Riforme Istituzionali
 
 
Dichiarazioni di voto Ddl di revisione Costituzionale: voto in prima lettura della Camera dei Deputati - 15 ottobre 2004 
  
Fonte: Camera
A.C. 4862 ed abbinate
 
Pisicchio   -    La Malfa   -    Collè    -    Poggiolini    -   Craxi  -  Rodeghiero   -   Sterpa    -   Tabacci
 
Perrotta    -    Cossa   -   Zeller   -   Moroni   -   Boato    -   Cusumano  -  Pappaterra   -   Cossutta
 
Mascia    -       -    Volontè    -    De Mita    -   Carrara   -   Violante   -   Saponara    -   Ministro Calderoli
 
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.

 
PINO PISICCHIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, rappresentanti del Governo, a voler giudicare secondo ermeneutiche esclusivamente giuridiche il processo che si è consumato in quest'aula, nelle ultime settimane, intorno alla Costituzione si dovrebbe aprire ben altro è più profondo dibattito, in grado di penetrare l'essenza del potere costituente.
Ciò che è avvenuto, infatti, somiglia assai da vicino ad una revisione totale dell'impianto ordinamentale al ribaltamento di quella che costituzionalisti come Mortati, Barile, De Siervo e De Vergottini identificano come la «supercostituzione», intesa come l'organizzazione statuale affermatasi nel tempo e riconosciuta come immodificabile in una Costituzione rigida come la nostra, tranne che non si torni alla fonte del potere costituente, che nei regimi democratici è esercitato dal popolo sovrano attraverso speciali assemblee rappresentative: le assemblee costituenti.
Ho umanamente apprezzato il fervore riformista che ha animato i colleghi della maggioranza, ed anche la partecipazione dei colleghi di minoranza, in queste lunghe sedute. Perdonatemi, però, illustri colleghi, se non sono riuscito a provare il vostro stesso sentimento. Io non ho presentato un solo emendamento all'articolato proposto: non per un gesto irrispettoso nei confronti di un'Assemblea ai cui lavori ha preso parte interamente, ma perché ho ritenuto e ritengo che una riforma così radicale della regola costituzionale non possa essere fatta con la logica della contrapposizione insita nel sistema maggioritario.
Mi domando come possa un Parlamento eletto per esprimere il Governo, a parziale detrimento della rappresentanza, far passare - a colpi di maggioranza governativa - modifiche relative alla filosofia stessa su cui si basa l'ordinamento costituzionale, tradendo così lo spirito dell'articolo 138. I costituenti, infatti, previdero sì la possibilità di una modifica della Carta attraverso quell'articolo, ma immaginando riforme circoscritte, non stravolgimenti di sistema, e, soprattutto, pensando ad un Parlamento espressione di uno spirito proporzionalistico, capace, cioè, di rappresentare davvero le culture politiche di tutto il paese.
Quello che, invece, si sta facendo oggi è un aggiustamento ad uso di una maggioranza di Governo - così come fu anche, non ho trascurato di segnalarlo, la riforma del Titolo V votata dalla maggioranza di allora sul finire della passata legislatura -, non già la legge in cui possono riconoscersi tutti gli italiani!
La Costituzione è fatta per durare nel tempo: la Costituzione federale americana è del 1789; il Parliament Act inglese è del 1949; la Costituzione francese della Quinta Repubblica è del 1958; quella tedesca è del 1949; la nostra Costituzione del 1948, invece, rischia di cambiare ad ogni nuova legislatura, ad ogni cambio di maggioranza!
È vero: una parte di essa, quella relativa all'ordinamento dello Stato, non certo quella relativa ai principi, deve essere riformata; ma non sarà certamente un Parlamento «maggioritarista» e diviso a farlo: solo un'Assemblea costituente eletta con il sistema proporzionale e, dunque, pienamente rappresentativa degli italiani potrà portare a termine il processo riformatore, che non potrà dirsi certamente compiuto con l'esibizione delle muscolarità delle maggioranze.
Nel ribadire, pertanto, il mio voto contrario all'impianto proposto, anche per le ragioni metodologiche richiamate oltre che per cospicue ragioni di merito, dichiaro che, da oggi, mi sentirò impegnato, insieme ad altri colleghi, a lavorare nel paese per creare movimenti a difesa della Carta costituzionale del 1948.
Il grande misfatto che, insieme ad altri, si è consumato in questi mesi in quest'aula è l'aver celato al popolo sovrano l'entità della posta in gioco, realizzando uno stravolgimento della Costituzione come fosse un banale rito da vivere solo all'interno di un ceto politico rassegnato, e forse anche inopinato detentore di un potere costituente che non gli spetta (Applausi dei deputati del gruppo Misto-socialisti democratici italiani).
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
 
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, è ovvio che quella di oggi è una delle sedute più importanti di questa legislatura, a conclusione di un complesso lavoro che ha visto una discussione molto elevata nei toni. È quindi giusto che ci sia una riflessione molto profonda su quello che abbiamo fatto e sulle sue implicazioni.
Devo dire che la mia parte politica, che ha sempre partecipato alla vita repubblicana dal dopoguerra, ha sempre guardato con grande preoccupazione e diffidenza al grande sforzo di riforma della Costituzione di cui si parla ormai da vent'anni.
Il problema italiano, lo abbiamo sempre pensato e io lo penso tuttora, non era e non è un problema costituzionale, ma è un problema politico. I difetti, le debolezze della vita istituzionale del nostro paese hanno riflesso la sua storia nel corso del secolo XX. In fondo, la grande riforma costituzionale italiana è avvenuta con il congresso della Bolognina e con il congresso di Fiuggi, onorevoli colleghi, quando cioè è intervenuta la possibilità di immettere nel gioco democratico forze politiche che non erano precedentemente includibili nello stesso, in ragione delle loro ideologie o delle loro posizioni politiche, mantenute per larga parte del secolo XX.
Questa considerazione, onorevoli colleghi, è tanto vera che, all'indomani di quegli eventi, del 1994 l'uno, del 1989-1990 l'altro, la vita politica italiana ha preso il corso del bipolarismo, dell'alternanza, di tutto quello che si riteneva, e tuttora si ritiene, di dover determinare attraverso la riforma costituzionale. Non è affatto così. Anche se volessimo condividere l'affermazione che era necessario per il paese il cambiamento costituzionale, debbo dire che, dal punto di vista, per esempio, delle sue condizioni economiche e sociali, è stato maggiore il progresso che ha compiuto l'Italia sotto il vecchio sistema costituzionale di quello che sta compiendo sotto il nuovo assetto politico istituzionale che si è venuto a determinare negli ultimi dieci anni.
L'Italia ha scalato posizioni nella graduatoria dei grandi paesi industriali sotto quel sistema di instabilità che si vuole eliminare e le sta perdendo sotto il sistema bipolare che si è voluto testardamente, distruggendo le forze politiche, distruggendo i partiti politici e indebolendo il Parlamento.
Questa è la mia convinzione, per cui guardo con malinconia all'idea che si modifichino 40 articoli della Costituzione del nostro paese alla ricerca di cose che il buonsenso politico, la saggezza politica hanno già determinato in anni lontani e potrebbero determinare domani mattina, se solo ne fossimo capaci.
Ai colleghi del centrosinistra devo dire, senza alcuna polemica, che essi portano la responsabilità principale di questo stato di cose, che nel complesso non posso giudicare positivamente. Penso a quel voto alla fine della scorsa legislatura, onorevoli colleghi, onorevole Violante,  onorevole Fassino, sotto le elezioni, con una maggioranza ristretta. All'epoca io facevo parte del centrosinistra. L'onorevole Violante ricevette una lettera, così come l'onorevole Veltroni, e vi furono colloqui nei quali io li scongiurai di non creare un precedente di questo genere. Mi fu risposto che, quando una maggioranza ha i numeri, l'articolo 138 rappresenta sufficiente motivo per votare.
Quindi, in politica non bisogna creare precedenti, perché smontare un precedente è molto più difficile che rinunziare ad un precedente. Ma questo non giustificherebbe, onorevoli colleghi, e non giustifica una riforma costituzionale che nel complesso non è soddisfacente. Dico ai colleghi che io ho votato con piena convinzione la riforma del Titolo V della Costituzione, che secondo il mio avviso è migliorativa. Non sono sicuro che una struttura regionalistica nel nostro paese farà funzionare meglio l'Italia, ma sono convinto che si possa esplorare questo terreno; e sono convinto che ci sia stata una elaborazione sufficiente, tra quella del centrosinistra e quella dell'attuale maggioranza, per tentare un aggiustamento costituzionale. Ma non sono convinto, onorevoli colleghi (mi rivolgo ai miei colleghi della maggioranza), che l'elaborazione  sia stata sufficiente sui poteri del Senato e su quelli della Camera, sul nuovo processo legislativo; non sono affatto convinto che stiamo scrivendo una buona riforma per quanto riguarda il premier! La riforma che noi abbiamo scritto sul premier - che voi avete scritto sul premier - è una riforma che, più che al futuro, guarda al passato, guarda alle vicende del 1994, alle decisioni del Presidente Scalfaro; non si può scrivere una Costituzione pensando ad ipotesi che probabilmente non sono più realistiche.
In questa legislatura non c'è stato un ribaltone, non ci potrebbe essere, ci sono fenomeni politici. Ancora una volta non si può pensare di obbligare il mondo politico dentro il «corsetto istituzionale»; l'evoluzione politica è molto più importante delle leggi costituzionali. E l'evoluzione politica ha reso impossibile e renderebbe impossibile il ribaltamento delle coalizioni; la stabilità del Governo Berlusconi è quinquennale e, probabilmente, nella prossima legislatura ci sarà un Governo stabile.
Trovo molto pericoloso scrivere norme sul premierato che indeboliscono troppo il Parlamento. È indispensabile: noi non possiamo sacrificare alla cosiddetta governabilità la molteplicità di voci, che, in una società democratica, esprime e deve continuare ad esprimere il Parlamento. Noi non possiamo rischiare di sacrificare il valore della partecipazione dei cittadini, che si esprime attraverso l'elezione di 600 deputati, attraverso un sistema nel quale ci sia la voce del capo dell'opposizione e la voce del capo della maggioranza. Ma negli Stati Uniti c'è la voce del capo della maggioranza, del capo dell'opposizione! Ma nel Senato il Presidente degli Stati Uniti conta come una voce, per così dire, e il Senato ha la libertà di bocciare le leggi proposte dal Governo, ha la libertà di fare le leggi che esso ritiene, e il Presidente degli Stati Uniti, al massimo, può ricorrere al diritto di veto. O si sceglie una dialettica con l'uomo scelto per guidare l'esecutivo dal popolo o si sceglie un Governo espresso dal Parlamento, con il Parlamento che mantiene il potere sostanziale di costituzione e di formazione dei governi. Una forma come quella che è  delineata nella Costituzione, che io spero possa essere modificata dal Senato, che fa coincidere la maggioranza parlamentare con il potere del Primo ministro, scelto dai cittadini, è una forma che non potrà funzionare, perché mortificherà la vita democratica del nostro paese.
Queste sono le ragioni, onorevoli colleghi, per le quali, al termine di questo dibattito, bilanciando le ragioni di favore verso alcune parti della riforma con le preoccupazioni molto profonde che sento per le altre parti della riforma, non potrò andare oltre un voto di astensione su questo provvedimento. E mi rendo conto che, avendo noi repubblicani scelto una alleanza con la Casa cosiddetta delle libertà, con l'attuale maggioranza, il fatto che su una legge costituzionale, che è uno dei fondamenti di un accordo politico, noi prendiamo le distanze debba dire qualche cosa al capo della coalizione, al Presidente del Consiglio e ai colleghi della maggioranza. È una rottura di cui io non sottovaluto l'importanza ed è la ragione per la quale la manifestiamo in un voto di astensione.
Ma certamente avremmo preferito concentrare il nostro impegno e la nostra attività sul funzionamento politico del paese. Noi non crediamo - fatemelo dire alla fine di questo intervento - che le leggi possano sostituire la volontà politica, la capacità politica, la passione politica e gli ideali politici. Questi ideali vi sono stati nell'Italia repubblicana del dopoguerra che, nonostante i difetti di  quell'impianto costituzionale, è diventata un  grande paese.
Non sarà una riforma costituzionale ad assicurare il successo di ciò che gli uomini politici, nella loro capacità, nella loro passione e nei loro ideali non saprebbero fare da soli. È questa la ragione per la quale il nostro è più un invito alla passione politica che alla riforma istituzionale (Applausi di deputati dei gruppi  Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e  Misto-socialisti democratici italiani).
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Collè. Ne ha facoltà.
 
IVO COLLÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi la necessità di plasmare e modellare la Costituzione italiana in senso federalista è diventata indispensabile per l'evoluzione ed il futuro del nostro paese; una prerogativa sostenuta da tutti, almeno nelle intenzioni.
Se si ritrova, infatti, una collegialità ed una condivisione sui principi generali che dovrebbero determinare il nuovo Stato federale, ben diversa è la situazione per quanto concerne l'applicabilità concreta di questi concetti e le strade che sin qui si sono percorse e che si dovranno percorrere.
Più volte abbiamo evidenziato la necessità di assumere, quale modello di riferimento per una vera riforma in senso federale, proprio le regioni e le province autonome a statuto speciale. Ciò, senza sminuire l'interesse nazionale, ma consolidando quel principio cardine dal quale il vero federalismo non può prescindere: il principio di sussidiarietà.
Le indicazioni e le precise richieste da noi avanzate come gruppo delle minoranze linguistiche al fine di rafforzare questi principi, nel rispetto delle autonomie speciali già esistente, trovano oggi parziale soddisfazione.
Da un lato, prendiamo atto della disponibilità dimostrata dal ministro  Calderoli e da tutto il Parlamento - e di questo li ringraziamo - per il raggiungimento di un risultato per noi importante e da tempo auspicato: l'approvazione dell'intesa fra Stato, regioni a statuto speciale e province autonome. Il provvedimento è stato votato quasi all'unanimità e rappresenta, indubbiamente, un segnale forte ed un'assunzione di responsabilità comune nel rispetto delle autonomia locali. Un segnale positivo che si è ripetuto successivamente con la reintroduzione della clausola di salvaguardia inserita all'articolo 43-bis, fortemente voluta dai presidenti delle regioni, dei consigli e delle province autonome che, collegati con i propri parlamentari, l'hanno sostenuta sino alla sua definitiva approvazione. L'articolo 117, così riscritto, se da una parte non porterà ad un federalismo paragonabile a quello di Stati federali quali la Germania o la Svizzera, dall'altra impedirà l'applicazione di norme peggiorative mantenendo così invariate le competenze autonomistiche sino all'adeguamento degli statuti, previa intesa con le regioni e province autonome.
Dall'altro lato, dobbiamo, purtroppo, constatare come il percorso in senso federale di questa riforma sia venuto meno in diverse occasioni. Il nuovo Senato federale, non attribuendo una rappresentanza vera alle autonomie, poco si discosta dal modello attuale, pur promettendo una rappresentanza allargata e diversificata. A questo va aggiunto il discorso dello scioglimento anticipato e la relativa  contestualità per la sua istituzione, che ci trova contrari. Inoltre, sono state eliminate numerose competenze attribuite alle regioni sotto il falso pretesto del mantenimento della salvaguardia dell'interesse nazionale.
Nel merito, se il testo approvato dal Senato poteva essere condivisibile, ora si sono creati, chiaramente, i presupposti per un centralismo rigido e poco conciliante con una riforma costituzionale che voglia valorizzare il ruolo delle regioni in senso federale. A tal riguardo, pur considerando come proprio la clausola di salvaguardia, introdotta all'articolo 43-bis, escluda da queste modifiche regioni e province a statuto speciale, riteniamo sia importante sottolineare come la tendenza a  ricentralizzare materie oggi di competenza concorrente delle regioni stesse - ad esempio, tutela della salute, sicurezza sul lavoro e trasporto su larga scala -, rendendole materie esclusive dello Stato, non incrementerà le competenze regionali assegnate, pur tenendo conto della cosiddetta devolution in atto.
Auspichiamo, dunque, che si riprenda il dibattito ed il confronto su questi aspetti, per permettere di giungere ad una soluzione condivisa.
A conclusione del mio intervento, desidero ringraziare per l'ottimo lavoro svolto, l'amico e collega onorevole Zeller, degno portavoce delle nostre istanze, nonché i colleghi, di maggioranza ed opposizione, che hanno sostenuto le nostre richieste e dichiaro, signor Presidente, il mio voto di astensione.
 
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PRESIDENTE. Avverto che è in distribuzione la proposta di correzioni di forma formulate dal Comitato dei nove.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mazzuca Poggiolini. Ne ha facoltà.
 
CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Signor Presidente, a nome dei repubblicani europei, con determinazione e dolore, esprimo voto contrario su questo provvedimento, che induce in tutti i democratici italiani autentica preoccupazione. I repubblicani europei non possono, dunque, che stigmatizzare anch'essi, così come i colleghi di opposizione ed un'isolata ma autorevole voce nella maggioranza, la pervicace volontà di modificare l'equilibrio tra i poteri dello Stato, la composizione ed i poteri del Parlamento, la formazione delle leggi, oltre che inserire elementi di separazione tra le regioni, che saranno motivo di devastante conflittualità.
Con la velleitaria volontà di ridisegnare per intero lo Stato, è stata messa in discussione la Repubblica, che, come ho ascoltato più volte ricordare in quest'aula, non è solo la denominazione di una forma di Stato: al contrario, essa è la sostanza della nostra democrazia, fondata sulla divisione dei poteri - che avete abolito -, sul potere di rappresentanza parlamentare - che avete azzoppato -, sull'equilibrio tra i vari poteri, che è l'unica garanzia del permanere del sistema democratico. Tale equilibrio voi lo avete distrutto, a favore di una forma di presidenzialismo arretrato e pericoloso.
Quanto alla cosiddetta devolution, alibi per tale sciagurato disegno, ne è venuto fuori un  federal-centralismo o un central-federalismo, con cui si tenta di dare una sovranità impossibile alle regioni ed ai loro popoli.
Se questo vuole la Lega Nord - e questo vuole - occorre che tutti coloro che hanno a cuore l'identità repubblicana della nazione italiana affermino con chiarezza che questo è un progetto inaccettabile. La sovranità appartiene al popolo,  come era stato definito nella tradizione politica popolare italiana, a partire dalla Costituzione della Repubblica romana del 1849: un popolo, un patto, una nazione.
Quando fu il momento, nel 1861 e nel 1870, non prevalse né l'idea federalista di Cattaneo, né quella di Mazzini (che avrebbe voluto, da subito, un'Italia repubblicana). Solo nel 1946, a seguito del referendum che trasformò l'Italia in Repubblica, il popolo ha eletto un'Assemblea costituente ed ha scritto una Costituzione per mano di tali eletti. Un popolo sovrano, quindi, che elesse i nostri padri costituenti, consapevoli tutti - siano stati di maggioranza o di opposizione - del compito impegnativo ed esaltante che avrebbero dovuto affrontare, e che hanno egregiamente risolto.
Voi volete rompere quel patto, con il rafforzamento, anzi con la prevaricazione consentita al potere del Governo rispetto al Parlamento, volete dare al popolo una semisovranità, quella per cui ognuno è padrone, a casa propria, di farsi la scuola che vuole e la sanità che vuole, e volete affidare il Governo ad un vero e proprio padrone.
Voi non siete qui ad unirci con un patto federalista; siete, invece, venuti a dividerci in un conflitto federalista, perché il federalismo, cari colleghi, rappresenta - ed ha sempre rappresentato - lo strumento, in sede costituente,  di aggregazione di popoli sovrani, che non rinunciano completamente, ognuno di loro, alla propria sovranità. Non si è mai visto che uno Stato unitario si trasformi in uno Stato federale, né che un sistema parlamentare si trasformi in presidenziale per effetto di una  revisione costituzionale compiuta da un Parlamento eletto - aspetto assurdo - con il sistema maggioritario!
Mi chiedo, insieme al collega Gerardo Bianco, che lo ha detto in modo sintetico ed estremamente efficace: è stato legittimo tutto ciò? È legittimo che una maggioranza, forte di più di cento voti di differenza, stravolga la Costituzione in vigore? Allora, chiedo a tutti i colleghi della maggioranza - poiché vi sono ancora dei passaggi da fare - una lunga pausa di riflessione sulla volontà di qualcuno in  quest'aula di portare a casa una revisione costituzionale che è una vera e propria rivoluzione costituzionale, ossia un concetto che nella scienza politica è pura contraddizione. Tra l'altro, state mettendo in atto una riforma della seconda parte della Costituzione che è in netto contrasto con la prima parte: è un assurdo sul quale le generazioni future studieranno e, probabilmente, rideranno con qualche scherno.
Volete cambiare la Costituzione e il sistema, da parlamentare in presidenziale spinto, e volete dividere l'Italia, frammentando la stessa sovranità popolare tra più popoli, ognuno a casa sua. Se questo è il vostro intento, allora, come minimo, occorre convocare comizi elettorali per eleggere un'Assemblea costituente. Non è vietato tutto ciò, ma occorre farlo nella misura e con le persone giuste, con le procedure giuste, perché, fino a prova contraria, il popolo italiano è ancora uno ed è sovrano e noi, in questa sede, lo rappresentiamo tutto e non per settori. Esso non potrà mai accettare limitazioni territoriali di sovranità che non abbia direttamente, rappresentativamente, proporzionalmente e non maggioritariamente votato ed approvato per mezzo di ogni sua componente politica, culturale e sociale. Allo stesso modo, non potrà mai accettare un sistema presidenziale che ha in sé tutte le possibilità di trasformarsi in dispotico ed autoritario.
Chi è coerente con questa impostazione non può, quindi, che rifiutare in toto questo provvedimento, richiamando tutti ad una più attenta riflessione sul costituzionalismo democratico e sui suoi presupposti, dei quali tutti i repubblicani in questo Parlamento si sono impegnati a risollevare le sorti.
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole  Craxi. Ne ha facoltà.
 
BOBO CRAXI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le perplessità che  avevo manifestato all'avvio di questo dibattito, nella seduta del 3 agosto, si mutano oggi in un giudizio negativo. Allora, intervenendo, avevo ricordato che una riforma costituzionale deve essere frutto di un consenso ampio e condiviso e non il parto frettoloso fatto a colpi  di ultimatum politici. Purtroppo, tutte le mie speranze sono svanite giorno dopo giorno: il testo sottoposto all'approvazione della Camera oggi non è condivisibile ed ancora meno i modi in cui si è giunti a questo voto, e non per responsabilità della sola maggioranza.
In questo dibattito ho visto i quattro o cinque protagonisti della riforma del Titolo V della Costituzione, approvata alla fine della scorsa legislatura con qualche voto di maggioranza, rinfacciarsi l'un l'altro la responsabilità di quell'atto, che è costato allo Stato un numero record di contenziosi con le regioni. Temo che, fra non molto, anche questa riforma non avrà né un padre né una madre.
L'esigenza della revisione di alcune parti della nostra Costituzione era e resta, anche dopo il voto che tra poco sarà espresso in questa sede, un problema da affrontare. Infatti, questa riforma, più che risolvere il problema di una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, deprime il già modesto spirito di unità nazionale. Più che rassicurare la stabilità e l'efficienza dei governi,  per cui io penso dovrebbe essere modificata la legge elettorale, stabilisce l'inamovibilità del Capo dell'esecutivo ed un'eccessiva concentrazione di potere nelle sue mani, indebolisce il contrappeso parlamentare fino a svilire il ruolo del Parlamento. Il giusto decentramento, invocato da diversi anni, del nostro sistema istituzionale non è accompagnato né da una semplificazione delle procedure né da un convincente piano di contenimento della spesa. Vi è una verità lampante di fronte a noi: non si modifica così la Costituzione.
Nel passato, per evitare la via maestra di un'Assemblea costituente figlia di un'elezione popolare, si è fatto ricorso alle Bicamerali, fallite una dopo l'altra. Nella scorsa legislatura e in quella in corso si è voluto provare con l'articolo 138. Si è fallito ieri e si fallirà anche questa volta.
Per la riforma della Costituzione l'unica via maestra è un'Assemblea costituente eletta con sistema proporzionale. Solo così - io penso - si potrà avere una riforma sana e duratura.
Piero Calamandrei, illustrando ai giovani studenti lo spirito della nostra Costituzione, diceva: «Nei suoi articoli c'è tutta la nostra storia, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Dietro questi articoli si sentono voci lontane». Egli citava Mazzini, Cavour, Cattaneo, Garibaldi e  Beccaria.
La Costituzione, entrata in vigore il 1o gennaio del 1948, regge le nostre sorti da più di mezzo secolo, avendoci assicurato
libertà e progresso. Penso che solo per  questo essa meriti più considerazione e più rispetto di quello che abbiamo sin qui dimostrato nel momento in cui ci accingiamo a riformarla.
Per questo motivo, con tutta libertà, certo di interpretare il sentimento e l'opinione della maggioranza dei socialisti in questo paese, non sottovalutando le ragioni che oggi mi dividono dai colleghi della stessa maggioranza, non sosterrò questa riforma costituzionale e mi asterrò nel voto finale (Applausi di deputati dei gruppi Misto-Verdi-L'Ulivo, Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e  Misto-Socialisti democratici italiani).
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Rodeghiero. Ne ha facoltà.
 
FLAVIO RODEGHIERO. Nel dibattito di questi giorni ho potuto verificare che per 240 volte si è parlato di Europa e per 521 volte di Nazione. Ciò ci dice, nel momento in cui affrontiamo un dibattito così rilevante per il futuro del nostro paese (il dibattito sulla Carta costituzionale), la capacità che abbiamo di elevarci in un confronto che superi il respiro provinciale. Nell'analisi di quello che viviamo del nostro paese, non consci pienamente della portata globale che riveste anche una Carta costituzionale nei meccanismi di funzionamento non solo del contesto nazionale, ma anche nei rapporti internazionali.
Ho voluto fare questo riferimento perché credo che vada svolta una considerazione tra il cammino che si sta facendo in Europa, in previsione dell'adozione di una Carta costituzionale europea, e quanto stiamo facendo qui in questo momento. Abbiamo adottato il termine federalismo, finalmente, nella Carta costituzionale, oltre a prevederne l'applicazione dei principi. Proudhon ha detto: «Il XX secolo sarà il secolo del federalismo, oppure l'umanità dovrà attraversare mille anni di purgatorio». In verità, il XX secolo è stato quello dei totalitarismi, epigono tragico della centenaria storia degli Stati nazionali, eminentemente europei, che entrano in crisi proprio nel momento in cui i mercati si fanno globali ed altri Stati e Nazioni si affacciano, sul finire del XIX secolo, sulla scena mondiale.

PRESIDENTE. Onorevole Rodeghiero...

FLAVIO RODEGHIERO. Due parole ancora...
È così che l'Europa si riscopre federalista sul finire del secondo dopoguerra, proprio quando diventa terreno di scontro e di divisione tra USA e URSS, e lo fa per recuperare ruoli e funzioni in un cammino lento, ma inesorabile, fino al prossimo appuntamento con la Costituzione.
L'Europa degli Stati si ricostruisce sulla rovina degli Stati, i quali, desovranizzati dall'economia, devolvono ad organi comuni parte delle loro competenze, anche politiche.
In questa realtà di globalizzazione quello che entra più in crisi è l'identità e l'Europa diventa luogo per dare spazio alla politica senza costruire identità fittizie: la riscoperta delle  identità, della storia dei popoli, della storia delle nazioni, che non coincidono con quella degli Stati, camminano insieme.  Ecco il cammino che stiamo facendo con questa riforma. Si tratta di un cammino già tracciato dalla riforma del Titolo V e che qui parzialmente completiamo. Manca ancora il federalismo fiscale.
I padri costituenti hanno previsto la maggioranza assoluta e non quella qualificata per attenuare la rigidità della nostra Costituzione, ben sapendo che sarebbe stato oltremodo difficile rivedere un'identità di valori e  di intenti quale quella uscita dal secondo conflitto. Sarà la Corte costituzionale...
 
PRESIDENTE. Colleghi, vi invito al rispetto dei tempi che non è un optional. Onorevole Rodeghiero, lei ha già parlato tre minuti e 46 secondi.
 
FLAVIO RODEGHIERO. Signor Presidente, pensavo di avere a disposizione più tempo. Concludo, dicendo che caposaldo dell'Unione europea è il principio di sussidiarietà la cui formulazione è storicamente ascrivibile alla dottrina sociale della Chiesa. In base a tale principio, dal punto di vista politico, spetta alle amministrazioni più vicine ai cittadini adoperarsi per rendere più effettivo il loro servizio. Lo stiamo applicando in Europa, vogliamo applicarlo anche in Italia: porre al centro la persona, al cui servizio stanno le istituzioni.
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Sterpa, al quale chiedo di rispettare il tempo a sua disposizione. Ne ha facoltà.
 
EGIDIO STERPA. Signor Presidente, sarò brevissimo perché mi richiamo all'intervento che ho svolto il 15 ottobre scorso in cui ho argomentato a fondo i motivi per cui dico «no» a questa riforma. In estrema sintesi, il mio «no» nasce dalle convinzioni liberali, da un'analisi attenta della storia nazionale e dal timore che questa riforma possa determinare una rottura esiziale nel nostro paese.
Il mio «no» non è un fatto viscerale, ma è razionale e convinto e vuole essere un atto di lealtà verso la coalizione di cui mi onoro di far parte con convinzione. È anche un atto che vuole dimostrare come in tale coalizione si possa essere uomini liberi come io mi ritengo (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia).
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
 
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, inizialmente avevo immaginato che questo dibattito consentisse di inquadrare la devoluzione nella revisione del Titolo V correggendo la riforma voluta erroneamente dal centrosinistra nella passata legislatura e di trasferire in sede di Assemblea costituente la revisione delle altre parti. Infatti, Governo, rapporti tra Governo e Parlamento e procedimento legislativo non apparivano argomenti del tutto maturi. Inoltre, cambiare le regole insieme avrebbe evitato lo sbocco referendario che fatalmente sarà giocato su qualche slogan semplificatore.
Purtroppo, la cultura che ha guidato il nostro dibattito scaturisce dalla superficialità autoreferenziale che aleggiava attorno alla Commissione bicamerale D'Alema, interprete di un pericoloso clima antiparlamentare che era la condizione nella quale quella Commissione ha sostanzialmente operato. Si tratta di una cultura che si è diffusa ed oggi viene coperta da uno scontro parlamentare di facciata, in qualche modo pregiudizievole di ogni approfondimento efficace.
Devo comunque dare atto alla Commissione del tentativo di correggere il testo licenziato dal Senato. Al Senato il lavoro era stato fortemente influenzato da presunti saggi che avevano operato in un clima ferragostano e da una tentazione un po' sindacale di quel ramo del Parlamento.  Quindi, era molto difficile che le cose potessero essere politicamente raddrizzate. Riconosco che uno sforzo importante è stato fatto, ma restano elementi di grave confusione nel rapporto tra premierato, Parlamento ed istituzioni rappresentative da un lato, e procedimento legislativo dall'altro.
 
PRESIDENTE. Onorevole Tabacci...
 
BRUNO TABACCI. Se il cammino parlamentare proseguirà così - e  concludo - vi sarà uno sbocco referendario duro, semplificatore e strumentale. Mi dispiace per i colleghi della Lega, che avevano l'opportunità di completare un percorso di inserimento della devoluzione all'interno di un contesto costituzionale che camminasse.
Mi dispiace anche per i miei colleghi dell'UDC, i quali, avendo il desiderio giusto di fare una battaglia per un modello di tipo proporzionale, si trovano ora in contraddizione politica rispetto ad un testo che avrebbe bisogno di un rafforzamento del sistema maggioritario. Sono aspetti ai quali ho cercato di porre rimedio con la modestia delle mie forze. Tuttavia, non mi resta che testimoniare un dissenso, che resta profondo (Applausi di deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Forza Italia e della Margherita, DL-L'Ulivo).
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole  Perrotta. Ne ha facoltà.
 
ALDO PERROTTA. Signor Presidente, svolgerò un intervento brevissimo, per leggervi esattamente cosa disse Mussi, quando era il capogruppo dei Democratici di sinistra, che fu l'ultimo a parlare sulla riforma del Titolo V. Egli disse: «È evidente che si tratta di un grande passo, ma altri ne dovranno seguire; ci si rimanda a sua volta al tema della riforma del Governo, del meccanismo con cui le Camere danno la fiducia al Governo, della sfiducia costruttiva, dell'istituzione per esempio del premierato; se si va avanti su un'ipotesi di riforma elettorale, per esempio, un'indicazione del premier, che prefigura un cambiamento, e una riforma del Governo è un altro passo che si può compiere». Vi chiedo, allora, perché siete tornati indietro. Questo è il primo aspetto.
Il secondo è il seguente. A proposito di chi è democratico, ci avete  detto che nella discussione di questa riforma non c'è stata democrazia. Vi vorrei ricordare che quando avete fatto la riforma del Titolo V avete concesso complessivamente 35 ore per la discussione sulle linee generali e per il seguito dell'esame del provvedimento! Noi complessivamente abbiamo dato 180 ore! Diteci qual è stata la maggioranza democratica (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)!
 
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PRESIDENTE. Onorevole Perrotta, naturalmente le risponderò quando mi capiterà di stare sui banchi del mio gruppo, perché dal banco della Presidenza non posso permettermi di farlo! Comunque la ringrazio per la citazione!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cossa. Ne ha facoltà.
 
MICHELE COSSA. Siamo oggi arrivati all'epilogo di un dibattito che è stato  di alto livello, adeguato al tema sottoposto all'esame dell'Assemblea. Credo si debba dare atto alle forze della maggioranza di aver fatto un grosso sforzo di miglioramento del testo originario, temperando molti degli eccessi che avrebbero avuto effetti fortemente negativi sugli assetti istituzionali del nostro paese. Mi riferisco soprattutto alle norme che riportano alla competenza dello Stato le grandi infrastrutture strategiche, alla norma che riserva allo Stato la possibilità di esercitare un potere sostitutivo per salvaguardare i livelli essenziali nei servizi sociali e sanitari in tutto il territorio nazionale, così come mi riferisco alle norme che salvaguardano le prerogative delle regioni a statuto speciale.
Eppure non riesco a vincere le perplessità per una riforma che minaccia di attaccare i presupposti di solidarietà nazionale e di rafforzare quegli elementi, per i quali chi è indietro rischia di restarci ancor di più (mi riferisco soprattutto alle regioni economicamente e socialmente più deboli). Le perplessità derivano dall'impressione che si  sia voluto procedere in fretta, troppo in fretta, senza nemmeno sforzarsi di cercare quel minimo di consenso all'interno delle Assemblee parlamentari. Non si è fatto nemmeno lo sforzo di individuare strumenti nuovi e diversi, quale ad esempio un'Assemblea costituente, eletta su base proporzionale, che avrebbe garantito la piena rappresentanza di tutte le forze politiche che si muovono all'interno del paese.
Per questo motivo, signor Presidente, annuncio il mio voto di astensione sul provvedimento.
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà.
 
KARL ZELLER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Südtiroler Volkspartei è un partito di raccolta delle minoranze tedesca e ladina, che governa la provincia di Bolzano, assieme ai partner di lingua italiana, dal 1948. Tale sua particolare natura è, in un certo modo, antitetica ad un sistema bipolare ed il nostro partito si colloca da sempre al centro e non all'interno dei due blocchi...
 
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Zeller, sono costretto ad interromperla per comunicare che la Conferenza dei presidenti di gruppo è convocata immediatamente.
 
MARCO BOATO. Chi deve intervenire, come fa a partecipare?
 
PRESIDENTE. Onorevole Boato, la Presidenza le consentirà di intervenire al termine della Conferenza dei presidenti di gruppo.
Prego, onorevole Zeller, mi scusi per l'interruzione.
 
KARL ZELLER. Dicevo che il nostro partito si colloca da sempre al centro e non all'interno dei due blocchi (Casa delle libertà e centrosinistra). Noi deputati rappresentanti della provincia autonoma di Bolzano nel Parlamento italiano, siamo abituati a guardare la sostanza delle cose, senza preconcetti ideologici e, da sempre, ci battiamo per il federalismo e l'attribuzione di maggiori poteri alle regioni.
La popolazione della nostra terra, ancor prima di far parte dell'impero  austroungarico e fino al 1918, godeva di una particolare forma di autogoverno e ciò spiega anche la nostra particolare sensibilità e tenacia con la quale, sin dal 1948, abbiamo lottato per l'attuazione dell'accordo De Gasperi-Gruber e per ottenere l'autonomia legislativa ed amministrativa seria e degna di questo nome.
Un primo passo venne compiuto nel 1971, in attuazione di accordi italo-austriaci sul cosiddetto pacchetto. Poi nel 2001 venne effettuato un ulteriore passo in direzione federalista, ma, purtroppo, la riforma del 2001 risultava, in un certo modo, monca, non affrontando la trasformazione del Senato in Camera rappresentativa delle regioni, affinché potesse fungere da contrappeso alla Camera politica.
Eravamo, pertanto, favorevoli al completamento del processo riformatore portato avanti dalla Lega Nord, partito al quale va attribuito il grande merito di aver portato la questione del federalismo nell'agenda nazionale. Ma dopo i voti nelle ultime settimane, oramai si è maggiormente chiarito lo scenario e, in seguito, cercheremo di fornire un nostro giudizio obiettivo sul testo in esame.
Il testo contiene aspetti indubbiamente positivi, ma anche parecchie ombre e vorrei partire dalle questioni che ci lasciano non del tutto soddisfatti. Il Senato federale, in verità, ha poco di federale. I senatori non sono espressione dei consigli o delle giunte regionali, ma saranno oggi, come dal 1948, eletti direttamente.
Manca un collegamento vero con il territorio. Basta, infatti, essere residente nella regione per poter essere eletto senatore. Tale lacuna non è stata nemmeno temperata dalla possibilità dei presidenti delle regioni e province autonome di partecipare, con diritto di voto, ai lavori del Senato federale: voto negato nel testo che ci accingiamo a votare.
Si ha l'impressione che la primaria esigenza sia quella di garantire l'elezione diretta di un numero consistente di senatori e non di una rappresentanza vera delle regioni e province autonome. Anche il procedimento legislativo appare assai farraginoso; di difficile applicazione sarà la prescrizione che un disegno di legge non possa contenere disposizioni relative a materie per cui si dovrebbero applicare procedimenti diversi.
Non abbiamo apprezzato le modifiche che hanno concentrato troppi poteri nelle mani del premier.
Riteniamo, invece, positiva la sfiducia costruttiva introdotta da quest'aula, ma un Parlamento ostaggio del premier non potrà mai vederci favorevoli.
Ci siamo fermamente opposti, purtroppo senza successo, alla reintroduzione dell'interesse nazionale quale limite delle competenze legislative delle regioni. Va ricordato che uno dei pregi della riforma del 2001 era, per l'appunto, l'abolizione dell'interesse nazionale e la sostituzione di tale parametro con i criteri della sussidiarietà e dell'adeguatezza.
Nella ormai celebre sentenza n. 303, la stessa Corte costituzionale ha salutato con favore tale nuova impostazione, mettendo in evidenza come l'equazione: «l'interesse nazionale uguale alla competenza statale», in passato avesse sorretto, e cito testualmente la Corte, l'erosione delle funzioni amministrative e delle parallele funzioni legislative delle regioni.
Fatto sta che la Corte è riuscita a risolvere i contenziosi tra Stato e regioni con l'ausilio dei criteri di sussidiarietà e di adeguatezza senza necessità alcuna di ricorrere all'anacronistico criterio dell'interesse nazionale.
Nel nuovo articolo 117, rispetto al testo vigente, si notano alcuni passi indietro. Non ci pare sostenibile la tesi secondo la quale le modifiche apportate siano state effettuate solo per scrivere meglio il testo o solo per chiarire i passaggi ambigui.
È innegabile la tendenza a ricentralizzare una serie di materie, quali la tutela della salute, la sicurezza del lavoro, le grandi reti di trasporto e la localizzazione delle stesse, l'ordinamento delle comunicazioni e delle professioni intellettuali. Tali materie sono trasferite alla competenza esclusiva dello Stato, mentre oggi rientrano nella competenza concorrente. E le competenze regionali per reti di trasporto e navigazioni locali, la comunicazione di interesse regionale e la produzione, trasporto e distribuzione di energia di interesse locale da competenze esclusive vengono declassate in competenze concorrenti.
C'è solo da sperare che tale tendenza possa essere controbilanciata dalla cosiddetta devolution - che ci vede favorevoli -, in forza della quale alle regioni vengono trasferite competenze esclusive in materia di organizzazione e assistenza e, in particolare, nel settore della scuola. Tuttavia, stante la formulazione ambigua del testo, temo che purtroppo non vi sarà un significativo aumento delle competenze regionali rispetto alla situazione normativa vigente. In sintesi, la riscrittura della Costituzione, a nostro avviso, non conduce ad un federalismo paragonabile a quello  di altri Stati federali, quali la Germania e la Svizzera.
Sebbene il nostro giudizio sui punti sopraelencati non sia del tutto positivo, non nascondiamo la nostra soddisfazione per l'introduzione della clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale, già contenuta nel testo approvato dal Senato e, in un primo momento, attenuata dalla Commissione affari costituzionali. Anche grazie all'intervento deciso e compatto dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano e dopo un confronto costruttivo con il ministro Calderoli, è stato possibile ripristinare la clausola di maggior favore, impedendo l'applicazione alle regioni speciali e alle province autonome delle norme peggiorative contenute nel Capo V.
Ciò riguarda in particolar modo gli articoli 120 e 127 novellati, vale a dire il potere sostitutivo e l'annullamento di leggi regionali in nome dell'interesse nazionale, il corpus delle competenze autonomistiche come assegnato dagli statuti, da norme di attuazione e da altre leggi costituzionali.
Quindi l'autonomia vigente al momento dell'entrata in vigore del presente testo di riforma resta cristallizzata e così rimarrà fino all'adeguamento degli statuti; e questo per noi costituisce un successo. Tale adeguamento - e ciò costituisce indubbiamente un grande passo in avanti - in futuro sarà possibile solo previa intesa con le regioni e con le province autonome.
Il novellato articolo 116 della Costituzione costituzionalizza infatti, per la prima volta nella storia della Repubblica, il carattere pattizio delle regioni speciali, che possono negare entro un termine sufficientemente ampio l'assenso all'intesa con una maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti il consiglio. In tal modo è stata completata in senso federalista la procedura introdotta dai colleghi del Senato.
Un altro punto decisamente positivo è il riconoscimento del ruolo delle due province autonome di Trento e Bolzano, alle quali viene riconosciuta la dignità di regioni vere e proprie: i senatori non sono più della regione, ma delle province autonome; i rappresentanti locali nel Senato federale sono eletti dai consigli provinciali e dai rispettivi consigli delle autonomie locali; i delegati per l'elezione del Presidente della Repubblica sono anch'essi nominati dai consigli provinciali e i presidenti delle province partecipano, per la prima volta, all'elezione del Presidente della Repubblica e dei quattro giudici costituzionali nominati dal Senato federale.
Un punto particolarmente delicato riguarda la contestualità tra l'elezione delle assemblee regionali e quella del Senato federale.
Siamo anche in questo caso soddisfatti che in aula sia stato tolto il vincolo della durata della legislatura regionale, o rispettivamente dell'ente provinciale, con quella del Senato federale. Come avevamo chiesto, il Senato si rinnoverà parzialmente, limitatamente alla componente rappresentativa della singola regione o provincia autonoma, in concomitanza con l'elezione dei rispettivi organi elettivi.
Anche per il periodo transitorio, crediamo di aver trovato una soluzione soddisfacente, che garantisce entro certi limiti di evitare lo scioglimento anticipato.
A nome della Südtiroler  Volkspartei, ringrazio i colleghi della maggioranza, ma anche quelli dell'opposizione. Ringrazio in particolare il ministro  Calderoli, il sottosegretario Brancher e anche il relatore presidente Donato Bruno per la sensibilità dimostrata nei confronti della nostra terra. La larga convergenza è dimostrata anche dal fatto che gli emendamenti e gli articoli riguardanti le regioni speciali e le province autonome hanno trovato il consenso pressoché unanime dell'aula.
Per i motivi sopra illustrati, annuncio il voto di astensione da parte della componente della Südtiroler  Volkspartei (Applausi dei deputati del gruppo  Misto-Minoranze linguistiche).
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole  Moroni. Ne ha facoltà.
 
CHIARA MORONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Costituzione repubblicana del 1948 fu il frutto di un confronto e di un dibattito approfondito fra forze politiche e culturali certamente diverse, che seppero  dar vita ad un compromesso alto, che ha portato alla costruzione di un sistema coerente ed efficiente, in grado di garantire al nostro paese sviluppo e ampi spazi di modernizzazione.
È evidente che una modifica sostanziale di quella Carta costituzionale non può non comportare un eccezionale senso di responsabilità del legislatore. Le istituzioni - giova ricordarlo - sono patrimonio di tutti; è evidente che l'approvazione di riforme costituzionali a colpi di maggioranza non fa parte di quella cultura del dialogo che sola può ispirare riforme condivise, efficaci ed efficienti. Purtuttavia, il vulnus introdotto nella scorsa legislatura con l'approvazione della riforma del Titolo V condiziona e condizionerà profondamente l'intero futuro delle  revisioni costituzionali. Alcune prese di posizione dell'opposizione, come il voto contrario sull'articolo 24 che avrebbe attribuito al Presidente della Repubblica l'autonomo potere di concessione della grazia, dimostrano come il pregiudizio contrario abbia impedito qualsiasi discussione nel merito.
Il progetto che ci accingiamo a votare è certamente ambizioso: modifica in modo significativo il nostro assetto costituzionale ed è ispirato da quella volontà modernizzatrice, valore fondante di questa maggioranza. È innegabile ed evidente la necessità di correggere, per un verso, e portare a compimento, per l'altro, la riforma del Titolo V, approvata nella scorsa legislatura. Tale riforma - approvata in fretta e furia sul finire di legislatura, con pochissimi voti di maggioranza e con l'evidente scopo puramente elettorale, quindi non certo animata da quello spirito costituente che avete, cari colleghi della sinistra, tanto richiamato nel corso del dibattito di queste settimane - non ha fatto altro che concretizzare una sostanziale destrutturazione dello Stato unitario, proprio  quell'unitarietà tanto invocata in questo dibattito dal centrosinistra. L'innumerevole quantità di materie concorrenti, identificate in quel testo, ha - come era ovvio - aumentato a dismisura il numero dei conflitti di competenza fra lo Stato e le regioni, oltre a compromettere gravemente il funzionamento e l'organizzazione dello Stato stesso. Questo testo ha il pregio di dare nuova sistemazione, quantomeno, a quelle materie che risultano in modo macroscopico essere necessariamente di competenza dello Stato. Penso alla tutela della salute, alle grandi reti di trasporto e di navigazione, all'energia.
La modifica dell'articolo 117 contemporaneamente affida alla competenza esclusiva delle regioni alcune materie importanti, completando il sistema di devoluzione di competenze. È stata introdotta quella clausola di supremazia, presente in tanti sistemi federali che, insieme all'interesse nazionale, è garanzia di un sistema federale solidaristico ed unitario e che consente allo Stato di legiferare, in ogni caso, per garantire la tutela dell'unità giuridica ed economica nonché del principio di eguaglianza dei cittadini.
La costruzione di un sistema federale, per così dire dall'alto, non è cosa facile e quasi certamente comporterà un percorso di approssimazione successiva, nel quale vanno contemporaneamente consolidati i valori unitari e collaborativi. La volontà di dare avvio a questo percorso ha portato a pensare ad un sistema federale coerente che non si risolve nella devoluzione di competenze alle regioni, ma che necessita di un'architettura organicamente costruita.
Una Camera federale diventa elemento fondamentale. La separazione delle competenze legislative e il superamento del bicameralismo perfetto sono elementi positivi anche dal punto di vista dell'efficienza e dell'efficacia del processo legislativo, anche se  quest'ultimo, a nostro parere, dovrebbe articolarsi, come in tutti gli ordinamenti federali, in due fattispecie: quella a prevalenza della Camera politica e quella bicamerale.
Per quanto riguarda la composizione del Senato federale, non abbiamo condiviso e non condividiamo la presenza, seppure senza diritto di voto, di rappresentanti delle autonomie locali eletti dai consigli delle autonomie fra i sindaci e i presidenti di provincia e città metropolitana.
La nostra contrarietà parte non già da questo testo, ma dalla riforma del 2001, rispetto alla quale, su questo tema, il testo in esame si pone in assoluta continuità. A nostro avviso, le modifiche dovrebbero partire dall'articolo 114 della Costituzione vigente. Tale articolo affida allo Stato il ruolo di elemento costitutivo della Repubblica in modo paritario rispetto agli altri enti territoriali, scindendo pericolosamente lo Stato dalla Repubblica, che rimane termine vuoto laddove perde la sua sostanziale coincidenza con lo Stato. Non esistono ordinamenti federali che siano articolati in più di due livelli. L'attuale articolo 114 segue una logica di disarticolazione dello Stato che non può trovarci concordi. Queste ragioni, oltre che evidenti motivi di funzionalità, giustificano il nostro dissenso per quanto concerne la possibilità degli enti locali di promuovere la questione di legittimità costituzionale di fronte alla Corte.
In ordine alla forma di governo, e quindi al  premierato, che il testo propone come soluzione, siamo stati fra coloro che hanno sostenuto la necessità di corretti pesi e contrappesi, della tutela del principio della separazione dei poteri e della valorizzazione del ruolo centrale del Parlamento. Ad un rafforzamento del Primo ministro e dell'esecutivo, in rapporto dialettico con la propria maggioranza, non può che fare da contraltare un Parlamento forte e un ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica. Indubbiamente nel testo finale sono stati compiuti numerosi passi in avanti sul tema. L'introduzione della possibilità di una mozione di sfiducia costruttiva da parte della maggioranza collegata al premier rappresenta certamente un bilanciamento fondamentale dei poteri del premier rispetto alla sua stessa maggioranza.
Vorrei infine affrontare, seppure marginalmente, un tema che ci è caro, quello della riforma del sistema elettorale. Appare ovvio come la riforma elettorale non sia tema da inserire nella Costituzione, ma certamente deve essere oggetto di riflessione. Una  revisione dell'assetto istituzionale dello Stato e la scelta di una nuova forma di governo non sono e non devono essere separati da una riflessione sui sistemi elettorali. L'Italia ha sperimentato in questi ultimi dieci anni un sistema elettorale inefficiente dal punto di vista della rappresentatività democratica, un maggioritario imperfetto e un bipolarismo, se possibile, ancora più imperfetto e governi eletti da coalizioni disomogenee e conflittuali. Riteniamo che una riforma elettorale di tipo proporzionale, con sistemi che agevolino la formazione di maggioranze e la stabilità dei governi, attribuendo un ruolo centrale al Parlamento, sia una possibilità concreta per dare all'Italia un sistema organico e coerente e possa rappresentare un bilanciamento della forma di Stato e della forma di governo.
Abbiamo un compito arduo: rivedere una Carta costituzionale che si è rivelata  negli anni straordinariamente efficiente e funzionale. Nel farlo, non dobbiamo perdere di vista l'elemento fondamentale: l'interesse costituzionale del paese e la necessità di ricomporre quella frattura che oggi ancora esiste fra i cittadini e le loro istituzioni.
Annuncio quindi il voto favorevole del Nuovo PSI, dando correttamente conto di voti difformi di alcuni colleghi della componente, che ne hanno già esposto le motivazioni (Applausi di deputati del gruppo  Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI).
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
 
MARCO BOATO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, i Verdi, insieme a tutto il centrosinistra e a tutte le opposizioni, voteranno contro il disegno di legge di  revisione costituzionale in esame.
Non si tratta di un atteggiamento pregiudiziale: il centrosinistra ha sempre condiviso la necessità di un'organica riforma della seconda parte della Costituzione, che non riguarda i principi fondamentali, sempre validi, ma l'ordinamento della Repubblica in materia di forma di governo, forma di Stato, bicameralismo e sistema delle garanzie.
Di tutto questo si era già discusso, in sede consultiva, nella IX legislatura, con la Commissione Bozzi. Nell'XI legislatura, anche sotto l'impulso del neoeletto Presidente della Repubblica,  Scalfaro, con legge costituzionale fu istituita la prima Commissione bicamerale con poteri referenti, che fu egregiamente presieduta prima da Ciriaco De Mita e poi dalla compianta Nilde Iotti.
Quella Bicamerale interruppe i propri lavori solo per lo scioglimento anticipato delle Camere, nel 1994. Quando nacque l'Ulivo, e vinse le elezioni del 1996, il centrosinistra propose subito il diretto coinvolgimento anche delle opposizioni di centrodestra, con l'istituzione - in forza di una legge costituzionale - di una nuova Commissione bicamerale con il compito di riformare l'intera seconda parte della Costituzione. Fu la Bicamerale presieduta da Massimo D' Alema che propose a quest'aula un progetto di revisione costituzionale allora ampiamente condiviso da centrosinistra e centrodestra. Ma fu il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, dopo un anno e mezzo di lavoro parlamentare comune, a decretarne la fine il 2 giugno del 1998, in  quest'aula.
Il centrosinistra, tuttavia, non interruppe allora il percorso riformatore. Abbiamo approvato quasi all'unanimità la riforma dell'articolo 111 della Costituzione in materia di giusto processo, e - colleghi di centrodestra, ricordatelo - in quell'occasione il centrosinistra  nominò relatore Marcello Pera, allora senatore dell'opposizione proprio di centrodestra. Abbiamo approvato quasi all'unanimità una nuova forma di governo regionale, con l'elezione diretta dei presidenti delle regioni e l'autonomia statutaria per le regioni a statuto ordinario, e questo è già parte del Titolo V. Abbiamo poi approvato, quasi all'unanimità, anche la riforma, con legge costituzionale, degli statuti delle cinque regioni a statuto speciale e, quindi, anche delle province autonome di Trento e Bolzano. Tutto ciò è avvenuto nella scorsa legislatura, con il centrosinistra maggioranza politica. Ed è avvenuto quasi sempre l'unanimità!
La stessa ulteriore riforma parziale del Titolo V è stata affrontata sulla base di un testo originariamente condiviso; non è il centrosinistra che lo ha imposto ma è il centrodestra che, alla fine, si è sottratto al processo riformatore. Questa è la verità storica, non a caso condivisa allora anche dai presidenti delle regioni governate dal centrodestra, il presidente Ghigo in testa!
In questa legislatura è avvenuto esattamente l'opposto: il centrodestra ha perso i primi due anni di legislatura ad approvare proprie leggi in materia di giustizia di carattere «particolare». E sempre il centrodestra ha imposto la  revisione costituzionale in materia di devolution, ma poi ha abbandonato quella riforma dopo la prima lettura. Dopo aver perso così due anni di legislatura, l'iter riformatore è stato ripreso non con una proposta di coinvolgimento di tutto il Parlamento nel processo riformatore - come noi avevamo fatto nel 1996 -, ma con un metodo che è poco definire unilaterale e al limite dell'incredibile!
Tutti ricordiamo le riunioni in una baita a  Lorenzago la scorsa estate. Questo è stato lo spirito costituente della Casa delle libertà! Tutti ricordiamo che, dopo l'imposizione di un testo esclusivo del centrodestra al Senato, si sono alzate le voci di decine di costituzionalisti, di tutti gli orientamenti politici e culturali, centrodestra compreso: voci fortemente critiche su quel testo. Tutti ricordiamo che ben 36 di quei costituzionalisti li abbiamo ascoltati in Commissione affari costituzionali qui alla Camera. Sono state audizioni di grande interesse, ma sono rimaste inascoltate. Infatti, in sede referente, il centrodestra ha fatto muro e ha impedito qualunque dialogo e confronto nel merito. Noi abbiamo presentato 100 emendamenti, il centrodestra ne ha  presentati 330 ed ha votato solo ed esclusivamente le proprie proposte. Vi è stato un vero ostruzionismo del centrodestra in sede referente rispetto a qualunque possibilità di dialogo e confronto parlamentare.
Do atto al ministro Calderoli che solo nell'ultimo mese - su tre anni di legislatura e un anno di procedimento di  revisione -, ripeto, solo nell'ultimo mese, dopo un anno intero, si è aperto un minimo di confronto che ha portato ad alcune limitate correzioni del testo, a cui abbiamo partecipato. Ma la verità è che l'impianto della riforma è rimasto nei suoi aspetti radicalmente non condivisibile. In materia di forma di governo, anziché un rafforzamento del Primo ministro, che sarebbe stato da noi condiviso - basta leggere i nostri emendamenti -, si è introdotto un premierato assoluto che non ha precedenti nella storia delle democrazie parlamentari di tutta Europa, non solo di quella continentale ma anche del Regno Unito!
In materia di forma di Stato, vi è uno schizofrenico processo di  ristatalizzazione, da una parte, e di sovrapposizione della devolution, dall'altra,  con in più il rafforzamento dei poteri sostitutivi e  quell'incredibile imposizione dell'interesse nazionale col Parlamento a Camere riunite che riannulla le leggi regionali.
In materia di bicameralismo, era certo necessario arrivare ad un bicameralismo  differenziato, ma il testo contro il quale noi voteremo prevede un Senato federale che di federale ha solo il nome ed un procedimento legislativo confuso e contraddittorio, che vedrà l'esposizione sistematica del Parlamento attraverso una sorta di terza Camera, la Commissione paritetica di trenta più trenta, nonché l'arbitrio dei presidenti eletti dalla maggioranza con quorum che permettono alla maggioranza stessa di eleggerseli da sola, che avranno il potere esclusivo di decidere competenze e procedimenti nel rapporto tra le due Camere, con l'aggiunta di un altro comitato paritetico di quattro più quattro.
In materia di garanzie, vi è stato un sistematico abbassamento dei quorum che consegna quasi ogni decisione, salvo il regolamento della Camera, in mano alla maggioranza pro tempore e si è introdotto un inaccettabile sbilanciamento nella composizione della Corte costituzionale.
Queste, in sintesi necessaria, sono le ragioni del voto contrario dei Verdi, del centrosinistra, di tutte le opposizioni.
 

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 12,10)
 
MARCO BOATO. È questa la ragione per cui, se l'iter arriverà alla conclusione - conservo qualche dubbio -, noi fin d'ora annunciamo che, come già abbiamo fatto anche sulla nostra riforma nel 2001, ci rivolgeremo  comunque al popolo sovrano, perché sia il popolo sovrano a dare il suo giudizio definitivo.
Lo dico senza demagogia, ma con fermezza, se mi permettete: noi siamo convinti che il popolo sovrano saprà mettere la parola fine non ad una riforma - perché noi una riforma equilibrata l'avremmo condivisa - ma ad un inaccettabile stravolgimento della Costituzione repubblicana (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita,  DL-L'Ulivo e Misto-socialisti democratici italiani - Congratulazioni).
 
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PRESIDENTE. Grazie, onorevole Boato. Desidero ringraziarla anche per il contributo che lei ha dato in questi giorni ai lavori parlamentari, sempre con  grande passione, competenza e puntualità.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cusumano. Ne ha facoltà.
 
STEFANO CUSUMANO. Signor Presidente, esprimiamo tutta la nostra preoccupazione e contrarietà per la riforma del Titolo V della Costituzione che la Camera si accinge a votare, una riforma che definisce un assetto costituzionale pasticciato con un evidente conflitto tra le diverse rappresentanze istituzionali, assolutamente incapaci di funzionare.
Si è volutamente ignorata la natura intrinseca della Costituzione, quale testo strutturale della nostra democrazia, fondamento normativo generale delle istituzioni democratiche e dei poteri che hanno il compito di applicarne regole e princìpi.
La Costituzione è il testo unificante della Repubblica, che nel dispiegamento delle sue norme regolamenta ogni ulteriore attività legislativa e attua l'insieme di valori cui un popolo fa riferimento, in cui si riconosce.
La Costituzione è il patto forte che unisce tutti i cittadini di uno stesso Stato e ne rappresenta ed esprime l'identità stessa. Ovviamente, non c'è alcuna preclusione ad appositi emendamenti o modificazioni che l'arricchiscano e la rendano ancora più flessibile rispetto al mutare dei tempi e alla complessità dei problemi.
Resta vero, però, che il dettato costituzionale deve mantenere la sua coerenza interna e la sua valenza generale; al contrario, il centrodestra sta seguendo una prassi che, volutamente, ignora e vìola le caratteristiche generali di quel patto forte, che è il nostro primo punto di riferimento istituzionale identitario e che  viene invece usato come oggetto di trattativa e di scambio tra i partiti della maggioranza.
Tutto ciò per noi rimane inaccettabile. La riforma risulta tra l'altro insufficiente in tutte le sue ricadute e sfumature; demolisce la Costituzione repubblicana e dilania il paese, con conseguenze negative di non poco conto.
L'unico obiettivo che emerge sembra essere un forte indebolimento delle garanzie, dei diritti e delle libertà costituzionali. Scrivere norme sul  premierato che indeboliscono la natura parlamentare della nostra Repubblica è un atto di grave alterazione della lunga storia democratica del nostro paese, è l'anticamera di un processo disgregativo della nostra democrazia, che rischia di avviarsi verso una preoccupante deriva plebiscitaria costruita sulla dittatura del Primo ministro.
Inoltre, in un momento delicato come quello attuale, esigenze nazionali ed internazionali avrebbero richiesto di adottare riforme che migliorassero, non che peggiorassero, l'efficienza del nostro sistema. È impensabile che si possa modificare, in un solo colpo, parte della nostra Costituzione senza cercare un punto di incontro, un consenso e, per di più, in quell'ottica distruttiva e frettolosa che, invece, caratterizza la maggioranza di centrodestra. Le riforme si fanno insieme: la modifica della Costituzione deve essere frutto di un percorso di riflessione in grado di recuperare al meglio l'unitarietà dello Stato!
Le riforme che la stessa maggioranza ci ha imposto, con un lungo rosario di dissertazioni contraddittorie ed approssimative, sono contro la storia e la civiltà stesse del nostro paese. A questo punto, è il caso di chiedersi se valga la pena di stravolgere la Costituzione repubblicana che, nel bene e nel male, in tutti questi anni ha garantito la  coesistenza democratica, la certezza dei diritti e delle libertà fondamentali: dalle riforme istituzionali dipende il futuro del nostro paese!
Si conclude così una fase della nostra vita parlamentare: con un risultato deludente che spazza via ogni residua possibilità di confronto serio tra maggioranza ed opposizione. La chiusura a riccio della stessa maggioranza nella difesa di alcuni punti della riforma conferma, da un lato, le difficoltà interne della maggioranza stessa e, dall'altro lato, la permanente vocazione del centrodestra a considerare ancora le riforme costituzionali una questione tutta interna alla maggioranza.
Prendiamo atto di questo atteggiamento e rinnoviamo tutta la nostra contrarietà al testo della riforma in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR, Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
 
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PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cusumano.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pappaterra. Ne ha facoltà.
 
DOMENICO PAPPATERRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la  componente dello SDI voterà contro il disegno di legge costituzionale di modifica della seconda parte della Costituzione.
Oggi cala il sipario sulla prima parte della scandalosa sceneggiata, caratterizzata da ricatti, minacce di crisi di Governo, continui vertici di maggioranza, di una riforma voluta ed imposta da una delle forze di maggioranza, la Lega nord di Umberto Bossi e del ministro  Calderoli. La Costituzione che oggi si sta per distruggere - diceva, ieri, il mio capogruppo, onorevole Intini - era nata sotto una forte spinta ideale popolare ed aveva visto la luce dopo un lavoro che, per quasi due anni, aveva impegnato le forze politiche nella ricerca dei punti di equilibrio sui principi fondamentali, sui diritti e doveri dei cittadini, sui rapporti economici e sociali e, soprattutto, sulla costruzione di un equilibrato ordinamento costituzionale. Altro che spirito costituente: questo lavoro è profondamente distante da quello svolto dai padri della Carta costituzionale!
Si è pensato soltanto a salvaguardare i precari equilibri politici, a costruire un mostro giuridico, forti solo di una maggioranza parlamentare che, per fortuna, è ormai molto lontana dai reali rapporti di forza nel paese. È stata scritta, in questo mese, una delle pagine più negative della storia  del nostro paese; è stato compiuto un assalto indecente alla Costituzione repubblicana che l'opposizione ha tentato di impedire unitariamente, con ogni mezzo democratico a disposizione in questo Parlamento.
Speriamo che siano i cittadini a bloccare definitivamente tale assalto. La devastazione della Costituzione va fermata nel solo modo possibile: il referendum costituzionale. Da oggi, la parola d'ordine dovrà essere una ed una sola: la difesa popolare della Costituzione.
La maggioranza non si è fermata di fronte a nulla: in primis, ha rigettato tutti gli appelli e le preoccupazioni che venivano da autorevoli costituzionalisti del nostro paese; ma non si è fermata neanche di fronte agli appelli delle massime cariche istituzionali.
A nulla sono valsi gli appelli del Presidente della Camera e del  Presidente della Repubblica. Vorrei ricordare in  quest'aula che nel mese di marzo, quasi come un presagio, il Presidente della Camera dei deputati, dall'alto della sua autorevolezza istituzionale e politica, rilasciò un'intervista dove rivolgeva un caloroso invito a tutte le forze politiche a scrivere insieme le riforme, ed  avvertiva: « vedo una nuvola di veleni che si aggira sulla Repubblica, e allora sento la responsabilità istituzionale di dire a tutti, ma proprio a tutti, di non inquinare i pozzi della vita pubblica italiana».
In queste parole c'era tutta la preoccupazione di recuperare un dialogo istituzionale con l'opposizione sulle grandi questioni di fondo del nostro paese. A nulla sono valsi gli appelli del Capo dello Stato, i suoi continui richiami alla salvaguardia dell'unità nazionale, ad evitare di mettere in campo un forte squilibrio fra aree forti e aree deboli del nostro paese.
A questi autorevoli inviti, la risposta è stata profondamente diversa tra maggioranza e opposizione. Nel centrodestra è prevalsa la linea dei falchi, di quelli che vogliono affermare la dittatura della maggioranza; è prevalso uno spirito riformatore esasperato, teso a concentrare poteri abnormi in capo al Primo ministro, all'indebolimento degli organi di garanzia, come la Corte costituzionale e il Presidente della Repubblica, ad imporre la cosiddetta devolution, che poi si è tentato di mitigare con la clausola di salvaguardia dell'interesse nazionale.
Di contro, il centrosinistra, è intervenuto prima attraverso tutti i suoi leader, tutti i leader dell'opposizione, e poi attraverso un atto formale di tutti presidenti dei gruppi di opposizione della Camera, che nel mese di luglio hanno inviato al presidente della Camera una lettera.
In questa lettera i presidenti dei gruppi dell'opposizione, in via preliminare, ponevano una grande questione di fondo, e dicevano che siamo di fronte ad un passaggio decisivo, e quindi dobbiamo decidere quale strada imboccare. Ne abbiamo due a disposizione: la prima strada è quella di una riforma equilibrata e condivisa, che possa completare la transizione costituzionale. Il centrosinistra è pronto a percorrerla tutta. Ciò è dimostrato anche dal lavoro brillante e qualificato che hanno svolto tutti deputati dell'opposizione all'interno della Commissione affari costituzionali, e in quest'aula, con grande spirito costruttivo. L'altra strada era quella opposta, quella che poi è stata scelta dal centrodestra, di mettere a rischio le basi democratiche della nostra Repubblica, di compromettere definitivamente un rapporto tra le forze politiche, e soprattutto di lavorare attorno alla modifica del nostro sistema ordinamentale, ponendo il Parlamento in una condizione di sottomissione rispetto al Governo.
Il centrodestra ha scelto questa strada, perché ha ritenuto di andare avanti con i soli voti della maggioranza a sua disposizione. La conseguenza più immediata, lasciatemelo dire, oltre al logoramento dei rapporti politico istituzionali, è che questa riforma non chiude la transizione. Ne sono convinti, lo abbiamo sentito in  quest'aula, molti autorevoli rappresentanti anche tra le file del centrodestra.
Questa riforma non dà avvio ad uno Stato federale, stretta com'è tra  spinte localistiche e forti spiriti centralisti. Essa non costruisce una vera democrazia dell'alternanza, non adegua il nostro impianto costituzionale al maggioritario, perché l'unica strada scelta è stata quella di avere investito di poteri cesaristi il Capo del Governo, quasi come se il premier dovesse governare l'Italia per i prossimi cinquant'anni.
Anche in materia di devoluzione, è stata scelta la strada più sbagliata, introducendo la clausola di poteri esclusivi alle regioni in materia di sanità,  di ordinamento scolastico e di polizia regionale, sapendo poi, diciamoci la verità (lo stanno facendo già in queste ore, soprattutto in alcune aree del paese), che molti deputati di Alleanza Nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro stanno cercando di convincere molti elettori che questa strada comunque non sarà portata avanti, perché alla fine sarà lo Stato ad avere una funzione prevalente anche rispetto a queste materie.
È un percorso che noi socialisti giudichiamo sbagliato. Anche il nostro approccio è stato fortemente costruttivo, però avete voluto fare questa riforma da soli, e l'avete voluta fare con un solo filo conduttore: quello di provocare una frattura irresponsabile di tutta la struttura portante della Repubblica, e di avviare una lenta ma inesorabile eutanasia della nostra Costituzione.
Da oggi, lasciatemelo dire, questa cosiddetta riforma diventa per noi, per tanti di noi, una grande questione nazionale, che non dovrà più riguardare solo il ceto politico, ma dovrà riguardare in primis tutti i cittadini, che, attraverso il referendum, dovranno manifestare la loro netta contrarietà a questa riforma, che, più che entrare nella coscienza del paese o essere avvertita come elemento di progresso e di rinnovamento, è recepita solo come la distruzione della nostra grande Carta costituzionale.
Per queste ragioni, a nome del gruppo dei socialisti democratici italiani, voteremo con convinzione contro la riforma della Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Socialisti democratici italiani, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni).
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armando Cossutta. Ne ha facoltà.
 
ARMANDO COSSUTTA. Signor Presidente, colleghi, ho seguito attentamente, ogni giorno, per circa un mese, come tutti voi, questo dibattito; l'ho seguito con sconcerto, anche con sgomento. Si sono cambiati oltre 40 articoli della Costituzione, si è stravolto l'intero impianto istituzionale della Repubblica, e tutto questo è avvenuto con votazioni a raffica, senza possibilità di un serio approfondimento, senza un reale confronto.
Ecco, quello che più colpisce, credetemi, è la mancanza del confronto, una situazione che non ha precedenti nella nostra storia. Ricordo come nei momenti cruciali della nostra vita politica, di fronte a decisioni davvero rilevanti - penso al Patto atlantico, alla «legge truffa», ai  decretoni economico sociali -, il dibattito nelle aule parlamentari era reale ed il confronto anche. A volte, era un dibattito infuocato, allora l'ostruzionismo raggiungeva pagine epiche - c'erano deputati che parlavano per ore ed ore, lucidamente, senza uscire dal tema (il record assoluto fu raggiunto dall'onorevole Almirante) -, ma nel Parlamento e nel paese riuscivano ad emergere chiaramente i motivi del contrasto ed il confronto si trasferiva nella società, nelle fabbriche, nelle scuole.
Adesso non c'è nulla di tutto questo. Manca quel comune tessuto di valori che, pur nel contrasto, può consentire il confronto leale e poi la sintesi. Non c'è, manca il pathos democratico capace di suscitare una comune ed intensa emozione.
E ho seguito con sgomento le esagitate interruzioni al nobilissimo discorso dell'onorevole Maccanico da parte di chi voleva tagliare non le ore, ma i pochi minuti necessari per concludere il suo ragionamento. Né hanno trovato eco le preoccupazioni, le perplessità, pur prudentemente esposte da personalità eminenti della stessa maggioranza (liberali, repubblicani, socialisti, cattolici democratici). Eppure si sono volute decidere cose enormi!
Primo. Si è infranto il principio di eguaglianza, base di ogni convivenza democratica; si è cancellata l'universalità dei diritti all'istruzione, alla salute, alla sicurezza, determinando uno stravolgimento immondo all'opera illuminata dei padri della Repubblica.
Secondo. Si è spezzata l'unità nazionale, ignorando che le radici storiche della democrazia italiana risiedono nell'unità, raggiunta con il Risorgimento, consolidata dalla sinistra con l'alleanza tra lavoratori del nord e contadini meridionali, difesa durante la Resistenza da coloro che - tanti - non a caso si chiamavano garibaldini, definita dalla Costituzione del 1948, una delle migliori del mondo.
Terzo. Si è imposta una deriva autoritaria, oligarchica, anzi monarchica, come si è detto, se per monarchia si intende quello che essa significa: potere di uno solo; potere del premier.  Ed il tutto con contraddizioni, squilibri, confusione, che renderanno impossibile il governo democratico e ordinato del paese. Una confusione voluta lucidamente e cinicamente, perché nel caos possa farsi avanti prepotentemente la richiesta non di autonomia, non di devoluzione, ma della secessione.
Qui si sta scrivendo la pagina più nera della storia parlamentare italiana. Si tratta di un testo inemendabile, un testo eversivo: non rimane altro che respingerlo! Qui non ci riusciremo, perché gli eversori hanno una maggioranza blindata di voti.
Avete stravolto, attraverso un uso improprio e con un'arbitrarietà che grida vendetta, l'articolo 138 non per correggere o innovare qualche articolo della Costituzione, ma per sovvertirne interamente il testo. Qui non vi sono possibilità di mediazione: la parola, ormai, spetta al popolo.
Il referendum si terrà, e dovrà annullare questo disastro. Per questo, amici e compagni carissimi della nostra grande alleanza democratica, dobbiamo rivolgerci esplicitamente, chiaramente ed energicamente al popolo, superando non soltanto le esitazioni, ma gli stessi errori compiuti in passato. Infatti, quattro o cinque anni fa, si è creduto che esistesse nel paese una propensione al federalismo; tuttavia, ammesso che allora essa vi fosse, oggi non è più così. Tale propensione ormai crolla, sommersa dal dissenso sociale, dalle obiezioni culturali e dalle perplessità finanziarie; in sostanza, dall'opposizione di quanti - i sindacati, l'intero Mezzogiorno, gli insegnanti e le famiglie popolari - paventano, giustamente, la differenziazione dei diritti sociali.
Per troppo tempo, infatti, anche a sinistra ha fatto premio un costituzionalismo di recente conio...
 
PRESIDENTE. Onorevole Armando Cossutta,  concluda!
 
ARMANDO COSSUTTA. ... incantato da velleità moderniste di efficienza. Credo che si volesse rendere più vicino il popolo alle istituzioni, ma si è trascurato che già esisteva il regionalismo e che andava potenziata, semmai, l'autonomia dei comuni. Non vi sono scorciatoie: andando per sentieri, si rischia di smarrire la via maestra! Con le concessioni al federalismo, si è cercato di intercettare e di introitare quello che, invece, doveva essere respinto.
La difesa e lo sviluppo della democrazia non ammettono palliativi: crollando la seconda parte della Costituzione, nei suoi capisaldi, vengono meno i principi  stessi della prima parte, che li avevano generati per essere garantiti ed attuati.
Si apre oggi una fase grave per la Repubblica, ma si è aperta anche la fase della riscossa democratica. Con il referendum, possiamo abrogare questo misfatto; con la vittoria elettorale del 2006, potremmo abrogare le leggi ingiuste di  Berlusconi: quella sul conflitto di interessi, la legge n. 30 del 2003 per i lavoratori, la controriforma Moratti per la scuola e la legge Bossi-Fini sugli immigrati.
Forse, onorevoli colleghi, oggi abbiamo toccato il fondo, ma da oggi possiamo, dobbiamo e riusciremo a risalire alla luce (Applausi dei deputati  dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista - Congratulazioni)!
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
 
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, preannunzio che il gruppo di Rifondazione comunista voterà contro il disegno di legge recante queste modifiche costituzionali, poiché esse riguardano la parte II della Costituzione, ma incideranno sulla prima, contenente i diritti fondamentali.
Si tratta di una riforma che produce la frammentazione della Repubblica e la frantumazione dei vincoli di solidarietà politica, economica e sociale. Infatti, i diritti sociali dei cittadini si riducono a livelli essenziali minimi, si introducono disparità di trattamento tra le regioni ricche e quelle povere e si spezza il principio di uguaglianza. Si produce, in altri termini, un effetto di demolizione dei diritti e della politica.
Mi riferisco anche alla politica, poiché, assieme ad un finto Senato federale,  si introduce un elemento ibrido, anomalo e pericoloso, quale il «premierato assoluto». Vi sarà, infatti, un Primo  ministro che potrà esercitare arbitrariamente il suo potere, fino allo scioglimento delle Camere, ed un Presidente della Repubblica ridotto a notaio.
Si è determinata una rottura di quella cultura dei contrappesi propria del costituzionalismo: è stata prevista, infatti, una Corte costituzionale che rischia di subire un processo di politicizzazione, un Parlamento che  viene espropriato dei suoi poteri, un Capo dello Stato che perde il suo ruolo super partes ed i Presidenti delle Camere che perdono la loro funzione di garanzia, essendo tutti piegati agli interessi governativi.
Insomma, a fronte di una domanda sempre più forte di partecipazione dei cittadini, in particolare dei giovani, alla vita politica del paese, voi rispondete con un nuovo, moderno autoritarismo, con una destrutturazione del sistema democratico ed istituendo una carica monocratica, eletta dal popolo, che dovrebbe incarnare il bene assoluto.
Signor Presidente, in una dialettica politica ed istituzionale che ponga al centro la riforma di un ordinamento democratico, esistono due momenti di democrazia: uno appartiene alla fisica e l'altro alla metafisica. Sono ascrivibili certamente alla fisica tutte quelle espressioni di pensiero che mirano a garantire un miglior funzionamento delle istituzioni democratiche. In tal senso, si parla di premierati forti o deboli, di parlamenti perfetti o imperfetti e di centralizzazione o di decentramento dei poteri. Vi è, poi, un momento metafisico della democrazia, che certa filosofia antica pone quale insieme di principi primi rispetto a qualsiasi realtà ci si trovi a vivere. In questi casi, in altre parole, le regole della fisica seguono ai valori della morale e della metafisica.
La nostra Carta costituzionale, in qualche misura, pare seguire tale stima, aprendo metafisicamente con i principi fondamentali, per arrivare, poi, fisicamente all'ordinamento della Repubblica. Solo in tal modo molti aspetti delle nostre istituzioni possono trovare un'effettiva spiegazione. Nel 1948, gli ideali e i valori della metafisica democratica furono il cemento che tenne insieme uomini e donne della classe politica che  aveva diretto la guerra di liberazione ed era giunta, sia pure attraverso conflitti, al Patto costituzionale. Da un lato, i conservatori rinunciarono ad un - allora impossibile - ritorno al passato e, dall'altro, le sinistre accantonarono il programma rivoluzionario della «dittatura del proletariato», coniando la formula della «democrazia progressiva» e, per bocca degli stessi Togliatti e Morandi, parlarono, con insistenza, di valori, ideali e metodi democratici.
Che fine ha fatto quel Patto? È indubbio che la Costituzione non è immutabile. Ciò lo sapevano gli stessi costituenti, quando introdussero l'articolo 138. La metafisica della nostra democrazia impone, tuttavia, che non tutte le norme che furono alla base di quel Patto siano modificabili. Anche Mortati parlava di un nucleo immodificabile quale forma di humus culturale che appartiene, quale codice genetico unico, ad ogni popolo. Quando si modifica solo uno di questo insieme di valori e di principi, non si tratta più di revisione costituzionale, perché non si salva l'identità e la continuità della Costituzione, ovvero la tradizione autentica e i valori della storia.
Gli articoli delle costituzioni, scriveva Piero Calamandrei, sono come membra di un corpo vivo, di cui non si può fare a meno: vivono finché gli circola dentro il sangue che le alimenta. Il sangue, in questo caso, si chiama correttezza politica e lealtà costituzionale. Così, se nella Costituzione italiana si volesse cambiare alcuno di questi elementi  identificatori, la Costituzione perderebbe la propria identità. Ciò vorrebbe dire far crollare tutta la Costituzione e ricominciare da capo, tornando dal piano della legalità a quello della forza. Diverrebbe la fine e l'instaurazione ex novo, di fatto e non di diritto, di un nuovo regime.
Solo se si tiene ferma tale premessa, si può passare al secondo momento, quello che riguarda la fisica della democrazia e che si traduce nel problema del governo democratico, che non è solo il governo del popolo e neppure il governo della maggioranza aritmetica del popolo, ma quel governo nel quale si ottiene la maggiore possibile identificazione fra governanti e governati e la minore possibile oppressione di governanti sui governati. Ciò era alla base del sacro Patto costituzionale del 1948, che oggi  viene tradito (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole  Cè. Ne ha facoltà.
 
ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente, oggi è un giorno importante. Vi è il voto su una grande riforma. Ciò costituisce un passaggio decisivo. Dopo 143 anni di centralismo, ormai ci avviamo allo Stato federale. Si spezzano le catene che hanno soggiogato il nord, il centro ed il sud del paese. È una rivincita di Cattaneo nei confronti di chi ha voluto questo Stato centralista.
Il futuro sarà quello dell'unità nella diversità, che sarà il vero collante di questo paese. Ciò costituisce anche il passaggio tra la prima e la seconda Repubblica ed è un successo della Casa delle libertà. Rappresenta il traguardo di un percorso iniziato ben cinque anni fa e che sta ora producendo risultati.
È una vera riforma: la devoluzione è importante, perché si attribuiscono veri poteri alle regioni, non come avete fatto voi della sinistra.  Si istituisce un Senato che inizierà una dinamica virtuosa: all'interno del Senato i rappresentanti delle regioni dialogheranno fra loro e rappresenteranno certamente gli interessi delle regioni, ma nell'ambito di un disegno complessivo che porrà al centro l'interesse di tutto il paese. Certo, in questo testo vi sono degli equilibri, vi è una clausola di eccezionalità, ma ciò è giusto. In questo paese sono varie le  forze politiche, anche all'interno della maggioranza, e sono diversificati gli interessi esistenti nel centro, nel sud e nel nord del paese: noi abbiamo trovato un equilibrio.
Sarebbe lungo descrivere i pregi del federalismo, ma li riassumiamo rapidamente. Innanzitutto, ripristiniamo il principio di sovranità, di vera democrazia, di sussidiarietà. Governa la persona, la comunità, la gente, l'ente locale e, via  via, secondo una giusta applicazione del principio di  sussidiarietà, i vari enti territoriali o lo Stato.
Si introduce la puntualità: il federalismo è puntualità delle risposte, è dare risposte precise alle esigenze reali e diversificate dei cittadini. Ciò comporta una migliore soddisfazione dei cittadini ed un minore sperpero di denaro pubblico: due piccioni con una fava.
Si introduce la responsabilità: fino ad oggi, anche i pessimi amministratori - ne abbiamo avuti molti, ad esempio in Campania - spesso venivano premiati dai loro cittadini perché distribuivano privilegi, prebende ed assistenzialismo. Con il federalismo ciò non sarà più possibile, perché il presidente della regione o l'assessore decideranno le norme da applicare nella sanità, nella scuola, nella polizia locale e decideranno l'imposizione fiscale, ma dovranno rispondere ai cittadini, che saranno messi in grado di giudicare se il loro amministratore o il loro presidente è un furfante o è un bravo amministratore. Per cui, anche da questo punto di vista, la responsabilità è importante ed il federalismo è responsabilità.
Introduciamo la concorrenza istituzionale, per cui le regioni che produrranno i risultati migliori nella sanità o nella scuola costringeranno le regioni vicine ad emularle, perché, altrimenti, gli amministratori o i presidenti delle regioni che non daranno servizi adeguati saranno mandati a casa dai loro cittadini.
La conferma che è una grande riforma è nell'atteggiamento, nello sconforto e nel nervosismo che il centrosinistra dimostra. È una doppia sconfitta ideologica e di interessi: è una sconfitta ideologica, perché si sconfigge definitivamente la vostra logica dell'Ulivo mondiale, per cui vi è una visione del mondo dove il potere è sempre più lontano dai cittadini, è sempre più accentrato e sempre più delegittimato, perché la gente non ha più nessuna connessione con il potere.
È la sconfitta di quel mondo nel quale voi vorreste imporre quattro  regolette illuministiche e vorreste che gli uomini fossero uguali, senza distinzione di storia, di cultura, di religione. Voi vorreste che gli uomini non avessero alcun legame con il territorio. Pertanto, è la sconfitta di quel disegno di globalizzazione nel quale, secondo voi, le merci, i capitali, la finanza ed anche gli uomini possono distribuirsi nel mondo senza alcun confine, senza alcun limite e senza alcun legame con la storia ed il territorio di determinate parti del paese.
Lo strumento che avevate messo in campo era la legge sull'immigrazione, per consentire a tutti di entrare nel nostro paese. L'obiettivo era quello di scardinare l'identità dei popoli, di allontanare sempre di più il potere politico e di dare sempre più spazio ai grandi interessi finanziari. Il vostro obiettivo era quello di una società anonima, dove l'uomo non contava più niente. La Casa delle libertà ha rimesso al centro l'uomo, la persona (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)!
È anche la sconfitta di un'altra ideologia, del centralismo, dello statalismo. È la sconfitta dell'idea che deriva da Plauto dell'homo homini lupus, che voi avete sempre portato avanti per legittimare il potere e lo Stato centralista. È la sconfitta della vostra filosofia, che si ispira a Hobbes, Hegel, Marx e Gramsci. È la sconfitta anche dei vostri interessi, perché i vostri interessi da sempre sono stati tutelati dal centralismo, perché è più facile governare tutto dal centro. È più facile fare assistenzialismo, avere clientele, gestire il voto di scambio. È più facile mantenere una burocrazia elefantiaca, pletorica e inefficiente. È più facile fare grandi favori alle  grandi aziende (Una voce dai banchi dell'opposizione grida: «Mediaset!») assistite dallo Stato. È facile stare dalla parte del nuovo corporativismo e della grande finanza.
A tal fine, in quest'aula avete sollevato la polemica sui costi del federalismo, mobilitando Montezemolo, i sindacati, i vostri giornali e strattonando Ciampi e mobilitando intellettuali di regime.
Avete collezionato solo brutte figure. Il ministro Calderoli è intervenuto in aula e vi ha spiegato che il riferimento all'ISAE era legato alla vostra riforma, e voi non lo sapevate. Quei 60 mila miliardi dei quali parlavate costituivano il costo della vostra riforma nel caso in cui ci fosse stata una duplicazione di organico e di personale. Allora, o non lo sapevate, o siete incoscienti.
Noi, tuttavia, che abbiamo visto bene i costi del centralismo, come tutti gli italiani, sappiamo che i costi del centralismo, costituiti da un debito pubblico di 2 milioni e cinquecentomila miliardi, sono da addossare a voi e alle vostre politiche dissennate.
Avete cercato per molti anni di ingannare i cittadini sul federalismo, oltre che avere governato male, con la legge  Bassanini, trasferendo delle competenze senza trasferire risorse, con un falso federalismo fiscale, con la riforma del Titolo V, addirittura senza un Senato federale. Come può esistere un federalismo senza una Camera di compensazione dove le regioni si confrontano? Tutto ciò lo  avete fatto per screditare il federalismo, perché voi a malapena volete un decentramento nel quale il centro imponga sempre le regole.
Ora siete arrabbiati e confusi. Vi dà tremendamente fastidio che noi rispettiamo il patto elettorale e che la Casa delle libertà stia cambiando il paese.
Avete dimostrato in quest'aula mille contraddizioni: avete affermato, da una parte, che la riforma sfascia il paese, e, dall'altra, che sarebbe una riforma accentratrice. Mettetevi d'accordo con voi stessi! Avete tra l'altro votato a favore di molti emendamenti proposti dalla Casa delle libertà. Dovrete spiegarlo agli elettori. La verità è che voi esistete solo contro qualcuno, non siete nulla, non avete un punto di riferimento e non avete un programma (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)! L'unico vostro programma è la difesa del centralismo e del potere centralizzato.
Prodi è la vostra foglia di fico. Dopo averlo mandato a casa e averlo sfiduciato nella scorsa legislatura, dopo che ha fatto una pessima figura in Europa, adesso è l'unica cosa che blandite, perché non avete una vera leadership. Non avete compreso il corso della storia, mi dispiace per voi, centrosinistra.
La storia non è finita. Il federalismo serve proprio per contrastare gli effetti negativi della globalizzazione e per bilanciare un'Europa tecno-burocratica, dove sembra avere spazio solo un positivismo di stampo keynesiano (Commenti dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo). I popoli non si arrendono - mi spiace per voi - all'omologazione. Essi difendono la loro identità e vogliono vera democrazia. È necessario tra l'altro - questo l'hanno capito ormai tutti - demitizzare gli aspetti negativi dello Stato-Nazione statalista e  centralista.
Cambiare la forma di Stato è una necessità ineludibile anche per motivi economici. Il welfare, ormai, è insostenibile con un Stato centralista, uno Stato troppo pesante.
Il paese non può più avere competitività. Non c'è più la svalutazione della moneta, siamo nell'euro. C'è il patto di stabilità, giustamente. Non c'è più il debito pubblico, fortunatamente. Non c'è più il protezionismo, quel circuito che teneva in piedi il paese per cui una parte produceva di più, l'altra parte consumava di più, ma il denaro restava all'interno del circuito nazionale. Oggi la ricchezza si allontana sempre più dal nostro paese. Inoltre, c'è l'allargamento ad est  per cui verranno meno anche quelle risorse. Da qui la necessità reale di uno Stato più leggero.
Non è stato facile non rispondere alle vostre provocazioni, amici dell'Ulivo.  Però, la Lega è un movimento forte e determinato. Il Governo di centrosinistra degli ultimi decenni ha dato pessimi risultati. Basterebbe ricordare i numerosi scandali che hanno caratterizzato la gestione del paese da parte vostra. Ricordiamo il debito pubblico, i milioni di dipendenti pubblici con un'amministrazione inefficiente ed un Mezzogiorno che avete letteralmente abbandonato.
Ancor più difficile è stato non rispondere alle provocazioni di alcuni discepoli di Martinazzoli e di De Mita presenti in quest'aula, come gli onorevoli  Frigato, Delbono ed altri che, anche nei metodi, hanno continuato sulla stessa strada. Vanno al nord, promettono mille cose al nord e vengono eletti al nord. Vengono a Roma e votano contro il nord (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
Ancor più difficile è stato non rispondere a lei, presidente  Castagnetti, ed alle sue provocazioni. Stiamo cambiando il paese, stiamo facendo cose concrete, non chiacchiere come lei e molti altri del suo schieramento in questi anni. Voi avete  fatto un grosso errore, e capisco che adesso dobbiate nascondere gli errori storici che avete fatto: siete diventati veri e propri vassalli della sinistra. Avete tradito i vostri principi, il concetto di persona, il concetto di sussidiarietà, l'autonomismo. Avete svenduto, addirittura, un vostro simbolo nobile, quello del Partito popolare italiano.
 
GABRIELE FRIGATO. Calma!

PRESIDENTE. Onorevole Cè, deve concludere.
 
ALESSANDRO CÈ. Concludo, signor Presidente e la ringrazio del tempo che mi ha dato in più...
 
PRESIDENTE. Non gliene ho dato poco in più.
 
ALESSANDRO CÈ ....anche perché in questo dibattito abbiamo parlato poco e ci siamo riservati di intervenire alla fine.
In conclusione, devo rivolgere alcuni doverosi ringraziamenti nei confronti del ministro Calderoli, del quale abbiamo apprezzato la professionalità, la grande capacità, la grande convinzione e la grande determinazione (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale). Devo soprattutto - e credo che ciò possa essere condiviso da tutta l'Assemblea - dire un grosso «grazie» ad Umberto Bossi per la tenacia, la forza, il grande acume politico e l'amore che ha dimostrato per la nostra terra (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia,  di Alleanza Nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro). Grazie, innanzitutto, ad Umberto Bossi per averci insegnato che essere uomini significa comprendere che nella vita è importante lottare per cause nobili: per la nostra dignità, per il nostro popolo (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro)!
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare del dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.
 
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella seduta odierna voteremo la riforma costituzionale. Abbiamo lavorato a questo testo avendo a cuore il bene del paese e delle future generazioni. Perciò, almeno per noi, la riforma non ha mai assunto l'idea simbolica del totem, un dio a cui sacrificare le nostre ragioni o il bene comune.
All'opposto, le ragioni che in questi anni hanno mosso le nostre  proposte venivano e vengono da realismo, dal confronto con le emergenze della realtà italiana, dai danni e dai costi finanziari e burocratici del Titolo V approvato nella scorsa legislatura che, come tutti sappiamo, ha prodotto costi pari a 60 miliardi di euro stimati da un istituto internazionale e ha contribuito fortemente a portare l'Italia dietro il  Botswana per i costi burocratici.
Dicevo che le ragioni che in questi anni hanno determinato le nostre proposte venivano appunto da questo realismo. Nella primavera del 2002, a fronte della richiesta da parte di un alleato, la Lega, di attuare il programma della Casa delle libertà sulla devolution,  abbiamo chiesto di ampliare le riflessioni sulle lacune e sugli errori del Titolo V; da lì in poi la storia di questa riforma più ampia ha preso il via. Si tratta di una riforma nella quale il principio di  sussidiarietà, che è nell'articolo 114, la  sussidiarietà fiscale, cioè più libertà per le persone e per la società, che è nell'articolo 118, il fatto che le autonomie funzionali non dovranno più temere che una qualche regione approvi una norma contro di essa, le materie che sono state riportate alla competenza dello Stato e le nuove materie che sono state inserite - pensiamo ad esempio alla tutela del sistema Italia -, trovando finalmente la loro chiara nuova allocazione, la devolution, che vuol dire più competenze per le regioni, ma anche più tutele generali da parte dello Stato, e la cosiddetta clausola di supremazia, di cui al nuovo articolo 120, fortemente voluta da noi, rendono questo sistema senza ombra di dubbio un federalismo equilibrato e solidale, tra il centro e la periferia, tra il nord e il sud, tra la società e lo Stato.
Il principio di sussidiarietà è stato applicato anche in altri ambiti, come nella formazione delle città metropolitane, nella possibilità del ricorso alla Corte costituzionale da parte dei comuni e nel riparto delle competenze amministrative tra Stato, regioni e autonomie locali. Oggi possiamo dire con chiarezza e con orgoglio che nella nostra Carta costituzionale c'è, più forte, l'applicazione e la realtà del principio di  sussidiarietà. Per nostra esplicita volontà c'è la premessa costituzionale per un sistema elettorale proporzionale. C'è la sfiducia costruttiva verso il premier. C'è un Senato federale, dove le regioni finalmente, con gli enti locali, sono presenti e si assumono, davanti allo Stato e all'interno del Parlamento, le proprie responsabilità. C'è la tutela e la valorizzazione delle regioni a statuto speciale.
In questa riforma ci sono molti correttivi alla tentazione del neocentralismo regionale. Permettetemi, però, di soffermarmi su una riflessione. Qualcuno pensa che il solo sistema proporzionale potrà da sé cambiare le cose, che il dialogo tra le parti, attraverso questo sistema, riprenderà. Non penso sia così. Non sarà così, se l'atteggiamento di ognuno di noi e di ciascuna forza politica rimarrà quello che abbiamo vissuto in questo dibattito. Non vi è dubbio che per noi la legge elettorale proporzionale con premio di  coalizione è una meta positiva da raggiungere. Più libertà per gli elettori però significa più responsabilità per i rappresentanti del popolo. Il nostro bipolarismo è malato, a causa di un atteggiamento antipolitico, che vede un nemico al posto dell'avversario. Ci sono appunto avversari in politica, e non nemici, e gli avversari, oggi come ieri, devono vivere - lo dico prima di tutti a me - da rappresentanti del popolo e quindi fare il bene del paese, nel confronto per un lavoro comune, su quelle regole e su  quelle prospettive che sono di tutti, di chi oggi è maggioranza e di chi oggi è opposizione: la politica estera, la lotta al terrorismo, ma anche - e non può che essere così - la Carta costituzionale, i pilastri dello sviluppo, la sussidiarietà e il valore della famiglia.
Non nascondiamoci, però, l'evoluzione politica grave di questi ultimi mesi. A luglio eravamo stati imputati come responsabili di una crisi della maggioranza per le stesse ragioni e per gli stessi emendamenti dei quali oggi la maggioranza va in gran parte fiera. Se questo nostro piglio di allora oggi è divenuto patrimonio comune e condiviso, non può che stupire e sconcertare quanto l'opposizione pregiudizievole abbia preso il posto dell'opposizione costruttiva, che allora lanciava fiori al nostro passaggio. Il metodo del confronto con la società italiana, da noi chiesto al ministro Calderoli e da lui attuato durante i mesi estivi, non è piaciuto e così ai nostri emendamenti di luglio si è votato «no» perché essi erano stati firmati dall'intera maggioranza. Purtroppo nemmeno queste risposte avremo oggi. Tutti sappiamo il perché del vostro atteggiamento qui, lo sottolineo, in aula: è un «no» a prescindere! Lo avete detto in molte occasioni, in quest'ultimo mese. Merito di Prodi o meglio demerito suo e di chi, come lui, ha scelto di non contribuire alla costruzione comune della Carta costituzionale di tutti!
La disponibilità, da parte nostra, vi è stata; un'umile e prudente atteggiamento ci ha guidato, ricordando le nostre radici, e ci ha guidato con forza anche in questi mesi. Una cosa è mancata: la vostra - perdonatemi - passione civile, la vostra utile volontà di lavorare insieme  ad un progetto comune per tutti, e lo considero un peccato, un'occasione persa per tutti, di cui vi assumete per intero la responsabilità.
Non vi è merito alcuno ad evitare il dialogo! Non vi è merito alcuno ad evitare il confronto ed il lavoro comune per il bene del paese! Non vi è merito alcuno a vestire i panni, come avete fatto, della tirannia dell'opposizione!
Dire sempre «no» a prescindere, impedire un voto unanime ed ampio anche su temi condivisi e così importanti è, nei fatti, un vero e proprio tentativo di far valere il pericolo della tirannia dell'opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e  di Alleanza Nazionale). È l'evidenziarsi di poca responsabilità e dispiace a noi, dispiace per il paese e per il futuro.
Tutto, purtroppo, avete fatto non per un ideale, ma per un uomo; un uomo solo al comando, un uomo i cui ordini avete anteposto anche al dibattito ed al confronto per un lavoro comune. Cadono anche qui tutte le vostre critiche al premierato attenuato inserito in questa riforma. Voi avete scelto di seguire un imperatore che non ha nemmeno il coraggio di venire qui, da eletto, a confrontarsi nell'aula del Parlamento, un capo extra parlamentare.
 
ROSY BINDI. Ma che dici?
 
LUCA VOLONTÈ. Il vostro atteggiamento getta un'ombra su questo voto, un voto per noi favorevole e positivo per i molti aspetti migliorati in questi mesi. Vi è un velo di tristezza davanti alla presa d'atto che non vi è stata la possibilità di un lavoro comune, ma vi è anche il velo di una certa soddisfazione, perché vi è più equilibrio, più solidarietà, più  sussidiarietà e più chiarezza in questo testo di quanto non ve ne fosse in quello approvato dal Senato.
Tutti sappiamo che il testo in esame poteva ancora essere migliorato e tutti sappiamo quanto poco abbiate fatto per fare in modo che ciò accadesse.
Un grazie, infine, da parte mia, a tutti i componenti della Commissione, di destra e di sinistra, al presidente della Commissione, onorevole Donato Bruno, che ha guidato con intelligenza e con grande disponibilità i nostri lavori, al ministro Calderoli ed al sottosegretario Brancher (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana).
Pensiamo di aver fatto il nostro dovere e di averlo fatto bene; tutto ciò che poteva essere fatto meglio, purtroppo, è stato impossibile, a causa del vostro atteggiamento a parole costruttivo dentro quest'aula...
 
KATIA BELLILLO. Per Buttiglione...  Vergogna!
 
LUCA VOLONTÈ. ...a parole polemico fuori da  quest'aula e, certamente, in entrambi casi, completamente all'opposto di ciò che avete detto quando il Capo dello Stato ha invitato tutti al dialogo costruttivo, che voi non avete consentito (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
 
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ANDREA LULLI. Sei un servo!
 
KATIA BELLILLO. Giuda!
 
PRESIDENTE. Onorevole Bellillo, sono urla da stadio! Non è questa la sede!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Mita. Ne ha facoltà.
 
CIRIACO DE MITA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, avremmo voluto e dovuto decidere insieme e, quindi, non dire «no» al vostro invito, ma voi, onorevole Volontè, avete fatto un patto mediocre e un po' rozzo di maggioranza e a questo la minoranza è costretta a dire «no».
Lo dico con amarezza: lo spettacolo che abbiamo offerto non è  esaltante, non per la durezza dello scontro, ma per la sua inutilità, ma ciò non è figlio del caso, di un momento di distrazione o di rilassatezza. Ciò perché un'opera alta e straordinaria, come il riordino delle istituzioni e delle regole della convivenza, è stata trattata come merce di  scambio tra i vari segmenti della maggioranza.
Vi è un rilievo che vorrei fare: abbiamo perso e perdiamo una straordinaria occasione.
Infatti, la democrazia dell'alternanza, di cui tutti abbiamo parlato e che tutti abbiamo avvertito come una necessità, non si fonda sulla definizione dei diritti comuni, ma sulla definizione del privilegio di parte.
Quando la maggioranza, non come regola di individuazione della norma ma come coalizione, pretende di dettare le regole della convivenza, crea un solco molto duro rispetto alla prospettiva di ripresa democratica del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita,  DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
Vorrei che tutti riflettessimo su ciò: l'alternanza è fondata sull'uso discrezionale del potere, non sulla definizione del diritto tra una parte e l'altra. Quindi, il decidere insieme non è atto di cortesia, il decidere insieme è una necessità. E quando questa necessità non è realizzata, rimaniamo tutti sconfitti di fronte ad un'opera che avremmo dovuto attuare.
Non a caso - amici del Parlamento, amici della maggioranza -, la liturgia che abbiamo praticato - lo voglio dire all'onorevole Fini, presente alla conclusione del dibattito - è stata abbastanza anomala. Il Parlamento, sia in Commissione sia in aula, ha discusso su proposte che si sapeva non erano definite; infatti, le proposte definite sono state avanzate in conclusione dal ministro attraverso l'emendamento, che non era un espediente tecnico, in quanto obbediva alla logica che la soluzione non era del Parlamento nella sua totalità. Discutere insieme significa tener conto del Parlamento nella sua totalità, non dei vertici e della maggioranza attraverso l'utilizzo di un supporto tecnico che squalifica la scienza giuridica e il diritto costituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita,  DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
Infatti, le norme non sono concetti approssimati, le norme hanno una loro razionalità, ubbidiscono ad esigenze, ma non sostituiscono i comportamenti. Quando qualcuno leggerà i resoconti di questa  discussione scoprirà che, nella logica della formulazione giuridica, abbiamo fatto straordinari passi indietro rispetto allo Stato laico, che prefigura la norma come sollecitazione di comportamenti. La norma stabilisce che qualcuno possa fare qualcosa per noi; in realtà, abbiamo introdotto norme che impediscono qualcosa o sostituiscono il comportamento delle persone. Stiamo procedendo verso una forma di logica teocratica: altro che forma laica e democratica (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-socialisti democratici italiani e  Misto-Verdi-L'Ulivo)!
La mostruosità - lo dico all'amico Follini - non è in questo o in quel particolare, ma nella logica del complesso dell'ordinamento che abbiamo definito. Dunque, mi soffermerò su tre questioni.
La prima è quella relativa alla semplificazione del bicameralismo. Si tratta di una questione che la Costituzione lasciò irrisolta, dando vita ad una sorta di bicameralismo perfetto.
Nella contrapposizione tra la tesi del bicameralismo - sostenuta prevalentemente dalla Democrazia cristiana e dagli alleati - e quella del  monocameralismo - sostenuta dalla sinistra - si pervenne ad una sorta di bipartitismo perfetto. Si tratta di un vizio che, onestamente, non ci ha impedito di progredire durante cinquant'anni di vita democratica.
Ciò poteva essere corretto, ma voi avete organizzato una forma di bicameralismo fondata sulla presunzione della convergenza, per cui quando una Camera non è d'accordo con l'altra si dà vita all'arbitrato, discettando come se si trattasse di norme private e non di norme a difesa dell'interesse pubblico (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita,  DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani,  Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
Il bicameralismo si fonda sul dissenso, non sul consenso coatto, altrimenti il bicameralismo sarebbe inutile!
Questo non significa che il bicameralismo non esiste dove c'è l'accordo, ma il bicameralismo esiste per registrare il dissenso quando questo effettivamente si verifica.
Dico questo all'onorevole Bruno, di cui ho stima e a cui posso quindi rivolgermi senza il timore di reazioni eccessive. Sarebbe stato molto semplice stabilire che alla Camera spetta la competenza sulle materie che riguardano l'attività di governo, perché essa ha un rapporto di fiducia con l'Esecutivo. Il Senato, viceversa, ha competenza per le materie che riguardano la tutela delle autonomie. Il bicameralismo da conservare - non è infatti da cancellare - riguarda materie quali la difesa, la definizione dei diritti di libertà e delle norme costituzionali.
Onorevole Bruno: Napoleone, che si intendeva di tecnica istituzionale, dettava norme di tre righe, brevi e oscure (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo,  Misto-Verdi-L'Ulivo, Misto-socialisti democratici italiani). Leggete quello che avete scritto. Eppure, quando l'ho fatto osservare, mi è stato risposto che non si trattava soltanto di questo, quasi a dire che, al di là della sintassi, ci fosse ben altro!
Insomma, i Costituenti - tra cui erano presenti in quantità notevole persone di cultura - per la definizione delle norme scelsero linguisti di chiara fama e  grande capacità. Adesso esistono norme costituzionali che fanno richiami come fossero norme di condominio. Le norme sono sollecitatrici di comportamenti e alla sollecitazione deve corrispondere il comportamento politico. Queste norme non fanno riferimento ai comportamenti politici né definiscono le sollecitazioni: in realtà, sono un grande pasticcio.
Passando alla devoluzione, mi rivolgo agli onorevoli della Lega e affermo che si trattava di una delle riforme da fare. In proposito, ho sentito l'onorevole  Cè far riferimento ai limiti e ai vizi dello Stato centrale. Lo stesso onorevole Cè dovrebbe convenire con me che lo Stato centrale non lo modifichiamo noi con la riforma, in quanto ha perso la sua funzione con l'avvio del processo di integrazione europea. Lo Stato centrale storicamente è stato funzionale alla costruzione di un'aggregazione tra comunità diverse. Era l'ultimo orizzonte; adesso quell'orizzonte è scomparso ed innanzi a noi si profila l'orizzonte alto dell'Europa. È rispetto a quell'orizzonte che il processo federativo esige una risposta. La federazione va in quella direzione, viceversa sul piano interno, pur ammettendo che voi ben vi preoccupiate dei limiti dello Stato centrale, in realtà stiamo operando nella direzione di trasferire i poteri della centralità dello Stato al centralismo regionale, commettendo un errore che si moltiplica (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita,  DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-socialisti democratici italiani).
Amici dell'UDC: altro che una correzione alla distorsione! Dall'altra parte, mentre cresce il processo di federazione verso l'Europa, sorge la necessità del governo delle autonomie. Da questo punto di vista, credo che la brevità del tempo a mia disposizione non lo consenta, ma esiste una quantità di spiegazioni che portano a questa sollecitazione, non solo tecniche ed istituzionali, ma anche culturali.
Nei secoli scorsi, dalla rivoluzione francese in poi, l'individuo era garantito all'interno dell'ordinamento dello Stato centrale. Era la persona nella sua solitudine che si muoveva in questo coordinamento di sollecitazioni più vaste. L'orizzonte europeo mette la persona nella sua solitudine e nella necessità di organizzare la comunità per reggere la sua presenza rispetto all'orizzonte più alto. Da qui l'esigenza della ripresa del governo delle autonomie
La sussidiarietà, onorevole Volontè, non è una parola che si aggiunge all'altra. La sussidiarietà è una concezione della sovranità che capovolge il tipo di ordinamento. Quella non avrebbe richiesto norme protettive a difesa dell'interesse nazionale e tutte le altre disposizioni farraginose che avete messo nell'ordinamento.  Infatti, una siffatta concezione dell'ordinamento si garantisce automaticamente. La sovranità delegata è garantita dal delegante e dal delegato, non vi è bisogno di introdurre nella Costituzione norme di  salvaguardia.
Altro che miglioramento! Voi avete costruito la macchina che usa contemporaneamente il freno e l'acceleratore, non una volta il freno e l'altra l'acceleratore, e quando si usano insieme il freno e l'acceleratore la macchina non cammina: non potete mandare avanti la riforma (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani,  Misto-socialisti democratici italiani e Misto  Verdi-L'Ulivo)! Questo è quanto di più mostruoso vi  sia sul piano dell'ordinamento.
La terza questione è relativa al Governo.  Onorevole Fini, ho l'abitudine - confesso tale limite - di osservare le esigenze istituzionali non tanto partendo dalla norma, quanto partendo dal fatto. Non a caso, come ho detto nel corso dell'intervento durante la discussione sulle linee generali, mi ispiro molto alla scelta giuridica romana - ex facto oritur  ius - non ignorando che negli ultimi secoli è maturata, soprattutto nell'intelligenza europea, l'illusione di prefigurare il futuro e di imporlo alla storia. Ne abbiamo visto le conseguenze, tuttavia questa intelligenza, bene o male, vi è stata.  Ma in questo caso non vi è alcun disegno generale da imporre alla realtà da correggere: in questo caso vi è un pasticcio. C'è la realtà da governare, e voi pretendete di ingabbiarla dentro un insieme di convenienze tra di loro contraddittorie.
Il problema del Governo, intorno al quale ci siamo accapigliati...
 
PRESIDENTE. Onorevole De Mita, mi dispiace, la prego di concludere.
È quasi una crudeltà da parte tua (Commenti dei deputati del gruppo  della Lega Nord Federazione Padana)...
 
LAURA CIMA. Questa è storia, Presidente! Abbiamo sentito chiacchiere!
 
UGO PAROLO. Il terremoto...
 
LUCIANO DUSSIN. È un rompiballe!
 
DARIO GALLI. Basta!
 
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sono io che interrompo... Onorevole De Mita, le chiedo la cortesia di concludere... Ci siamo capiti a vicenda...
 
CIRIACO DE MITA. Signor Presidente, le chiedo ancora pochi secondi per  concludere.
 
PRESIDENTE. Onorevole De Mita, mi ricordo dal passato che la sua concezione dei tempi era un po' relativa...!
 
CIRIACO DE MITA. Non sono mai stato presidenzialista - mi rivolgo in particolare all'onorevole Fini - ma sono sempre stato convinto del valore del governo parlamentare. Tuttavia, ho sempre ritenuto e ritengo che il presidenzialismo conservi la logica della democrazia rappresentativa, perché a fronte della stabilità e dell'autonomia del Governo elegge un libero Parlamento, che non è obbligato a votare le leggi del Governo ma si pone in un rapporto dialettico nei confronti di quest'ultimo.
L'anomalia, o, se volete, la mostruosità della norma che voi proponete non è né il governo parlamentare né il governo presidenziale, ma è il governo personale, la cui logica porta all'annullamento del Parlamento, istituzione della democrazia rappresentativa: in ciò risiede il dissenso (Applausi dei deputati del gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani,  Misto-socialisti democratici italiani e Misto  Verdi-L'Ulivo)!
 
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole De Mita...
 
CIRIACO DE MITA. In ciò risiede il dissenso; pertanto, voteremo  contro ma con la speranza (Commenti dei deputati della Lega Nord Federazione Padana)...
 
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, basta! L'onorevole De Mita sta terminando. Onorevole De Mita, concluda!
 
LUCIANO DUSSIN. L'ora d'aria è finita!
 
PRESIDENTE. Onorevole Luciano Dussin.. .! L'onorevole De Mita sta concludendo. Onorevole De Mita, concluda!
 
CIRIACO DE MITA. Signor Presidente, quando affermo che votiamo «no», lo affermo con una grande speranza: che il «no» sia sollecitazione al rinsavimento, e vorrei ricordare a me e a tutti voi un versetto biblico, che recita: mai le tenebre sono così intense prima che sorga l'aurora (Vivi, prolungati applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di  sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista,  Misto-Comunisti italiani, Misto-socialisti democratici italiani e Misto Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni - Commenti dei deputati della Lega Nord Federazione Padana)!
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carrara (Commenti del deputato Gibelli. - Scambio  di apostrofi tra i deputati Gibelli e Cento, il quale lancia un fascicolo recante documenti di seduta all'indirizzo del deputato Gibelli, che glielo rilancia. Una voce dai banchi dei deputati del gruppo dei Democratici di  sinistra-L'Ulivo: Coglione...)...
Onorevole collega... Onorevole Cento, la richiamo all'ordine! Onorevole  Gibelli... È stato appena lanciato un fascicolo, l'ho visto io...
Onorevoli colleghi, l'intervento dell'onorevole De Mita non merita in alcun modo una gazzarra! È un intervento da rispettare, anche se non lo si condivide.
Onorevole Carrara, a lei la parola e le chiedo scusa.
 
NUCCIO CARRARA. Se i colleghi...
 
PRESIDENTE. Onorevole Carrara, mi aiuti, inizi pure il suo intervento!
 
NUCCIO CARRARA. Signor Presidente, le vengo incontro, aspetto solo che si calmino i colleghi della sinistra, che dimostrano un entusiasmo credo un po' eccessivo; a parte il lirismo... (Commenti dei deputati del gruppo  dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
 
PRESIDENTE. Non è lesa maestà parlare di entusiasmo (Commenti del deputato Nespoli)! Onorevole Nespoli, la prego!
Abbiamo discusso quattro settimane; ciascuno di noi ha passione civile. Ho ascoltato l'onorevole Cè, l'onorevole Volontè e l'onorevole De Mita: sono stati tutti interventi di grande spessore perché sentiti. E questo fa onore al Parlamento, non guastiamolo così (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale, Forza Italia e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro)! Onorevole Carrara, anche lei ha seguito il dibattito con grande passione, prosegua.
 
NUCCIO CARRARA. Anche io mi sono appassionato a questo dibattito, ma in questo momento cerco di essere più lucido che appassionato.
Svolgo una prima osservazione sugli interventi che mi hanno preceduto, con riferimento a quelli dei colleghi dell'opposizione; ancora non ho trovato un argomento che fosse in linea con la verità storica (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo). E negli interventi «migliori», come quello dell'onorevole De Mita, non si è andati oltre un certo lirismo costituzionale che non tiene conto che la Costituzione  esplica effetti pratici... (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
 
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia! Onorevole Carrara, sono io a doverle chiedere scusa. Onorevoli accanto al banco del deputato  Franceschini, per cortesia! Onorevole Alfonso Gianni, non parli al banco del Governo, con il Governo lei non parla spesso... Non lo faccia proprio oggi.
Dopo l'intervento dell'onorevole Carrara sono previsti gli interventi degli onorevoli Violante e Saponara. Credo sia interesse di tutti ascoltare, ma se qualcuno vuole parlare, allora esca. Ci vuole un po' di rispetto! Prosegua, onorevole Carrara.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 13,20)
 
NUCCIO CARRARA. Ogni Costituzione produce effetti pratici che riguardano la vita di tutti noi, anche nella quotidianità. È allora giusto rimettere le cose a posto e ripartire dalla verità storica. La prima accusa rivolta è che non stiamo facendo una riforma condivisa. È la prima falsità che va smentita. Anzitutto perché la predica non può venire dai banchi della sinistra e dell'Ulivo, lo stesso Ulivo che nel 2001 votò una modifica alla Costituzione con soli quattro voti di differenza (Applausi dei deputati del gruppo  di Alleanza Nazionale - Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita,  DL-L'Ulivo). Non mi sembra sia stata quella una riforma che ha riscosso un grande consenso parlamentare.
Ma ci sono altre verità che devono essere rimesse a posto. Partiamo dalla Costituzione esistente - che tanto amano i colleghi della sinistra - e vediamo quali effetti ha prodotto. Un dato incontrovertibile lo possiamo trovare nell'enorme contenzioso accumulatosi presso la Corte costituzionale. Tale contenzioso nasce da una riforma improvvisata, che non delimita con esattezza quali sono le competenze fra Stato e regioni, e che ha forti spinte centrifughe; una riforma che potrei benissimo definire secessionista, e se me ne date il tempo ve lo spiegherò (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
Quella era una riforma secessionista, perché al comma 3 dell'articolo 116 -  vi invito a rileggerlo - vi è una norma che prevede, ed è una norma oggi in Costituzione, dunque vigente, che una regione possa assumere particolare autonomia, quindi poteri speciali, su tutte le materie concorrenti, equivalenti a tutto lo scibile umano e - udite udite! - anche poteri di particolare autonomia rispetto a quelli che oggi sono  di esclusiva competenza dello Stato, come ad esempio le norme generali sull'istruzione.
È o non è questa una spinta secessionista? E noi che abbiamo cancellato quella norma siamo secessionisti, oppure abbiamo ridato senso all'attività dello Stato e abbiamo riportato al centro ciò che andava riportato al centro?
Vi è poi un'altra norma, piccola piccola, quasi insignificante: mi riferisco al comma 8 dell'articolo 117, che prevede che le regioni che lo vogliano possano anche costituire organi comuni per poter esplicitare le proprie funzioni, e non si precisa se debbano essere o non essere anche legislative. Questo significa che oggi, a Costituzione vigente, potremmo avere delle macroregioni: una macroregione del Nord (una Padania, per esempio), una macroregione al Centro e una macroregione al Sud (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana), con una spinta centrifuga e secessionista, che noi non possiamo accettare; anche questa norma è stata cancellata dal Senato.
E voglio citare un'altra norma. Nella Costituzione  del 1948 all'articolo 117 si parla di tutela dell'interesse nazionale: ebbene, in uno Stato che non era ancora federale si menzionava l'interesse nazionale come legame, collante tra tutti gli italiani. Bene! Anche se nella Commissione bicamerale De Mita fu ripreso il concetto di 'interesse nazionale', esso scompare nella Costituzione del 2001, proprio in quella Costituzione che pone le basi del federalismo e delle autonomie.
Allora, abbiamo fatto bene o male a reintrodurre il princìpio dell'interesse nazionale? Giudicate voi! Stiamo spaccando l'Italia, oppure la  stiamo rendendo più coesa, più vicina alla sensibilità degli italiani?
E poi invito tutti a leggere l'attuale articolo 117 della Costituzione, che distribuisce le materie tra lo Stato e le regioni, e vedrete che vi sono tante materie che, incomprensibilmente, sono andate a finire nel comma 3 dell'articolo 117, ad esempio l'energia. A Costituzione vigente le norme di dettaglio riguardanti il settore energetico saranno dettate dalle regioni: e noi non dovevamo cambiare questo? Non dovevamo dire che l'energia, quando ha valenza nazionale, deve competere allo Stato e che le grandi reti di trasporto, la cui legislazione di dettaglio è oggi demandata alle regioni, non dovevano ritornare nella competenza dello Stato, come anche le libere professioni, lo sport, il  made in Italy, che ritorna nelle competenze dello Stato?
Allora, abbiamo contribuito a rendere più unita l'Italia o la stiamo separando, spaccando, dilaniando, come dite voi? È vero, abbiamo anche rafforzato le autonomie locali, perché si tratta di un princìpio elementare: quello che prevede che quanto più forte e solido è il centro, tanto più forte e solida può essere anche l'istituzione periferica.
Questo è quello che noi abbiamo inserito nella Costituzione, che in altre parole significa «princìpio di sussidiarietà», che a sua volta significa «ciascuno faccia il passo secondo la lunghezza delle proprie gambe»: nessuno faccia il passo più lungo della gamba. Quindi, abbiamo riequilibrato i poteri fra lo Stato e le regioni, creando un federalismo equilibrato e solidale.
E perché vi scandalizzate dei termini «federale» o «federalismo», che voi, nel vostro programma elettorale, avete introdotto e citato esplicitamente? Nel vostro programma elettorale si parla di realizzazione del federalismo, nel vostro programma elettorale si parla di Camera federale. Perché, quando certe cose le facciamo noi, sono sbagliate? Sono sbagliate per princìpio, noi sbagliamo sempre, noi siamo figli di un dio minore, siamo scorretti politicamente, quindi, anche quando facciamo cose da voi condivise in aula, ci fate ostruzionismo.
 
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 13,25)
 
NUCCIO CARRARA. Non volete modernizzare lo Stato e non volete dare una  spinta al cambiamento: lo si è visto soprattutto quando si è discusso di premierato.
Ebbene, anche il premierato, amici della sinistra, era esplicitato nel vostro programma. Capisco che il pentitismo vi caratterizzi. Capisco anche che abbiate difficoltà a prendere impegni con gli elettori: solo voi, nel 1996, avete potuto scegliere Prodi, per poi sostituirlo con D'Alema, per poi  sostituire quest'ultimo con Amato e, infine, per sostituire tutti e tre con Rutelli! Questo principio noi lo neghiamo: non fa parte della nostra cultura! Allora, abbiamo inserito nella Costituzione ciò che piace agli italiani.
Onorevole De Mita, il voto di fiducia al premier ed al suo Governo non deve darlo il Parlamento: il voto di fiducia nasce dalla sovranità popolare (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Lega Nord Federazione Padana). È il popolo il vero sovrano! Noi, come Parlamento, siamo sovrani, ma la nostra sovranità è delegata: alla fine, dovremo rendere conto al popolo, come Governo e come maggioranza, di quello che avremo saputo realizzare, in maniera tale che la gente possa premiarci o punirci.
Con il premierato abbiamo introdotto il principio di responsabilità (Commenti del deputato Katia  Bellillo), il cui significato è quello di potere individuare perfettamente chi è alla guida del Governo e qual è la maggioranza che si assume le responsabilità insieme al Governo. Noi siamo contrari ai pasticci.
 
KATIA BELLILLO. Voi siete un pasticcio!
 
NUCCIO CARRARA. Noi siamo contrari ai ribaltoni, che confondono soltanto le idee agli italiani. Noi vogliamo lasciarci alle spalle quella Repubblica che, in cinquantatré anni - lo dico per gli italiani, i quali non possono avere tutte le informazioni -, ha avuto cinquantatré Governi. Cinquantatré Governi in 53 anni! Di questi, poi, quaranta non sono riusciti a durare un anno e ventuno neanche sei mesi (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Lega Nord Federazione Padana), mentre cinque sono nati già morti!
La stessa cosa non succedeva e non succede in Europa: in Germania, ad esempio, dal 1949, si sono succeduti soltanto sette Cancellieri e in Francia trentanove Governi; ma - udite, udite! - in Gran Bretagna, dal 1771, in ben 283 anni, si sono avuti soltanto cinquantuno Primi ministri, meno dell'Italia dal 1948 ad oggi!
 
KATIA BELLILLO Dacci i Primi ministri italiani!
 
NUCCIO CARRARA. Negli Stati Uniti, dal 1789, si sono avvicendati trenta Presidenti e cinquantaquattro Governi!
Ebbene, noi vogliamo allinearci all'Europa; vogliamo essere in linea con il mondo; vogliamo costruire istituzioni che rendano l'Italia grande e capace di affrontare le sfide che vengono da una società sempre più complessa e che richiedono risposte sempre più rapide e più precise.
Noi abbiamo fatto questa riforma non per noi stessi o per un uomo o per più  uomini: l'abbiamo fatta per l'Italia! Grazie (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
 
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PRESIDENTE. Grazie, onorevole Carrara.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Violante. Ne ha facoltà.
 
LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, colleghi del Governo,  colleghi deputati, noi riteniamo che una riforma della seconda parte della Costituzione sia urgente per dare modernità ed efficacia alle istituzioni e per dare competitività al paese sulla scena internazionale. È per questi motivi che, nella scorsa legislatura, abbiamo avviato la riforma federale dello Stato e, nel corso dei lavori sul disegno di legge costituzionale in esame, abbiamo presentato proposte idonee a perseguire quegli obiettivi, proposte da voi respinte.
Ma, con questa vostra riforma, federalismo e premierato sono diventati pure etichette che, come dirò tra un momento, nascondono rischi di rottura dell'unità nazionale e pericolosi autoritarismi. Il sistema di decisione politica è paralizzato ed i costi sono inaccettabili. È per questo che voteremo contro.
Come ha detto l'onorevole De Mita pochi attimi fa, stiamo perdendo una  grande occasione. Dinanzi alle grandi sfide del mondo che cambia, questa riforma costituzionale non aiuta l'Italia a conquistare un posto migliore nella gerarchia globale, ma anzi la rende vecchia, rigida, e priva della capacità di utilizzare le grandi riserve di intelligenza e di creatività proprie della nostra esperienza nazionale.
È sfuggita alla vostra riforma l'idea che un sistema politico, per funzionare in modo adeguato, ha bisogno di consenso, ha bisogno di procedure che nella vita politica quotidiana ne attivino la ricerca.
Voi date l'impressione di ritenere di poter fare a meno del consenso. Non parlo naturalmente del consenso elettorale, mi riferisco ad  una idea di democrazia che non sia una parentesi tra una elezione e la successiva, ma costruzione permanente di coesione civile, sociale e politica.
Il fatto stesso che adesso voi stiate per votare la sesta versione di una riforma che ogni volta è stata presentata come perfetta e immodificabile, e che ogni volta avete modificato voi stessi, dopo interminabili conciliaboli interni, è segno che non avete per nulla considerato la costruzione comune fra tutte le forze politiche, di un nuovo modello costituzionale come fattore di credibilità e di legittimazione di quel modello.
Le norme che vi apprestate a votare sono un punto di equilibrio all'interno della coalizione, non sono il frutto di una strategia costituente per il paese. Per questo non avrebbe retto ad un confronto vero con l'opposizione, e per questo voi, il confronto, non lo avete potuto praticare.
Il nostro sistema politico è ancora immaturo e ha in sé il rischio di far ritenere i vincenti nelle elezioni generali come figli di un dio maggiore. In questa legislatura il rischio è diventato realtà, per la differenza elevata di seggi tra maggioranza e opposizione, per la presenza all'interno del centrodestra di filoni culturali fortemente autoritari e per la specifica cultura politica del Presidente del Consiglio, che non sempre distingue i meccanismi del mercato da quelli dello Stato e della politica.
I figli di un dio maggiore ritengono di essere autosufficienti, considerano gli organismi di controllo come un fastidioso intralcio, non distinguono gli interessi privati da quelli pubblici, disdegnano il principio fondamentale del costituzionalismo per il quale le regole servono a disciplinare l'esercizio del potere, costruiscono invece meccanismi per i quali l'esercizio del potere disciplina l'applicazione delle regole.
Da questo impianto teorico nascono i difetti principali di questa riforma. Il primo difetto sta nel fatto che non avete mai voluto confrontarvi con l'opposizione sul progetto complessivo, a differenza di quanto facemmo noi nella scorsa legislatura. Nella scorsa legislatura il centrosinistra, lo dico ai colleghi del centrodestra, propose una Commissione bicamerale che venne istituita con legge costituzionale, alla quale voi partecipaste.
Insieme, centrosinistra e centrodestra, costruimmo un progetto complessivo che venne portato in aula: insieme. Ma nel maggio 1998, tre settimane dopo l'ingresso dell'Italia nel sistema della moneta unica, ingresso che era frutto del riconosciuto risanamento del bilancio pubblico fatto dal Governo Prodi, l'allora capo dell'opposizione decise di rompere unilateralmente il patto costituente, e il processo di riforma  venne bloccato.
Molti mesi dopo, per la pressione delle regioni, di centrosinistra e di centrodestra, la maggioranza approvò la prima riforma federale del nostro paese con pochi voti di scarto. La riforma fu confermata dal referendum popolare. Quindi noi avviammo un processo di riforma consensuale, foste voi che vi  sottraeste al confronto per calcolo politico.
E allora, cari colleghi, delle due l'una: o nel processo costituente vale il potere di veto delle minoranze, e voi dovreste fermarvi, oppure facemmo bene noi a procedere. In questa legislatura, mentre  di elezione in elezione si è assottigliato il favore della società italiana nei vostri confronti, voi, afflitti dal complesso di autosufficienza, avete continuato a sottrarvi al confronto con l'opposizione. Avete certamente accolto qualche nostro suggerimento anche qui in aula, ma dovete riconoscere, cari colleghi, che si è trattato di cose assai piccole che lasciano intatto il modello politico come, permettetemi il paragone, qualche chiazza di fard su un viso devastato dal vizio, che non riesce a nascondere, anzi mette meglio in rilievo i difetti della decadenza.
Una Costituzione deve creare un ordine. Questo ordine deve essere destinato a durare nel tempo e deve chiaramente fissare i rapporti tra gli organi della Repubblica, deve rendere prevedibile i comportamenti di ciascuna istituzione, e deve dare la possibilità di reggere attraverso i mutamenti sociali e civili, senza andare in frantumi.
L'ordine costituzionale democratico, per questo motivo, è costruito attraverso il consenso e vive per la sua capacità di continuare a costruire consenso e di rappresentare in ogni momento - in ogni momento - problemi, bisogni e aspirazioni del paese. Ma il sistema che avete costruito è fondato sul conflitto e sulla instabilità permanente, perché ciascuna delle parti politiche in voi rappresentate ha preteso il suo pezzo di riforma - il federalismo, il premierato, il centralismo -, dando a ciascuno di essi il massimo di espansione possibile, senza curarsi né della contraddittorietà tra le varie ipotesi, né del funzionamento complessivo del sistema.
Colleghi, abbiamo assistito poco fa a una cosa assai significativa: l'onorevole Cè ha fatto l'elogio del federalismo sino alla secessione; il collega Carrara ha fatto l'elogio del centralismo fino allo statalismo. Entrambi si sono riconosciuti, in questo testo, in logiche assolutamente contraddittorie e incompatibili tra loro. Questo è il difetto di fondo del vostro testo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di  sinistra-L'Ulivo della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-socialisti democratici italiani). Ed è per questo che, dovendo trovare una quadra - come direbbe, credo, l'onorevole Calderoli -, avete cercato alla fine soluzioni autoritarie, come unica forma di chiusura dei conflitti: l'attribuzione di poteri politici imperativi ai Presidenti delle Camere e al Presidente della Repubblica, il ricatto del Primo ministro nei confronti della Camera, e così via. La stretta autoritaria è il vostro pericoloso tentativo di uscire dal caos istituzionale creato da questa riforma.
Il vostro modello non è il federalismo, sul quale noi siamo d'accordo, ma la secessione, che contrastiamo duramente, perché questo modello che avete costruito si basa su attribuzioni di competenze tra Stato e regioni che si sdoppiano e si sovrappongono, creando una perenne in certezza sulla titolarità dei poteri e paralizzando il sistema delle decisioni. Da queste norme nasce non un ordine, ma solo la definizione dei campi di scontro tra Stato e regioni. Poi nello scontro, di volta in volta, vincerà il più forte e si sbriciolerà l'unità nazionale, concetto, colleghi di Alleanza nazionale, che avete consapevolmente ed espressamente abrogato dalla nostra Costituzione.
 
ROBERTO MENIA. Non è vero!
 
LUCIANO VIOLANTE. È un modello che per i costi, la conflittualità e l'imprevedibilità discrimina i cittadini in relazione alla regione di appartenenza (in particolare, i costi economici sono inaccettabili per tutti, per le famiglie e per le imprese). Avete rifiutato di discuterne perché sapete che diciamo la verità, ma torneremo incessantemente su questo aspetto dei costi, che sarà uno dei punti di forza della campagna referendaria.
Agendo sulla stessa linea, avete praticamente cancellato il Parlamento e la sua capacità di rappresentanza generale del paese. Questo Parlamento, il Parlamento italiano, nella sua secolare storia, è sempre stato, tranne la parentesi fascista, il luogo del confronto e della faticosa costruzione dell'unità nazionale. Voi cancellate questa esperienza: la Camera dei deputati diventa un servo muto degli interessi del Primo ministro; il Senato diventa un organo ambiguo e ambivalente, non dà l'indirizzo politico, ma può approvare definitivamente leggi di grande rilievo. Si doveva cancellare il bicameralismo perfetto - questione sulla quale eravamo e siamo d'accordo -, ma l'avete reintrodotto per una miriade di materie. Si doveva istituire il premierato - questione sulla quale eravamo e siamo d'accordo -, ma avete invece costruito un despota.
Il modello del Primo ministro, cari colleghi, non è stato né  Schroeder, né Blair, né  Bush; dietro questa riforma c'è l'ombra di  Putin, modello che andrà bene per la Russia, ma che a noi non piace per nulla (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di  sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-socialisti democratici italiani - Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale). È l'amico del Presidente del Consiglio, colleghi, non trattatelo così (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
 
ROBERTO MENIA. Pensa a Breznev!
 
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego, calma e sangue freddo!
 
LUCIANO VIOLANTE. Un paese moderno ha bisogno di un sistema flessibile, capace di adattarsi alle evenienze, ma avete costruito un tenebroso giocattolo: diktat e strozzature. È scomparsa la capacità di mediazione della politica e la scena è dominata dalla illusione autoritaria.
Il comando unico, in questa legislatura, vi ha fatto commettere un sacco  di errori: vi ha fatto approvare leggi che hanno riempito di vergogna il nostro paese, ha fatto passare la competitività dell'Italia al di sotto del pur nobile Botswana...
 
PRESIDENTE. Onorevole Violante...
 
LUCIANO VIOLANTE. ... ed ha fatto aumentare povertà e sfiducia. Tutto questo, onorevoli colleghi, perché un uomo solo al comando può sbagliare, ed è indotto a sbagliare sempre più spesso se il sistema non ha in sé gli anticorpi per correggerlo.
Se la riforma in esame dovesse essere approvata, noi siamo pronti a chiedere al paese di respingerla, attraverso un referendum; poi, dovremo sederci attorno allo stesso tavolo e decidere quali siano le procedure più idonee per una riforma che serva al paese, non ad un ramo del Parlamento, o ad un gruppo politico, oppure ad una determinata e transitoria maggioranza, o addirittura ad una singola persona.
Decideremo poi se si tratterà di una Commissione redigente, come pensano alcuni, oppure di una Commissione costituente, come pensano altri, ma essa  deve essere eletta direttamente dagli italiani con il sistema proporzionale. Lo vedremo insieme, e ribadisco insieme, colleghi del centrodestra, sia perché sappiamo che non siamo autosufficienti, sia perché i vostri errori ci sono serviti da lezione. Inoltre, avendo chiesto un percorso comune nell'attuale legislatura, non potremmo certamente sottrarci a tale impostazione nella prossima, qualora dovessimo vincere le elezioni politiche.
Prima di concludere, onorevoli colleghi, permettetemi di ringraziare di cuore, ed in modo non formale, quelle deputate e quei deputati del mio gruppo, nonché di tutta l'opposizione, che hanno profuso, in questo duro impegno parlamentare, doti di esperienza politica, di competenza e di grande pazienza. Da tutti loro abbiamo imparato molto in questi giorni, ed il loro impegno ci sarà prezioso nella battaglia referendaria che ci attende (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita,  DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-socialisti democratici italiani e  Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni).
 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Saponara. Ne ha facoltà.
 
MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei rappresentare che il gruppo di Forza Italia esprime soddisfazione e gratitudine per il lavoro svolto dalla Camera dei deputati e per il risultato conseguito. Esso esprime, altresì, apprezzamento per l'intelligenza politica del ministro  Calderoli e del sottosegretario Brancher, e preannunzia che voterà compatto e convinto a favore del disegno di legge costituzionale in esame.
Si tratta di un momento importante, poiché il Governo Berlusconi fornisce un'altra ed importante prova di essere in grado di realizzare il programma proposto ai cittadini italiani, il quale prevedeva, tra l'altro, l'ammodernamento dello Stato. È proprio questo aspetto ad aver scatenato, da parte dell'opposizione, una campagna di delegittimazione del Presidente Berlusconi, che avrebbe sostenuto questa riforma solo per far contenta la Lega Nord, nonché di criminalizzazione della riforma costituzionale stessa.
Abbiamo sentito affermare che, con tale riforma, si sarebbe spaccata l'Italia e che vi sarebbe stata, da una parte, un'Italia povera che sarebbe diventata sempre più povera e, dall'altra, un'Italia ricca che sarebbe stata sempre più ricca. Ma è stato taciuto agli italiani che di riforma dello Stato avevano parlato Spadolini e  Craxi e che se ne erano occupate la Commissione Bozzi, la Commissione De Mita-Iotti e, infine, la Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema. È stato altresì taciuto agli italiani che la devoluzione nasce dalla Costituzione del 1947, allorché furono previste sia le regioni, sia le autonomie amministrative,  nonché dalla riforma del Titolo V della nostra Carta, approvata con la maggioranza risicata di soli quattro voti.
Ora, esponenti qualificati dell'allora maggioranza riconoscono che si trattò di un errore. L'onorevole Gerardo Bianco ha definito infausta tale riforma, ma essi vogliono negare a noi il diritto-dovere di attuare il programma di governo, sostenendo che riforme importanti vanno varate con una larga maggioranza, che comprenda anche parte, o gran  parte, dell'opposizione. Si tratta di un'esigenza sicuramente avvertita anche da noi, e vorrei sottolineare che abbiamo ascoltato il monito che è venuto prima dal Capo dello Stato, e successivamente dal Presidente della Camera.
Si è sostenuto, inoltre, che una riforma così impegnativa avrebbe richiesto la convocazione di un'assemblea costituente, e comunque lo stesso «spirito costituente» che animò la Commissione dei settantacinque, di cui facevano parte La Pira, Dossetti,  Calamandrei ed altri grandi padri della nostra democrazia. È chiaro che è illusorio pensare di ricostituire quello spirito. I tempi sono cambiati e non ci sono la tensione morale e la passione civile proprie di un  contesto diverso. Vorrei ricordare, infatti, che c'era stata la guerra, c'era stato il Ventennio, c'era stata la tragedia della guerra civile, c'era l'ansia della riappacificazione e c'era anche la speranza di riconquistare la libertà.
Oggi c'è la libertà che, evidentemente, non apprezziamo a sufficienza. Allora, non vi era il Parlamento e, quindi, bisognava creare un organismo nel quale far convivere tutti i cittadini e fare esprimere agli stessi cittadini le loro ansie, le loro istanze e le loro proposte. Oggi, vi sono la Camera dei deputati, il Senato, le Commissioni, e pertanto non vi sarebbe assolutamente bisogno di un'assemblea costituente.
Noi abbiamo cercato, accogliendo il monito del Capo dello Stato, di creare lo spirito costituente, nella Commissione e in Assemblea. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci siamo riusciti, perché in Commissione abbiamo avuto la collaborazione determinante, effettiva ed efficace dei colleghi dell'opposizione, ai quali va il mio ringraziamento, così come è andato loro il ringraziamento dell'onorevole Violante.
Ciononostante, i leader dell'opposizione hanno ritenuto di fare muro contro muro e di far votare contro gli articoli, che pure avevano accolto i loro emendamenti. Hanno votato anche contro l'articolo 24 del provvedimento, che riconosceva al Presidente della Repubblica la facoltà di concedere la grazia, senza proposta del ministro della giustizia. In tal modo, una loro battaglia in favore della liberazione di Sofri - condotta, in special modo, dall'onorevole Boato - è stata caducata dalla cecità del fare muro contro muro.
In quanto al merito della riforma, noi ci riteniamo pienamente soddisfatti. Si è affermato che la devolution avrebbe spaccato l'Italia. Sono stati corretti i guasti prodotti dalla riforma del 2001, che avevano determinato, tra l'altro, un consistente contenzioso tra Stato e regioni davanti alla Corte costituzionale.
In quanto al timore di spaccare l'Italia, tra quella povera e quella ricca, sono state introdotte norme che dovrebbero tranquillizzare, nel modo più assoluto, tutti coloro che avevano espresso tale paura. È stato riformato l'articolo 114, secondo cui comuni, province, città metropolitane e regioni esercitano le loro funzioni secondo i principi di  sussidiarietà e solidarietà; vi è l'articolo 18 del provvedimento, che prevede il coordinamento tra tali enti, sulla base dei principi di leale collaborazione e solidarietà. Vi è, inoltre, il riformato articolo 120, secondo cui lo Stato può sostituirsi a regioni, province, città metropolitane e comuni ogni qual volta ciò sia necessario per la tutela dell'unità giuridica ed economica e per la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Vi è, ancora, la riforma dell'articolo 127, che accenna all'interesse nazionale, prevalente su tutto e che rappresenta, quindi, la ratio riformatrice di tutta la riforma.
Per quanto riguarda il Senato federale, l'onorevole De Mita - del quale ho apprezzato, come di consueto, la cultura da «Magna Grecia» - ha accennato al problema del bipolarismo e del monocameralismo, che fu posto cinquant'anni fa, ma che non è stato mai risolto. Noi lo abbiamo risolto. Se si considerano gli interventi dei relatori e di coloro che sono intervenuti nella legislatura, tutti hanno parlato della necessità di istituire un organo che svolgesse il ruolo di «camera di compensazione» tra lo Stato e le regioni. L'attuale opposizione non la definì, non la creò. Si riprometteva di farlo nella legislatura successiva, nella speranza - purtroppo per essa delusa - di vincere le elezioni.
Per quanto riguarda il premierato, abbiamo assicurato la governabilità del paese, che si inseguiva fin dalla «legge truffa», che tanto dispiacere provocò a De Gasperi; ed è sotto gli occhi di tutti e, specialmente, dell'onorevole De Mita - il quale ha partecipato a molte sfibranti consultazioni - che, in  cinquant'anni, vi sono stati più di quaranta Governi, che restavano in carica, in media, undici mesi.
Noi riteniamo che si tratti di una buona riforma, peraltro da tutti ritenuta necessaria. Da Spadolini a  Craxi, nelle Commissioni De Mita e Iotti, tutti hanno parlato della necessità di aggiornare la Costituzione. Io avevo introdotto anche l'argomento dell'articolo 68 sull'immunità dei parlamentari, cercando di adeguarla all'immunità prevista dal Parlamento europeo, e il tema della riforma dell'articolo 79, circa la maggioranza richiesta per l'amnistia e l'indulto; ma abbiamo ritenuto di rinviare ad altra sede questa riforma, peraltro molto sentita ed importante.
L'opposizione ha ritenuto di fare muro contro muro e minaccia di ricorrere al referendum, alla piazza, ai cittadini. Il professor  Ceccanti, costituzionalista non certo amico della destra, aveva scritto su Il riformista che l'articolo 120 aveva svuotato completamente il referendum e che nessuno avrebbe avvertito l'esigenza di votare contro questa riforma.
Questa mattina i colleghi dell'opposizione hanno ripetuto che, oramai, essi fidano e confidano solo nel referendum, per poi sedersi al tavolo con noi e realizzare una riforma più condivisa, a differenza di quanto è stato fatto in questa occasione. Ebbene, noi non temiamo il referendum. Voi sarete costretti a dire ai cittadini solo cose non vere. Noi, invece, diremo e dimostreremo che abbiamo corretto la vostra riforma del 2001 e che siamo riusciti ad approvare la riforma dello Stato che, affrontata fin dagli anni Ottanta, non si era riusciti a realizzare (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni).
 
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PRESIDENTE. Grazie, onorevole Saponara. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Vorrei ringraziare, peraltro, gli onorevoli Savo e Sgarbi che hanno accettato di consegnare eventualmente il testo delle loro dichiarazioni di voto finale, di cui la Presidenza, sulla base dei consueti criteri,  autorizza la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna.
Onorevoli colleghi, pur nelle aspre contrapposizioni, vorrei dire che la passione civile che ha animato il dibattito di oggi, di tutti i gruppi, di maggioranza come di opposizione, fa onore al Parlamento.
Prima di dare la parola al presidente Bruno, vorrei rivolgere un ringraziamento non formale al presidente della Commissione affari costituzionali, che con grande intelligenza e duttilità ha lavorato assieme al Comitato dei nove (Applausi). A questo proposito, vorrei ringraziare, in particolare, i membri dell'opposizione del Comitato dei nove, che non sempre si sono trovati in una condizione agevole, ma che hanno veramente assolto con grande senso del dovere il loro incarico (Applausi). Naturalmente, ringrazio anche il ministro ed il sottosegretario che hanno assistito ai nostri lavori (Applausi).
Credo che il ministro Calderoli intenda prendere la parola, solo per rivolgere ringraziamenti e non per esprimere considerazioni politiche. Prego, ministro Calderoli.
 
ROBERTO CALDEROLI, Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione. Signor Presidente, intervengo brevemente per rivolgere dei ringraziamenti ed un augurio.
Vorrei ringraziare tutti i deputati, di maggioranza e di opposizione, perché credo che tutti abbiano compiuto uno sforzo notevole (I deputati Cento, Bulgarelli, Zanella e Lion espongono cartelli recanti la scritta: «L'Italia piange la Costituzione della Repubblica condannata a morte dal Governo Berlusconi»)...
 
PRESIDENTE. Per cortesia, onorevole Cento, onorevole Bulgarelli, onorevole Zanella, onorevole Lion... Vi  richiamo all'ordine!
Togliete quei cartelli, per favore! Vi richiamo ancora all'ordine! Onorevole Cento, onorevole Lion...
Prego, ministro Calderoli, prosegua pure.
 
ROBERTO CALDEROLI, Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione. Grazie, Presidente.
Voglio rivolgere un ringraziamento al Comitato dei nove. Maggioranza e opposizione hanno lavorato e dato tanto. Un ringraziamento è rivolto anche al presidente Bruno, per la pazienza e il lavoro svolto.
Infine, un ringraziamento a lei, Presidente, per questo tour de force e questa lunga maratona.
Voglio, infine, fare un augurio. Ieri è uscito un francobollo della  Royal mail con la scritta: Get well soon Umberto (Guarisci presto Umberto) (Applausi). Credo che questo, al di là delle ideologie, possa essere l'augurio che tutta quest'Assemblea può rivolgere all'onorevole Bossi (Applausi).
 
PRESIDENTE. La ringrazio, ministro Calderoli.
 
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