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Riforme.net  - 17 aprile 2021
 
La Campagna elettorale al tempo del covid

 Franco Ragusa

A giudicare dall'entusiasmo suscitato dalla conferenza stampa di Draghi di ieri pomeriggio, 16 aprile, l'Italia sembrerebbe essere finalmente uscita dal "tunnel delle chiusure" o, più precisamente, dal "tunnel di alcune attività chiuse".
La vittoria di alcuni protagonisti della politica per molti commentatori; con toni più "nobili e modesti", quegli stessi protagonisti hanno inneggiato alla vittoria del "buon senso".
A fronte di un simile quadro, considerati gli effetti reali delle parole di Draghi, una prima considerazione: con un simile ceto politico, perennemente impegnato a promuovere o a prendere decisioni come se si fosse già in campagna elettorale, non ci sono riforme che potrebbero risollevarci. Tutto va bene, sia per chi chiede e sia per chi concede, pur di conquistare consenso.
Ieri abbiamo infatti assistito ad una rappresentazione che avrebbe dovuto offendere l’intelligenza di ognuno di noi: come cioè trasformare la risoluzione di questioni serie nella solita miseria della politica finalizzata alla sola propaganda.
Nella sostanza, si è solo anticipato al 26 aprile ciò che era già previsto per il 30 aprile, data di scadenza per il ritorno alle zone gialle.
Per tutto il resto, l'ennesimo piano di riaperture programmato che potrebbe saltare da un momento all'altro, come peraltro già avvenuto a febbraio per gli impianti sciistici e per i cinema a marzo.
Tradotto quindi in soldoni: molta campagna elettorale permanente ad uso e consumo di chi non aveva condiviso il blocco delle zone gialle per tutto il mese di aprile e che ora parla di vittoria del "buon senso" per un anticipo di ritorno alle zone gialle di soli 4 giorni e per un piano di riaperture tutto ancora da verificare.
Un "buon senso" che ignora, o che per calcoli elettorali preferisce ignorare, quanto avvenuto alla Regione Sardegna, precipitata dalla zona bianca alla rossa nel giro di 3 settimane, dopo cioè aver finalmente riaperto le "alcune attività chiuse" di cui si precisava all'inizio.

La Sardegna avrebbe infatti dovuto costituire uno straordinario caso di studio.
Un laboratorio dal quale appare lecito credere possano ricavarsi alcune informazioni necessarie per pianificare il da farsi, non tanto affidandosi al "buon senso", bensì ai dati reali, e questo non da oggi.
Per il focolaio della scorsa estate, il "buon senso" individuò la causa nel Governo che aveva impedito l'obbligo del tampone per la libera circolazione tra le Regioni, guardandosi però bene dal prendere in considerazione l'eccessiva libertà di comportamenti a rischio.
Nei giorni scorsi, pur potendo contare sull'obbligo del tampone per i pochi ingressi sull'Isola e alla bassa densità di popolazione rispetto al periodo estivo, ancora una volta e sempre per il "buon senso", le colpe non cambiano: si è giunti alla zona rossa non a causa di stili di vita poco compatibili con una situazione di pandemia (aumento della mobilità; attività prolungate e ravvicinate senza mascherina), ma di qualche furbetto che avrebbe saltato i controlli.
Che si tratti di una sciocchezza è sin troppo evidenziato dalla velocità con la quale, solo a causa di pochi furbetti, si sarebbe passati da isola covid-free agli ospedali di nuovo ai limiti del collasso, ma tant'è ... inutile tentare di ragionare con chi vive di sola campagna elettorale.

È però d'obbligo ascoltare e ragionare con quei "pochi", invece, costretti dallo Stato alla chiusura o alla forte riduzione dell'attività, tenuto peraltro conto che la gran parte del comparto produttivo e di servizi, tolti ristoranti, bar, cinema, spettacoli dal vivo, palestre e sport amatoriale in genere, non si è mai fermato.
Mentre da noi, infatti, buona parte del Paese si alternava negli aperitivi sino alle 18.00, ora gialli, ora no, altri paesi analoghi al nostro hanno istituito dei veri lockdown.
L'Inghilterra sta riaprendo ora, lentamente, dopo circa tre mesi di chiusure totali, il 60% di vaccinati e con infine una media settimanale di contagi irrisoria rispetto alla nostra: 39 per milione contro i nostri 256 per milione (dato aggiornato ad oggi).
Diversamente da come viene spesso raccontata, l'Italia ha scelto di morire un po' più di covid e meno di economia, adottando un livello di convivenza con la pandemia che ha avuto un solo vero limite: evitare il collasso del sistema sanitario.
Per quanto nessuno lo dica, la realtà che abbiamo accettato o che siamo stati costretti ad accettare è sotto gli occhi di tutti: avere molti decessi a causa dell'infezione è un costo che si può pagare; un po' meno se da non infetti si potrebbe morire a causa degli ospedali al collasso.

Ricordato, quindi, che in Italia un vero lockdown non c'è più stato dalla scorsa primavera, è evidente che sotto il profilo della tenuta economica i problemi non sono legati alle sole riaperture delle poche attività chiuse o ridotte d'imperio.
La pandemia ha infatti determinato effetti diretti con le chiusure disposte d'autorità; ma anche e soprattutto effetti indiretti, già registrabili prima delle chiusure dello scorso anno, e cioè la riduzione delle attività economiche legate alla situazione globale.
Per chi vive prevalentemente di turismo straniero, 13% del PIL, rimanere aperti al 100%, ridotti di capienza o chiusi del tutto, cambia poco: entrate irrisorie a fronte di costi fissi rimasti immutati.
I quattro giorni di zona gialla conquistati ad aprile dal "buon senso", quali e quanti vantaggi porteranno ai ristoranti e agli alberghi dei centri storici, questi ultimi peraltro mai chiusi, o al settore dell'accompagnamento, dai trasporti alle guide (anche in questo caso attività non chiuse), senza i turisti stranieri?
E quanti turisti si pensa siano disposti a recarsi in un paese con numeri tali da rimanere all'attenzione dei propri paesi di provenienza (tampone e quarantena al ritorno, ad esempio)?
Ma anche a livello di mercato interno, tolti i garantiti delle rendite o con il 27 del mese assicurato, in quanti si è disposti a frequentare situazioni che, nonostante il rispetto dei protocolli, per loro natura presentano maggiori rischi di contagio in una situazione epidemiologica come quella che è facile prevedere avremo a maggio?
Non tutti possono permettersi, anche trascurando l'aspetto sanitario, il lusso, sotto il profilo lavorativo ed economico, di dover superare un periodo di quarantena a seguito di un contagio che si potrebbe evitare con alcune rinunce.

Che piaccia o no, la ripresa è legata all'andamento dei contagi e al senso di sicurezza che il Paese sarà in grado di infondere.
Quanto mai avvilente, quindi, lo spettacolo di politici sbrodolanti per quattro giorni di zona gialla anticipati, al buio, da offrire come ancora di salvezza a chi è rimasto senza tutele e risorse.
Settori a cui, a distanza di un anno, ancora non si dà la risposta che si dovrebbe in tempi di pandemia: "lo Stato c'è e non lascia nessuno nella disperazione, soprattutto quando c'è la necessità di fermarsi".
Perché se c'è da fermarsi ci si ferma, non si cavalca la disperazione per fini elettorali.
Alla disperazione non ci si deve arrivare.

La legge elettorale
 
La Legge Elettorale
e i tanti modi per non farci contare
 
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IV edizione - aprile 2014
 
di Franco Ragusa
 
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