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Riforme.net  -  12 aprile 2011
 
“Armi sceniche a interpretazione variabile”, ecco come un settore industriale può essere messo in crisi dal disinteresse delle Istituzioni


di Franco Ragusa 
 
Armi sceniche, ovvero la “Storia infinita”, si potrebbe parafrasare adottando il titolo di un film fantastico. Siamo cioè di fronte al classico problema che riguarda il cittadino comune ma che, però, non sembra aver interessato abbastanza le Istituzioni, al punto di muoversi celermente per risolverlo.

È di questi giorni, peraltro, l’impossibilità, per l’industria audiovisiva italiana, di poter realizzare prodotti che prevedano l’uso di armi sceniche sparanti a salve. Tra questi, anche film e serie TV che normalmente godono del patrocinio dei diversi Ministeri interessati: Interno e Difesa.


www.aiatsfx.itIl problema è sempre lo stesso ed è da decenni che si ripropone con impressionante periodicità.
Era il lontano 1995 quando, per un’inchiesta che sembrava aver scoperto il più grande arsenale di armi a disposizione di criminalità e terrorismo, vennero arrestati, nell’ambito delle armi utilizzate per le riprese cinematografiche, fornitori e semplici operatori del settore.
Appena il tempo di brindare alla brillante operazione compiuta e finito di riempire le pagine dei giornali con titoli sensazionalistici, che si capì immediatamente che ben presto tutta la vicenda si sarebbe ridimensionata.
Le armi sequestrate avevano tanto di nome e cognome, in quanto regolarmente registrate e custodite con particolare cura in locali regolarmente denunziati. Certo, ciò non toglie che avrebbero potuto lo stesso essere “affittate” alla mala, con l’avvertenza, ovviamente, di non perderle o farsi arrestare con le stesse in pugno, pena la veloce individuazione dell’arsenale di provenienza.


Tempo pochi mesi e delle terribili accuse non rimase più traccia, rimanendo in piedi soltanto l’ipotesi del mero illecito per non aver correttamente detenuto armi per uso scenico come da … come da disposizioni di legge inesistenti e regolamenti ministeriali mai emanati, si scoprirà più tardi.

A novembre del 2010 si arriva, infatti, soltanto per l’ostinazione degli imputati che hanno rifiutato la prescrizione nel frattempo intervenuta, all’assoluzione piena e la restituzione delle armi sequestrate. E sì, per compiere un reato c’è la necessità di violare qualche regola e, soprattutto, in maniera consapevole.

Ma finita nel migliore dei modi la brutta vicenda iniziata nel 1995, ecco che se ne apre una nuova, con nuovi arresti e sequestri a metà febbraio di quest’anno.

Motivo?

Le armi per uso scenico, sequestrate nei magazzini blindati dove dovevano essere, e poco importa se per alcune potevano esserci problemi di manutenzione, sono state considerate facilmente riattivabili e, quindi, da considerare armi sparanti a tutti gli effetti, comuni e da guerra, illegalmente detenute.

Più velocemente della volta scorsa, però, tutti gli arrestati hanno velocemente riconquistato la strada di casa, ben una decina di giorni prima della conferenza stampa tenuta dalla Questura di Roma per presentare ai media l’incredibile sequestro di armi compiuto.

Dovendoci quindi porre nuovamente il problema di comprendere se e quali violazioni di legge o regolamentari queste persone potrebbero aver compiuto,  ma anche e soprattutto i motivi per i quali, da un giorno all'altro, si può impedire ad un intero settore industriale la realizzazione di un certo tipo di prodotti, non resta che ripercorrere tutte le fasi della “storia infinita”, partendo da due lontani pareri espressi dal Consiglio di Stato con le Adunanze 1 aprile 1977 e 2 febbraio 1978.


Nell’approfondire la lettura dei due provvedimenti, il primo dato che salta agli occhi è che si tratta di due pareri molto distanti fra loro, se non, addirittura, uno contrario all’altro.

Mentre, infatti, ad un primo esame il Consiglio di Stato, più avanti si vedrà come, si espresse per una definizione delle armi per uso scenico


solo ove si tratti di armi simulacri; e cioè di armi sottoposte a demilitarizzazione e ad una vera e propria disattivazione totale, per cui hanno perduto la loro funzione di armi conservando solo l’aspetto esteriore

su successiva richiesta del Ministero dell’Interno, il Consiglio di Stato si espresse in maniera diversa, ritenendo che

possa essere anche condivisa l’interpretazione

- e su questo passaggio è d’obbligo una prima riflessione: il Consiglio di Stato, indirettamente, ben si guarda dal definire infallibile l’interpretazione di legge che sta per dare (possa essere anche condivisa) -


che le armi per uso scenico escluse dal divieto dell’articolo 22 della legge 110 del 1975, comprendono tutte le armi aventi apparenza scenica, ma private di efficacia offensiva e fra esse anche quelle che rientrano nella comune accezione di armi a salve.

Naturalmente questa conclusione richiede che siano adottate tutte le cautele necessarie a impedire che le armi consentite per uso scenico possano venire impiegate o convertite per un uso diverso; e siano pertanto richieste, oltre le normali autorizzazioni per la detenzione delle armi, anche un autorizzazione per l’uso, che implichi un obbligo di particolare vigilanza per la custodia, come specificato nella relazione del Ministero dell’Interno.

Siamo quindi di fronte ad un Consiglio di Stato che cambia opinione nel giro di un anno, rafforzando l’impressione che si tratti, in ogni caso, di pareri da prendere con le dovute cautele, tanto più che, come sopra evidenziato, il condizionale è d’obbligo proprio per il tipo di formulazione adottata dal Consiglio di Stato stesso.
Non si vuole con ciò sostenere l’inutilità di pronunciamenti così espressi, ma, ovviamente, visto il pericolo che nel frattempo qualche libero cittadino potrebbe ritrovarsi accusato di un reato non commesso, non si può fare a meno di chiedersi se potrebbero esservi altre chiavi interpretative “più chiare” e “compatibili” con il dettato della legge.

I dubbi sono più che fondati, ed è il dato comune presente in entrambi i pareri a confermare, in linea di massima, l’esistenza di un approccio sbagliato alla questione.
Ma prima è opportuno ricordare quanto previsto dall’art. 22 comma 1 della legge 110 del 1975.

Articolo 22 - Locazione e comodato di armi.
Non è consentita la locazione o il comodato delle armi di cui agli articoli 1 e 2, salvo che si tratti di armi per uso scenico, ovvero di armi destinate ad uso sportivo o di caccia, ovvero che il conduttore o accomodatario sia munito di autorizzazione per la fabbricazione di armi o munizioni ed il contratto avvenga per esigenze di studio, di esperimento, di collaudo.

Come si vede, siamo di fronte ad un articolo che vieta la locazione e il comodato delle di armi sparanti, di cui all’art. 1 (armi da guerra) e art. 2 (armi comuni), salvo che si tratti di …
Cosa sta quindi a significare questo “salvo che si tratti di”?
Armi completamente o parzialmente disattivate?
Non è detto, vista la specifica delle armi da caccia o per altri fini che sono, a tutti gli effetti, armi da sparo.
Come e perché, allora, si è arrivati alla prima definizione del Consiglio di Stato, fortemente restrittiva per le armi per uso scenico, considerate meri simulacri in occasione del primo parere?
Con ogni probabilità, tutto è dipeso dalla presunzione del Ministero dell’Interno di dover dimostrare la continuità della legge 110/1975 con l’esperienza precedente. Non vennero cioè presi in considerazione i possibili aspetti innovativi della legge. Da qui la questione posta, nei termini sbagliati, al Consiglio di Stato.
Ciò che infatti il Ministero dell’Interno chiese di sapere, è se per armi sceniche si poteva intendere, come nel passato, anche le armi disabilitate solo in parte e in grado, diversamente dalle “armi simulacro”, di sparare soltanto a salve, senza possibilità di utilizzazione di munizionamento di tipo offensivo.

Partendo da questo presupposto, dimostrare l’eventuale continuità con il passato, il Consiglio di Stato ritenne, sulla base della presunta volontà espressa dal legislatore in fase di approvazione della legge, di poter interpretare l’articolo 22 in senso fortemente restrittivo.
Dalla lettura dei lavori parlamentari emerse l’approvazione di un emendamento sopprimente la dicitura, prevista dall’originario progetto di legge governativo, in riferimento alle armi sceniche, “a salve”.
Da questa soppressione, il Consiglio di Stato ha quindi dedotto che il legislatore volesse operare, evitando questo tipo di specificazione, un intervento di tipo restrittivo.
Siamo di fronte, certamente, ad un’interpretazione quanto mai originale, visto che dalla mancata definizione dell’arma scenica è abbastanza curioso che possano automaticamente derivare dei divieti non scritti o desumibili in nessuna parte del testo di legge.
Licenza per uso scenico di armi da sparoIl Consiglio di Stato avrebbe ben potuto ipotizzare, vista la mancata specificazione, una volontà del legislatore tendente ad identificare l’arma scenica con le armi di cui agli articoli 1 e 2, purché utilizzata per un determinato scopo: dal fucile antico da far sparare a salve durante le rappresentazioni storiche (si veda a lato la Polizia amministrativa del Comune di Alpignano), sino al più impegnativo pezzo di artiglieria contraerea che potrebbe, ad esempio, essere messo a disposizione dalle forze armate per prodotti audiovisivi considerati di rilievo nazionale, purché, appunto, impiegati per fini scenici; allo stesso modo, peraltro, di quanto già succedeva in altri paesi.
E che non vi fossero particolari intenti “punitivi” da parte del legislatore, nel momento che ha deciso di sopprimere la precisazione “a salve”, è confermato dalla ricostruzione storica fatta dal Consiglio di Stato stesso in occasione del secondo pronunciamento. Agli atti parlamentari, infatti, non risultano motivazioni per la soppressione della dicitura “a salve”.

Nel ripartire da questa nuova consapevolezza, il Consiglio di Stato, come si è già scritto all’inizio, rivede la sua posizione e arriva ad una nuova formulazione: le armi per uso scenico ... comprendono tutte le armi aventi apparenza scenica, ma private di efficacia offensiva e fra esse anche quelle che rientrano nella comune accezione di armi a salve”.

Da questa definizione e in assenza di successive e specifiche circolari del Ministero dell'Interno , si arriva, però, ad un sistema di regole "non scritte" poco o per nulla fedele allo spirito della legge e che attribuisce un di più alla definizione sopra data sulla base di un orientamento che tende a privilegiare presunti problemi di ordine pubblico e che ha comportato e che ancora comporta enormi difficoltà per gli operatori del settore.
Sulla base di un non precisato e non indicato intervento di riduzione permanente all’inoffensività delle armi per uso scenico, sia nella legge che nella definizione del Consiglio di Stato, il giorno prima l’arma tal dei tali potrebbe essere considerata scenica se modificata sino al punto X; il giorno dopo, però, in assenza di riferimenti chiari circa il cosa intendere per disattivazione parziale, ad X potrebbe essere necessario aggiungere anche l’intervento Y. E chi più ne ha più ne metta.
Senza parlare, poi, delle possibili conseguenze legate al deterioramento conseguente all’uso.
Cinque minuti prima si può detenere l’arma scenica senza problemi; cinque minuti dopo, però, se durante l’uso viene meno l’intervento X o Y, per l’armiere che ha l’arma in custodia può immediatamente scattare l’accusa di detenzione illegale di armi.

Vi è quindi un problema di applicazione della legge, ma anche della definizione data dal Consiglio di Stato, che in nessun modo identifica l’inefficacia all’offesa con delle specifiche operazioni da compiere sull’arma.
Del resto, il collezionista competente che carica la sua arma da fuoco antica a salve, per poterla utilizzare durante una parata storica autorizzata, sta utilizzando o no l’arma in condizioni tali da poterla ritenere, in quel momento e per l’uso che ne viene fatto, inefficace all’offesa?
E la persona sprovveduta, che carica con munizionamento non a salve un’arma con la canna parzialmente o del tutto occlusa, sta utilizzando o no l’arma in condizioni di estrema pericolosità, per se stesso e per chi gli è vicino (rischio di esplosione dell'arma), nonostante l’impossibilita, per il proiettile, di fuoriuscire dalla canna?

È sin troppo evidente, quindi, che il motivo che sottende all’ostinata ricerca di divieti o obblighi non indicati dalla legge, potrebbe non avere nulla a che vedere con i problemi di sicurezza da garantire durante l’uso scenico, ma avere come unico scopo l’intento di garantire, è bene ripetere, la risoluzione di presunti problemi di pubblica sicurezza. (come del resto implicitamente confermato dal Dirigente Edoardo Calabria nell'intervista rilasciata in occasione degli ultimi sequestri di febbraio 2011).
Problemi che il parere del Consiglio di Stato sembrerebbe accogliere laddove da indicazione di adottare le opportune cautele affinché le armi per uso scenico non possano venire impiegate o convertite per un uso diverso.
Ma anche in questo caso, le Autorità di Pubblica sicurezza potrebbero aver aggiunto interpretazioni non propriamente richieste o comunque in grado di privare le procedure della dovuta flessibilità in presenza di casi controversi, quali ad esempio l’improvvisa detenzione illecita di un arma considerata, soltanto un attimo prima, scenica.
Riguardo al non impiego per usi diversi e la non convertibilità, il Consiglio di Stato ha infatti dato delle indicazioni precise: oltre le normali autorizzazioni per la detenzione delle armi, anche un’autorizzazione per l’uso, che implichi un obbligo di particolare vigilanza per la custodia.
Sul punto, quindi,
si potrebbe far riferimento alle specifiche autorizzazioni per l’uso e agli obblighi di vigilanza, piuttosto che ad altro, al fine di impedire che le armi sceniche vengano impiegate o convertite per un uso diverso: se si hanno i titoli per detenere armi per uso scenico, e peraltro si fa riferimento alle normali autorizzazioni di detenzione delle armi, queste non potranno in ogni caso essere utilizzate in altro modo, quali che siano le caratteristiche possedute, stante l’impossibilità di ottenere le autorizzazioni necessarie per un uso diverso da quello scenico. Le stesse, inoltre, debbono essere utilizzate in condizioni di massima vigilanza.

Naturalmente questa conclusione richiede che siano adottate tutte le cautele necessarie a impedire che le armi consentite per uso scenico possano venire impiegate o convertite per un uso diverso; e siano pertanto richieste, oltre le normali autorizzazioni per la detenzione delle armi, anche un autorizzazione per l’uso, che implichi un obbligo di particolare vigilanza per la custodia, come specificato nella relazione del Ministero dell’Interno.

C’è da rilevare, infine, che con la legge 36/1999 il legislatore ha avuto nuovamente l’occasione per intervenire sulla legge 110/1975.
Paradossalmente,
però, sulla base di un’interpretazione superficiale delle modifiche introdotte, il principio che il legislatore ha inteso riconfermare, come fattispecie specifica di armi, le armi sceniche, diversa da quella che individua le armi giocattolo, viene sistematicamente trasformato nel suo esatto opposto.
Dalla previsione delle circostanze aggravanti, per i possessori di porto d’armi, per i reati compiuti anche con le armi sceniche, si è
infatti soliti far derivare l’immediata assimilazione delle stesse alle armi giocattolo non occluse ai sensi del quarto comma del medesimo articolo.

Legge 18 aprile 1975, n. 110

Articolo 5 - Limiti alle registrazioni. - Divieto di giocattoli trasformabili in armi.

Le disposizioni di cui al primo comma dell'articolo 55 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, n. 773 e successive modificazioni, non si applicano alla vendita al minuto delle cartucce da caccia a pallini, dei relativi bossoli o inneschi nonché alla vendita dei pallini per le armi ad aria compressa e dei giocattoli pirici.

L'articolo 4-bis del decreto-legge 22 novembre 1956, n. 1274, convertito nella legge 2 dicembre 1956, n. 1452, è abrogato.

Le disposizioni del citato testo unico, del R.D. 6 maggio 1940, n. 635, e quelle della presente legge non si applicano ai giocattoli.

I giocattoli riproducenti armi non possono essere fabbricati con l'impiego di tecniche e di materiali che ne consentano la trasformazione in armi da guerra o comuni da sparo o che consentano l'utilizzo del relativo munizionamento o il lancio di oggetti idonei all'offesa della persona. Devono inoltre avere l'estremità della canna parzialmente o totalmente occlusa da un visibile tappo rosso incorporato.

Nessuna limitazione è posta all'aspetto dei giocattoli riproducenti armi destinati all'esportazione.

Chiunque produce o pone in commercio giocattoli riproducenti armi senza l'osservanza delle disposizioni del quarto comma è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da lire un milione a lire cinque milioni.

Quando l'uso o il porto d'armi è previsto quale elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato, il reato stesso sussiste o è aggravato anche qualora si tratti di arma per uso scenico o di giocattoli riproducenti armi la cui canna non sia occlusa a norma del quarto comma (gli ultimi due commi così sostituiscono l'originario ultimo comma per effetto dell'art. 2, L. 21/02/1990, n. 36).

Come è però facile verificare, il quarto comma nulla dice delle armi sceniche, in quanto fa riferimento alle sole armi giocattolo al fine di stabilire quali caratteristiche queste debbano possedere.
Ma anche l’ultimo comma fa riferimento alle sole armi giocattolo, laddove le individua con il richiamo al quarto comma.
Il reato sussiste anche qualora si tratti di arma per uso scenico o di giocattoli riproducenti... ripetiamo: armi sceniche, cioè una data cosa a cui far riferimento, o di giocattoli riproducenti... cioè un’altra cosa.
Per l’operato del legislatore, nel 1999 non è quindi arrivato nulla di nuovo che permetta di ritenere possibile ricavare improprie limitazioni di legge che non sono presenti in alcuna parte del testo.

Il quadro delle incertezze può quindi essere concluso con l’esame della circolare del 20 settembre 2002 del Ministero dell’Interno N557/B.50106.D.2002 che, in materia di “demilitarizzazione e disattivazione delle armi da sparo”, riprende, nei principi generali, le circolari del 1994 e 1995.
Anche in questa circolare, le armi per uso scenico non vengono citate una sola volta; non prevedendo, peraltro, neanche una soluzione intermedia tra la demilitarizzazione e la disattivazione totale, un intervento, cioè, in grado di consentire di ottenere armi sparanti a salve senza possibilità di utilizzazione di munizionamento di tipo offensivo, così come definite nella richiesta ministeriale al Consiglio di Stato nel lontano 1977.

Circolare del 20 settembre 2002 N557/B.50106.D.2002

1. Demilitarizzazione delle armi portatili.

Definizione e generalità.
Per “demilitarizzazione” si intende la trasformazione di un’arma da guerra o tipo guerra in un’arma comune da sparo.

2. Disattivazione.

Definizione e generalità.
Per “disattivazione” si intende l’operazione tecnica mediante la quale un’arma portatile da guerra o comune viene in modo permanente ed irreversibile resa inerte e portata allo stato di mero simulacro anche nelle sue parti essenziali.

E con quest’ultimo atto, che per l’ennesima volta conferma che più di quanto previsto dall’art. 22 della legge 110/1975, cioè nulla, non è possibile ricavare disposizioni tecniche alle quali far riferimento, si arriva ai giorni nostri, con l’ennesima inchiesta che, basandosi sul nulla, sta costringendo l’industria italiana dell’audiovisivo a non poter realizzare tutti i prodotti che prevedono l’uso delle armi sceniche.

Ma una speranza sembra apparire all’orizzonte.
Il primo luglio 2011 entrerà infatti in vigore il “Decreto legislativo 26 ottobre 2010 N° 204 - Norma di attuazione della direttiva 2008/51/CE”, che va ad integrare l’art. 22 della 110/1975, dando finalmente una definizione dell’arma per uso scenico che non dovrebbe poter essere fraintesa.

Decreto legislativo 26 ottobre 2010 N° 204 - Norma di attuazione della direttiva 2008/51/CE”

Art. 22 - ... Per armi da fuoco per uso scenico si intendono le armi alle quali, con semplici accorgimenti tecnici, venga occlusa parzialmente la canna al solo scopo di impedire che possa espellere un proiettile ed il cui impiego avvenga costantemente sotto il controllo dell’armaiolo che le ha in carico.

Al Ministero dell’Interno il compito di non complicare ulteriormente le cose.


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