I ricatti multinazionali per stati all'asta
FEDERALISMO FISCALE? E' invocato da tutti, come ovvia panacea
a ogni male burocratico e indolore rimedio alle spinte secessionistiche.
Il federalismo è l'uovo fiscale di Colombo. E se invece, come tutte
le ovvietà, si rivelasse un abbaglio, rovinoso per giunta? Sulle
devastazioni che il federalismo fiscale provoca, la lezione più
tagliente ci viene da dove meno ce l'aspettiamo, dalle foreste dei pini
dell'Alabama, uno dei più poveri stati nel sud degli Usa. E' una
vicenda esemplare che, se non fosse vera, sarebbe incredibile. Il suo antefatto
sta nella possibilità, da parte di ognuno degli Stati uniti (e,
in misura più limitata, di ogni città) di stabilire il proprio
regime d'imposte e di decidere esenzioni, abbattimenti ed incentivi fiscali
a proprio, insindacabile giudizio.
A mezz'ora di macchina a nordest di una cittadina chiamata Tuscaloosa,
tra le cime dei pini s'intravede la stella a tre punte racchiusa in un
cerchio che sovrasta la fabbrica dove la Mercedes sta per sfornare ogni
anno 65.000 fuoristrada per il mercato Usa e l'esportazione. La fabbrica
impiega solo 1.500 persone, ma sta per mandare in bancarotta uno degli
Stati uniti, della potenza imperiale planetaria.
Tutto cominciò a Tuscaloosa
Raccontata in gran dettaglio nella rassegna domenicale del New York
Times, la storia comincia nel 1993, proprio quando le grandi industrie
statunitensi andavano a montare i loro prodotti in stabilimenti di assemblaggio
a sud del Rio Grande, il confine messicano, perché lì la
mano d'opera non costava niente e gli operai non erano organizzati in sindacati.
Questi stabilimenti sono chiamati maquilladoras e i sindacati Usa
protestano perché fanno perdere posti in patria. Ma c'è un
ma: ormai, quanto a costo del lavoro, gli Stati uniti stanno alla Germania
come il Messico sta agli Stati uniti.
Così, poiché rispetto agli Usa in Germania i salari sono
più che doppi, gli operai hanno il triplo di ferie pagate, migliore
assistenza sanitaria e trattamento pensionistico, e sono organizzati in
un potentissimo movimento sindacale (la IGMetal), l'industria di Stoccarda
ha deciso tre anni fa di aprire un impianto negli States.
All'inizio i tedeschi individuarono 62 siti possibili. Nessuno di essi
era in Alabama. Un semplice ragionamento economico avrebbe dato la preferenza
a una delle due Caroline (del Nord o del Sud):
1) avevano un migliore accesso all'Oceano Atlantico, il che avrebbe
reso più facile importare i pezzi dalla Germania ed esportare le
vetture prodotte;
2) la casa madre della Mercedes, la DaimlerBenz, vi aveva già
impiantato due fabbriche di camion e dunque era già installata sul
territorio.
Inoltre in Carolina le organizzazioni sindacali sono scoraggiate dalle
leggi locali (una delle ragioni per cui in questa regione nel 1992 si era
installata la Bmw).
E qui interviene il fattore "incentivi fiscali". Per attirare la Mercedes,
la Carolina promise importanti abbattimenti tributari, finanziamenti, agevolazioni
al credito. Era una pratica ben consolidata. Nell'85, quando la Gm dovette
scegliere un sito per la sua nuova fabbrica Saturn, il Tennessee concesse
sgravi fiscali, incentivi e finanziamenti pari a un totale di 26.650 dollari
per ogni posto di lavoro creato. Nello stesso anno la Toyota ricevette
dal Kentucky 50.000 dollari, mentre nel '92 la Bmw ottenne dalla Carolina
del sud la cifra record di 65.500 dollari per ogni posto di lavoro creato.
Per la Mercedes, la Carolina era pronta a fare uno sforzo supplementare.
Sudisti contro sudisti
Ma aveva fatto i conti senza la febbre a tre punte che aveva colto
gli uomini politici e gli affaristi dell'Alabama: una fabbrica di auto
di lusso in uno degli stati più disastrati, sfibrati dalla miseria
e dal Ku Klux Klan. Il governatore democratico James Folson Jr. volò
tre volte a Stoccarda con un pacchetto di finanziamenti sempre più
generoso. Per migliorare l'immagine del proprio stato, accettò di
far ammainare lo stendardo da battaglia confederato (cioè sudista)
che dal 1865 ancora sventolava sul Campidoglio di Birmingham. Alla fine
la Carolina dovette issare bandiera bianca e arrendersi di fronte alle
concessioni dell'altro stato sudista.
Il 30 settembre 1993 la Mercedes annunciò che per la sua fabbrica
aveva scelto l'Alabama. E grazie! basta guardare i munifici regali ottenuti:
oltre a imponenti sgravi fiscali e crediti agevolati, l'Alabama offriva
77,5 milioni di dollari in lavori d'infrastruttura (fogne, rete idrica,
strade); offriva altri 92,2 milioni di dollari per acquistare il sito ed
equipaggiarlo, e circa 5 milioni di dollari (annui) per la formazione del
personale.
Nel '93 il totale ammontava a 253 milioni di dollari che nel frattempo
per la lievitazione dei costi sono diventati circa 300 (450 miliardi di
lire) per una fabbrica di 1.500 operai, cioè circa 200.000 dollari
(300 milioni di lire) per ogni posto di lavoro, e quindi 7 volte quanto
aveva ottenuto la General Motors dal Tennessee, il quadruplo di quel che
aveva estorto la Toyota dal Kentucky, il triplo di quel che il South Carolina
aveva elargito alla Bmw. E questo senza tener conto di un'altra graziosa
liberalità: lo stato dell'Alabama s'impegnava a comprare 2.500 Mercedes
per i suoi dipendenti, dagli ispettori stradali a quelli agricoli, per
almeno 75 milioni di dollari. Ciliegina sulla torta, l'Alabama ha un clima
particolarmente ostile alle organizzazioni dei lavoratori, inclemente soprattutto
per i sindacati.
Un marchio da due tonnellate Appena ricevuta la notizia
di essere stati i felici prescelti, in preda all'euforia, i membri della
Camera di commercio di Birmingham stanziarono altri 75.000 dollari per
innalzare un enorme cerchio con la stella a tre punte, dal peso di 2 tonnellate
e mezzo, sopra il tabellone dei punteggi dello stadio. Infatti, secondo
le ricerche commissionate dal governo, per ogni posto di lavoro in fabbrica,
la Mercedes ne avrebbe indotti altri 1011 (in Michigan il rapporto è
di 1 a 9). Si trattava quindi di 17.000 posti di lavoro complessivi. Per
di più ben pagati, proprio per evitare vertenze sindacali. Adesso
la paga minima Mercedes è di 12,5 dollari l'ora, che fra due anni
diventeranno 17,5, il doppio della paga in Alabama (ma pur sempre la metà
della paga oraria in Germania). E poi la Porsche ha deciso di usare l'impianto
per montarvi 8.000 auto sportive, aumentando del 12 le unità prodotte.
Tant'è che a concorrere per i primi 1.200 posti di lavoro si sono
presentati in 40.000.
Ma ecco le dolenti note. Per l'Alabama 300 milioni di dollari non sono
un bruscolino, rappresentando un decimo di tutte le sue entrate statali
annue (3,4 miliardi di dollari nel '93). Per uno stato pesantemente indebitato
era necessaria molta fantasia per reperire una cifra simile. Pensa che
ti ripensa, la soluzione più astuta è stata il taglio delle
spese scolastiche. Ma poiché già oggi l'Alabama è
ultimo tra gli stati sulla spesa pro capite per la scuola dell'obbligo
(elementare e secondaria), la Corte suprema dell'Alabama ha bocciato il
provvedimento (qualche ingenuo pensa addirittura che investire nella scuola
e produrre tecnici qualificati creerebbe più posti di lavoro della
Mercedes).
A corto di risorse, l'Alabama ha fatto ricorso ai finanziamenti federali
alla Guardia nazionale per affidare alla propria milizia statale una "missione
di allenamento" per disboscare e spianare il sito della fabbrica. Naturalmente
non è bastato. Nel '95 lo stato è andato in mora nel pagamento
del contributo per la costruzione dell'impianto, 43 milioni di dollari.
Alla fine si è dovuto rivolgere al proprio fondo statale pensionistico
che gli ha prestato 98 milioni di dollari (150 miliardi di lire) al 9 annuo,
un tasso più alto di 2,5 punti dei tassi correnti. La situazione
si è fatta così critica che il governatore democratico Folsom
è stato sconfitto dal rivale repubblicano proprio sul tema del contratto
Mercedes.
La rete dei ricatti
Nel frattempo si sono ridimensionate le migliaia di posti fatti balenare.
Gran parte dei componenti non arrivano dall'Alabama. Il 35 viene direttamente
dalla Germania e dei 71 fornitori primari solo 10 sono dell'Alabama, 8
sono del Michigan (Detroit è centro storico dell'industria automobilistica)
e altri 8 del Tennessee, nuovo fulcro del settore. Per adesso, la Mercedes
ha creato in Alabama solo 600 posti nell'indotto. Per di più il
mercato dei fuori strada si sta affollando con sempre nuovi gruppi a fare
concorrenza ai Cherokee e Grand Explorer. E quindi le prospettive del mercato
sono meno luminose di tre anni fa.
Per lo stato dell'Alabama i guai non sono finiti qui. Quando le altre
compagnie hanno visto i vantaggi fiscali concessi alla Mercedes, hanno
chiesto condizioni simili altrimenti sarebbero emigrate altrove. Così
la Trico Steel (joint wenture della giapponese L.T.V. Sumitomo e
della British steel) ha ottenuto 85 milioni di dollari di deduzioni fiscali
per la sua acciaieria a Decatur, mentre la concorrente Gulf States Steel
ha ottenuto l'abbattimento di 1,5 milioni di dollari all'anno per vent'anni
per il suo impianto di Gadsen. Detrazioni fiscali che riducono le già
magre entrate dello stato dell'Alabama (con una metafora automobilistica,
il New York Times definisce il suo bilancio "supercompatto"). Minori
entrate a causa delle deduzioni fiscali rendono necessari ulteriori tagli
alla scuola, ai lavori pubblici, e così aumentano la povertà
dello stato.
Come i cerchi concentrici di un sasso nello stagno, questo meccanismo
si propaga agli stati confinanti che, per non vedersi sottrarre impianti
industriali, sedi di compagnie e posti di lavoro, sono costretti a rilanciare
e a concedere maggiori finanziamenti in una spirale che accelera la loro
bancarotta fiscale. D'altronde le compagnie si mettono esplicitamente all'asta
e minacciano di andarsene, di distruggere migliaia di posti di lavoro.
E' un ricatto reso possibile dalla concorrenza spietata tra stati per concedere
sempre maggiori facilitazioni fiscali. In questo regime di autonomia fiscale,
finisce per perderci non uno stato, ma l'insieme dei 50 stati.
La California e il comune di Anheim hanno accettato di spendere 800
milioni di dollari d'infratruttura quando la Walt Disney aveva minacciato
di traslocare Disneyland. Lo Utah ha regalato 200 milioni di dollari alla
Micron Technology Inc. per costruire una fabbrica di chips di computer,
anche se nell'ultimo inverno la Micron ha bloccato la sua costruzione perché
il prezzo dei chips era crollato. Quest'anno, riferisce il New York
Times, il Massachusetts ha concesso riduzioni fiscali per 30 miliardi
di lire alla Raytheon Co. il più grande datore di lavoro dello stato
che minacciava di spostare i posti di lavoro in Tennessee e in Arizona.
Poi il Massachusetts ha concesso sgravi fiscali per 60 miliardi di lire
alle assicurazioni dopo che la Fidelity Investments parlava di spostare
migliaia di posti di lavoro in Rhode Island o altrove. L'ironia è
che, appena avuti gli sgravi in tasca, la Raytheon Co. ha tagliato 4.500
posti in Massachusetts.
Per far fronte a questa crisi fiscale, i singoli stati ricorrono sempre
più spesso a quelle che chiamano "tasse del peccato" (sin taxes),
su sigarette e alcool. Lanciano sempre più tombole e lotterie, cercano
disperatamente di aprire sempre nuovi casinò. Ma sono palliativi
irrisori, e sempre più voci si levano per chiedere che sia ridotta
l'autonomia fiscale, che sia introdotta una normativa federale per limitare
la corsa alla bancarotta. Un esponente della Federal Reserve ha dichiarato
al New York Times che solo restrizioni imposte dal Congresso di
Washington possono fermare questa competizione suicida tra stati. Una proposta
sarebbe di applicare un aggravio di tassa sul reddito pari fino al 100
di ogni incentivo che le compagnie ricevono per andare a installarsi in
uno stato. Ma chi lo va a raccontare a Bossi?