Dichiarazioni di voto Ddl di revisione Costituzionale: voto in prima
lettura della Camera dei Deputati - 15 ottobre 2004
Fonte: Camera |
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PINO PISICCHIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi,
onorevole ministro, rappresentanti del Governo, a voler giudicare secondo
ermeneutiche esclusivamente giuridiche il processo che si è consumato
in quest'aula, nelle ultime settimane, intorno alla Costituzione si dovrebbe
aprire ben altro è più profondo dibattito, in grado di penetrare
l'essenza del potere costituente.
Ciò che è avvenuto, infatti, somiglia assai
da vicino ad una revisione totale dell'impianto ordinamentale al ribaltamento
di quella che costituzionalisti come Mortati, Barile, De Siervo e De Vergottini
identificano come la «supercostituzione», intesa come l'organizzazione
statuale affermatasi nel tempo e riconosciuta come immodificabile in una
Costituzione rigida come la nostra, tranne che non si torni alla fonte
del potere costituente, che nei regimi democratici è esercitato
dal popolo sovrano attraverso speciali assemblee rappresentative: le assemblee
costituenti.
Ho umanamente apprezzato il fervore riformista che ha
animato i colleghi della maggioranza, ed anche la partecipazione dei colleghi
di minoranza, in queste lunghe sedute. Perdonatemi, però, illustri
colleghi, se non sono riuscito a provare il vostro stesso sentimento. Io
non ho presentato un solo emendamento all'articolato proposto: non per
un gesto irrispettoso nei confronti di un'Assemblea ai cui lavori ha preso
parte interamente, ma perché ho ritenuto e ritengo che una riforma
così radicale della regola costituzionale non possa essere fatta
con la logica della contrapposizione insita nel sistema maggioritario.
Mi domando come possa un Parlamento eletto per esprimere
il Governo, a parziale detrimento della rappresentanza, far passare - a
colpi di maggioranza governativa - modifiche relative alla filosofia stessa
su cui si basa l'ordinamento costituzionale, tradendo così lo spirito
dell'articolo 138. I costituenti, infatti, previdero sì la possibilità
di una modifica della Carta attraverso quell'articolo, ma immaginando riforme
circoscritte, non stravolgimenti di sistema, e, soprattutto, pensando ad
un Parlamento espressione di uno spirito proporzionalistico, capace, cioè,
di rappresentare davvero le culture politiche di tutto il paese.
Quello che, invece, si sta facendo oggi è un aggiustamento
ad uso di una maggioranza di Governo - così come fu anche, non ho
trascurato di segnalarlo, la riforma del Titolo V votata dalla maggioranza
di allora sul finire della passata legislatura -, non già la legge
in cui possono riconoscersi tutti gli italiani!
La Costituzione è fatta per durare nel tempo:
la Costituzione federale americana è del 1789; il Parliament
Act inglese è del 1949; la Costituzione francese della Quinta
Repubblica è del 1958; quella tedesca è del 1949; la nostra
Costituzione del 1948, invece, rischia di cambiare ad ogni nuova legislatura,
ad ogni cambio di maggioranza!
È vero: una parte di essa, quella relativa all'ordinamento
dello Stato, non certo quella relativa ai principi, deve essere riformata;
ma non sarà certamente un Parlamento «maggioritarista»
e diviso a farlo: solo un'Assemblea costituente eletta con il sistema proporzionale
e, dunque, pienamente rappresentativa degli italiani potrà portare
a termine il processo riformatore, che non potrà dirsi certamente
compiuto con l'esibizione delle muscolarità delle maggioranze.
Nel ribadire, pertanto, il mio voto contrario all'impianto
proposto, anche per le ragioni metodologiche richiamate oltre che per cospicue
ragioni di merito, dichiaro che, da oggi, mi sentirò impegnato,
insieme ad altri colleghi, a lavorare nel paese per creare movimenti a
difesa della Carta costituzionale del 1948.
Il grande misfatto che, insieme ad altri, si è
consumato in questi mesi in quest'aula è l'aver celato al popolo
sovrano l'entità della posta in gioco, realizzando uno stravolgimento
della Costituzione come fosse un banale rito da vivere solo all'interno
di un ceto politico rassegnato, e forse anche inopinato detentore di un
potere costituente che non gli spetta (Applausi dei deputati del gruppo
Misto-socialisti democratici italiani).
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole
La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, è ovvio che quella
di oggi è una delle sedute più importanti di questa legislatura,
a conclusione di un complesso lavoro che ha visto una discussione molto
elevata nei toni. È quindi giusto che ci sia una riflessione molto
profonda su quello che abbiamo fatto e sulle sue implicazioni.
Devo dire che la mia parte politica, che ha sempre partecipato alla
vita repubblicana dal dopoguerra, ha sempre guardato con grande preoccupazione
e diffidenza al grande sforzo di riforma della Costituzione di cui si parla
ormai da vent'anni.
Il problema italiano, lo abbiamo sempre pensato e io lo penso tuttora,
non era e non è un problema costituzionale, ma è un problema
politico. I difetti, le debolezze della vita istituzionale del nostro paese
hanno riflesso la sua storia nel corso del secolo XX. In fondo, la grande
riforma costituzionale italiana è avvenuta con il congresso della
Bolognina e con il congresso di Fiuggi, onorevoli colleghi, quando cioè
è intervenuta la possibilità di immettere nel gioco democratico
forze politiche che non erano precedentemente includibili nello stesso,
in ragione delle loro ideologie o delle loro posizioni politiche, mantenute
per larga parte del secolo XX.
Questa considerazione, onorevoli colleghi, è tanto vera che,
all'indomani di quegli eventi, del 1994 l'uno, del 1989-1990 l'altro, la
vita politica italiana ha preso il corso del bipolarismo, dell'alternanza,
di tutto quello che si riteneva, e tuttora si ritiene, di dover determinare
attraverso la riforma costituzionale. Non è affatto così.
Anche se volessimo condividere l'affermazione che era necessario per il
paese il cambiamento costituzionale, debbo dire che, dal punto di vista,
per esempio, delle sue condizioni economiche e sociali, è stato
maggiore il progresso che ha compiuto l'Italia sotto il vecchio sistema
costituzionale di quello che sta compiendo sotto il nuovo assetto politico
istituzionale che si è venuto a determinare negli ultimi dieci anni.
L'Italia ha scalato posizioni nella graduatoria dei grandi paesi industriali
sotto quel sistema di instabilità che si vuole eliminare e le sta
perdendo sotto il sistema bipolare che si è voluto testardamente,
distruggendo le forze politiche, distruggendo i partiti politici e indebolendo
il Parlamento.
Questa è la mia convinzione, per cui guardo con malinconia all'idea
che si modifichino 40 articoli della Costituzione del nostro paese alla
ricerca di cose che il buonsenso politico, la saggezza politica hanno già
determinato in anni lontani e potrebbero determinare domani mattina, se
solo ne fossimo capaci.
Ai colleghi del centrosinistra devo dire, senza alcuna polemica, che
essi portano la responsabilità principale di questo stato di cose,
che nel complesso non posso giudicare positivamente. Penso a quel voto
alla fine della scorsa legislatura, onorevoli colleghi, onorevole Violante,
onorevole Fassino, sotto le elezioni, con una maggioranza ristretta. All'epoca
io facevo parte del centrosinistra. L'onorevole Violante ricevette una
lettera, così come l'onorevole Veltroni, e vi furono colloqui nei
quali io li scongiurai di non creare un precedente di questo genere. Mi
fu risposto che, quando una maggioranza ha i numeri, l'articolo 138 rappresenta
sufficiente motivo per votare.
Quindi, in politica non bisogna creare precedenti, perché smontare
un precedente è molto più difficile che rinunziare ad un
precedente. Ma questo non giustificherebbe, onorevoli colleghi, e non giustifica
una riforma costituzionale che nel complesso non è soddisfacente.
Dico ai colleghi che io ho votato con piena convinzione la riforma del
Titolo V della Costituzione, che secondo il mio avviso è migliorativa.
Non sono sicuro che una struttura regionalistica nel nostro paese farà
funzionare meglio l'Italia, ma sono convinto che si possa esplorare questo
terreno; e sono convinto che ci sia stata una elaborazione sufficiente,
tra quella del centrosinistra e quella dell'attuale maggioranza, per tentare
un aggiustamento costituzionale. Ma non sono convinto, onorevoli colleghi
(mi rivolgo ai miei colleghi della maggioranza), che l'elaborazione
sia stata sufficiente sui poteri del Senato e su quelli della Camera, sul
nuovo processo legislativo; non sono affatto convinto che stiamo scrivendo
una buona riforma per quanto riguarda il premier! La riforma che
noi abbiamo scritto sul premier - che voi avete scritto sul premier
- è una riforma che, più che al futuro, guarda al passato,
guarda alle vicende del 1994, alle decisioni del Presidente Scalfaro; non
si può scrivere una Costituzione pensando ad ipotesi che probabilmente
non sono più realistiche.
In questa legislatura non c'è stato un ribaltone, non ci potrebbe
essere, ci sono fenomeni politici. Ancora una volta non si può pensare
di obbligare il mondo politico dentro il «corsetto istituzionale»;
l'evoluzione politica è molto più importante delle leggi
costituzionali. E l'evoluzione politica ha reso impossibile e renderebbe
impossibile il ribaltamento delle coalizioni; la stabilità del Governo
Berlusconi è quinquennale e, probabilmente, nella prossima legislatura
ci sarà un Governo stabile.
Trovo molto pericoloso scrivere norme sul premierato che indeboliscono
troppo il Parlamento. È indispensabile: noi non possiamo sacrificare
alla cosiddetta governabilità la molteplicità di voci, che,
in una società democratica, esprime e deve continuare ad esprimere
il Parlamento. Noi non possiamo rischiare di sacrificare il valore della
partecipazione dei cittadini, che si esprime attraverso l'elezione di 600
deputati, attraverso un sistema nel quale ci sia la voce del capo dell'opposizione
e la voce del capo della maggioranza. Ma negli Stati Uniti c'è la
voce del capo della maggioranza, del capo dell'opposizione! Ma nel Senato
il Presidente degli Stati Uniti conta come una voce, per così dire,
e il Senato ha la libertà di bocciare le leggi proposte dal Governo,
ha la libertà di fare le leggi che esso ritiene, e il Presidente
degli Stati Uniti, al massimo, può ricorrere al diritto di veto.
O si sceglie una dialettica con l'uomo scelto per guidare l'esecutivo dal
popolo o si sceglie un Governo espresso dal Parlamento, con il Parlamento
che mantiene il potere sostanziale di costituzione e di formazione dei
governi. Una forma come quella che è delineata nella Costituzione,
che io spero possa essere modificata dal Senato, che fa coincidere la maggioranza
parlamentare con il potere del Primo ministro, scelto dai cittadini, è
una forma che non potrà funzionare, perché mortificherà
la vita democratica del nostro paese.
Queste sono le ragioni, onorevoli colleghi, per le quali, al termine
di questo dibattito, bilanciando le ragioni di favore verso alcune parti
della riforma con le preoccupazioni molto profonde che sento per le altre
parti della riforma, non potrò andare oltre un voto di astensione
su questo provvedimento. E mi rendo conto che, avendo noi repubblicani
scelto una alleanza con la Casa cosiddetta delle libertà, con l'attuale
maggioranza, il fatto che su una legge costituzionale, che è uno
dei fondamenti di un accordo politico, noi prendiamo le distanze debba
dire qualche cosa al capo della coalizione, al Presidente del Consiglio
e ai colleghi della maggioranza. È una rottura di cui io non sottovaluto
l'importanza ed è la ragione per la quale la manifestiamo in un
voto di astensione.
Ma certamente avremmo preferito concentrare il nostro impegno e la
nostra attività sul funzionamento politico del paese. Noi non crediamo
- fatemelo dire alla fine di questo intervento - che le leggi possano sostituire
la volontà politica, la capacità politica, la passione politica
e gli ideali politici. Questi ideali vi sono stati nell'Italia repubblicana
del dopoguerra che, nonostante i difetti di quell'impianto costituzionale,
è diventata un grande paese.
Non sarà una riforma costituzionale ad assicurare il successo
di ciò che gli uomini politici, nella loro capacità, nella
loro passione e nei loro ideali non saprebbero fare da soli. È questa
la ragione per la quale il nostro è più un invito alla passione
politica che alla riforma istituzionale (Applausi di deputati dei gruppi
Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e Misto-socialisti
democratici italiani).
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole
Collè. Ne ha facoltà.
IVO COLLÈ. Signor Presidente, onorevoli
colleghi, oggi la necessità di plasmare e modellare la Costituzione
italiana in senso federalista è diventata indispensabile per l'evoluzione
ed il futuro del nostro paese; una prerogativa sostenuta da tutti, almeno
nelle intenzioni.
Se si ritrova, infatti, una collegialità ed una
condivisione sui principi generali che dovrebbero determinare il nuovo
Stato federale, ben diversa è la situazione per quanto concerne
l'applicabilità concreta di questi concetti e le strade che sin
qui si sono percorse e che si dovranno percorrere.
Più volte abbiamo evidenziato la necessità
di assumere, quale modello di riferimento per una vera riforma in senso
federale, proprio le regioni e le province autonome a statuto speciale.
Ciò, senza sminuire l'interesse nazionale, ma consolidando quel
principio cardine dal quale il vero federalismo non può prescindere:
il principio di sussidiarietà.
Le indicazioni e le precise richieste da noi avanzate
come gruppo delle minoranze linguistiche al fine di rafforzare questi principi,
nel rispetto delle autonomie speciali già esistente, trovano oggi
parziale soddisfazione.
Da un lato, prendiamo atto della disponibilità
dimostrata dal ministro Calderoli e da tutto il Parlamento - e di
questo li ringraziamo - per il raggiungimento di un risultato per noi importante
e da tempo auspicato: l'approvazione dell'intesa fra Stato, regioni a statuto
speciale e province autonome. Il provvedimento è stato votato quasi
all'unanimità e rappresenta, indubbiamente, un segnale forte ed
un'assunzione di responsabilità comune nel rispetto delle autonomia
locali. Un segnale positivo che si è ripetuto successivamente con
la reintroduzione della clausola di salvaguardia inserita all'articolo
43-bis, fortemente voluta dai presidenti delle regioni, dei consigli
e delle province autonome che, collegati con i propri parlamentari, l'hanno
sostenuta sino alla sua definitiva approvazione. L'articolo 117, così
riscritto, se da una parte non porterà ad un federalismo paragonabile
a quello di Stati federali quali la Germania o la Svizzera, dall'altra
impedirà l'applicazione di norme peggiorative mantenendo così
invariate le competenze autonomistiche sino all'adeguamento degli statuti,
previa intesa con le regioni e province autonome.
Dall'altro lato, dobbiamo, purtroppo, constatare come
il percorso in senso federale di questa riforma sia venuto meno in diverse
occasioni. Il nuovo Senato federale, non attribuendo una rappresentanza
vera alle autonomie, poco si discosta dal modello attuale, pur promettendo
una rappresentanza allargata e diversificata. A questo va aggiunto il discorso
dello scioglimento anticipato e la relativa contestualità
per la sua istituzione, che ci trova contrari. Inoltre, sono state eliminate
numerose competenze attribuite alle regioni sotto il falso pretesto del
mantenimento della salvaguardia dell'interesse nazionale.
Nel merito, se il testo approvato dal Senato poteva essere
condivisibile, ora si sono creati, chiaramente, i presupposti per un centralismo
rigido e poco conciliante con una riforma costituzionale che voglia valorizzare
il ruolo delle regioni in senso federale. A tal riguardo, pur considerando
come proprio la clausola di salvaguardia, introdotta all'articolo 43-bis,
escluda da queste modifiche regioni e province a statuto speciale, riteniamo
sia importante sottolineare come la tendenza a ricentralizzare materie
oggi di competenza concorrente delle regioni stesse - ad esempio, tutela
della salute, sicurezza sul lavoro e trasporto su larga scala -, rendendole
materie esclusive dello Stato, non incrementerà le competenze regionali
assegnate, pur tenendo conto della cosiddetta devolution in atto.
Auspichiamo, dunque, che si riprenda il dibattito ed
il confronto su questi aspetti, per permettere di giungere ad una soluzione
condivisa.
A conclusione del mio intervento, desidero ringraziare
per l'ottimo lavoro svolto, l'amico e collega onorevole Zeller, degno portavoce
delle nostre istanze, nonché i colleghi, di maggioranza ed opposizione,
che hanno sostenuto le nostre richieste e dichiaro, signor Presidente,
il mio voto di astensione.
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PRESIDENTE. Avverto che è in distribuzione la proposta di correzioni
di forma formulate dal Comitato dei nove.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mazzuca
Poggiolini. Ne ha facoltà.
CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Signor Presidente, a
nome dei repubblicani europei, con determinazione e dolore, esprimo voto
contrario su questo provvedimento, che induce in tutti i democratici italiani
autentica preoccupazione. I repubblicani europei non possono, dunque, che
stigmatizzare anch'essi, così come i colleghi di opposizione ed
un'isolata ma autorevole voce nella maggioranza, la pervicace volontà
di modificare l'equilibrio tra i poteri dello Stato, la composizione ed
i poteri del Parlamento, la formazione delle leggi, oltre che inserire
elementi di separazione tra le regioni, che saranno motivo di devastante
conflittualità.
Con la velleitaria volontà di ridisegnare per
intero lo Stato, è stata messa in discussione la Repubblica, che,
come ho ascoltato più volte ricordare in quest'aula, non è
solo la denominazione di una forma di Stato: al contrario, essa è
la sostanza della nostra democrazia, fondata sulla divisione dei poteri
- che avete abolito -, sul potere di rappresentanza parlamentare - che
avete azzoppato -, sull'equilibrio tra i vari poteri, che è l'unica
garanzia del permanere del sistema democratico. Tale equilibrio voi lo
avete distrutto, a favore di una forma di presidenzialismo arretrato e
pericoloso.
Quanto alla cosiddetta devolution, alibi per tale
sciagurato disegno, ne è venuto fuori un federal-centralismo
o un central-federalismo, con cui si tenta di dare una sovranità
impossibile alle regioni ed ai loro popoli.
Se questo vuole la Lega Nord - e questo vuole - occorre
che tutti coloro che hanno a cuore l'identità repubblicana della
nazione italiana affermino con chiarezza che questo è un progetto
inaccettabile. La sovranità appartiene al popolo, come era
stato definito nella tradizione politica popolare italiana, a partire dalla
Costituzione della Repubblica romana del 1849: un popolo, un patto, una
nazione.
Quando fu il momento, nel 1861 e nel 1870, non prevalse
né l'idea federalista di Cattaneo, né quella di Mazzini (che
avrebbe voluto, da subito, un'Italia repubblicana). Solo nel 1946, a seguito
del referendum che trasformò l'Italia in Repubblica, il popolo ha
eletto un'Assemblea costituente ed ha scritto una Costituzione per mano
di tali eletti. Un popolo sovrano, quindi, che elesse i nostri padri costituenti,
consapevoli tutti - siano stati di maggioranza o di opposizione - del compito
impegnativo ed esaltante che avrebbero dovuto affrontare, e che hanno egregiamente
risolto.
Voi volete rompere quel patto, con il rafforzamento,
anzi con la prevaricazione consentita al potere del Governo rispetto al
Parlamento, volete dare al popolo una semisovranità, quella per
cui ognuno è padrone, a casa propria, di farsi la scuola che vuole
e la sanità che vuole, e volete affidare il Governo ad un vero e
proprio padrone.
Voi non siete qui ad unirci con un patto federalista;
siete, invece, venuti a dividerci in un conflitto federalista, perché
il federalismo, cari colleghi, rappresenta - ed ha sempre rappresentato
- lo strumento, in sede costituente, di aggregazione di popoli sovrani,
che non rinunciano completamente, ognuno di loro, alla propria sovranità.
Non si è mai visto che uno Stato unitario si trasformi in uno Stato
federale, né che un sistema parlamentare si trasformi in presidenziale
per effetto di una revisione costituzionale compiuta da un Parlamento
eletto - aspetto assurdo - con il sistema maggioritario!
Mi chiedo, insieme al collega Gerardo Bianco, che lo
ha detto in modo sintetico ed estremamente efficace: è stato legittimo
tutto ciò? È legittimo che una maggioranza, forte di più
di cento voti di differenza, stravolga la Costituzione in vigore? Allora,
chiedo a tutti i colleghi della maggioranza - poiché vi sono ancora
dei passaggi da fare - una lunga pausa di riflessione sulla volontà
di qualcuno in quest'aula di portare a casa una revisione costituzionale
che è una vera e propria rivoluzione costituzionale, ossia un concetto
che nella scienza politica è pura contraddizione. Tra l'altro, state
mettendo in atto una riforma della seconda parte della Costituzione che
è in netto contrasto con la prima parte: è un assurdo sul
quale le generazioni future studieranno e, probabilmente, rideranno con
qualche scherno.
Volete cambiare la Costituzione e il sistema, da parlamentare
in presidenziale spinto, e volete dividere l'Italia, frammentando la stessa
sovranità popolare tra più popoli, ognuno a casa sua. Se
questo è il vostro intento, allora, come minimo, occorre convocare
comizi elettorali per eleggere un'Assemblea costituente. Non è vietato
tutto ciò, ma occorre farlo nella misura e con le persone giuste,
con le procedure giuste, perché, fino a prova contraria, il popolo
italiano è ancora uno ed è sovrano e noi, in questa sede,
lo rappresentiamo tutto e non per settori. Esso non potrà mai accettare
limitazioni territoriali di sovranità che non abbia direttamente,
rappresentativamente, proporzionalmente e non maggioritariamente votato
ed approvato per mezzo di ogni sua componente politica, culturale e sociale.
Allo stesso modo, non potrà mai accettare un sistema presidenziale
che ha in sé tutte le possibilità di trasformarsi in dispotico
ed autoritario.
Chi è coerente con questa impostazione non può,
quindi, che rifiutare in toto questo provvedimento, richiamando
tutti ad una più attenta riflessione sul costituzionalismo democratico
e sui suoi presupposti, dei quali tutti i repubblicani in questo Parlamento
si sono impegnati a risollevare le sorti.
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole
Craxi. Ne ha facoltà.
BOBO CRAXI. Signor Presidente, onorevoli colleghi,
le perplessità che avevo manifestato all'avvio di questo dibattito,
nella seduta del 3 agosto, si mutano oggi in un giudizio negativo. Allora,
intervenendo, avevo ricordato che una riforma costituzionale deve essere
frutto di un consenso ampio e condiviso e non il parto frettoloso fatto
a colpi di ultimatum politici. Purtroppo, tutte le mie speranze sono
svanite giorno dopo giorno: il testo sottoposto all'approvazione della
Camera oggi non è condivisibile ed ancora meno i modi in cui si
è giunti a questo voto, e non per responsabilità della sola
maggioranza.
In questo dibattito ho visto i quattro o cinque protagonisti
della riforma del Titolo V della Costituzione, approvata alla fine della
scorsa legislatura con qualche voto di maggioranza, rinfacciarsi l'un l'altro
la responsabilità di quell'atto, che è costato allo Stato
un numero record di contenziosi con le regioni. Temo che, fra non molto,
anche questa riforma non avrà né un padre né una madre.
L'esigenza della revisione di alcune parti della nostra
Costituzione era e resta, anche dopo il voto che tra poco sarà espresso
in questa sede, un problema da affrontare. Infatti, questa riforma, più
che risolvere il problema di una maggiore partecipazione dei cittadini
alla vita pubblica, deprime il già modesto spirito di unità
nazionale. Più che rassicurare la stabilità e l'efficienza
dei governi, per cui io penso dovrebbe essere modificata la legge
elettorale, stabilisce l'inamovibilità del Capo dell'esecutivo ed
un'eccessiva concentrazione di potere nelle sue mani, indebolisce il contrappeso
parlamentare fino a svilire il ruolo del Parlamento. Il giusto decentramento,
invocato da diversi anni, del nostro sistema istituzionale non è
accompagnato né da una semplificazione delle procedure né
da un convincente piano di contenimento della spesa. Vi è una verità
lampante di fronte a noi: non si modifica così la Costituzione.
Nel passato, per evitare la via maestra di un'Assemblea
costituente figlia di un'elezione popolare, si è fatto ricorso alle
Bicamerali, fallite una dopo l'altra. Nella scorsa legislatura e in quella
in corso si è voluto provare con l'articolo 138. Si è fallito
ieri e si fallirà anche questa volta.
Per la riforma della Costituzione l'unica via maestra
è un'Assemblea costituente eletta con sistema proporzionale. Solo
così - io penso - si potrà avere una riforma sana e duratura.
Piero Calamandrei, illustrando ai giovani studenti lo
spirito della nostra Costituzione, diceva: «Nei suoi articoli c'è
tutta la nostra storia, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre
gioie. Dietro questi articoli si sentono voci lontane». Egli citava
Mazzini, Cavour, Cattaneo, Garibaldi e Beccaria.
La Costituzione, entrata in vigore il 1o gennaio
del 1948, regge le nostre sorti da più di mezzo secolo, avendoci
assicurato
libertà e progresso. Penso che solo per questo essa meriti
più considerazione e più rispetto di quello che abbiamo sin
qui dimostrato nel momento in cui ci accingiamo a riformarla.
Per questo motivo, con tutta libertà, certo di interpretare
il sentimento e l'opinione della maggioranza dei socialisti in questo paese,
non sottovalutando le ragioni che oggi mi dividono dai colleghi della stessa
maggioranza, non sosterrò questa riforma costituzionale e mi asterrò
nel voto finale (Applausi di deputati dei gruppi Misto-Verdi-L'Ulivo,
Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e Misto-Socialisti
democratici italiani).
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo
personale, l'onorevole Rodeghiero. Ne ha facoltà.
FLAVIO RODEGHIERO. Nel dibattito di questi giorni ho potuto
verificare che per 240 volte si è parlato di Europa e per 521 volte
di Nazione. Ciò ci dice, nel momento in cui affrontiamo un dibattito
così rilevante per il futuro del nostro paese (il dibattito sulla
Carta costituzionale), la capacità che abbiamo di elevarci in un
confronto che superi il respiro provinciale. Nell'analisi di quello che
viviamo del nostro paese, non consci pienamente della portata globale che
riveste anche una Carta costituzionale nei meccanismi di funzionamento
non solo del contesto nazionale, ma anche nei rapporti internazionali.
Ho voluto fare questo riferimento perché credo che vada svolta
una considerazione tra il cammino che si sta facendo in Europa, in previsione
dell'adozione di una Carta costituzionale europea, e quanto stiamo facendo
qui in questo momento. Abbiamo adottato il termine federalismo, finalmente,
nella Carta costituzionale, oltre a prevederne l'applicazione dei principi.
Proudhon ha detto: «Il XX secolo sarà il secolo del federalismo,
oppure l'umanità dovrà attraversare mille anni di purgatorio».
In verità, il XX secolo è stato quello dei totalitarismi,
epigono tragico della centenaria storia degli Stati nazionali, eminentemente
europei, che entrano in crisi proprio nel momento in cui i mercati si fanno
globali ed altri Stati e Nazioni si affacciano, sul finire del XIX secolo,
sulla scena mondiale.
PRESIDENTE. Onorevole Rodeghiero...
FLAVIO RODEGHIERO. Due parole ancora...
È così che l'Europa si riscopre federalista sul finire
del secondo dopoguerra, proprio quando diventa terreno di scontro e di
divisione tra USA e URSS, e lo fa per recuperare ruoli e funzioni in un
cammino lento, ma inesorabile, fino al prossimo appuntamento con la Costituzione.
L'Europa degli Stati si ricostruisce sulla rovina degli Stati, i quali,
desovranizzati dall'economia, devolvono ad organi comuni parte delle loro
competenze, anche politiche.
In questa realtà di globalizzazione quello che entra più
in crisi è l'identità e l'Europa diventa luogo per dare spazio
alla politica senza costruire identità fittizie: la riscoperta delle
identità, della storia dei popoli, della storia delle nazioni, che
non coincidono con quella degli Stati, camminano insieme. Ecco il
cammino che stiamo facendo con questa riforma. Si tratta di un cammino
già tracciato dalla riforma del Titolo V e che qui parzialmente
completiamo. Manca ancora il federalismo fiscale.
I padri costituenti hanno previsto la maggioranza assoluta e non quella
qualificata per attenuare la rigidità della nostra Costituzione,
ben sapendo che sarebbe stato oltremodo difficile rivedere un'identità
di valori e di intenti quale quella uscita dal secondo conflitto.
Sarà la Corte costituzionale...
PRESIDENTE. Colleghi, vi invito al rispetto dei tempi che non è
un optional. Onorevole Rodeghiero, lei ha già parlato tre
minuti e 46 secondi.
FLAVIO RODEGHIERO. Signor Presidente, pensavo di avere
a disposizione più tempo. Concludo, dicendo che caposaldo dell'Unione
europea è il principio di sussidiarietà la cui formulazione
è storicamente ascrivibile alla dottrina sociale della Chiesa. In
base a tale principio, dal punto di vista politico, spetta alle amministrazioni
più vicine ai cittadini adoperarsi per rendere più effettivo
il loro servizio. Lo stiamo applicando in Europa, vogliamo applicarlo anche
in Italia: porre al centro la persona, al cui servizio stanno le istituzioni.
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo
personale, l'onorevole Sterpa, al quale chiedo di rispettare il tempo a
sua disposizione. Ne ha facoltà.
EGIDIO STERPA. Signor Presidente, sarò brevissimo perché
mi richiamo all'intervento che ho svolto il 15 ottobre scorso in cui ho
argomentato a fondo i motivi per cui dico «no» a questa riforma.
In estrema sintesi, il mio «no» nasce dalle convinzioni liberali,
da un'analisi attenta della storia nazionale e dal timore che questa riforma
possa determinare una rottura esiziale nel nostro paese.
Il mio «no» non è un fatto viscerale, ma è
razionale e convinto e vuole essere un atto di lealtà verso la coalizione
di cui mi onoro di far parte con convinzione. È anche un atto che
vuole dimostrare come in tale coalizione si possa essere uomini liberi
come io mi ritengo (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia).
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo
personale, l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, inizialmente avevo immaginato
che questo dibattito consentisse di inquadrare la devoluzione nella revisione
del Titolo V correggendo la riforma voluta erroneamente dal centrosinistra
nella passata legislatura e di trasferire in sede di Assemblea costituente
la revisione delle altre parti. Infatti, Governo, rapporti tra Governo
e Parlamento e procedimento legislativo non apparivano argomenti del tutto
maturi. Inoltre, cambiare le regole insieme avrebbe evitato lo sbocco referendario
che fatalmente sarà giocato su qualche slogan semplificatore.
Purtroppo, la cultura che ha guidato il nostro dibattito scaturisce
dalla superficialità autoreferenziale che aleggiava attorno alla
Commissione bicamerale D'Alema, interprete di un pericoloso clima antiparlamentare
che era la condizione nella quale quella Commissione ha sostanzialmente
operato. Si tratta di una cultura che si è diffusa ed oggi viene
coperta da uno scontro parlamentare di facciata, in qualche modo pregiudizievole
di ogni approfondimento efficace.
Devo comunque dare atto alla Commissione del tentativo di correggere
il testo licenziato dal Senato. Al Senato il lavoro era stato fortemente
influenzato da presunti saggi che avevano operato in un clima ferragostano
e da una tentazione un po' sindacale di quel ramo del Parlamento.
Quindi, era molto difficile che le cose potessero essere politicamente
raddrizzate. Riconosco che uno sforzo importante è stato fatto,
ma restano elementi di grave confusione nel rapporto tra premierato, Parlamento
ed istituzioni rappresentative da un lato, e procedimento legislativo dall'altro.
PRESIDENTE. Onorevole Tabacci...
BRUNO TABACCI. Se il cammino parlamentare proseguirà
così - e concludo - vi sarà uno sbocco referendario
duro, semplificatore e strumentale. Mi dispiace per i colleghi della Lega,
che avevano l'opportunità di completare un percorso di inserimento
della devoluzione all'interno di un contesto costituzionale che camminasse.
Mi dispiace anche per i miei colleghi dell'UDC, i quali,
avendo il desiderio giusto di fare una battaglia per un modello di tipo
proporzionale, si trovano ora in contraddizione politica rispetto ad un
testo che avrebbe bisogno di un rafforzamento del sistema maggioritario.
Sono aspetti ai quali ho cercato di porre rimedio con la modestia delle
mie forze. Tuttavia, non mi resta che testimoniare un dissenso, che resta
profondo (Applausi di deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici
cristiani e dei democratici di centro, di Forza Italia e della Margherita,
DL-L'Ulivo).
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole
Perrotta. Ne ha facoltà.
ALDO PERROTTA. Signor Presidente, svolgerò un intervento
brevissimo, per leggervi esattamente cosa disse Mussi, quando era il capogruppo
dei Democratici di sinistra, che fu l'ultimo a parlare sulla riforma del
Titolo V. Egli disse: «È evidente che si tratta di un grande
passo, ma altri ne dovranno seguire; ci si rimanda a sua volta al tema
della riforma del Governo, del meccanismo con cui le Camere danno la fiducia
al Governo, della sfiducia costruttiva, dell'istituzione per esempio del
premierato; se si va avanti su un'ipotesi di riforma elettorale, per esempio,
un'indicazione del premier, che prefigura un cambiamento, e una
riforma del Governo è un altro passo che si può compiere».
Vi chiedo, allora, perché siete tornati indietro. Questo è
il primo aspetto.
Il secondo è il seguente. A proposito di chi è democratico,
ci avete detto che nella discussione di questa riforma non c'è
stata democrazia. Vi vorrei ricordare che quando avete fatto la riforma
del Titolo V avete concesso complessivamente 35 ore per la discussione
sulle linee generali e per il seguito dell'esame del provvedimento! Noi
complessivamente abbiamo dato 180 ore! Diteci qual è stata la maggioranza
democratica (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza
Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)!
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PRESIDENTE. Onorevole Perrotta, naturalmente le risponderò quando
mi capiterà di stare sui banchi del mio gruppo, perché dal
banco della Presidenza non posso permettermi di farlo! Comunque la ringrazio
per la citazione!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cossa.
Ne ha facoltà.
MICHELE COSSA. Siamo oggi arrivati all'epilogo di un dibattito
che è stato di alto livello, adeguato al tema sottoposto all'esame
dell'Assemblea. Credo si debba dare atto alle forze della maggioranza di
aver fatto un grosso sforzo di miglioramento del testo originario, temperando
molti degli eccessi che avrebbero avuto effetti fortemente negativi sugli
assetti istituzionali del nostro paese. Mi riferisco soprattutto alle norme
che riportano alla competenza dello Stato le grandi infrastrutture strategiche,
alla norma che riserva allo Stato la possibilità di esercitare un
potere sostitutivo per salvaguardare i livelli essenziali nei servizi sociali
e sanitari in tutto il territorio nazionale, così come mi riferisco
alle norme che salvaguardano le prerogative delle regioni a statuto speciale.
Eppure non riesco a vincere le perplessità per una riforma che
minaccia di attaccare i presupposti di solidarietà nazionale e di
rafforzare quegli elementi, per i quali chi è indietro rischia di
restarci ancor di più (mi riferisco soprattutto alle regioni economicamente
e socialmente più deboli). Le perplessità derivano dall'impressione
che si sia voluto procedere in fretta, troppo in fretta, senza nemmeno
sforzarsi di cercare quel minimo di consenso all'interno delle Assemblee
parlamentari. Non si è fatto nemmeno lo sforzo di individuare strumenti
nuovi e diversi, quale ad esempio un'Assemblea costituente, eletta su base
proporzionale, che avrebbe garantito la piena rappresentanza di tutte le
forze politiche che si muovono all'interno del paese.
Per questo motivo, signor Presidente, annuncio il mio voto di astensione
sul provvedimento.
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole
Zeller. Ne ha facoltà.
KARL ZELLER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Südtiroler
Volkspartei è un partito di raccolta delle minoranze tedesca e ladina,
che governa la provincia di Bolzano, assieme ai partner di lingua
italiana, dal 1948. Tale sua particolare natura è, in un certo modo,
antitetica ad un sistema bipolare ed il nostro partito si colloca da sempre
al centro e non all'interno dei due blocchi...
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Zeller, sono costretto ad interromperla
per comunicare che la Conferenza dei presidenti di gruppo è convocata
immediatamente.
MARCO BOATO. Chi deve intervenire, come fa a partecipare?
PRESIDENTE. Onorevole Boato, la Presidenza le consentirà di
intervenire al termine della Conferenza dei presidenti di gruppo.
Prego, onorevole Zeller, mi scusi per l'interruzione.
KARL ZELLER. Dicevo che il nostro partito si colloca
da sempre al centro e non all'interno dei due blocchi (Casa delle libertà
e centrosinistra). Noi deputati rappresentanti della provincia autonoma
di Bolzano nel Parlamento italiano, siamo abituati a guardare la sostanza
delle cose, senza preconcetti ideologici e, da sempre, ci battiamo per
il federalismo e l'attribuzione di maggiori poteri alle regioni.
La popolazione della nostra terra, ancor prima di far
parte dell'impero austroungarico e fino al 1918, godeva di una particolare
forma di autogoverno e ciò spiega anche la nostra particolare sensibilità
e tenacia con la quale, sin dal 1948, abbiamo lottato per l'attuazione
dell'accordo De Gasperi-Gruber e per ottenere l'autonomia legislativa ed
amministrativa seria e degna di questo nome.
Un primo passo venne compiuto nel 1971, in attuazione
di accordi italo-austriaci sul cosiddetto pacchetto. Poi nel 2001 venne
effettuato un ulteriore passo in direzione federalista, ma, purtroppo,
la riforma del 2001 risultava, in un certo modo, monca, non affrontando
la trasformazione del Senato in Camera rappresentativa delle regioni, affinché
potesse fungere da contrappeso alla Camera politica.
Eravamo, pertanto, favorevoli al completamento del processo
riformatore portato avanti dalla Lega Nord, partito al quale va attribuito
il grande merito di aver portato la questione del federalismo nell'agenda
nazionale. Ma dopo i voti nelle ultime settimane, oramai si è maggiormente
chiarito lo scenario e, in seguito, cercheremo di fornire un nostro giudizio
obiettivo sul testo in esame.
Il testo contiene aspetti indubbiamente positivi, ma
anche parecchie ombre e vorrei partire dalle questioni che ci lasciano
non del tutto soddisfatti. Il Senato federale, in verità, ha poco
di federale. I senatori non sono espressione dei consigli o delle giunte
regionali, ma saranno oggi, come dal 1948, eletti direttamente.
Manca un collegamento vero con il territorio. Basta,
infatti, essere residente nella regione per poter essere eletto senatore.
Tale lacuna non è stata nemmeno temperata dalla possibilità
dei presidenti delle regioni e province autonome di partecipare, con diritto
di voto, ai lavori del Senato federale: voto negato nel testo che ci accingiamo
a votare.
Si ha l'impressione che la primaria esigenza sia quella
di garantire l'elezione diretta di un numero consistente di senatori e
non di una rappresentanza vera delle regioni e province autonome. Anche
il procedimento legislativo appare assai farraginoso; di difficile applicazione
sarà la prescrizione che un disegno di legge non possa contenere
disposizioni relative a materie per cui si dovrebbero applicare procedimenti
diversi.
Non abbiamo apprezzato le modifiche che hanno concentrato
troppi poteri nelle mani del premier.
Riteniamo, invece, positiva la sfiducia costruttiva introdotta
da quest'aula, ma un Parlamento ostaggio del premier non potrà
mai vederci favorevoli.
Ci siamo fermamente opposti, purtroppo senza successo,
alla reintroduzione dell'interesse nazionale quale limite delle competenze
legislative delle regioni. Va ricordato che uno dei pregi della riforma
del 2001 era, per l'appunto, l'abolizione dell'interesse nazionale e la
sostituzione di tale parametro con i criteri della sussidiarietà
e dell'adeguatezza.
Nella ormai celebre sentenza n. 303, la stessa Corte
costituzionale ha salutato con favore tale nuova impostazione, mettendo
in evidenza come l'equazione: «l'interesse nazionale uguale alla
competenza statale», in passato avesse sorretto, e cito testualmente
la Corte, l'erosione delle funzioni amministrative e delle parallele funzioni
legislative delle regioni.
Fatto sta che la Corte è riuscita a risolvere
i contenziosi tra Stato e regioni con l'ausilio dei criteri di sussidiarietà
e di adeguatezza senza necessità alcuna di ricorrere all'anacronistico
criterio dell'interesse nazionale.
Nel nuovo articolo 117, rispetto al testo vigente, si
notano alcuni passi indietro. Non ci pare sostenibile la tesi secondo la
quale le modifiche apportate siano state effettuate solo per scrivere meglio
il testo o solo per chiarire i passaggi ambigui.
È innegabile la tendenza a ricentralizzare una
serie di materie, quali la tutela della salute, la sicurezza del lavoro,
le grandi reti di trasporto e la localizzazione delle stesse, l'ordinamento
delle comunicazioni e delle professioni intellettuali. Tali materie sono
trasferite alla competenza esclusiva dello Stato, mentre oggi rientrano
nella competenza concorrente. E le competenze regionali per reti di trasporto
e navigazioni locali, la comunicazione di interesse regionale e la produzione,
trasporto e distribuzione di energia di interesse locale da competenze
esclusive vengono declassate in competenze concorrenti.
C'è solo da sperare che tale tendenza possa essere
controbilanciata dalla cosiddetta devolution - che ci vede favorevoli
-, in forza della quale alle regioni vengono trasferite competenze esclusive
in materia di organizzazione e assistenza e, in particolare, nel settore
della scuola. Tuttavia, stante la formulazione ambigua del testo, temo
che purtroppo non vi sarà un significativo aumento delle competenze
regionali rispetto alla situazione normativa vigente. In sintesi, la riscrittura
della Costituzione, a nostro avviso, non conduce ad un federalismo paragonabile
a quello di altri Stati federali, quali la Germania e la Svizzera.
Sebbene il nostro giudizio sui punti sopraelencati non
sia del tutto positivo, non nascondiamo la nostra soddisfazione per l'introduzione
della clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale, già
contenuta nel testo approvato dal Senato e, in un primo momento, attenuata
dalla Commissione affari costituzionali. Anche grazie all'intervento deciso
e compatto dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province
autonome di Trento e Bolzano e dopo un confronto costruttivo con il ministro
Calderoli, è stato possibile ripristinare la clausola di maggior
favore, impedendo l'applicazione alle regioni speciali e alle province
autonome delle norme peggiorative contenute nel Capo V.
Ciò riguarda in particolar modo gli articoli 120
e 127 novellati, vale a dire il potere sostitutivo e l'annullamento di
leggi regionali in nome dell'interesse nazionale, il corpus delle
competenze autonomistiche come assegnato dagli statuti, da norme di attuazione
e da altre leggi costituzionali.
Quindi l'autonomia vigente al momento dell'entrata in
vigore del presente testo di riforma resta cristallizzata e così
rimarrà fino all'adeguamento degli statuti; e questo per noi costituisce
un successo. Tale adeguamento - e ciò costituisce indubbiamente
un grande passo in avanti - in futuro sarà possibile solo previa
intesa con le regioni e con le province autonome.
Il novellato articolo 116 della Costituzione costituzionalizza
infatti, per la prima volta nella storia della Repubblica, il carattere
pattizio delle regioni speciali, che possono negare entro un termine sufficientemente
ampio l'assenso all'intesa con una maggioranza qualificata dei due terzi
dei componenti il consiglio. In tal modo è stata completata in senso
federalista la procedura introdotta dai colleghi del Senato.
Un altro punto decisamente positivo è il riconoscimento
del ruolo delle due province autonome di Trento e Bolzano, alle quali viene
riconosciuta la dignità di regioni vere e proprie: i senatori non
sono più della regione, ma delle province autonome; i rappresentanti
locali nel Senato federale sono eletti dai consigli provinciali e dai rispettivi
consigli delle autonomie locali; i delegati per l'elezione del Presidente
della Repubblica sono anch'essi nominati dai consigli provinciali e i presidenti
delle province partecipano, per la prima volta, all'elezione del Presidente
della Repubblica e dei quattro giudici costituzionali nominati dal Senato
federale.
Un punto particolarmente delicato riguarda la contestualità
tra l'elezione delle assemblee regionali e quella del Senato federale.
Siamo anche in questo caso soddisfatti che in aula sia
stato tolto il vincolo della durata della legislatura regionale, o rispettivamente
dell'ente provinciale, con quella del Senato federale. Come avevamo chiesto,
il Senato si rinnoverà parzialmente, limitatamente alla componente
rappresentativa della singola regione o provincia autonoma, in concomitanza
con l'elezione dei rispettivi organi elettivi.
Anche per il periodo transitorio, crediamo di aver trovato
una soluzione soddisfacente, che garantisce entro certi limiti di evitare
lo scioglimento anticipato.
A nome della Südtiroler Volkspartei, ringrazio
i colleghi della maggioranza, ma anche quelli dell'opposizione. Ringrazio
in particolare il ministro Calderoli, il sottosegretario Brancher
e anche il relatore presidente Donato Bruno per la sensibilità dimostrata
nei confronti della nostra terra. La larga convergenza è dimostrata
anche dal fatto che gli emendamenti e gli articoli riguardanti le regioni
speciali e le province autonome hanno trovato il consenso pressoché
unanime dell'aula.
Per i motivi sopra illustrati, annuncio il voto di astensione
da parte della componente della Südtiroler Volkspartei (Applausi
dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche).
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole
Moroni. Ne ha facoltà.
CHIARA MORONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi,
la Costituzione repubblicana del 1948 fu il frutto di un confronto e di
un dibattito approfondito fra forze politiche e culturali certamente diverse,
che seppero dar vita ad un compromesso alto, che ha portato alla
costruzione di un sistema coerente ed efficiente, in grado di garantire
al nostro paese sviluppo e ampi spazi di modernizzazione.
È evidente che una modifica sostanziale di quella
Carta costituzionale non può non comportare un eccezionale senso
di responsabilità del legislatore. Le istituzioni - giova ricordarlo
- sono patrimonio di tutti; è evidente che l'approvazione di riforme
costituzionali a colpi di maggioranza non fa parte di quella cultura del
dialogo che sola può ispirare riforme condivise, efficaci ed efficienti.
Purtuttavia, il vulnus introdotto nella scorsa legislatura con l'approvazione
della riforma del Titolo V condiziona e condizionerà profondamente
l'intero futuro delle revisioni costituzionali. Alcune prese di posizione
dell'opposizione, come il voto contrario sull'articolo 24 che avrebbe attribuito
al Presidente della Repubblica l'autonomo potere di concessione della grazia,
dimostrano come il pregiudizio contrario abbia impedito qualsiasi discussione
nel merito.
Il progetto che ci accingiamo a votare è certamente
ambizioso: modifica in modo significativo il nostro assetto costituzionale
ed è ispirato da quella volontà modernizzatrice, valore fondante
di questa maggioranza. È innegabile ed evidente la necessità
di correggere, per un verso, e portare a compimento, per l'altro, la riforma
del Titolo V, approvata nella scorsa legislatura. Tale riforma - approvata
in fretta e furia sul finire di legislatura, con pochissimi voti di maggioranza
e con l'evidente scopo puramente elettorale, quindi non certo animata da
quello spirito costituente che avete, cari colleghi della sinistra, tanto
richiamato nel corso del dibattito di queste settimane - non ha fatto altro
che concretizzare una sostanziale destrutturazione dello Stato unitario,
proprio quell'unitarietà tanto invocata in questo dibattito
dal centrosinistra. L'innumerevole quantità di materie concorrenti,
identificate in quel testo, ha - come era ovvio - aumentato a dismisura
il numero dei conflitti di competenza fra lo Stato e le regioni, oltre
a compromettere gravemente il funzionamento e l'organizzazione dello Stato
stesso. Questo testo ha il pregio di dare nuova sistemazione, quantomeno,
a quelle materie che risultano in modo macroscopico essere necessariamente
di competenza dello Stato. Penso alla tutela della salute, alle grandi
reti di trasporto e di navigazione, all'energia.
La modifica dell'articolo 117 contemporaneamente affida
alla competenza esclusiva delle regioni alcune materie importanti, completando
il sistema di devoluzione di competenze. È stata introdotta quella
clausola di supremazia, presente in tanti sistemi federali che, insieme
all'interesse nazionale, è garanzia di un sistema federale solidaristico
ed unitario e che consente allo Stato di legiferare, in ogni caso, per
garantire la tutela dell'unità giuridica ed economica nonché
del principio di eguaglianza dei cittadini.
La costruzione di un sistema federale, per così
dire dall'alto, non è cosa facile e quasi certamente comporterà
un percorso di approssimazione successiva, nel quale vanno contemporaneamente
consolidati i valori unitari e collaborativi. La volontà di dare
avvio a questo percorso ha portato a pensare ad un sistema federale coerente
che non si risolve nella devoluzione di competenze alle regioni, ma che
necessita di un'architettura organicamente costruita.
Una Camera federale diventa elemento fondamentale. La
separazione delle competenze legislative e il superamento del bicameralismo
perfetto sono elementi positivi anche dal punto di vista dell'efficienza
e dell'efficacia del processo legislativo, anche se quest'ultimo,
a nostro parere, dovrebbe articolarsi, come in tutti gli ordinamenti federali,
in due fattispecie: quella a prevalenza della Camera politica e quella
bicamerale.
Per quanto riguarda la composizione del Senato federale,
non abbiamo condiviso e non condividiamo la presenza, seppure senza diritto
di voto, di rappresentanti delle autonomie locali eletti dai consigli delle
autonomie fra i sindaci e i presidenti di provincia e città metropolitana.
La nostra contrarietà parte non già da
questo testo, ma dalla riforma del 2001, rispetto alla quale, su questo
tema, il testo in esame si pone in assoluta continuità. A nostro
avviso, le modifiche dovrebbero partire dall'articolo 114 della Costituzione
vigente. Tale articolo affida allo Stato il ruolo di elemento costitutivo
della Repubblica in modo paritario rispetto agli altri enti territoriali,
scindendo pericolosamente lo Stato dalla Repubblica, che rimane termine
vuoto laddove perde la sua sostanziale coincidenza con lo Stato. Non esistono
ordinamenti federali che siano articolati in più di due livelli.
L'attuale articolo 114 segue una logica di disarticolazione dello Stato
che non può trovarci concordi. Queste ragioni, oltre che evidenti
motivi di funzionalità, giustificano il nostro dissenso per quanto
concerne la possibilità degli enti locali di promuovere la questione
di legittimità costituzionale di fronte alla Corte.
In ordine alla forma di governo, e quindi al premierato,
che il testo propone come soluzione, siamo stati fra coloro che hanno sostenuto
la necessità di corretti pesi e contrappesi, della tutela del principio
della separazione dei poteri e della valorizzazione del ruolo centrale
del Parlamento. Ad un rafforzamento del Primo ministro e dell'esecutivo,
in rapporto dialettico con la propria maggioranza, non può che fare
da contraltare un Parlamento forte e un ruolo di garanzia del Presidente
della Repubblica. Indubbiamente nel testo finale sono stati compiuti numerosi
passi in avanti sul tema. L'introduzione della possibilità di una
mozione di sfiducia costruttiva da parte della maggioranza collegata al
premier rappresenta certamente un bilanciamento fondamentale dei poteri
del premier rispetto alla sua stessa maggioranza.
Vorrei infine affrontare, seppure marginalmente, un tema
che ci è caro, quello della riforma del sistema elettorale. Appare
ovvio come la riforma elettorale non sia tema da inserire nella Costituzione,
ma certamente deve essere oggetto di riflessione. Una revisione dell'assetto
istituzionale dello Stato e la scelta di una nuova forma di governo non
sono e non devono essere separati da una riflessione sui sistemi elettorali.
L'Italia ha sperimentato in questi ultimi dieci anni un sistema elettorale
inefficiente dal punto di vista della rappresentatività democratica,
un maggioritario imperfetto e un bipolarismo, se possibile, ancora più
imperfetto e governi eletti da coalizioni disomogenee e conflittuali. Riteniamo
che una riforma elettorale di tipo proporzionale, con sistemi che agevolino
la formazione di maggioranze e la stabilità dei governi, attribuendo
un ruolo centrale al Parlamento, sia una possibilità concreta per
dare all'Italia un sistema organico e coerente e possa rappresentare un
bilanciamento della forma di Stato e della forma di governo.
Abbiamo un compito arduo: rivedere una Carta costituzionale
che si è rivelata negli anni straordinariamente efficiente
e funzionale. Nel farlo, non dobbiamo perdere di vista l'elemento fondamentale:
l'interesse costituzionale del paese e la necessità di ricomporre
quella frattura che oggi ancora esiste fra i cittadini e le loro istituzioni.
Annuncio quindi il voto favorevole del Nuovo PSI, dando
correttamente conto di voti difformi di alcuni colleghi della componente,
che ne hanno già esposto le motivazioni (Applausi di deputati
del gruppo Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI).
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole
Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signori rappresentanti
del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, i Verdi, insieme a tutto il
centrosinistra e a tutte le opposizioni, voteranno contro il disegno di
legge di revisione costituzionale in esame.
Non si tratta di un atteggiamento pregiudiziale: il centrosinistra
ha sempre condiviso la necessità di un'organica riforma della seconda
parte della Costituzione, che non riguarda i principi fondamentali, sempre
validi, ma l'ordinamento della Repubblica in materia di forma di governo,
forma di Stato, bicameralismo e sistema delle garanzie.
Di tutto questo si era già discusso, in sede consultiva,
nella IX legislatura, con la Commissione Bozzi. Nell'XI legislatura, anche
sotto l'impulso del neoeletto Presidente della Repubblica, Scalfaro,
con legge costituzionale fu istituita la prima Commissione bicamerale con
poteri referenti, che fu egregiamente presieduta prima da Ciriaco De Mita
e poi dalla compianta Nilde Iotti.
Quella Bicamerale interruppe i propri lavori solo per
lo scioglimento anticipato delle Camere, nel 1994. Quando nacque l'Ulivo,
e vinse le elezioni del 1996, il centrosinistra propose subito il diretto
coinvolgimento anche delle opposizioni di centrodestra, con l'istituzione
- in forza di una legge costituzionale - di una nuova Commissione bicamerale
con il compito di riformare l'intera seconda parte della Costituzione.
Fu la Bicamerale presieduta da Massimo D' Alema che propose a quest'aula
un progetto di revisione costituzionale allora ampiamente condiviso da
centrosinistra e centrodestra. Ma fu il leader di Forza Italia,
Silvio Berlusconi, dopo un anno e mezzo di lavoro parlamentare comune,
a decretarne la fine il 2 giugno del 1998, in quest'aula.
Il centrosinistra, tuttavia, non interruppe allora il
percorso riformatore. Abbiamo approvato quasi all'unanimità la riforma
dell'articolo 111 della Costituzione in materia di giusto processo, e -
colleghi di centrodestra, ricordatelo - in quell'occasione il centrosinistra
nominò relatore Marcello Pera, allora senatore dell'opposizione
proprio di centrodestra. Abbiamo approvato quasi all'unanimità una
nuova forma di governo regionale, con l'elezione diretta dei presidenti
delle regioni e l'autonomia statutaria per le regioni a statuto ordinario,
e questo è già parte del Titolo V. Abbiamo poi approvato,
quasi all'unanimità, anche la riforma, con legge costituzionale,
degli statuti delle cinque regioni a statuto speciale e, quindi, anche
delle province autonome di Trento e Bolzano. Tutto ciò è
avvenuto nella scorsa legislatura, con il centrosinistra maggioranza politica.
Ed è avvenuto quasi sempre l'unanimità!
La stessa ulteriore riforma parziale del Titolo V è
stata affrontata sulla base di un testo originariamente condiviso; non
è il centrosinistra che lo ha imposto ma è il centrodestra
che, alla fine, si è sottratto al processo riformatore. Questa è
la verità storica, non a caso condivisa allora anche dai presidenti
delle regioni governate dal centrodestra, il presidente Ghigo in testa!
In questa legislatura è avvenuto esattamente l'opposto:
il centrodestra ha perso i primi due anni di legislatura ad approvare proprie
leggi in materia di giustizia di carattere «particolare». E
sempre il centrodestra ha imposto la revisione costituzionale in
materia di devolution, ma poi ha abbandonato quella riforma dopo
la prima lettura. Dopo aver perso così due anni di legislatura,
l'iter riformatore è stato ripreso non con una proposta di coinvolgimento
di tutto il Parlamento nel processo riformatore - come noi avevamo fatto
nel 1996 -, ma con un metodo che è poco definire unilaterale e al
limite dell'incredibile!
Tutti ricordiamo le riunioni in una baita a Lorenzago
la scorsa estate. Questo è stato lo spirito costituente della Casa
delle libertà! Tutti ricordiamo che, dopo l'imposizione di un testo
esclusivo del centrodestra al Senato, si sono alzate le voci di decine
di costituzionalisti, di tutti gli orientamenti politici e culturali, centrodestra
compreso: voci fortemente critiche su quel testo. Tutti ricordiamo che
ben 36 di quei costituzionalisti li abbiamo ascoltati in Commissione affari
costituzionali qui alla Camera. Sono state audizioni di grande interesse,
ma sono rimaste inascoltate. Infatti, in sede referente, il centrodestra
ha fatto muro e ha impedito qualunque dialogo e confronto nel merito. Noi
abbiamo presentato 100 emendamenti, il centrodestra ne ha presentati
330 ed ha votato solo ed esclusivamente le proprie proposte. Vi è
stato un vero ostruzionismo del centrodestra in sede referente rispetto
a qualunque possibilità di dialogo e confronto parlamentare.
Do atto al ministro Calderoli che solo nell'ultimo mese
- su tre anni di legislatura e un anno di procedimento di revisione
-, ripeto, solo nell'ultimo mese, dopo un anno intero, si è aperto
un minimo di confronto che ha portato ad alcune limitate correzioni del
testo, a cui abbiamo partecipato. Ma la verità è che l'impianto
della riforma è rimasto nei suoi aspetti radicalmente non condivisibile.
In materia di forma di governo, anziché un rafforzamento del Primo
ministro, che sarebbe stato da noi condiviso - basta leggere i nostri emendamenti
-, si è introdotto un premierato assoluto che non ha precedenti
nella storia delle democrazie parlamentari di tutta Europa, non solo di
quella continentale ma anche del Regno Unito!
In materia di forma di Stato, vi è uno schizofrenico
processo di ristatalizzazione, da una parte, e di sovrapposizione
della devolution, dall'altra, con in più il rafforzamento
dei poteri sostitutivi e quell'incredibile imposizione dell'interesse
nazionale col Parlamento a Camere riunite che riannulla le leggi regionali.
In materia di bicameralismo, era certo necessario arrivare
ad un bicameralismo differenziato, ma il testo contro il quale noi
voteremo prevede un Senato federale che di federale ha solo il nome ed
un procedimento legislativo confuso e contraddittorio, che vedrà
l'esposizione sistematica del Parlamento attraverso una sorta di terza
Camera, la Commissione paritetica di trenta più trenta, nonché
l'arbitrio dei presidenti eletti dalla maggioranza con quorum che
permettono alla maggioranza stessa di eleggerseli da sola, che avranno
il potere esclusivo di decidere competenze e procedimenti nel rapporto
tra le due Camere, con l'aggiunta di un altro comitato paritetico di quattro
più quattro.
In materia di garanzie, vi è stato un sistematico
abbassamento dei quorum che consegna quasi ogni decisione, salvo
il regolamento della Camera, in mano alla maggioranza pro tempore
e si è introdotto un inaccettabile sbilanciamento nella composizione
della Corte costituzionale.
Queste, in sintesi necessaria, sono le ragioni del voto
contrario dei Verdi, del centrosinistra, di tutte le opposizioni.
PRESIDENTE. Onorevole Cè, deve concludere.
ALESSANDRO CÈ. Concludo, signor Presidente e la ringrazio del
tempo che mi ha dato in più...
PRESIDENTE. Non gliene ho dato poco in più.
ALESSANDRO CÈ ....anche perché in questo
dibattito abbiamo parlato poco e ci siamo riservati di intervenire alla
fine.
In conclusione, devo rivolgere alcuni doverosi ringraziamenti
nei confronti del ministro Calderoli, del quale abbiamo apprezzato la professionalità,
la grande capacità, la grande convinzione e la grande determinazione
(Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana,
di Forza Italia e di Alleanza Nazionale). Devo soprattutto - e credo
che ciò possa essere condiviso da tutta l'Assemblea - dire un grosso
«grazie» ad Umberto Bossi per la tenacia, la forza, il grande
acume politico e l'amore che ha dimostrato per la nostra terra (Applausi
dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia,
di Alleanza Nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici
di centro). Grazie, innanzitutto, ad Umberto Bossi per averci insegnato
che essere uomini significa comprendere che nella vita è importante
lottare per cause nobili: per la nostra dignità, per il nostro popolo
(Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana,
di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani
e dei democratici di centro)!
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare del dichiarazione di voto l'onorevole
Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi,
nella seduta odierna voteremo la riforma costituzionale. Abbiamo lavorato
a questo testo avendo a cuore il bene del paese e delle future generazioni.
Perciò, almeno per noi, la riforma non ha mai assunto l'idea simbolica
del totem, un dio a cui sacrificare le nostre ragioni o il bene comune.
All'opposto, le ragioni che in questi anni hanno mosso le nostre
proposte venivano e vengono da realismo, dal confronto con le emergenze
della realtà italiana, dai danni e dai costi finanziari e burocratici
del Titolo V approvato nella scorsa legislatura che, come tutti sappiamo,
ha prodotto costi pari a 60 miliardi di euro stimati da un istituto internazionale
e ha contribuito fortemente a portare l'Italia dietro il Botswana
per i costi burocratici.
Dicevo che le ragioni che in questi anni hanno determinato le nostre
proposte venivano appunto da questo realismo. Nella primavera del 2002,
a fronte della richiesta da parte di un alleato, la Lega, di attuare il
programma della Casa delle libertà sulla devolution,
abbiamo chiesto di ampliare le riflessioni sulle lacune e sugli errori
del Titolo V; da lì in poi la storia di questa riforma più
ampia ha preso il via. Si tratta di una riforma nella quale il principio
di sussidiarietà, che è nell'articolo 114, la
sussidiarietà fiscale, cioè più libertà per
le persone e per la società, che è nell'articolo 118, il
fatto che le autonomie funzionali non dovranno più temere che una
qualche regione approvi una norma contro di essa, le materie che sono state
riportate alla competenza dello Stato e le nuove materie che sono state
inserite - pensiamo ad esempio alla tutela del sistema Italia -, trovando
finalmente la loro chiara nuova allocazione, la devolution, che
vuol dire più competenze per le regioni, ma anche più tutele
generali da parte dello Stato, e la cosiddetta clausola di supremazia,
di cui al nuovo articolo 120, fortemente voluta da noi, rendono questo
sistema senza ombra di dubbio un federalismo equilibrato e solidale, tra
il centro e la periferia, tra il nord e il sud, tra la società e
lo Stato.
Il principio di sussidiarietà è stato applicato anche
in altri ambiti, come nella formazione delle città metropolitane,
nella possibilità del ricorso alla Corte costituzionale da parte
dei comuni e nel riparto delle competenze amministrative tra Stato, regioni
e autonomie locali. Oggi possiamo dire con chiarezza e con orgoglio che
nella nostra Carta costituzionale c'è, più forte, l'applicazione
e la realtà del principio di sussidiarietà. Per nostra
esplicita volontà c'è la premessa costituzionale per un sistema
elettorale proporzionale. C'è la sfiducia costruttiva verso il premier.
C'è un Senato federale, dove le regioni finalmente, con gli enti
locali, sono presenti e si assumono, davanti allo Stato e all'interno del
Parlamento, le proprie responsabilità. C'è la tutela e la
valorizzazione delle regioni a statuto speciale.
In questa riforma ci sono molti correttivi alla tentazione del neocentralismo
regionale. Permettetemi, però, di soffermarmi su una riflessione.
Qualcuno pensa che il solo sistema proporzionale potrà da sé
cambiare le cose, che il dialogo tra le parti, attraverso questo sistema,
riprenderà. Non penso sia così. Non sarà così,
se l'atteggiamento di ognuno di noi e di ciascuna forza politica rimarrà
quello che abbiamo vissuto in questo dibattito. Non vi è dubbio
che per noi la legge elettorale proporzionale con premio di coalizione
è una meta positiva da raggiungere. Più libertà per
gli elettori però significa più responsabilità per
i rappresentanti del popolo. Il nostro bipolarismo è malato, a causa
di un atteggiamento antipolitico, che vede un nemico al posto dell'avversario.
Ci sono appunto avversari in politica, e non nemici, e gli avversari, oggi
come ieri, devono vivere - lo dico prima di tutti a me - da rappresentanti
del popolo e quindi fare il bene del paese, nel confronto per un lavoro
comune, su quelle regole e su quelle prospettive che sono di tutti,
di chi oggi è maggioranza e di chi oggi è opposizione: la
politica estera, la lotta al terrorismo, ma anche - e non può che
essere così - la Carta costituzionale, i pilastri dello sviluppo,
la sussidiarietà e il valore della famiglia.
Non nascondiamoci, però, l'evoluzione politica grave di questi
ultimi mesi. A luglio eravamo stati imputati come responsabili di una crisi
della maggioranza per le stesse ragioni e per gli stessi emendamenti dei
quali oggi la maggioranza va in gran parte fiera. Se questo nostro piglio
di allora oggi è divenuto patrimonio comune e condiviso, non può
che stupire e sconcertare quanto l'opposizione pregiudizievole abbia preso
il posto dell'opposizione costruttiva, che allora lanciava fiori al nostro
passaggio. Il metodo del confronto con la società italiana, da noi
chiesto al ministro Calderoli e da lui attuato durante i mesi estivi, non
è piaciuto e così ai nostri emendamenti di luglio si è
votato «no» perché essi erano stati firmati dall'intera
maggioranza. Purtroppo nemmeno queste risposte avremo oggi. Tutti sappiamo
il perché del vostro atteggiamento qui, lo sottolineo, in aula:
è un «no» a prescindere! Lo avete detto in molte occasioni,
in quest'ultimo mese. Merito di Prodi o meglio demerito suo e di chi, come
lui, ha scelto di non contribuire alla costruzione comune della Carta costituzionale
di tutti!
La disponibilità, da parte nostra, vi è stata; un'umile
e prudente atteggiamento ci ha guidato, ricordando le nostre radici, e
ci ha guidato con forza anche in questi mesi. Una cosa è mancata:
la vostra - perdonatemi - passione civile, la vostra utile volontà
di lavorare insieme ad un progetto comune per tutti, e lo considero
un peccato, un'occasione persa per tutti, di cui vi assumete per intero
la responsabilità.
Non vi è merito alcuno ad evitare il dialogo! Non vi è
merito alcuno ad evitare il confronto ed il lavoro comune per il bene del
paese! Non vi è merito alcuno a vestire i panni, come avete fatto,
della tirannia dell'opposizione!
Dire sempre «no» a prescindere, impedire un voto unanime
ed ampio anche su temi condivisi e così importanti è, nei
fatti, un vero e proprio tentativo di far valere il pericolo della tirannia
dell'opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici
cristiani e dei democratici di centro e di Alleanza Nazionale).
È l'evidenziarsi di poca responsabilità e dispiace a noi,
dispiace per il paese e per il futuro.
Tutto, purtroppo, avete fatto non per un ideale, ma per un uomo; un
uomo solo al comando, un uomo i cui ordini avete anteposto anche al dibattito
ed al confronto per un lavoro comune. Cadono anche qui tutte le vostre
critiche al premierato attenuato inserito in questa riforma. Voi avete
scelto di seguire un imperatore che non ha nemmeno il coraggio di venire
qui, da eletto, a confrontarsi nell'aula del Parlamento, un capo extra
parlamentare.
ROSY BINDI. Ma che dici?
LUCA VOLONTÈ. Il vostro atteggiamento getta un'ombra su questo
voto, un voto per noi favorevole e positivo per i molti aspetti migliorati
in questi mesi. Vi è un velo di tristezza davanti alla presa d'atto
che non vi è stata la possibilità di un lavoro comune, ma
vi è anche il velo di una certa soddisfazione, perché vi
è più equilibrio, più solidarietà, più
sussidiarietà e più chiarezza in questo testo di quanto non
ve ne fosse in quello approvato dal Senato.
Tutti sappiamo che il testo in esame poteva ancora essere migliorato
e tutti sappiamo quanto poco abbiate fatto per fare in modo che ciò
accadesse.
Un grazie, infine, da parte mia, a tutti i componenti della Commissione,
di destra e di sinistra, al presidente della Commissione, onorevole Donato
Bruno, che ha guidato con intelligenza e con grande disponibilità
i nostri lavori, al ministro Calderoli ed al sottosegretario Brancher (Applausi
dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della
Lega Nord Federazione Padana).
Pensiamo di aver fatto il nostro dovere e di averlo fatto bene; tutto
ciò che poteva essere fatto meglio, purtroppo, è stato impossibile,
a causa del vostro atteggiamento a parole costruttivo dentro quest'aula...
KATIA BELLILLO. Per Buttiglione... Vergogna!
LUCA VOLONTÈ. ...a parole polemico fuori da quest'aula
e, certamente, in entrambi casi, completamente all'opposto di ciò
che avete detto quando il Capo dello Stato ha invitato tutti al dialogo
costruttivo, che voi non avete consentito (Applausi dei deputati dei
gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro,
di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
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ANDREA LULLI. Sei un servo!
KATIA BELLILLO. Giuda!
PRESIDENTE. Onorevole Bellillo, sono urla da stadio! Non è questa
la sede!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Mita.
Ne ha facoltà.
CIRIACO DE MITA. Signor Presidente, onorevoli
colleghi, avremmo voluto e dovuto decidere insieme e, quindi, non dire
«no» al vostro invito, ma voi, onorevole Volontè, avete
fatto un patto mediocre e un po' rozzo di maggioranza e a questo la minoranza
è costretta a dire «no».
Lo dico con amarezza: lo spettacolo che abbiamo offerto
non è esaltante, non per la durezza dello scontro, ma per
la sua inutilità, ma ciò non è figlio del caso, di
un momento di distrazione o di rilassatezza. Ciò perché un'opera
alta e straordinaria, come il riordino delle istituzioni e delle regole
della convivenza, è stata trattata come merce di scambio tra
i vari segmenti della maggioranza.
Vi è un rilievo che vorrei fare: abbiamo perso
e perdiamo una straordinaria occasione.
Infatti, la democrazia dell'alternanza, di cui tutti
abbiamo parlato e che tutti abbiamo avvertito come una necessità,
non si fonda sulla definizione dei diritti comuni, ma sulla definizione
del privilegio di parte.
Quando la maggioranza, non come regola di individuazione
della norma ma come coalizione, pretende di dettare le regole della convivenza,
crea un solco molto duro rispetto alla prospettiva di ripresa democratica
del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita,
DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista,
Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
Vorrei che tutti riflettessimo su ciò: l'alternanza
è fondata sull'uso discrezionale del potere, non sulla definizione
del diritto tra una parte e l'altra. Quindi, il decidere insieme non è
atto di cortesia, il decidere insieme è una necessità. E
quando questa necessità non è realizzata, rimaniamo tutti
sconfitti di fronte ad un'opera che avremmo dovuto attuare.
Non a caso - amici del Parlamento, amici della maggioranza
-, la liturgia che abbiamo praticato - lo voglio dire all'onorevole Fini,
presente alla conclusione del dibattito - è stata abbastanza anomala.
Il Parlamento, sia in Commissione sia in aula, ha discusso su proposte
che si sapeva non erano definite; infatti, le proposte definite sono state
avanzate in conclusione dal ministro attraverso l'emendamento, che non
era un espediente tecnico, in quanto obbediva alla logica che la soluzione
non era del Parlamento nella sua totalità. Discutere insieme significa
tener conto del Parlamento nella sua totalità, non dei vertici e
della maggioranza attraverso l'utilizzo di un supporto tecnico che squalifica
la scienza giuridica e il diritto costituzionale (Applausi dei deputati
dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo,
di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-socialisti democratici
italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
Infatti, le norme non sono concetti approssimati, le
norme hanno una loro razionalità, ubbidiscono ad esigenze, ma non
sostituiscono i comportamenti. Quando qualcuno leggerà i resoconti
di questa discussione scoprirà che, nella logica della formulazione
giuridica, abbiamo fatto straordinari passi indietro rispetto allo Stato
laico, che prefigura la norma come sollecitazione di comportamenti. La
norma stabilisce che qualcuno possa fare qualcosa per noi; in realtà,
abbiamo introdotto norme che impediscono qualcosa o sostituiscono il comportamento
delle persone. Stiamo procedendo verso una forma di logica teocratica:
altro che forma laica e democratica (Applausi dei deputati dei gruppi
della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione
comunista, Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo)!
La mostruosità - lo dico all'amico Follini - non
è in questo o in quel particolare, ma nella logica del complesso
dell'ordinamento che abbiamo definito. Dunque, mi soffermerò su
tre questioni.
La prima è quella relativa alla semplificazione
del bicameralismo. Si tratta di una questione che la Costituzione lasciò
irrisolta, dando vita ad una sorta di bicameralismo perfetto.
Nella contrapposizione tra la tesi del bicameralismo
- sostenuta prevalentemente dalla Democrazia cristiana e dagli alleati
- e quella del monocameralismo - sostenuta dalla sinistra - si pervenne
ad una sorta di bipartitismo perfetto. Si tratta di un vizio che, onestamente,
non ci ha impedito di progredire durante cinquant'anni di vita democratica.
Ciò poteva essere corretto, ma voi avete organizzato
una forma di bicameralismo fondata sulla presunzione della convergenza,
per cui quando una Camera non è d'accordo con l'altra si dà
vita all'arbitrato, discettando come se si trattasse di norme private e
non di norme a difesa dell'interesse pubblico (Applausi dei deputati
dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo,
di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-socialisti
democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
Il bicameralismo si fonda sul dissenso, non sul consenso
coatto, altrimenti il bicameralismo sarebbe inutile!
Questo non significa che il bicameralismo non esiste
dove c'è l'accordo, ma il bicameralismo esiste per registrare il
dissenso quando questo effettivamente si verifica.
Dico questo all'onorevole Bruno, di cui ho stima e a
cui posso quindi rivolgermi senza il timore di reazioni eccessive. Sarebbe
stato molto semplice stabilire che alla Camera spetta la competenza sulle
materie che riguardano l'attività di governo, perché essa
ha un rapporto di fiducia con l'Esecutivo. Il Senato, viceversa, ha competenza
per le materie che riguardano la tutela delle autonomie. Il bicameralismo
da conservare - non è infatti da cancellare - riguarda materie quali
la difesa, la definizione dei diritti di libertà e delle norme costituzionali.
Onorevole Bruno: Napoleone, che si intendeva di tecnica
istituzionale, dettava norme di tre righe, brevi e oscure (Applausi
dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di
sinistra-L'Ulivo, Misto-Verdi-L'Ulivo, Misto-socialisti democratici
italiani). Leggete quello che avete scritto. Eppure, quando l'ho fatto
osservare, mi è stato risposto che non si trattava soltanto di questo,
quasi a dire che, al di là della sintassi, ci fosse ben altro!
Insomma, i Costituenti - tra cui erano presenti in quantità
notevole persone di cultura - per la definizione delle norme scelsero linguisti
di chiara fama e grande capacità. Adesso esistono norme costituzionali
che fanno richiami come fossero norme di condominio. Le norme sono sollecitatrici
di comportamenti e alla sollecitazione deve corrispondere il comportamento
politico. Queste norme non fanno riferimento ai comportamenti politici
né definiscono le sollecitazioni: in realtà, sono un grande
pasticcio.
Passando alla devoluzione, mi rivolgo agli onorevoli
della Lega e affermo che si trattava di una delle riforme da fare. In proposito,
ho sentito l'onorevole Cè far riferimento ai limiti e ai vizi
dello Stato centrale. Lo stesso onorevole Cè dovrebbe convenire
con me che lo Stato centrale non lo modifichiamo noi con la riforma, in
quanto ha perso la sua funzione con l'avvio del processo di integrazione
europea. Lo Stato centrale storicamente è stato funzionale alla
costruzione di un'aggregazione tra comunità diverse. Era l'ultimo
orizzonte; adesso quell'orizzonte è scomparso ed innanzi a noi si
profila l'orizzonte alto dell'Europa. È rispetto a quell'orizzonte
che il processo federativo esige una risposta. La federazione va in quella
direzione, viceversa sul piano interno, pur ammettendo che voi ben vi preoccupiate
dei limiti dello Stato centrale, in realtà stiamo operando nella
direzione di trasferire i poteri della centralità dello Stato al
centralismo regionale, commettendo un errore che si moltiplica (Applausi
dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici
di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani
e Misto-socialisti democratici italiani).
Amici dell'UDC: altro che una correzione alla distorsione!
Dall'altra parte, mentre cresce il processo di federazione verso l'Europa,
sorge la necessità del governo delle autonomie. Da questo punto
di vista, credo che la brevità del tempo a mia disposizione non
lo consenta, ma esiste una quantità di spiegazioni che portano a
questa sollecitazione, non solo tecniche ed istituzionali, ma anche culturali.
Nei secoli scorsi, dalla rivoluzione francese in poi,
l'individuo era garantito all'interno dell'ordinamento dello Stato centrale.
Era la persona nella sua solitudine che si muoveva in questo coordinamento
di sollecitazioni più vaste. L'orizzonte europeo mette la persona
nella sua solitudine e nella necessità di organizzare la comunità
per reggere la sua presenza rispetto all'orizzonte più alto. Da
qui l'esigenza della ripresa del governo delle autonomie
La sussidiarietà, onorevole Volontè, non
è una parola che si aggiunge all'altra. La sussidiarietà
è una concezione della sovranità che capovolge il tipo di
ordinamento. Quella non avrebbe richiesto norme protettive a difesa dell'interesse
nazionale e tutte le altre disposizioni farraginose che avete messo nell'ordinamento.
Infatti, una siffatta concezione dell'ordinamento si garantisce automaticamente.
La sovranità delegata è garantita dal delegante e dal delegato,
non vi è bisogno di introdurre nella Costituzione norme di
salvaguardia.
Altro che miglioramento! Voi avete costruito la macchina
che usa contemporaneamente il freno e l'acceleratore, non una volta il
freno e l'altra l'acceleratore, e quando si usano insieme il freno e l'acceleratore
la macchina non cammina: non potete mandare avanti la riforma (Applausi
dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di
sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani,
Misto-socialisti democratici italiani e Misto Verdi-L'Ulivo)!
Questo è quanto di più mostruoso vi sia sul piano dell'ordinamento.
La terza questione è relativa al Governo.
Onorevole Fini, ho l'abitudine - confesso tale limite - di osservare le
esigenze istituzionali non tanto partendo dalla norma, quanto partendo
dal fatto. Non a caso, come ho detto nel corso dell'intervento durante
la discussione sulle linee generali, mi ispiro molto alla scelta giuridica
romana - ex facto oritur ius - non ignorando che negli ultimi
secoli è maturata, soprattutto nell'intelligenza europea, l'illusione
di prefigurare il futuro e di imporlo alla storia. Ne abbiamo visto le
conseguenze, tuttavia questa intelligenza, bene o male, vi è stata.
Ma in questo caso non vi è alcun disegno generale da imporre alla
realtà da correggere: in questo caso vi è un pasticcio. C'è
la realtà da governare, e voi pretendete di ingabbiarla dentro un
insieme di convenienze tra di loro contraddittorie.
Il problema del Governo, intorno al quale ci siamo accapigliati...
PRESIDENTE. Onorevole De Mita, mi dispiace, la prego di concludere.
È quasi una crudeltà da parte tua (Commenti dei deputati
del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)...
LAURA CIMA. Questa è storia, Presidente! Abbiamo sentito chiacchiere!
UGO PAROLO. Il terremoto...
LUCIANO DUSSIN. È un rompiballe!
DARIO GALLI. Basta!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sono io che interrompo... Onorevole
De Mita, le chiedo la cortesia di concludere... Ci siamo capiti a vicenda...
CIRIACO DE MITA. Signor Presidente, le chiedo ancora pochi secondi
per concludere.
PRESIDENTE. Onorevole De Mita, mi ricordo dal passato che la sua concezione
dei tempi era un po' relativa...!
CIRIACO DE MITA. Non sono mai stato presidenzialista - mi rivolgo in
particolare all'onorevole Fini - ma sono sempre stato convinto del valore
del governo parlamentare. Tuttavia, ho sempre ritenuto e ritengo che il
presidenzialismo conservi la logica della democrazia rappresentativa, perché
a fronte della stabilità e dell'autonomia del Governo elegge un
libero Parlamento, che non è obbligato a votare le leggi del Governo
ma si pone in un rapporto dialettico nei confronti di quest'ultimo.
L'anomalia, o, se volete, la mostruosità della norma che voi
proponete non è né il governo parlamentare né il governo
presidenziale, ma è il governo personale, la cui logica porta all'annullamento
del Parlamento, istituzione della democrazia rappresentativa: in ciò
risiede il dissenso (Applausi dei deputati del gruppi della Margherita,
DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista,
Misto-Comunisti italiani, Misto-socialisti democratici italiani e
Misto Verdi-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole De Mita...
CIRIACO DE MITA. In ciò risiede il dissenso; pertanto, voteremo
contro ma con la speranza (Commenti dei deputati della Lega Nord Federazione
Padana)...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, basta! L'onorevole De Mita sta terminando.
Onorevole De Mita, concluda!
LUCIANO DUSSIN. L'ora d'aria è finita!
PRESIDENTE. Onorevole Luciano Dussin.. .! L'onorevole De Mita sta concludendo.
Onorevole De Mita, concluda!
CIRIACO DE MITA. Signor Presidente, quando affermo che
votiamo «no», lo affermo con una grande speranza: che il «no»
sia sollecitazione al rinsavimento, e vorrei ricordare a me e a tutti voi
un versetto biblico, che recita: mai le tenebre sono così intense
prima che sorga l'aurora (Vivi, prolungati applausi dei deputati dei
gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo,
di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-socialisti
democratici italiani e Misto Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni - Commenti
dei deputati della Lega Nord Federazione Padana)!
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole
Carrara (Commenti del deputato Gibelli. - Scambio di apostrofi
tra i deputati Gibelli e Cento, il quale lancia un fascicolo recante documenti
di seduta all'indirizzo del deputato Gibelli, che glielo rilancia. Una
voce dai banchi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo:
Coglione...)...
Onorevole collega... Onorevole Cento, la richiamo all'ordine! Onorevole
Gibelli... È stato appena lanciato un fascicolo, l'ho visto io...
Onorevoli colleghi, l'intervento dell'onorevole De Mita non merita
in alcun modo una gazzarra! È un intervento da rispettare, anche
se non lo si condivide.
Onorevole Carrara, a lei la parola e le chiedo scusa.
NUCCIO CARRARA. Se i colleghi...
PRESIDENTE. Onorevole Carrara, mi aiuti, inizi pure il suo intervento!
NUCCIO CARRARA. Signor Presidente, le vengo incontro, aspetto solo
che si calmino i colleghi della sinistra, che dimostrano un entusiasmo
credo un po' eccessivo; a parte il lirismo... (Commenti dei deputati
del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Non è lesa maestà parlare di entusiasmo (Commenti
del deputato Nespoli)! Onorevole Nespoli, la prego!
Abbiamo discusso quattro settimane; ciascuno di noi ha passione civile.
Ho ascoltato l'onorevole Cè, l'onorevole Volontè e l'onorevole
De Mita: sono stati tutti interventi di grande spessore perché sentiti.
E questo fa onore al Parlamento, non guastiamolo così (Applausi
dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale, Forza Italia e dell'Unione
dei democratici cristiani e dei democratici di centro)! Onorevole Carrara,
anche lei ha seguito il dibattito con grande passione, prosegua.
NUCCIO CARRARA. Anche io mi sono appassionato a questo dibattito, ma
in questo momento cerco di essere più lucido che appassionato.
Svolgo una prima osservazione sugli interventi che mi hanno preceduto,
con riferimento a quelli dei colleghi dell'opposizione; ancora non ho trovato
un argomento che fosse in linea con la verità storica (Commenti
dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita,
DL-L'Ulivo). E negli interventi «migliori», come quello
dell'onorevole De Mita, non si è andati oltre un certo lirismo costituzionale
che non tiene conto che la Costituzione esplica effetti pratici...
(Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo
e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia! Onorevole Carrara, sono
io a doverle chiedere scusa. Onorevoli accanto al banco del deputato
Franceschini, per cortesia! Onorevole Alfonso Gianni, non parli al banco
del Governo, con il Governo lei non parla spesso... Non lo faccia proprio
oggi.
Dopo l'intervento dell'onorevole Carrara sono previsti gli interventi
degli onorevoli Violante e Saponara. Credo sia interesse di tutti ascoltare,
ma se qualcuno vuole parlare, allora esca. Ci vuole un po' di rispetto!
Prosegua, onorevole Carrara.