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Riforme.net  -  21 luglio 2012
 
Napolitano: La ragione dei diritti, ma anche dei doveri


di Franco Ragusa
 
Il Conflitto di attribuzione, sollevato dal Presidente Napolitano nei confronti della Procura di Palermo, continua ad alimentare, a distanza di giorni, un dibattito nel quale le questioni di diritto sembrano sfuggire di mano, in particolare per i toni utilizzati, anche ai più autorevoli esperti della materia; in ultimo un durissimo intervento di Gianni Ferrara su “il manifesto” di oggi.
La stima e il rispetto dovuto per l’illustre costituzionalista impongono, ovviamente, le dovute cautele, ma non ci si può esimere dal rispondere di fronte al duro giudizio espresso dal Professore nei confronti di tutti coloro che hanno ritenuto non opportuna o infondata l’iniziativa promossa dal Presidente Napolitano.
Il Prof. Ferrara conclude affermando, infatti, che disconoscere le ragioni del conflitto sollevato “è segno di grave nonchalance dei diritti inviolabili da parte di qualche magistrato. In altri rivela ignoranza o malafede o un intento eversivo. Comunque non è prova di "virtù repubblicane". ”
 
Gianni Ferrara arriva a queste conclusioni partendo da una giusta premessa: abbiamo avuto un Presidente del Consiglio e maggioranze di governo che, per quasi un ventennio, hanno usato il potere pubblico per fini privati.
La premessa non è però completa: abbiamo sì avuto un ventennio tragico, nel quale, però, le maggiori responsabilità per il degrado sono da attribuire alle pulsioni maggioritarie che hanno inquinato l’intero assetto politico-istituzionale, permettendo così l’affermarsi del berlusconismo e del leaderismo.
Ma in tal senso, diversamente da quanto ricorda il Prof. Ferrara, il Presidente Napolitano non ha mai posto alcun argine alla “devastazione dello stato di diritto”, ma ha sempre svolto un ruolo determinate e di sostegno alle riletture in senso maggioritario e presidenzialista della Costituzione.
Uno stravolgimento che oggi, forte dell’alibi delle riforme necessarie ed urgenti, ha generato quella sospensione della democrazia che va sotto il nome di Governo Monti: un Governo di tutti e di nessuno, forte del sostegno formale di un Parlamento ormai delegittimato e irresponsabile, con un’agenda politica senza precedenti.
Un elenco di provvedimenti, approvati in fretta e furia nel giro di pochi mesi, tanto fitto quanto drammatico: riforma del mercato del lavoro e abrogazione, di fatto, dell’art. 18; interventi di revisione della spesa nella direzione della dismissione del patrimonio pubblico; introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione; ratifica dei trattati MES e Fiscal Compact.
Una coda di legislatura che può quindi ben essere definita “Costituente” per la pesante eredità che lascerà al Paese, e per la quale il Presidente Napolitano ha tutti i titoli per vantare più di un “merito”.

Sgombrato quindi il campo da un primo equivoco di fondo, rispetto al ruolo di Garante della Costituzione che il Presidente Napolitano avrebbe svolto, si può ora entrare nel merito della specifica questione del conflitto di attribuzione.
Anche in questo caso c’è da fare una prima precisazione.
Certamente, l’iniziativa non risulta essere rivolta nei confronti della Magistratura in quanto tale, bensì nei confronti del comportamento di una singola Procura.
Allo stesso identico modo, però, di quanto “formalmente” avveniva quando a sollevare i conflitti erano altri soggetti istituzionali.
Nessun motivo, quindi, per mostrarsi indulgenti di fronte all’opportunità o meno di sollevare, in questo momento, il conflitto di attribuzione, ma, anzi, piuttosto il contrario.
Ciò che infatti sfugge alla comprensione, è che il Presidente della Repubblica, cioè il supremo garante, abbia sentito la necessità di ribadire presunte prerogative, ma che, al tempo stesso, non abbia sentito, anche, il dovere costituzionale di mostrarsi immune da sospetti.
Il tutto sollevando, peraltro, un conflitto di attribuzione che non potrà avere alcun seguito nel senso di riconoscere al Presidente l’ultima parola in merito alla titolarità degli atti da compiere, visto il contenuto dell’art. 90 Cost. invocato, e quindi meramente indirizzato ad ottenere che la magistratura venga obbligata dalla Corte Costituzionale, sulla base di un’ardita interpretazione delle leggi e della superiore immunità di cui godrebbe il Presidente della Repubblica, a distruggere le intercettazioni telefoniche che, casualmente e/o indirettamente, potrebbero avere come oggetto colloqui con il Presidente della Repubblica. Il tutto senza che venga altresì svolta alcuna attività tesa a verificare l’eventuale rilevanza delle intercettazioni, sia in funzione di accusa che di difesa, nei confronti dei soggetti, diversi dal Presidente della Repubblica, lecitamente sottoposti ad intercettazioni.

Secondo, pertanto, questa tesi, un indagato in odore di mafia potrebbe tranquillamente telefonare al Presidente Napolitano, minacciare Lui e la sua famiglia di morte, rivelargli di aver già eliminato Tizio, Caio e Sempronio, perché tanto di questo colloquio non potrebbe rimanere alcuna traccia.

Sempre a sostegno della medesima tesi, e cioè l’immediata distruzione delle intercettazioni, anche se casuali e/o indirette al Presidente della Repubblica, nei giorni scorsi era intervenuto anche il Sen. Ceccanti, ricordando quanto dibattuto al Senato riguardo alcune intercettazioni che avevano visto coinvolto il Presidente Scalfaro.
Ma l’allora Ministro Flick, rispondendo ad un’interpellanza parlamentare, pur attribuendo ai magistrati l’errore di non aver proceduto all’immediata distruzione delle intercettazioni, riconobbe che il quadro normativo non era chiaro e che, quindi, non erano ravvisabili nella condotta dei magistrati aspetti di macroscopica inosservanza delle disposizioni di legge o di loro abnorme interpretazione.
A fronte di quest’unico controverso precedente, che non è legge e che, per l’appunto, sta lì a confermare l’esistenza di un quadro normativo di difficile interpretazione, le già citate conclusioni del Prof. Ferrara, circa gli “istinti eversivi” e la scarsa “prova di virtù repubblicane”, suonano  così quanto mai eccessive ed ingenerose.
Anche perché, partendo proprio dalla premessa iniziale svolta dal Professore, nella storia degli ultimi venti anni gli intenti eversivi hanno avuto nomi e cognomi facilmente individuabili.
Stessi nomi e cognomi che oggi plaudono allo scontro tra i Poteri dello Stato, considerato addirittura tardivo, intrapreso dal Presidente Napolitano.


Appendice

Costituzione
- Art. 90.
Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.
In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.


L. 87/1953
- Art. 37.
Il conflitto tra poteri dello Stato è risoluto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali.
Restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione.
La Corte decide con ordinanza in camera di consiglio sulla ammissibilità del ricorso.
Se la Corte ritiene che esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza dichiara ammissibile il ricorso e ne dispone la notifica agli organi interessati. Si osservano in quanto applicabili le disposizioni degli artt. 23, 25 e 26. Salvo il caso previsto nell’ultimo comma dell’art. 20, gli organi interessati, quando non compaiano personalmente, possono essere difesi e rappresentati da liberi professionisti abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori.

- Art. 38.
La Corte costituzionale risolve il conflitto sottoposto al suo esame dichiarando il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione e, ove sia stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla.


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