inevitabilmente e legittimamente, nelle aule parlamentari.
È da queste, infatti, che potrebbe provenire l’atto di accusa nei confronti del Presidente della Repubblica per attentato alla Costituzione. Come e perché, infatti, un Parlamento in grado di esprimere una maggioranza non dovrebbe considerare l’atto di scioglimento una lesione delle proprie prerogative, tanto più che è il Parlamento l’espressione più diretta della sovranità popolare?
Considerata, quindi, l’attuale situazione politico-istituzionale, rischieremmo di trovarci di fronte ad una situazione non solo altamente esplosiva, ma quanto mai paradossale.
Da un lato le aule parlamentari, ormai ridotte a mere esecutrici del volere di una sola persona, il tanto auspicato e purtroppo realizzato Premier forte, tutte tese a difendere prerogative alle quali hanno rinunziato già da tempo; dall’altro lato un presunto intervento correttivo utilizzando, però, gli strumenti del presidenzialismo.
Ma non è certo cadendo dalla padella alla brace, passando dal “Premierato senza vergogna” al “Presidenzialismo di fatto”, che è pensabile poter uscire dal pantano nel quale il continuo affidarsi al salvatore della patria di turno ci ha condotti.
Da quale dei due lati si decida infatti di vederla e di schierarsi, ad uscirne mortificata sarà soltanto la democrazia parlamentare.
Tanto più che l’ipotesi peggiore che potrebbe realizzarsi, paradossalmente, sarebbe proprio determinata dall’assenza di conflitti tra il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio che ancora gode della fiducia delle Camere.
Con un colpo solo si realizzerebbero i sogni di tutti coloro che stanno da tempo sostenendo, pur se con altre forme, la necessità di consegnare nelle mani di un uomo solo il potere di decidere delle sorti delle aule parlamentari.

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