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Riforme.net  -  15 dicembre 2013

Proporzionale e finanziamento pubblico: un referendum può valere per l'eternità?


   Franco Ragusa
 
Sì, non c'è dubbio, ormai lo sanno pure i sassi: nel 1993 il popolo si è pronunciato per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti e per una legge elettorale prevalentemente maggioritaria.
I sassi dovrebbero pure sapere, però, che da allora sono passati ben 20 anni e che, in questi 20 anni, sono successe tante cose e che, soprattutto, il corpo elettorale non è più lo stesso: gli elettori dai 18 ai 37 anni all'epoca non votavano.
Che c'azzecca?
C'azzecca, c'azzecca. 
Quando si sente continuamente ripetere che quel voto referendario non può essere messo in discussione, e dopo la dichiarata incostituzionalità del Porcellum lo si dice anche per un eventuale ritorno al proporzionale, la domanda sorge spontanea: quale incredibile patto con il diavolo si sottoscrive una volta votato un referendum?
Non si può più cambiare idea? Cambia il corpo elettorale ma gli elettori che hanno votato nel '93 hanno deciso per i secoli a venire?
Ebbene sì, per una bizzarra interpretazione del divieto di ripristino della normativa abrogata per via referendaria, parrebbe proprio di sì: un referendum vale per l'eternità.
Infatti, è sulla base di questo principio che la Corte dei Conti ha sollevato la questione di incostituzionalità delle normative, dal '97 ad oggi, che si sono occupate di rimborsi elettorali.
Per dirla tutta, la Corte dei Conti ha sollevato anche altre questioni, come la violazione degli art. 3 e 49 (principio di uguaglianza), ma di questo non parla nessuno. Anche perché, se se ne parlasse, si scoprirebbe un obbligo costituzionale che, paradossalmente, potrebbe giustificare, anzi no, potrebbe addirittura imporre una qualche forma di intervento dello Stato per garantire le pari opportunità a tutti i soggetti politici.
 
Ma torniamo al patto con il diavolo e lo facciamo cercando di interpretare questo famoso divieto di ripristino della normativa abrogata per via referendaria attraverso la lettura dell'ultima sentenza della Consulta che se ne è per l'appunto occupata, la 199 del 2012: l'incostituzionalità delle norme che di fatto ripristinavano, dopo solo  pochi giorni dallo svolgimento dei referendum sull'acqua, quanto era stato da poco abrogato.
La Consulta fu molto chiara al riguardo, ribadendo il divieto di ripristino della normativa abrogata in quanto vi è l'esigenza di garantire che lo strumento di democrazia diretta non "venga posto nel nulla e che ne venga vanificato l’effetto utile, senza che si sia determinato, successivamente all’abrogazione, alcun mutamento né del quadro politico, né delle circostanze di fatto, tale da giustificare un simile effetto."
 
Sì, avete letto bene, non può essere vanificato l'effetto utile del referendum senza che, nel frattempo... ecc. ecc.
Nessun patto con il diavolo, quindi, ma delle circostanze che, ad esempio, nella medesima legislatura non consentono al legislatore, eletto precedentemente allo svolgimento della consultazione popolare, di poter vanificare l'espressione di democrazia diretta.
Ma tale divieto, può valere, anche, per il Parlamento eletto successivamente?
Per essere chiari, a seguito di nuove elezioni, il quadro politico può essere considerato mutato al punto tale da poter rivedere una decisione referendaria adottata precedentemente? Il quadro politico può essere considerato mutato se dal '93 ad oggi siamo di fronte ad un diverso corpo elettorale è se, nel frattempo, si sono svolte ben 6 tornate elettorali?
 
Ma la Consulta non scrive solo "mutamento del quadro politico". Cita anche delle "circostanze di fatto".
Di che si tratta?
Ad esempio, il finanziamento pubblico potrà pure essere stato cancellato per via referendaria, ma sarebbe una circostanza di fatto o no l'eventualità che, proprio a seguito dei rilievi della Corte dei Conti di cui nessuno parla, violazione del principio di uguaglianza (art. 3 e 49), potrebbe essere dichiarata incostituzionale una normativa che, spogliata del finanziamento pubblico, consentisse il solo finanziamento privato?
Ed è una circostanza di fatto o no che il Porcellum, una legge maggioritaria priva di soglia, sia stata dichiarata incostituzionale e che gli stessi rilievi potrebbero essere sollevati anche per il precedente Mattarellum?
Al riguardo c'è da ricordare che in sede di ammissibilità dei referendum la Consulta non può, come più volte ribadito, entrare nel merito delle eventuali incostituzionalità derivanti dalla normativa di risulta e che, quindi, nessuno può ritenere il Mattarellum esente da difetti costituzionalmente rilevanti.
 
Sempre in riferimento, inoltre, sia al mutato quadro politico che alle circostanze di fatto, ci sarebbe da aggiungere che in questo paese c'è il pessimo vizio di avere poca memoria, per cui i "soloni" ricordano perfettamente i referendum del '93, mentre hanno il vuoto pneumatico assoluto riguardo a tutti gli altri referendum che, sugli stessi temi, si sono svolti negli anni successivi.
Ben tre referendum elettorali tendenti a rafforzare il bipolarismo e il bipartitismo. Tutti e tre falliti per non aver raggiunto il quorum. L'ultimo, quello del 2009, con risultati disastrosi non solo per la scarsissima partecipazione, ma anche per l'esiguo numero di Sì ottenuto, tra i più bassi in assoluto. Perché, allora, non si prende atto anche di questi pessimi risultati quando si parla di maggioritario,  bipolarismo o di bipartitismo, vista tanto più l'evidenza di un panorama politico suddiviso in tre/quattro poli?
Stesse considerazioni potrebbero essere fatte sulla normativa sui rimborsi elettorali, sottoposta anch'essa a referendum abrogativo nel 2000. Anche questo referendum, fallito per mancato raggiungimento del quorum: votò poco più del 32%.
 
Per concludere, chi nel 2013 vuole sostenere il finanziamento privato alla politica o il mantenimento del maggioritario, abbia la decenza di non nascondersi dietro il paravento del rispetto della volontà dei cittadini.
Ci si assuma la responsabilità delle scelte senza evocare il doveroso rispetto di assurdi patti con il diavolo che non sono scritti in Costituzione e che, peraltro, sono stati già messi in discussione da quello stesso strumento referendario che viene spesso invocato a sproposito.
  

 
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