Riforme Istituzionali
L'editoriale
 
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Riforme.net  -  28 settembre 2013

Manomettere la Costituzione o farsi i fatti propri? Speriamo la seconda!


   Franco Ragusa
 
Alla fin fine, non tutti i mali potrebbero giungere per nuocere.
Da un lato, è sin troppo evidente, siamo di fronte ad una crisi politico-istituzionale determinata dai problemi privatissimi di un signore che da circa trent'anni, i decreti TV ad opera del Governo Craxi sono del 1984, può godere del potere di controllare e condizionare una buona fetta del Parlamento; dall'altro lato, però, forse sarà soltanto grazie a dei miseri interessi di bottega se, a giochi ormai fatti, si arriverà a porre un freno alla fase de-costituente che ha preso l'avvio con la rielezione vincolata del Presidente Napolitano.
Per meglio comprendere l'attuale situazione è infatti bene sottolineare l'importanza dei due eventi eccezionali di inizio legislatura:
- la rielezione del Presidente della Repubblica uscente;
- il Presidente uscente che ha accettato la nuova investitura non per svolgere il nobile ruolo di garante della Costituzione, bensì per vigilare sulle forze politiche affinché la stessa venga profondamente modificata in tutta fretta.
Questo il marasma istituzionale nel quale va quindi contestualizzata, per quanto riguarda gli effetti pratici che più ci interessano, l'odierna strategia di breve respiro del centrodestra.
Del resto, a ben vedere, si tratta di un film già visto. Un copione logoro che si ripropone da ben venti anni, recitato dagli stessi pessimi e stantii protagonisti, ma per il quale, fortunatamente, non è ancora stata scritta la parola fine, e questo nonostante le premesse per un brutto finale vi fossero già tutte.
Nel 1993, con l'introduzione della forzatura maggioritaria per via referendaria, abbiamo infatti contribuito a creare un mostro: un popolo sovrano che non può più scegliere da chi essere rappresentato; da qui l'avvento del berlusconismo (da non confondere con la vita privata del Berlusconi persona), con al seguito tutte le sue derivazioni leaderistiche che hanno inquinato anche il centrosinistra.
Un'anomalia che ha segnato negativamente la vita politico-istituzionale del Paese ma che, fortunatamente, frenata dagli interessi immediati, non ha mai trovato la chiave per riuscire a smantellare del tutto la Costituzione.
Nel 1996 furono le resistenze di Fini, convinto che di lì a poco il centrodestra avrebbe vinto facilmente le elezioni, ad impedire la formazione del governo Maccanico e, quindi, a far saltare l'accordo con il centrosinistra che avrebbe portato a realizzare una riforma di tipo presidenzialista o in ogni caso fondata sull'elezione diretta del “Capo dell'Esecutivo”.
Ma neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo e la successiva mancata vittoria del centrodestra, che di lì a poco nacque la Commissione bicamerale per le riforme presieduta da D'Alema, con il Cavaliere a dettare le condizioni per la stesura della legge Costituzionale istitutiva, con tanto di imposizione di un referendum unico e l'ingresso dalla porta di servizio del capitolo Magistratura.
Giunti quasi alla fine del percorso, però, con il progetto di presidenzialismo licenziato dalla Commissione ormai ad un passo dall'essere approvata dalle Camere, fu Berlusconi, insoddisfatto per il capitolo giustizia, a far saltare il tavolo.
Purtroppo per il Paese, il progetto licenziato dalla Bicamerale venne in parte ripreso.
Nel 2001 dal centrosinistra, con l'approvazione, con soli 4 voti di maggioranza, del nuovo Titolo V.
Una riforma federalista di tipo competitivo che non impone allo Stato di agire per garantire le eguali condizioni di vita, ma che si limita a fissare i livelli minimi delle prestazioni, dividendo così gli italiani in cittadini di serie A o di serie B a seconda della regione di residenza.
Per non parlare, poi, degli innumerevoli conflitti Stato-Regione innanzi alla Consulta, determinati dal bizzarro sistema di legislazione esclusiva e concorrente introdotto.
Creato il precedente, l'approvazione di un'importante revisione costituzionale a maggioranza semplice, senza cioè il concorso dell'altra parte  dello schieramento politico, come e perché non attendersi che anche il centrodestra non ne approfittasse per varare una propria profonda revisione costituzionale?
Tranne qualche contentino formale per la Lega Nord, il progetto approvato nel 2005 dal centrodestra lasciava sostanzialmente invariato il confuso Titolo V approvato dall'Ulivo.
Dove si interveniva in profondità, invece, era la parte relativa ai poteri del premier, riprendendo, peraltro, quanto previsto dalla bozza Amato sottoscritta nel 2003 dai segretari dei partiti del centrosinistra all'epoca all'opposizione (http://www.riforme.net/leggi/bozza_Amato.htm).
Il super Premier venne però sonoramente bocciato dal referendum confermativo, e questo nonostante le molte ambiguità di ampi settori del futuro PD che, coerentemente con quanto sottoscritto con la bozza Amato, si guardarono bene dal fare una vera e propria battaglia per il no.

Siamo quindi arrivati ai giorni nostri, con il Presidente Napolitano a dirigere il traffico delle riforme istituzionali, ben lieto di vedere PD e PdL utilizzare qualsivoglia scorciatoia, a partire dalla deroga dell'art. 138.
Una fine quindi annunciata se, ancora una volta, non fossero giunti i soliti guai personali del Sen. Berlusconi a guastare il clima di intesa.
Rallegriamocene e speriamo bene!

  

 

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