Riforme Istituzionali 
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Leggi del Diritto Pubblico e Costituzionale: Approfondimenti 
 
Premier forte e Federalismo competitivo - bipolarizzazione forzata e scomposizione del corpo sociale
(XIV Legislatura: commento al Ddl di revisione Costituzionale approvato dal Parlamento il 16 novembre 2005.
Respinto dagli elettori con il Referendum confermativo del 25-26 giugno 2006)
 
Franco Ragusa, ultimo aggiornamento 18 Gennaio 2006

Con la definitiva approvazione in quarta lettura (Senato: 16 novembre 2005), il percorso parlamentare del progetto di riscrittura della Costituzione si è quindi compiuto.
In attesa dell'eventuale, auspicabile Referendum confermativo, non rimane che confermare quanto già approfondito in precedenza.
Unico elemento nuovo del quale tenere conto e che inevitabilmente camminerà di pari passo con la nuova Costituzione, laddove questa dovesse entrare a pieno regime,  l'approvazione della nuova legge elettorale impropriamente definita di tipo proporzionale.
Si tratta, cioè, di verificare quale assetto complessivo potrebbe venire a determinarsi in conseguenza degli inevitabili effetti che la legge elettorale produce nell'ambito del delicato sistema degli equilibri costituzionali. Così come è stato con l'introduzione del maggioritario che, pur a Costituzione invariata, è stato in grado di stravolgere, materialmente, gran parte del sistema dei pesi e contrappesi; ma non solo.
Come appena accennato, la nuova legge elettorale non ha nulla a che vedere con il sistema proporzionale. Il sistema della distribuzione dei seggi, infatti, è proporzionale soltanto all'interno delle coalizioni. Diversamente, stabilita la coalizione vincente, fosse anche solo al 25-30%, questa riuscirebbe ad ottenere la maggioranza parlamentare, realizzandosi così un maggioritario di coalizione al posto di quello dei collegi uninominali.
Una legge elettorale, quindi, che si integra pienamente con la tendenze in atto, dal 1993 ad oggi, passando anche per la Bicamerale presieduta dall'Onorevole D'Alema ed il Nuovo Titolo V varato dal precedente Governo di Centrosinistra, di realizzare la semplificazione-bipolarizzazione forzata del sistema istituzionale; con tutto quanto ne consegue, evidentemente. Ed è quindi sin troppo evidente come l'esame della revisione costituzionale appena approvata non possa essere seriamente intrapreso senza un'approfondita indagine circa i passaggi obbligati verso i quali alcune idee di riforma inevitabilmente conducono.
Su un aspetto, infatti, deve essere fatta estrema chiarezza: sia il Centrodestra ora, che il Centrosinistra, prima al Governo e ora all'opposizione (si veda la bozza Amato), sono anni che stanno lavorando intorno a dei progetti di revisione che sono sostanzialmente identici per gli effetti concreti in grado di produrre.
Paradossalmente, alcune piccole differenze e contraddizioni sono state determinate più dall'esigenza di dover accontentare alcune forze politiche appartenenti al medesimo schieramento che da uno scontro d'idee tra i due schieramenti.
 



 
Dalla forma parlamentare al Premier forte ... che si morde la coda
 
Prima di affrontare gli aspetti riguardanti la forma di Governo è doverosa una premessa.
Nonostante i danni provocati dalla bipolarizzazione forzata del quadro politico siano sotto gli occhi di tutti, entrambi i Poli continuano a sostenere, con più o meno identità di vedute, la validità del sistema maggioritario. E anche la nuova legge elettorale, erroneamente definita proporzionale, può a ben diritto essere inserita in questo contesto.
Mai, però, come con il modello di premierato ora realizzato dal Centrodestra, le posizioni tra maggioranza ed opposizione sono arrivate così vicine.
Con buona pace dei parlamentari di Centrosinistra, correggendo il progetto di revisione costituzionale licenziato dal Senato nel 2004, la maggioranza di governo ha di fatto recepito per intero le indicazioni contenute nella bozza Amato sottoscritta da tutti i leader dell'opposizione.
 
 Bozza Amato  
  
... 
- per garantire il rispetto della volontà politica degli elettori e per evitare il rischio di uno scollamento tra cittadini e sistema politico, è giusto che non siano legittimati i c.d. ribaltoni. In questo senso, si conviene sul fatto che debba rendersi noto, contestualmente alla pubblicazione del programma elettorale, il nome del candidato alla guida del Governo, senza tuttavia farne oggetto di separata menzione nella scheda elettorale. Egli sarà poi nominato dal Presidente della Repubblica e investito della fiducia iniziale del Parlamento (o della Camera). In caso di sfiducia, e su sua proposta, vi sarà lo scioglimento a meno che una mozione costruttiva votata dalla maggioranza iniziale, comunque autosufficiente anche se integrata o eventualmente ridotta, non proponga un diverso candidato;  
...
 
Addirittura, in questa Bozza del dicembre 2003 è contenuta la pubblicazione del programma elettorale che tante polemiche ha sollevato nei mesi scorsi quando a proporla, con la nuova legge elettorale, è stato il centrodestra. Come anche l'indicazione del Premier, da non mettere sulla scheda ma che però il Presidente della Repubblica deve primariamente nominare.
Del resto, intrapresa la strada della semplificazione bipolare da parte di entrambi gli schieramenti, rimaneva ben poco per potersi distinguere.
Quale che sia la formula adottata, infatti, che il Primo ministro possa disporre o no del potere di scioglimento diventa una questione di nessuna importanza in presenza di meccanismi, in ogni caso, in grado di condurre automaticamente, se messi in moto, allo scioglimento della Camera fiduciaria. E per l'appunto, entrambe le proposte, sia la bozza Amato che quella realizzata dalla maggioranza di governo, prevedono norme antiribaltone tali da condurre allo scioglimento della Camera fiduciaria; a meno di non aggirare il suddetto principio prevedendo la possibilità di Governi di minoranza o, in forma più esasperata, il ribaltone del Primo Ministro che era ampiamente consentito dal testo licenziato (marzo 2004) dal Senato.
 
Ma escludendo appunto queste possibilità, come la logica del principio antiribaltone impone (autosufficienza della maggioranza espressa dagli elettori, sempre secondo quella che è la peculiare e non dimostrata pretesa dei sistemi maggioritari, e cioè che il voto degli elettori possa essere univocamente letto come una chiara espressione di volontà di governo), il sistema è forzatamente portato a risolvere con lo scioglimento tutte le tensioni politiche all'interno della maggioranza di governo.
  
Art 88, comma 2:  
        Il Presidente della Repubblica decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indíce le elezioni nei seguenti casi:   
 a) su richiesta del Primo ministro, che ne assume la esclusiva responsabilità;   
 b) in caso di morte del Primo ministro o di impedimento permanente accertato secondo le modalità fissate dalla legge;   
 c) in caso di dimissioni del Primo ministro;   
 d) nel caso di cui all'articolo 94, terzo comma.  

Il Presidente della Repubblica non emana il decreto di scioglimento nei casi di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma, qualora alla Camera dei deputati, entro i venti giorni successivi, venga presentata e approvata con votazione per appello nominale dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, una mozione nella quale si dichiari di voler continuare nell'attuazione del programma e si designi un nuovo Primo ministro. In tal caso, il Presidente della Repubblica nomina il nuovo Primo ministro designato.

 

 

Art. 94      
   Il Primo ministro illustra il programma di legislatura e la composizione del Governo alle Camere entro dieci giorni dalla nomina. La Camera dei deputati si esprime con un voto sul programma. Il Primo ministro ogni anno presenta il rapporto sulla sua attuazione e sullo stato del Paese.   
    
    Il Primo ministro può porre la questione di fiducia e chiedere che la Camera dei deputati si esprima, con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte del Governo, nei casi previsti dal suo regolamento. La votazione ha luogo per appello nominale.    
In caso di voto contrario, il Primo ministro si dimette. Non è comunque ammessa la questione di fiducia sulle leggi costituzionali e di revisione costituzionale.   
    
    In qualsiasi momento la Camera dei deputati può obbligare il Primo ministro alle dimissioni, con l'approvazione di una mozione di sfiducia. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera dei deputati, non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione, deve essere votata per appello nominale e approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti. Nel caso di approvazione, il Primo ministro si dimette e il Presidente della Repubblica decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indìce le elezioni.   
    
Il Primo ministro si dimette altresì qualora la mozione di sfiducia sia stata respinta con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni. In tal caso si applica l’articolo 88, secondo comma.   
    
Qualora sia presentata e approvata una mozione di sfiducia, con la designazione di un nuovo Primo ministro, da parte dei deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, il Primo ministro si dimette e il Presidente della Repubblica nomina il Primo ministro designato dalla mozione. La mozione non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione e deve essere votata per appello nominale.
 
Come sopra accennato, diversamente dal testo licenziato dal Senato nel 2004, per il Premier non è possibile superare la mozione di sfiducia con i voti provenienti dai deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni.
Lo stesso dicasi per il meccanismo della sfiducia costruttiva. Alla maggioranza è sì infatti data la possibilità di proseguire la legislatura con un altro Premier, ma senza il sostegno dei deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni.
In questo meccanismo di cosiddetto antiribaltone rimane, invero, una piccola possibilità per "Governi di minoranza" o, più correttamente, per quello che potremmo definire "ribaltone del Premier".
Al Premier, infatti, è data la possibilità di far approvare dei progetti di legge senza la necessità della maggioranza assoluta dei voti e anche grazie, eventualmente, al possibile soccorso (o l'assenza) dei voti di parte dei deputati dell'opposizione. Per le questioni di fiducia non sono infatti previste la maggioranza assoluta e l'autosufficienza dei Deputati della maggioranza (art. 94 comma 2).
Il Premier è quindi nelle condizioni di poter operare delle forzature nei confronti di parte della sua stessa maggioranza potendo anche contare, in ipotesi, sul sostegno di deputati dell'opposizione.
Ma al di là di questa remota possibilità, permanendo l'attuale sistema elettorale maggioritario, ora in parte corretto, sarà in ogni caso molto dura, per le forze minori, operare degli strappi contro gl'interessi del Premier che possano condurre ad elezioni anticipate. E non a caso, è stato proprio dall'interno della stessa maggioranza di governo che sono partite con forza le richieste di un ritorno al proporzionale, poi finito con una versione riveduta del sistema maggioritario.
 
In tal senso, è risultato ben poco comprensibile il veto di principio opposto da tutto il centro sinistra ad una possibile legge elettorale di tipo proporzionale. Da un lato ad urlare contro lo strapotere del Premier; dall'altro lato arroccati a difesa di un sistema elettorale maggioritario che già ora ha largamente consentito al Presidente del Consiglio Berlusconi di mettere a tacere e condizionare i lavori del Parlamento su tutte le questioni da lui ritenute urgenti.  
Unici rallentamenti sinora incontrati nell'attuale legislatura, un testo costituzionale vigente che non consente, ancora, di sottomettere del tutto il Parlamento alle bizze di un solo uomo. Un testo costituzionale vigente, però, come l'attuale legislatura ha ampiamente dimostrato, già fortemente messo in crisi dalla legge elettorale maggioritaria che il candidato Premier del Centrosinistra, Prodi, ha dichiarato di voler ripristinare.
 
D'altro canto, però, "ciò che il maggioritario dà, il maggioritario può togliere", e i punti di forza del futuro Premier potrebbero rivelarsi anche i suoi maggiori punti di debolezza.
Il ricatto dello scioglimento anticipato può valere, infatti, soltanto in presenza di uno zoccolo duro di forze politiche in grado di garantire la rielezione (sua e/o della maggioranza che lo sostiene).
Non funziona più, invece, se il rischio potrebbe essere quello di trovarsi di fronte ad una forza dal peso elettorale determinante nell'ambito di un sistema elettorale di tipo maggioritario. Ed ecco, quindi, come le parti potrebbero invertirsi, con il Premier e la maggioranza che lo sostiene costretto a subire i ricatti delle forze minori per non essere trascinato, dal meccanismo antiribaltone, in elezioni dall'esito più che incerto senza quel 2-4% di voti che nei sistemi maggioritari è in grado di fare la differenza.
Come si vede, la medicina potrebbe allora rivelarsi peggiore del male da curare; ed anche questa constatazione, purtroppo, non è certo una novità.
Da tutto questo quadro di misure e contro misure, infatti, emerge una verità sin troppo chiara per non essere vista: nella "logica antiribaltone" c'è qualcosa, all'origine, che non permette di conciliare le diverse esigenze senza che tutti i rimedi ipotizzabili si rivelino peggiori del male.
Quello che non si riesce o non si vuole capire, è che il problema da risolvere è l'esigenza stessa che ci si debba dotare di un meccanismo antiribaltone.
Ma da dove scaturisce questa esigenza che poi condiziona tutto il resto?
Dalla demagogica convinzione che nei sistemi bipolari il corpo elettorale possa esprimere una chiara ed univoca volontà di governo.
Gli elettori, secondo i sostenitori della logica maggioritaria, votano per un preciso programma di Governo. Ma la cosa è però più teorica che pratica, come ha avuto inutilmente modo di evidenziare il professor Sartori, che proporzionalista non è, durante l'undicesima seduta della Commissione Bicamerale per le riforme istituita nella XIII legislatura:
   «Con tutto il rispetto, mi chiedo quante cose voti un povero elettore, quante volontà esprima e come si faccia a sapere quale abbia espresso. Il voto è per un partito, per un programma, quello dell'Ulivo ha cento punti: per quale di questi cento punti ha votato l'elettore? Non esageriamo con la tesi per la quale il popolo ha espresso una certa volontà: ...»

Diversamente, è proprio a causa del meccanismo di elezione maggioritario che gli elettori sono stati in questi anni costretti a subire "la politica dall'alto".
Con quale criterio, infatti, si può pensare che l'elettore eventualmente deluso da una determinata coalizione possa votare chi determinate scelte non le fa, l'altra parte, è un mistero ancora tutto da scoprire.
All'elettore contrario alla guerra o alla precarietà, di fronte alle posizioni ambigue che il centrosinistra sta assumendo sul ritiro dei nostri soldati dall'Iraq o sulla Legge 30, come e perché potrebbe essere possibile votare chi in Iraq i nostri soldati ce li ha portati e chi la Legge 30 l'ha varata?
Di quale alternanza si può parlare quando il sistema elettorale, pena la dispersione del proprio voto, in primo luogo costringe a votare per non far vincere qualcuno?

Riforma istituzionale, quindi, ma anche e soprattutto, di pari passo, meccanismi elettorali in grado di liberare dal ricatto gli elettori e, con loro, tutto il delicato meccanismo degli equilibri costituzionali.
Che piaccia o no, i poteri forti del Premier contenuti nel progetto di revisione costituzionale appena approvato sono la diretta conseguenza del meccanismo di bipolarizzazione-semplificazione forzata del quadro politico; tant'è che, nel volere a tutti i costi mantenere questo quadro di bipolarizzazione forzata, il Centrosinistra null'altro ha da proporre che una Bozza Amato alla quale il Centrodestra si è totalmente ispirato per la sua riforma costituzionale.
 



 
Nuovo Titolo V: cosa non cambia

Andando a vedere nel concreto, si scopre che tra il progetto del Governo e il testo in vigore, approvato dall'Ulivo alla fine della scorsa legislatura, le differenze sono minime.
   - Rimane invariato il modello di "legislazione concorrente", formula ambigua che non riesce a nascondere le profonde differenze con il modello di legislazione concorrente tedesco.
 

Costituzione tedesca: Articolo 72 - Competenza legislativa concorrente della Federazione  
(1) Nell'ambito della competenza legislativa concorrente, i Länder hanno il potere di legiferare solo fino a quando e nella misura in cui la Federazione non eserciti la propria competenza legislativa.  
(2) La Federazione ha in questo ambito il diritto di legiferare quando e nella misura in cui la realizzazione di equivalenti condizioni di vita nel territorio federale o la tutela dell'unità giuridica o economica nell'interesse dello Stato nel suo complesso, rendano necessaria una disciplina legislativa federale.  
...
 
  - Nulla cambia anche riguardo ai limiti posti all'intervento statale al fine di garantire l'uguaglianza dei cittadini.
 
Diversamente dalla Costituzione tedesca, che utilizza gli strumenti della legislazione concorrente per garantire eguali condizioni di vita, il nuovo Titolo V approvato dall'Ulivo ha introdotto l'assurdo e odioso principio della "tutela dei livelli essenziali" (per l'approfondimento si veda più avanti); e in tal senso, senza essere intervenuti su questo aspetto, la reintroduzione dell'interesse nazionale, più che riparare il danno, porterà soltanto ulteriori elementi d'incertezza.
   - Anche l'introduzione della cosiddetta "devolution" di Bossi, infine, non cambia, sostanzialmente, quanto già sancito in Costituzione a seguito della riforma ulivista: la sanità e la scuola di serie A per le regioni ricche e di serie B per quelle più povere sono già presenti nel nuovo Titolo V là dove non sono previste, per l'appunto, le eguali condizioni di vita. Paradossalmente, quindi, il ritorno d'importanti materie alla legislazione esclusiva dello Stato, quali la sicurezza sul lavoro e la tutela della salute, fanno sì che la riforma federale del centro destra sia da preferire a quella votata dall'Ulivo e questo nonostante il contentino formale ricevuto dalla Lega di Bossi sulla cosiddetta devolution.
 
Nuovo Titolo V: le novità

Passando ad esaminare le novità introdotte, la più rilevante è certamente costituita da quell'interesse nazionale da porre al vaglio del Parlamento in seduta comune che potrebbe condurre all'annullamento di una legge regionale:
 

Art. 127, comma 2     
   Il Governo, qualora ritenga che una legge regionale pregiudichi l’interesse nazionale della Repubblica, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione invita la Regione a rimuovere le disposizioni pregiudizievoli.   
Qualora entro i successivi quindici giorni il Consiglio regionale non rimuova la causa del pregiudizio, il Governo, entro gli ulteriori quindici giorni, sottopone la questione al Parlamento in seduta comune che, entro gli ulteriori quindici giorni, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei propri componenti, può annullare la legge o sue disposizioni. Il Presidente della Repubblica, entro i successivi dieci giorni, emana il conseguente decreto di annullamento. 
 
Dopo aver quindi riaffermato la rigida ripartizione di competenze legislative adottate dal nuovo Titolo V dell'Ulivo (legislazione esclusiva e legislazione concorrente con competenze distinte) e la su citata costituzionalizzazione del principio della diversità di trattamento attraverso la formula della "tutela dei livelli essenziali", ecco spuntare fuori dal cilindro una forma di controllo sulle leggi regionali affidata agli equilibri politici del momento (controllo parlamentare), e non di legittimità (giudizio affidato alla Corte Costituzionale sulla base della corretta ripartizione di competenze), tale da aprire le porte ad ingerenze e conflitti di ogni tipo.
Certamente, che vi fosse la necessità di dotare il sistema di strumenti correttivi per tutelare quelli che potremmo definire interessi unitari (ad esempio, le eguali condizioni di vita) è fuor di discussione. Ma che ciò possa avvenire al di fuori di un quadro di legittimità chiaro può portare soltanto ad un clima di rapporti esasperati tra Stato e Regioni.
E' quindi d'obbligo chiedersi come mai, sul punto, la maggioranza di centro destra abbia da un lato preferito mantenere un sistema di ripartizione delle competenze legislative che ha già dato ampia prova d'inefficienza (vedi l'incredibile numero di conflitti Stato-Regioni innanzi alla Corte Costituzionale); e dall'altro abbia scelto d'introdurre meccanismi incerti ed arbitrari per eventualmente annullare atti legittimamente emanati sulla base delle competenze attribuite alle Regioni.
Lasciando da parte la dietrologia (ma sembra già di sentire i leghisti ed alcuni Presidenti di Regione invitare alla "resistenza" contro l'arbitrio del Parlamento), sarebbe troppo semplicistico liquidare la questione con i soli problemi all'interno della maggioranza di centro destra.
Piuttosto, è proprio da questa sorta di ostinazione a non rivedere il Nuovo Titolo V dell'Ulivo che giungono le conferme riguardo alle reali intenzioni dei tanti federalisti nati come funghi in questi ultimi anni.
Al di là delle espressioni forti (i cittadini più vicini alla cosa pubblica), federalismo potrebbe voler dire anche e soprattutto disgregazione degli interessi unitari dei cittadini. E non a caso, il federalismo realizzato in Italia non prevede, e da queste pagine non ci si stancherà mai di ripeterlo, le eguali condizioni di vita, bensì, la sola tutela dei livelli essenziali (Art. 120, comma 2).
  
Art. 120, comma 2  
      Lo Stato può sostituirsi alle Regioni, alle Città metropolitane, alle Province e ai Comuni nell'esercizio delle funzioni loro attribuite dagli articoli 117 e 118 nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali e nel rispetto dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.
 
Obiettivo della "Repubblica federale italiana", quindi, non è il raggiungimento di uguali livelli di prestazioni, bensì quello di fissare per legge le differenze, dividendo i cittadini in cittadini di serie A e di serie inferiori.
Fissato ad esempio a 10 i livelli essenziali delle prestazioni, che ci si trovi a 11 o a 100 non farebbe differenza: lo Stato non avrebbe obblighi.
Per altro, l'introduzione del riferimento a "livelli essenziali di prestazione" va necessariamente combinato con le ampie competenze affidate alle Regioni e, soprattutto, con il principio del federalismo fiscale all'art. 119.
 
Art. 119     
   I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.     
   I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.     
   Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.     
   La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.     
    Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni,  alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le  funzioni pubbliche loro attribuite.     
   Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.     
   ...
 
In punta di diritto, quindi, una volta garantiti i "livelli essenziali", le Regioni più ricche non avrebbero più alcun "dovere" di solidarietà d'adempiere e potrebbero lecitamente adoperarsi per ostacolare interventi di riduzione delle proprie entrate fiscali a vantaggio di altre Regioni, riducendo così di fatto le possibilità di sviluppo delle Regioni più povere.
 
Tenuto quindi fermo questo quadro ispiratore, che può ben essere definito di "federalismo competitivo", appare decisamente curiosa la pretesa di "richiamare all'ordine" le Regioni attraverso il vago richiamo al pregiudizio dell'interesse nazionale.
Di quale pregiudizio potrebbe infatti parlarsi se è la Costituzione a fissare le competenze e a dire cosa le Regioni possono e non possono fare?
Ed entro quali confini verrà esercitato il "pregiudizio dell'interesse nazionale"?
Senza troppe incertezze, è bene dirlo, siamo di fronte ad un vero e proprio pasticcio giuridico per il quale, però, visto il quadro politico, non è oggi possibile trovare soluzione.
Un quadro politico di maggioranza ed opposizione che, purtroppo, non muta con il colore dei governi e che, a partire dalla svolta maggioritaria, ha subito un'accelerazione tutta tesa a semplificare, a livello istituzionale, le tensioni ed i conflitti tra i diversi interessi all'interno della società italiana.
Dalla ricerca di un bipolarismo esasperato per escludere dalla rappresentanza parlamentare significativi settori sociali; alla ricerca di strumenti in grado di minare l'unità del corpo sociale.
Maggioritario ed elezione diretta dell'esecutivo, da un lato, per agire sul piano della rappresentanza; esasperazione della questione federale, dall'altro, per intervenire là dove il confronto sociale potrebbe trovare autonomia d'intervento anche e soprattutto al di fuori delle sedi parlamentari.
La contrattazione locale e la parcellizzazione degli interessi, quindi, come meta per non far incontrare, ad un livello più elevato e con più capacità di resistenza, lavoratori e cittadini (ed è già curioso dover operare questo tipo di distinzione che nella realtà mediatica di tutti i giorni già viviamo, lavoratori e cittadini, come se la maggioranza delle persone potesse vivere da cittadino o da consumatore senza prima essere un lavoratore).
Un intervento di riforma delle istituzioni di ampissimo respiro, con il chiaro obiettivo di condizionare tutti i luoghi della mediazione, e questo al fine di costringere il dibattito e le scelte politiche entro lo spazio meccanicistico "delle economie" di mercato.
 


 
Il Senato Federale

Come per il progetto votato dal Senato nel marzo 2004, ancora una volta ci troviamo di fronte ad un bicameralismo di difficile comprensione e, soprattutto, portatore di pericolose tensioni politiche ed inefficienze.
Uno degli aspetti più "originali" del nuovo testo definitivamente approvato, infatti, è quello di aver previsto una sorta di bicameralismo che in linea di principio assegna al Senato federale, non legato alle sorti del Governo da alcun tipo di rapporto fiduciario, competenze riguardanti materie attinenti la sfera tipica dell'azione di governo; d'altro canto, però, in virtù di un aggrovigliato combinato di disposizioni, le competenze del Senato Federale possono essere limitate a seconda degli umori del Presidente della Repubblica e/o dei Presidenti delle Camere.
  

Art. 70  
    La Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma,fatto salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo.     
Dopo l’approvazione da parte della Camera, a tali disegni di legge il Senato federale della Repubblica, entro trenta giorni, può proporre modifiche, sulle quali la Camera dei deputati decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge.   
    
   Il Senato Federale della Repubblica esamina i disegni di legge concernenti la determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, fatto salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo. Dopo l’approvazione da parte del Senato, a tali disegni di legge la Camera dei deputati, entro trenta giorni, può proporre modifiche, sulle quali il Senato decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge.   
    
    La funzione legislativa dello Stato è esercitata collettivamente dalle due Camere per l’esame dei disegni di legge concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), e 119, l’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 120, secondo comma, il sistema di elezione della Camera dei deputati e per il Senato federale della Repubblica, nonché nei casi in cui la Costituzione rinvia espressamente alla legge dello Stato o alla legge della Repubblica, di cui agli articoli 117, commi quinto e nono, 118, commi secondo e quinto, 122, primo comma, 125, 132, secondo comma, e 133, secondo comma.   
    
    Se un disegno di legge non è approvato dalle due Camere nel medesimo testo i Presidenti delle due Camere possono convocare, d’intesa tra di loro, una Commissione, composta da trenta deputati e da trenta senatori, secondo il criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere, incaricata di proporre un testo unificato da sottoporre al voto finale delle due Assemblee. I Presidenti delle Camere stabiliscono i termini per l’elaborazione del testo e per le votazioni delle due Assemblee.   
    
    Qualora il Governo ritenga che proprie modifiche a un disegno di legge, sottoposto all’esame del Senato ai sensi del secondo comma, siano essenziali per l’attuazione del suo programma approvato dalla Camera ovvero per la tutela delle finalità di cui all’articolo 120, secondo comma, il Presidente della Repubblica, verificati i presupposti costituzionali, può autorizzare il Primo ministro ad esporne le motivazioni al Senato federale, che decide entro trenta giorni. Se tali modifiche non sono accolte dal Senato, il disegno di legge è trasmesso alla Camera dei deputati che decide in via definitiva a maggioranza assoluta dei suoi componenti sulle modifiche proposte.   
    
   L’autorizzazione da parte del Presidente della Repubblica di cui al precedente comma può avere ad oggetto esclusivamente le modifiche proposte dal Governo ed approvate dalla Camera dei deputati. I Presidenti del Senato federale della Repubblica e della Camera dei deputati, d'intesa tra di loro, decidono le eventuali questioni di competenza tra le due Camere, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti, in ordine all'esercizio della funzione legislativa. I Presidenti possono deferire la decisione ad un comitato paritetico, composto da quattro deputati e da quattro senatori, designati dai rispettivi Presidenti. La decisione dei Presidenti o del comitato non è sindacabile in alcuna sede. I Presidenti delle Camere, d’intesa tra di loro, su proposta del comitato, stabiliscono sulla base di norme previste dai rispettivi regolamenti i criteri generali secondo i quali un disegno di legge non può contenere disposizioni relative a materie per cui si dovrebbero applicare procedimenti diversi.
 
Cercando quindi di riassumere il tutto con un esempio concreto, con il "bicameralismo asimmetrico" realizzato gli elettori votano per il Governo del Paese, Camera dei Deputati e indicazione del Primo Ministro, ben sapendo, però, che a seconda degli umori del Presidente della Repubblica potrebbero avere o non avere voce in capitolo riguardo la determinazione di alcuni interessi nazionali, quali la determinazione dei princìpi fondamentali nell'ambito della legislazione concorrente, in quanto prioritariamente affidati al Senato Federale.
Ma non solo, anche in ordine alla corretta attribuzione delle competenze, affidata ai Presidenti delle Camere, è facile prevedere le stesse invasioni di campo che, su un altro piano, hanno visto il moltiplicarsi del numero dei conflitti tra Stato e Regioni.
Un meccanismo, quindi, che più assurdo non potrebbe: da un lato, in linea di principio, si attribuiscono competenze tipiche dell'azione di governo ad una Camera che non vota la fiducia e che non subisce le conseguenze delle eventuali crisi di Governo; dall'altro, un sistema teso a correggere l'evidente contraddizione che ad una Camera che non ha rapporto fiduciario con il Governo non possono essere attribuite competenze tipiche dell'azione di governo. Un meccanismo farraginoso, in grado solo di produrre inutili conflitti e inefficienze, con il solo scopo di riportare  le competenze là dove dovrebbero essere per loro natura.





 
Indice "leggi del Diritto Pubblico e Costituzionale"
 
Speciale REFERENDUM CONFERMATIVO 25-26 giugno 2006