CONDIVIDO la necessità e l'urgenza di una incisiva riforma delle regole fondamentali delle nostre istituzioni, ma ciò non può condurmi a avallare qualsiasi riforma e qualsiasi percorso. Il disegno di legge al nostro esame riguarda il percorso, ma già in questa fase tocca una norma fondamentale, l'articolo 138 della Costituzione. Si propone con questo disegno di legge di procedere alla riforma decampando dal procedimento previsto in Costituzione e disegnandone uno del tutto diverso e carico di conseguenze sul rapporto tra Costituzione e sovranità popolare.
Oggetto dei lavori della commissione bicamerale è tutta la seconda parte della Costituzione, ma questa non è del tutto svincolata dalla prima, dai diritti fondamentali, da quell'ambito costituzionale che abbiamo solennemente dichiarato di voler mantenere vivo. E non è senza rilievo, sulla parte I della Costituzione, la parte II: anche nella parte II vi sono principi fondamentali, non modificabili: occorre precisare che la riforma deve comunque farli salvi.
Il prodotto dei lavori della Commissione può consistere anche in più progetti relativi ciascuno a un gruppo di materie oggetto del lavoro riformatore, progetti rispetto ai quali è ipotizzabile, da parte di ciascun parlamentare, un atteggiamento diversificato, di consenso per l'uno, di dissenso per l'altro; ma questo sbocco logico della dialettica parlamentare che potrà svilupparsi in commissione o in assemblea, è frustrato dalla disposizione che impone un unico voto sul complesso degli articoli di tutti i progetti; il voto finale dovrebbe essere autonomo, invece, su ciascun progetto.
Coerente a questa che io individuo come una precisa distorsione è
la disposizione più discutibile e francamente sconcertante del
disegno di legge: l'articolo 4, che prevede di sottoporre a un
unico referendum la disciplina costituzionale approvata.
Ma l'elettore può consentire, ad esempio, con una proposta di
forma di Governo presidenziale e non consentire con una proposta
di forma di Stato federale o viceversa. Arduo in questo caso per
lui scegliere nel voto referendario. In questo modo l'appello al
popolo non si traduce in un appello alla coscienza informata.
Conosciamo tutti la giurisprudenza della Corte costituzionale sui
quesiti referendari, sulla loro omogeneità e sulla necessità che
individuino in maniera chiara un tema su cui esercitare le
scelte. In questo caso l'appello al popolo si traduce in un
appello, nei migliori dei casi, ad esprimere fiducia in coloro
che sono gli artefici del prodotto sottoposto al voto popolare.
Io ciò scorgo - ma credo che ciascuno di voi non può farne a meno
-una valenza plebiscitaria del referendum che mi pare
assai distante dalle acquisizioni più mature in tema di
democrazia. Mi sembra difficile non scorgere in questo
referendum il tentativo di recuperare attraverso il voto
popolare quel senso di estraneazione dalle istituzioni che oggi è
presente nella nostra società e che credo non si recuperi con
scorciatoie di questo tipo. Vorrei sbagliarmi ma temo che la
volontà di unire sulle regole fondamentali della repubblica, che
apprezzo, finisca in realtà per screditare il patriottismo
costituzionale, e per far sentire il voto che alla fine verrà
espresso non tanto come l'adesione a un quadro di regole ma come
una stanca e rituale espressione di fiducia, o peggio di delega,
a un gruppo ristretto.