Riforme Istituzionali
 
 
Dichiarazioni di voto Ddl di revisione Costituzionale: Senato - 23 marzo 2005 
  
Fonte: Senato
(2544-B) Modifiche alla Parte II della Costituzione
(Approvato in prima deliberazione dal Senato e modificato in prima deliberazione dalla Camera dei deputati)
 
Donadi   -    Marino   -    Occhetto    -    Malabarba    -   Del Pennino  -  Colombo   -   Fabris    -   Kofler
 
Turroni    -    Pirovano   -   D'Onofrio   -   Nania   -   Angius    -   Pastore  -  Fisichella   -   Gubert
 
 
 
 
 

Approvazione, in prima deliberazione, del disegno di legge costituzionale n. 2544-B

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge costituzionale nn. 2544-B, già approvato in prima deliberazione dal Senato e modificato in prima deliberazione dalla Camera dei deputati, 1941, 2025, 2556 e 2651.
Ricordo che nella seduta pomeridiana di ieri si è concluso l’esame degli articoli.
Passiamo alla votazione finale.

DONADI (Misto-IdV). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà per due minuti.

DONADI (Misto-IdV). Signor Presidente, credo debba essere chiaro a tutti che quella che stiamo approvando qui, oggi, non può essere definita una semplice riforma costituzionale; è qualcosa di più: è di fatto una vera e propria nuova Costituzione. Stiamo modificando l’intero impianto dell’ordinamento della Repubblica. Della vecchia Costituzione restano intatti soltanto i primi 50 articoli, quelli relativi ai diritti e alle libertà fondamentali. Tutto il resto cambia. (Diffuso brusio in Aula).

PRESIDENTE. C’è troppo brusio in Aula. Per cortesia, colleghi, non si sente il senatore Donadi.

DONADI (Misto-IdV). Paradossalmente, nel circuito dell’informazione si sente parlare soltanto di devolution, ma qui stiamo facendo molto di più che introdurre la devolution: stiamo cambiando la forma di Stato, che passa da nazionale a federale; stiamo cambiando la forma di Governo, che passa da Governo parlamentare a Governo di un Premier tiranno, svincolato da contrappesi ed equilibri di altri organi costituzionali. Stiamo ridefinendo il ruolo e il peso degli organi fondamentali dello Stato: il Parlamento, che da domani sarà ostaggio del Premier; il Presidente della Repubblica, ridotto a un ruolo secondario e marginale; la Corte costituzionale, che sarà meno indipendente e più politicizzata di prima. Ebbene, questo crea dei problemi.
Nel momento in cui si cambia una Costituzione, ci si aspetterebbe un’Assemblea costituente, un grande dibattito nel Paese, dentro e soprattutto fuori dal Parlamento, perché la nuova Costituzione sia la Costituzione di tutti, un nuovo patto fondativo tra i cittadini e le istituzioni. Invece no, niente di tutto questo. Il Parlamento sta approvando una nuova Costituzione a maggioranza semplice. Ma non solo: sta approvando una nuova Costituzione di fatto impedendo il dibattito nel Parlamento; sta approvando una nuova Costituzione mettendo la museruola all’opposizione e mettendo la sordina al dibattito anche nel Paese. Questo è inaccettabile.
State approvando una nuova Costituzione in modo furtivo e clandestino e non so se dietro questo atteggiamento, signori colleghi, vi sia più arroganza o insipienza. Sappiate, in ogni caso, che quella che state approvando oggi non è solo una nuova Costituzione: è anche un’offesa ai più elementari princìpi di democrazia e di civiltà del diritto; è un tradimento dello spirito dell’articolo 138 della Carta costituzionale, che prevede sì modifiche alla Costituzione approvate a maggioranza, ma non una Costituzione completamente nuova.
Questa legislatura ha già conosciuto l’onta delle tante leggi ad personam e della legalizzazione del monopolio dell’informazione. Facciamo in modo che non sia ricordata anche come la legislatura che ha svenduto, per dieci denari, i valori di una Costituzione nata dalla Resistenza, dall’antifascismo e dal sacrificio della vita di tanti italiani nel nome della libertà. (Applausi dai Gruppi DS-U, Verdi-Un e dei senatori Occhetto e Malabarba).

MARINO (Misto-Com). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà per due minuti e trenta secondi.

MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, con queste modifiche alla seconda parte della Costituzione si rompe l’impianto istituzionale che ha retto la Repubblica sinora, salta il sistema di garanzie e gran parte dei pesi e contrappesi che hanno assicurato la democrazia nel nostro Paese. Queste modifiche incidono anche sulla prima parte della Costituzione, che resta solo formalmente inalterata.
Gli attacchi alla Costituzione sono d’altra parte venuti con le scelte di politica internazionale, con la legislazione ordinaria in materia di fisco, di giustizia, di lavoro, di ambiente ed ora con queste cosiddette riforme che rompono l’equilibrio armonico fra le diverse istituzioni dello Stato e la stessa unità nazionale.
Vengono rafforzati enormemente i poteri del Primo ministro, ma indeboliti i contrappesi, gli istituti di garanzia rappresentati dalle prerogative del Capo dello Stato, dalla Corte costituzionale e dallo stesso Parlamento, ritenuto un intralcio. Viene tolto al Presidente della Repubblica il potere di sciogliere il Parlamento, che resta di fatto ostaggio nelle mani del Primo ministro assoluto, alla sua mercé, sotto il ricatto dello scioglimento.
Al Presidente della Repubblica viene sottratto altresì il potere di autorizzare la presentazione dei disegni di legge governativi, che costituiva un ostacolo ai tentativi di debordare dai princìpi fondamentali stabiliti dalla Costituzione.
Con la devoluzione, che dà alle Regioni la legislazione esclusiva in materia di scuola e sanità, si frantuma il Servizio sanitario nazionale ed il sistema scolastico unitario. Si sanziona così a livello costituzionale che il diritto all’istruzione e alla salute è diversamente tutelato, dal momento che diverso è il livello di sviluppo delle Regioni. Tutto ciò è in contrasto con i princìpi della universalità e dell’uguaglianza dei diritti sociali fondamentali e con quelli della unità e indivisibilità della Repubblica.
Si rompe così la coesione nazionale del Paese. Il Senato cosiddetto federale vede il suo ruolo gravemente ridotto. Più coerente e valida invece sarebbe stata la nostra proposta del monocameralismo, che è stata respinta.
La nuova composizione della Corte costituzionale squilibra la sintesi dei diversi apporti voluti dal Costituente.
Tutto questo fa sì che la Repubblica, la nostra democrazia, corra un serio e grave pericolo. Di qui l’allarme non solo di carattere costituzionale, ma anche sociale che noi Comunisti Italiani lanciamo, perché il referendum confermativo inevitabile respinga lo snaturamento della Costituzione repubblicana. (Applausi dai Gruppi Misto-RC e DS-U).

OCCHETTO (Misto-Cant). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

OCCHETTO (Misto-Cant). Signor Presidente, quello che si sta perpetrando qui oggi è un misfatto, un delitto di una gravità inaudita: è la decapitazione dello spirito della più bella Costituzione europea.
Sul piano formale, si è di fatto andati ad un mutamento di fondo dello spirito democratico a centralità parlamentare della Costituzione nata dalla Resistenza, attraverso una totale e inammissibile illegalità delle procedure. Infatti, per il cambiamento della Costituzione non si può forzare oltre i suoi limiti l’articolo 138, utilizzabile solo per un suo rinnovamento e aggiornamento interno. Non lo si può fare con il maggioritario, a colpi di maggioranza, e sotto il ricatto di un partito che rappresenta il 4 per cento degli elettori.
Sul piano sostanziale, vi piaccia o no, si dà vita ad una forma moderna di dittatura della maggioranza e del Premier; non si garantisce solo una maggiore governabilità: no, si impone la mordacchia al Parlamento e si instaura il dominio della maggioranza su tutte le istituzioni di garanzia, a partire dalla Corte costituzionale.
Il federalismo è vanificato da un duplice inganno: l’accentramento dei poteri economici e il decentramento delle politiche sociali che, con la diminuzione di fondi agli enti locali e in mancanza di un vero federalismo fiscale, si presenta come un’autentica truffa fatta all’insieme del popolo italiano, che ora, ancora ignaro, vedrà messo in crisi il carattere universale del welfare.
Ma noi sveglieremo coloro che ancora dormono dal torpore e li porteremo all’azione attraverso il referendum abrogativo e diremo loro che non siamo per la mera conservazione dell’esistente. No, troppe cose sono cambiate sotto il cielo!
Noi siamo stati per una maggiore governabilità, ma la governabilità e il maggioritario andavano corretti da un sistema ricchissimo di pesi e contrappesi, da un allargamento e non da un restringimento della democrazia.
Presenteremo un progetto di riforma che non stravolga la democrazia ma la adegui all’epoca della globalizzazione e alle nuove sfide della dittatura mediatica e lo faremo all’interno di quanto consentito dall’articolo 138.
Signori della maggioranza, avete ridotto questo Parlamento un bivacco; ora vi attenderemo e batteremo nel Paese! (Applausi dai Gruppi Misto-Cant, DS-U, Verdi-Un e Misto-Com).

MALABARBA (Misto-RC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, voi, signori della maggioranza, vi state assumendo la gravissima responsabilità di cambiare l’ordinamento della Repubblica.
Formalmente, modificate numerosi articoli della seconda parte della Costituzione, ma nella sostanza ne modificate pesantemente anche la prima, quella che statuisce i princìpi fondamentali e i diritti dei cittadini.
Ma con la Costituzione non si può scherzare! È noto il parere negativo di Rifondazione Comunista sulla riforma del Titolo V approvata alla fine della scorsa legislatura. Noi non siamo ondivaghi: quella norma va corretta riordinando funzioni e competenze, ma quella dell'attuale maggioranza è una vera e propria riscrittura delle regole, che piegano l'istituzione parlamentare alla dittatura del Premier, che concentra su di sé poteri immensi, tra cui quello di scioglimento delle Camere, oggi prerogativa del Capo dello Stato.
E dopo che il sistema maggioritario ha abolito l'uguaglianza nel voto dei cittadini, le modifiche costituzionali aboliscono ora anche l'uguaglianza nel voto dei parlamentari, annullando qualsiasi ruolo dell'opposizione. Bravo Calderoli! Bravo Ministro! Questo sfascio, che nasce dall'impianto della cosiddetta devolution, e che produrrà guasti alla democrazia e nuove diseguaglianze sociali, porta la sua impronta. Ognuno si prende la medaglia che pensa di meritare, anche quella della vergogna, quella del patto che i vincitori impongono ai vinti, per usare le urbane espressioni di Gianfranco Miglio di qualche anno fa.
Sia chiaro, il federalismo è nato storicamente per unire, per federare ciò che era diviso, per mettere in relazione culture, poteri, identità statuali. Il vostro federalismo è, al contrario, una secessione mascherata, un azzardo costituzionale di stampo liberista, una costruzione mercificata in cui i territori vengono messi in concorrenza tra loro, in una competitività che premia il più forte, tesa ad abbassare il livello delle garanzie sociali. Stiamo parlando della cancellazione del Servizio sanitario nazionale, dell'unità formativa della scuola repubblicana, così come della sicurezza, ma anche della cancellazione dei contratti nazionali di lavoro che ne deriverà, portando a livelli parossistici la precarizzazione. È bene che tutti i lavoratori ne siano consapevoli.
Ma tanta arroganza padronale può trasformarsi in un boomerang, se le opposizioni saranno in grado di uscire dalle semplici schermaglie e di far comprendere la devastazione sociale che consegue dalle modifiche costituzionali, e saranno quindi in grado di preparare il referendum attraverso una fortissima mobilitazione di tutta l'opposizione sociale, cancellando così questa mostruosità giuridica.
La lotta di liberazione dal nazifascismo ha prodotto la Carta costituzionale. Né pulsioni revisionistiche, né rigurgiti liberticidi saranno mai accettati dalla vigile coscienza democratica del Paese! (Applausi dai Gruppi Misto-Com e DS-U).

DEL PENNINO (Misto-PRI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DEL PENNINO (Misto-PRI). Signor Presidente, ho già avuto modo di esprimere, nel corso della discussione sugli emendamenti, le ragioni che sostanziano il complessivo giudizio negativo dei repubblicani sul provvedimento al nostro esame.
Il testo che ci è pervenuto dalla Camera, e che nel corso del dibattito non si è voluto minimamente correggere qui in Senato, non risolve, infatti, i problemi che ci avevano indotto ad esprimere il nostro dissenso in occasione della prima lettura del disegno di legge. Certo, sono state migliorate alcune disposizioni che erano contenute nella riforma del Titolo V approvata, purtroppo, nella passata legislatura, anche se questi miglioramenti non sono ancora soddisfacenti.
E se fossero state accolte le nostre proposte di stralcio ed il voto fosse stato limitato alla parte del provvedimento relativa alla cosiddetta devolution e alla revisione dell'articolo 117, diverso avrebbe potuto essere il nostro atteggiamento, anche se permangono forti incongruenze pure nel nuovo sistema.
Ma, respinto lo stralcio, siamo in presenza di un testo complessivo che ci induce ad esprimere un voto negativo. Giudichiamo, infatti, pasticciato e confuso il meccanismo previsto per la formazione delle leggi; di fatto vanificato il ruolo del Senato, cui rimane una competenza residuale; squilibrato il rapporto fra Governo e Parlamento nel momento in cui non si modifica l'articolo 49, prevedendo un sistema di vere primarie, sia per la scelta del Primo ministro sia per quella dei parlamentari; scarse le garanzie, non essendo stata introdotta la possibilità di ricorso alla Corte costituzionale da parte delle minoranze; evasive le norme relative al CSM, che non servono a correggerne il carattere corporativo; demagogica e foriera di conflitti di attribuzione la previsione che consente a Comuni, Province e Città metropolitane di impugnare direttamente davanti alla Corte costituzionale le leggi o gli atti aventi forza di legge, qualora ritengano violate le loro competenze.
Francamente non capiamo le ragioni che inducono ad un’approvazione frettolosa di un testo improvvisato e contraddittorio, sol che si pensi che le disposizioni che riguardano la riforma del bicameralismo e della forma di Governo sono destinate ad entrare in vigore solo nel 2011.
Quando si è in presenza di norme che devono regolare e garantire i processi politici e la vita democratica del Paese, fretta ed improvvisazione dovrebbero essere messe da parte. Non avete voluto farlo e non potete chiedere che il PRI, partito storico delle istituzioni, non neghi il proprio consenso. (Applausi dal Gruppo DS-U e dei senatori Betta e Boscetto).

COLOMBO (Misto). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLOMBO (Misto). Signor Presidente, onorevoli senatori, più volte, di fronte al testo (o meglio ai vari testi che si sono avvicendati nel corso della convulsa negoziazione politica all’interno della maggioranza), mi sono chiesto quale potesse essere un giudizio obbiettivo sulla cosiddetta Grande Riforma (che non mi appare né grande né buona). Nella convinzione che la Costituzione non è certamente un testo inemendabile, sotto la spinta di una storia e di un costume che cambiano e che chiedono di "vivere" dentro istituzioni che li interpretino adeguatamente e durevolmente, mi sono sforzato di dare un giudizio del lavoro compiuto fuori da ogni pregiudizio e dallo scontro che si è perpetrato in questa Aula.
Ebbene, il giudizio non è positivo, me ne scuso con il senatore D’Onofrio del quale da tempo ho grande stima. Non è positivo sia per il modo con cui si sta procedendo, sia per il clima culturale ed etico-civile che sta accompagnando il nostro lavoro legislativo. Chi, come me, ha vissuto le atmosfere dell’Assemblea costituente, ricorda bene la tensione delle grandi culture, il contributo della riflessione perfino religiosa, soprattutto il costruttivo sentimento unitario capace di trascendere le forti diversità ideologiche.
Nella grande trama di obiettivi e valori contenuti in quel testo costituzionale, tutti siamo stati garantiti e l’Italia ha seguito una traiettoria virtuosa che l’ha portata - pur attraverso stagioni difficili e tormentate - a vivere da protagonista fra il secolo delle grandi tragedie e il nuovo che si è aperto in un clima di straordinarie tensioni e trasformazioni.
Diversamente da allora, si è preferito avviare un'opera di revisione costituzionale, non solo al di fuori di una temperie morale e culturale adeguata e lontana assai da quel clima di concordia di fondo che, sola, pur nelle legittime diversità, può rendere possibili le grandi imprese politiche, ma, soprattutto, ricorrendo ad una prassi di revisione costituzionale ordinaria che, a rigore, non avrebbe potuto conciliarsi con le smodate ambizioni del progetto, che è una nuova Costituzione. Depreco il sistema che ogni maggioranza si faccia la sua Costituzione.
D’altra parte il testo del quale ci occupiamo è, come è stato rilevato, confuso, contraddittorio, lontanissimo dal modello di Costituzione che la nostra migliore tradizione ha finora salvaguardato sia in termini di asciuttezza delle norme, sia di coerenza dell’impianto, sia di efficienza delle istituzioni, nonché di armonia e cooperazione fra di esse dentro una visione unitaria dello Stato.
Questo testo non dice quali garanzie possono difenderci da una sovraesposizione così manifesta di poteri del Premier; non ci dice se la Repubblica che stiamo definendo sia presidenziale, semipresidenziale o ancora, in qualche modo, parlamentare, pur con così patenti limitazioni di sovranità e centralità del Parlamento; non dice se il Presidente della Repubblica debba esercitare ancora un ruolo di garanzia e di custodia dell'unità nazionale o invece, com'è stato scritto, non venga ridotto a Presidente onorario o Past Governor (come accade nei Lions o nei Rotary); non dice se l'opposizione venga (e come) garantita nei suoi essenziali poteri; ancora se la "devoluzione" non apra le strade ad una disarticolazione dello Stato (finora salvaguardato sia in termini di asciuttezza delle norme, sia di coerenza dell'impianto, sia di efficienza delle istituzioni, nonché di armonia e cooperazione fra di esse dentro una visione unitaria dello Stato) e ad una ingovernabilità permanente.
Infine (ma non è l'ultima delle tante inaccettabili modifiche) questo testo non dice se sia possibile definire "federale" un Senato che non ha certezza né di rappresentanza, né di funzioni, né di ruolo, nel concerto dei grandi poteri costituzionali.
Come si vede, sono troppe e troppo consistenti le obiezioni perché si possa indulgere in un voto di consenso o almeno in una sospensione del giudizio.
L'unico fatto certo - è la mia convinzione - è che stiamo sprecando una grande occasione per riformare, nel senso della creazione di un nuovo equilibrio costituzionale, un ordinamento pensato con lungimiranza, con coraggio e con una capacità di ascolto verso le voci, le istanze e le speranze più vere del popolo italiano. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U e del senatore Marino).

FABRIS (Misto-Pop-Udeur). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABRIS (Misto-Pop-Udeur). Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi approviamo di nuovo in prima lettura, dopo che la Camera vi ha bocciato il testo che avevate precedentemente approvato in quest'Aula, il cosiddetto disegno di legge "Modifica della Parte II della Costituzione". Ritengo questo un titolo eufemistico, perché sarebbe più corretto chiamarlo "Stravolgimento della II Parte della Costituzione". Con questa vostra riforma, infatti, i cittadini italiani diventano diseguali, perché alcuni diritti fondamentali, come quello alla sicurezza, alla salute e all'istruzione, saranno trattati in modo diverso a seconda delle Regioni e dei soldi che ad esse lo Stato darà.
Questo testo - come sappiamo - ha un solo vincitore, il partito della Lega Nord, ma anche molti padri, peraltro non so quanto consapevoli. Sarebbe giusto elencarli tutti, non fosse altro per dare a ciascuno la propria parte di responsabilità. Ci manca però il tempo perché, anche di fronte alla modifica di 50 articoli della Costituzione, ci avete costretti al contingentamento ed non è quindi possibile elencarli tutti.
Mi dispiace dover sottolineare come, a fianco dei cosiddetti quattro saggi, si debba purtroppo inserire anche lei, signor Presidente, e non già come estensore, ma devo purtroppo dire per la non ammirevole acquiescenza con la quale, nel suo ruolo di Presidente di tutta la nostra Assemblea, ha assistito, avallato e portato per mano al temporaneo successo il primo e vero tentativo di sconquassamento del Senato. Non saprei come altrimenti definire lo stravolgimento del Senato e delle sue funzioni per come emerge da questo obbrobrio che state approvando, da questa "incostituzionale riforma costituzionale", per usare una felice espressione del collega Bassanini.
Nessuno dei costituzionalisti più autorevoli, dei commentatori, degli studiosi è in grado di definire con esattezza quello che accadrà quando questa sedicente riforma andrà a regime, presumibilmente tra una decina di anni.
L'elenco delle critiche puntuali e approfondite fatte al testo al nostro esame è infinito e abbiamo già ascoltato molte di esse. Vorrei mettere in evidenza non solo le ambiguità del Senato prossimo venturo, ma anche il fatto che operando in tal modo si dimostrerà l'incapacità di funzionamento dell'intero sistema istituzionale.
Molte delle critiche avanzate sono notoriamente condivise da autorevoli esponenti del centro-destra e non a caso - io credo - si è previsto che l'effettiva entrata in vigore di questa riforma sia differita, con l'intenzione di correggerla e di rimetterci le mani dopo che sarà stata approvata definitivamente, e forse con la tacita speranza che il referendum metterà tutto al suo posto.
Certo, è uno strano modo di ragionare, ma è evidente che, quando si è sotto ricatto, quando si è costretti a subire le bizze di Ministri sempre sull'orlo di dimissioni, anche le menti migliori perdono lucidità e, come in questo caso, anche il concetto di dignità diventa relativo. Ci si sottopone muti e umiliati alle mortificazioni più indicibili, come abbiamo visto ieri in quest'Aula, con un Ministro che passava nei banchi dei senatori a dirigere tutta l'orchestra, a dirigere i lavori di quest'Aula.
Molte di queste critiche, fra l’altro, richiamano alla mente quelle che lei stesso, signor Presidente, pronunciò pubblicamente all’indomani dell’approvazione in prima lettura al Senato, il 1° aprile 2004.
Noi allora condividemmo molte delle critiche da lei espresse e ci rammaricammo esclusivamente del fatto che lei le avesse espresse solo ad approvazione avvenuta. Ci eravamo comunque illusi perché lei, signor Presidente, allora disse: "…c’è tempo per cambiare, anche se, lo dico con rammarico, a cambiare il Senato avrei desiderato che fossero stati protagonisti i senatori".
Per come sta finendo, si è visto quanto contino - purtroppo - i suoi auspici e gli auspici dei molti che, anche in quest’Aula, si dicono contrari all’"eutanasia" del Senato.
Ma noi siamo fiduciosi: in particolare sappiamo che saranno i cittadini a rimettere a posto le cose, quando il dibattito su questa riforma uscirà dalle Aule parlamentari e coinvolgerà i cittadini, anche e soprattutto quelli che vi hanno eletto. Allora sì, si potrà iniziare un vero processo riformatore in grado di rispondere davvero alle necessità del nostro Paese.
Forse, però, le nostre preoccupazioni sono eccessive, perché come ricordava ieri l’onorevole Tabacci dell’UDC: "Queste riforme saranno approvate dal Parlamento, ma nel referendum popolare che seguirà non otterranno l’appoggio sperato e cadranno".
Sottoscriviamo integralmente le parole dette a suo tempo, da lei, signor Presidente, e l’auspicio dell’onorevole Tabacci.
Anche per queste ragioni, con maggior forza voteremo contro questo obbrobrio di riforma della seconda parte della Costituzione. (Applausi dal Gruppo Misto-Pop-Udeur).

KOFLER (Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

KOFLER (Aut). Signor Presidente, onorevoli Sottosegretari, colleghe senatrici e colleghi senatori, nel tentativo di fare una brevissima valutazione generale della riforma costituzionale che stiamo votando, va dato atto che il superamento del bicameralismo perfetto è in parte riuscito.
Non tutte le leggi dovranno più passare per Camera e Senato. Purtroppo, ciò non significherà una semplificazione vera e propria dell’iter della formazione delle leggi. La molteplicità di tipologie di leggi (cioè leggi a prevalenza Camera, leggi a prevalenza Senato e leggi bicamerali), infatti, farà sì che conflitti di attribuzione tra le Camere saranno non l'eccezione ma la regola. Il tutto poi è ulteriormente complicato da nuovi istituti, quali una Commissione di conciliazione, oppure il caso della prevalenza del Governo sul Senato in occasione della cosiddetta fiducia indiretta.
Altro tema importante della riforma doveva essere il Senato federale. Purtroppo, i fatti sono rimasti molto indietro rispetto alle attese. Il nuovo Senato porta sì il nome "federale" però mancano elementi forti del suo radicamento sul territorio. La contestualità della sua elezione con i Consigli regionali non è certamente un elemento sufficientemente forte per garantire tale radicamento sul territorio. Il fatto di avere creato, poi, partecipanti alle sedute del Senato eletti in sede locale ma che non hanno diritto di voto certamente non aumenterà la proficuità del lavoro di un consesso a composizione così eterogenea. Un vero Senato federale, secondo il mio punto di vista, sarebbe la Conferenza dei Presidenti delle Regioni nell'odierna composizione dotata però di poteri legislativi.
Tralascio altri passaggi della riforma che non trovano certo il consenso di noi Autonomisti, quale ad esempio il ritrasferimento di competenze dall'ambito regionale a quello statale ed un indebito rafforzamento del ruolo del Primo ministro a scapito del ruolo di garanzia costituzionale del Presidente della Repubblica. Mi soffermo un attimo sulle autonomie speciali.
Va dato atto che con l'introduzione di una nuova procedura di modifica degli statuti speciali è aumentato il potere delle entità ad autonomia speciale a regolamentare, ma anche a gestire il proprio futuro rispettando le diversità e peculiarità storico-culturali e sociali. Purtroppo, manca un riferimento specifico all'espressione di volontà da parte delle minoranze stesse. Ribadisco, anche in questa occasione, che nel caso della regione Trentino-Alto Adige Südtirol è comunque obbligatorio l'assenso delle minoranze stesse e dell'Austria riguardo alle modifiche statutarie di rilievo, in quanto lo statuto si basa sull'Accordo internazionale di Parigi a tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina.
L’accoglimento del nostro ordine del giorno riguardante la salvaguardia delle autonomie speciali da procedure del Governo che implicano un sindacato politico e di merito avrebbe sottolineato fortemente questa volontà più volte manifestata dal Governo, di voler far crescere le autonomie tutte, ed in particolar modo anche quelle speciali. Purtroppo Governo e maggioranza erano contrari e con ciò hanno dimostrato che: non sono convinti di quanto hanno dichiarato; non intendono rispettare quanto già acquisito nell’ambito della sfera di competenza delle autonomie speciali; non esitano a diminuire pro futuro la tutela delle minoranze prevista dagli statuti speciali.
Queste considerazioni e quanto detto sopra sulle incongruenze e contraddittorietà, nonché sui peggioramenti delle garanzie costituzionali, ci inducono ad un voto contrario. (Applausi dai Gruppi Aut, Verdi-Un e del senatore Battafarano).

TURRONI (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TURRONI (Verdi-Un). Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi Verdi osserviamo che non si tratta di votare no al vostro progetto di Costituzione. Non parteciperemo al voto per non essere corresponsabili in questa iniziativa arrogante volta a ridurre la libertà e la democrazia nel nostro Paese.
Denunciamo il fatto che non è stato possibile partecipare alla discussione sulla riscrittura del documento che dovrebbe rappresentare quelle regole comunemente condivise e rispettate.
Dichiariamo qui la nostra contrarietà a questa vergogna solo per non lasciarvi liberi in un campo abbandonato, come avvenne nel 1924, e per rispettare le istituzioni e chi ci ha votato.
Spiace che la Presidenza del Senato abbia consentito alla riduzione di ogni spazio per le opposizioni, per consentire un ricatto al Parlamento e al Paese.
L’accelerazione data all’esame di questo ennesimo disegno di legge di riforma costituzionale dimostra la paura che avete verso una definitiva presa di coscienza dell’opinione pubblica e degli stessi parlamentari sulle gravi conseguenze derivanti dalla sua approvazione, nonché l’obiettivo vero della riforma: permettere ad alcune parti politiche di rivendicare elettoralmente la grande riforma del federalismo. E lo hanno fatto con il ricatto, ricattando il Parlamento, ricattando l’Italia intera.
Il problema è che non si conosce la Costituzione: si danno ad essa colpe che sono della classe politica, che non ha voluto organizzare tempestivamente lo Stato delle autonomie nel timore di Regioni bianche, rosse o nere, e ora ha deciso di cambiare addirittura la forma dello Stato perché alcuni astuti - diciamo così - politici hanno messo sul piatto della bilancia la minaccia della secessione e altri hanno scambiato spinte populistiche per intenti progressivi.
I rapporti tra organi costituzionali che il testo prefigura ingenerano un profondo e radicale cambiamento non solo della forma di Governo, ma della stessa forma di Stato, dal momento che incidono e alterano profondamente gli equilibri di quei rapporti. Attraverso tale progetto, integrato dall’annunciata legge elettorale, si cristallizza una interpretazione del principio maggioritario, inteso come illimitato e insofferente di ogni vincolo, incompatibile con la concezione di democrazia accolta dal costituzionalismo occidentale che prevede robusti argini e contrappesi al potere della maggioranza.
L’esito finale della riforma è l’uscita dallo Stato di diritto democratico. Non è solo la democrazia, infatti, a risultare annichilita. (Brusio in Aula). Chiedo ai padani di tacere, se lei, signor Presidente, non fa rispettare il diritto al silenzio in quest’Aula.
Dicevo, non è solo la democrazia, infatti, a risultare annichilita: di essa una parvenza, svuotata di contenuto, in qualche modo rimane; del costituzionalismo, viceversa, non rimane assolutamente nulla, dal momento che l’obiettivo della riforma è esattamente quello di liberare il potere da limiti e controlli.
Non si può affermare una coincidenza-analogia pura e semplice tra il modello di forme di governo locali e regionali con quella nazionale non solo per questioni di natura quantitativa (le autonomie locali sono per l’appunto limitate nel territorio e nella comunità di persone), ma anche per questioni di natura qualitativa, dal momento che le prime presuppongono una vicinanza e un controllo più diretto governanti-governati.
È semmai da rilevare come in questo momento tutte le assemblee rappresentative e i Consigli regionali, comunali e provinciali soffrano di un gravissimo deficit di democrazia. Tutto il circuito politico si è spostato e bypassa le Assemblee, compresa questa, che sostanzialmente diventa poco rappresentativa e poco significativa.
Sono, inoltre, tutti da verificare gli effetti in termini di migliore soddisfacimento dell’interesse pubblico, di una riforma, quella del 2001, limitata al solo Titolo V, fino all’ultimo da voi ampiamente condivisa sul piano politico. Ad essa era sottesa una filosofia marcatamente autonomista, ma il quadro prodotto è quello di presidenti di giunte regionali autoproclamatisi "governatori", consigli regionali con pretese di erigersi a parlamenti, previsioni di complicati meccanismi di funzionamento degli organi rappresentativi, statuti regionali più simili alla Carta delle Nazioni Unite che ad una norma di base regolante il funzionamento di un ente territoriale, qual è la Regione, secondo quanto previsto dall’articolo 123 della Costituzione riformata.
In un contesto così complesso e confuso, che ha condotto al fortissimo aumento del contenzioso Stato-Regioni, la Corte costituzionale ha assunto il ruolo, tanto delicato quanto ingrato di arbitro unico di tutti i conflitti di competenza legislativa ed amministrativa insorgenti fra Stato e Regioni. La pronuncia n. 196 del 2004 sul condono edilizio è il più eclatante dei tanti esempi che si possono fare e che hanno portato ad una sovraesposizione della Consulta, configurando una sorta di federalismo-regionalismo di carattere giurisdizionale.
Il modellino congegnato dal potere, accanto ad una contrazione della responsabilità e del ruolo delle Assemblee parlamentari, porta ad una ancora maggiore sovraesposizione politica... (Brusio in Aula).
 
PRESIDENTE. Colleghi, fate un po’ di silenzio, altrimenti il senatore Turroni non può leggere, come merita, il suo testo.
 
TURRONI (Verdi-Un). Se facesse bene dell’ironia, signor Presidente, sarei più contento.
 
PRESIDENTE. Li ho richiamati al silenzio.
 
TURRONI (Verdi-Un). Grazie, signor Presidente, ma c’è modo e modo.
Dicevo, porta ad una ancora maggiore sovraesposizione politica di un organo giurisdizionale, quale la Corte costituzionale, cosa non richiesta né gradita.
Il passaggio alla Camera non ha infatti mutato la preponderante anima politica della Corte, prevedendo ben sette giudici di nomina politica su quindici. I rischi di colonizzazione politica e partitica sono dunque di tutta evidenza. E a dimostrarlo è la vicenda recente dell’elezione dei due giudici costituzionali vacanti. Un federalismo che di federale ha solo il nome, insaporito da un autoritarismo mascherato da "premierato forte", non può che complicare la vita a tutti i livelli istituzionali e ai cittadini che degli stessi sopportano l’onere economico.
Per questa Costituzione, dichiarata ab origine inemendabile, è stato impossibile addivenire ad un testo che non fosse un insieme di norme sbagliate e sgangherate, come quelle subite dal Parlamento e dal Paese, da ultimo, con la controriforma dell’ordinamento giudiziario, approvata con contingentamento dei tempi e blindature.
Abbiamo un’ulteriore dimostrazione del metodo usato dalla maggioranza parlamentare e del suo rispetto per le regole democratiche, trattate come inutili orpelli. Del resto, quando l’obiettivo è quello elevato di promuovere la democrazia, non si può sottilizzare con tante procedure. Altrove si fa con le armi; qui con la violenza della maggioranza e nello spregio dell’opposizione e delle regole. Così si entra in conflitto con il potere giudiziario, costretto a scioperare di fronte ad una legge che ne mina l’indipendenza e contrasta con i princìpi costituzionali posti alla base di questa indipendenza. Ma si entra in conflitto anche con il Capo dello Stato, obbligato all’esercizio del potere di rinvio alle Camere dinanzi a disposizioni ictu oculi incostituzionali.
Lo stesso atteggiamento si propone per la Costituzione: una maggioranza parlamentare, assimilabile ad una asservita macchina da guerra, che, al di là delle buone intenzioni espresse a parole, procede da sola verso la scrittura di una Costituzione radicalmente nuova, modificata in 49 articoli, e che altera in maniera sostanziale la stessa Parte I. È questa, di per sé, una violazione dello stesso articolo 138 della Costituzione, concepito per modifiche puntuali e parziali.
Moltissimi sono i punti pericolosi di questa ulteriore grande opera del Governo Berlusconi, che dal passaggio alla Camera risultano invariati o peggiorati: da un inedito "Senato federale della Repubblica", non rappresentativo delle Regioni e neppure più organo di garanzia, o, meglio, di contrappeso, a rilevanti, confuse e prolisse modifiche al procedimento di formazione delle leggi; dal cambiamento del ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica, con riduzione dei suoi poteri e delle funzioni da lui esercitate, e ridotto a semplice spettatore e notaio, alla concentrazione inaccettabile e antidemocratica dei poteri nelle mani del Primo ministro, Capo del Governo; dall’asservimento delle Assemblee rappresentative, alla modifica della composizione del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale, con l’introduzione dei giudici costituzionali regionali. Sullo sfondo rimarrà l’estensione della potestà legislativa delle Regioni, definita impropriamente esclusiva per alcune materie.
Un’ulteriore considerazione deve svolgersi in relazione ai Regolamenti parlamentari. La Camera ha infatti modificato in senso riduttivo la norma sui diritti che devono essere riconosciuti all’opposizione e alle minoranze per il Senato: mentre il testo approvato dal Senato prescriveva che il Regolamento garantisse i diritti delle opposizioni o delle minoranze "in ogni fase dell’attività parlamentare", quello licenziato dalla Camera non prevede più tale clausola.
Non è certo una garanzia in più per le opposizioni e le minoranze l’aver specificato che occorre la maggioranza dei componenti per eleggere, dopo il terzo scrutinio, i Presidenti di Camera e Senato, in virtù non solo della legge elettorale, ma soprattutto delle rilevanti funzioni ad essi attribuiti, tali da far parlare di loro nella stessa relazione illustrativa governativa in termini di "supreme magistrature del Parlamento". Tanto più che in altra norma, relativa al procedimento legislativo, le loro decisioni sono qualificate come insindacabili tout court. Abbiamo già avuto in questa legislatura una riprova di cosa ci aspetti con un Presidente nominato dalla sola maggioranza, e lo vediamo quotidianamente in quest’Aula.
Nell’ambito del procedimento legislativo, la Camera, pur mantenendo l’opzione per un sistema bicamerale imperfetto o asimmetrico, ha modificato in modo sostanziale il testo approvato dal Senato. Quest’ultimo risulta svuotato del suo ruolo, privato delle funzioni di garanzia come, per esempio, le funzioni importanti sulle leggi che disciplinano l’esercizio dei diritti fondamentali, di cui agli articoli 13 e 21 della Costituzione, nonché sulle leggi anche annuali concernenti la perequazione delle risorse finanziarie tra quelle di competenza paritaria.
Preoccupante è anche un’altra modifica apportata dalla Camera relativa all’attuazione del programma di Governo e al nuovo ruolo assegnato in esso al Presidente della Repubblica, di cui ho già parlato.
Sono inaccettabili, ad avviso dei Verdi, i poteri conferiti al Primo ministro. Correlata infatti alla questione della forma di Governo e dell’annichilimento delle funzioni della Assemblee parlamentari è una modifica al procedimento legislativo approvata dalla Camera, che ha introdotto all’articolo 72 regole ad hoc per i disegni di legge presentati o fatti propri dal Governo.
In particolare, si prevede che tali disegni di legge, su richiesta del Governo, possano essere posti all’ordine del giorno delle Camere competenti e votati entro termini certi, secondo norme stabilite dai rispettivi Regolamenti. Se il termine decorre senza che sia intervenuta la conclusione dell’esame, il Governo può richiedere che la sola Camera dei deputati deliberi articolo per articolo e con votazione finale sul testo proposto o fatto proprio dal Governo. Sembra così configurarsi una sorta di voto bloccato, che comporta la spoliazione del Parlamento di una delle sue prerogative essenziali, quella di modificare il testo legislativo al suo esame.
Attraverso tali modifiche il Governo, e in particolare il Primo ministro, diviene, al contempo, organo esecutivo e dominus della funzione legislativa, restando assegnata al Parlamento solo una funzione di mera ratifica.
Il passaggio alla Camera ha rafforzato l’originario modello di "premierato assoluto" configurato dall’iniziale disegno di legge governativo. Non si tratta di un semplice rafforzamento della figura del Primo ministro, ma l’approdo di una populistica ricerca di decisionalità e di capi, avviata in Italia a partire dagli anni Novanta.
Il disegno di legge infatti non si limita al rafforzamento dei poteri del Premier, ma contempla la perdita della cultura dei contrappesi, siano essi la Corte costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura e l’autonomia della magistratura o il Presidente della Repubblica, tali da condurre ad una centralità dell’Esecutivo, o meglio del suo Capo, posto fuori da ogni controllo. Lo stesso Governo è tagliato fuori dalle decisioni politiche più significative, come il potere di scioglimento rimesso all’esclusività dell’organo monocratico.
Il testo conferma, da un lato il potere in capo al Premier di determinare la politica generale del Governo, con conseguente spostamento, già dal punto di vista semantico, del momento formativo dell'indirizzo politico da un ambito collegiale ad uno monocratico; dall'altro quello, ancor più pregnante, di sciogliere la Camera dei deputati.
Un'altra questione intendo sollevare in quest'ultimo minuto che mi resta, quella del meccanismo antiribaltone. Ebbene, se questo fosse un libero Parlamento, i suoi componenti da tempo avrebbero ribaltato un Governo incapace e dannoso per l'Italia. Il fatto è che vige nelle file della maggioranza una limitazione dei diritti dei parlamentari di potersi esprimere liberamente secondo coscienza, sulla base del ricatto della candidatura, in queste ore espresso ad alta voce.
Il centro-sinistra troppo timidamente ha subìto, reagendo flebilmente alle accuse di ribaltonismo che provenivano da forze politiche che hanno fatto dell'acquisto dei parlamentari un proprio vanto e con l'inganno degli elettori, costruendo due diverse coalizioni per il proprio primo Governo.
Se c'è il destino dell'Italia in gioco, se ci sono supremi interessi da difendere, se ci fosse da unirsi per far fronte a disastri ed altre terribili evenienze e fosse necessario il concorso di tutti, perché non farlo? Per stupidi motivi ideologici? Avete brandito un'arma per contestare un cambio di Governo. Ora dovete andare avanti, ed è una strada sbagliata, come il resto della Costituzione che vi apprestate ad approvare: dannosa per l'Italia, dannosa per la sua economia, ma dannosa soprattutto per la nostra democrazia! (Applausi dai Gruppi Verdi-Un, Aut, DS-U, Misto-Com e del senatore Battisti).

PIROVANO (LP). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIROVANO (LP). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, nell'immediato dopoguerra fu promulgata la Costituzione italiana, una Costituzione nata dopo le tragedie della Seconda guerra mondiale, dopo la fine di una dittatura e sotto l'incubo che un'altra dittatura arrivasse dall'Est. I partiti di allora concepirono la nuova Costituzione anche come un complesso sistema di garanzie che tutelasse i cittadini e lo Stato da ogni possibilità di restaurazione di un potere assoluto, inserendo un sofisticato sistema di antintrusione normativo: il bicameralismo perfetto.
Il paritario antagonismo dei due rami del Parlamento - indispensabile per i costituenti del dopoguerra - oggi non ha più ragione di esistere; in Occidente, non vi sono più dittature e l'abitudine dei popoli alla democrazia è ormai genetica. Il bicameralismo perfetto, freno dell'efficienza dello Stato e veicolo di innumerevoli clientele, è giunto alla conclusione.
Il movimento della Lega Nord che ho l'onore di rappresentare in quest'Aula è nato e opera per lo scopo, semplice all'apparenza ma complesso nelle sue ramificazioni: la libertà e l'uguaglianza in uno Stato federale. Il federalismo è stato il terrore politico degli ultimi vent’anni, la spaccatura della Nazione, a volte un'ottusa preclusione, a volte un calcolato "tutto deve rimanere come sempre". Una gestione lunga, sofferta: dubbi e ripensamenti, scontri e incomprensioni, complessità da risolvere, equilibri delicati da garantire. E finalmente capire, cominciare a dialogare, stemperare i pregiudizi, lavorare in squadra a Lorenzago.
Oggi: il Senato federale, il Senato delle Regioni, la riduzione del numero dei deputati a 500, e dei senatori a 252, la contestualità assoluta con le Regioni e la presenza nel Senato di rappresentanti degli enti locali e del Consiglio delle autonomie, la devoluzione alle Regioni delle competenze esclusive per la sanità, la scuola e la sicurezza. Ci sarà tempo per divulgare in modo comprensibile a tutti l'importanza della riforma.
La riforma della Costituzione, che garantisce una vera democrazia, è la prima pietra del federalismo fiscale, che non potrebbe attuarsi senza la storica votazione di oggi; quel federalismo fiscale che non creerà ingiustizie per nessuno. Noi siamo determinati a rendere giustizia e merito a tutte le Regioni e a tutti gli enti locali. È singolare come il federalismo, terrore politico di ieri, sia oggi il collante della coalizione di maggioranza, che ha saggiamente innescato un dialogo concreto al suo interno e che esce fortemente rafforzata dal lungo dibattito condotto, che si conclude oggi con un voto che rappresenta una svolta.
Comincia una nuova era, siamo più vicini alla gente che ci ha eletti, più concreti nei fatti, più coerenti nel nostro lavoro, ma soprattutto abbiamo onorato un impegno: un lavoro ben fatto merito di molti, cui rivolgo un sincero riconoscimento di stima a nome del nostro Gruppo. E non posso non citare i due Ministri per le riforme che ci hanno guidati e spronati sino ad oggi: il ministro Umberto Bossi (Applausi dal Gruppo LP) e il ministro Roberto Calderoli. (Applausi dal Gruppo LP).
Oggi non voglio parlare in modo particolareggiato delle riforme, ve ne sarà ancora occasione; sprono tutti ad essere più chiari quando ci rivolgeremo alla gente, a quella gente che non è abituata ai discorsi interni, al politichese; sforzandoci, potremo riuscire ad essere facilmente comprensibili.
Devo ora dichiarare il voto del nostro Gruppo; ebbene, credo che mai come oggi il Gruppo della Lega Nord sia onorato e felice di dichiarare un voto favorevole! (Applausi dai Gruppi LP, FI e del senatore Salzano. Congratulazioni).

D'ONOFRIO (UDC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D'ONOFRIO (UDC). Signor Presidente, credo di avere il dovere di utilizzare tutti i quindici minuti a mia disposizione, perché in molti degli interventi di stamani e in molti degli interventi svolti in Senato in questo ultimo esame della riforma costituzionale sono stati richiesti chiarimenti e spiegazioni circa il mio atteggiamento non soltanto come ex relatore, ma anche come Capogruppo dell'UDC.
Desidero innanzitutto ringraziare, in particolare, il quotidiano "L'Avvenire" per aver ripetutamente consentito a molti di noi di esporre, nel corso di questi tre lunghi anni, le questioni che hanno riguardato la grande riforma costituzionale. Non che gli altri quotidiani non abbiamo dato informazioni sufficienti, ma non mi risulta che abbiano seguito con altrettanta attenzione questa vicenda, che - lo ripeto - dura da tre anni, signor Presidente, e non da pochi minuti, come ho sentito affermare anche questa mattina.
Il 13 marzo 2002 il Senato della Repubblica inizia a preoccuparsi della grande riforma costituzionale. Capisco che tre anni possano essere pochi e che per qualcuno possano essere molti, ma sta di fatto che si tratta pur sempre di tre anni. Non c'è stato alcuno strozzamento del dibattito parlamentare. Vi è stata la possibilità per chiunque lo volesse, in questi tre lunghi anni, di parlare, di spiegare, di chiarire, di chiedere il confronto e, se possibile, di intervenire sul contenuto.
Non appartengo a coloro che hanno lamentato il fatto che la riforma costituzionale nella scorsa legislatura fu approvata dall'allora maggioranza con uno scarto di soli quattro voti, e per una ragione molto semplice: ritenevo, infatti, e ritengo tuttora, che il centro-sinistra non abbia capito cosa stava all'epoca varando con la modifica del Titolo V della Costituzione, per il semplice motivo che quel Titolo V era stato scritto, nella Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, dal sottoscritto in qualità di relatore sulla forma di Stato ed era stato votato in Parlamento dal centro-sinistra nell'illusione di impedire alla Lega Nord un accordo politico con la Casa delle Libertà.
Se partiamo da questo punto specifico, capiamo per quale motivo oggi stiamo per votare un testo che probabilmente diventerà definitivo, in ordine al quale desidero una volta per tutte sgomberare il campo dal timore di un referendum. Il referendum su questo testo costituzionale si svolgerà: si deciderà, dopo la quarta votazione in Parlamento, qui in Senato, quali sono i tempi per il suo svolgimento. Nessuno di noi ha paura del referendum. Il referendum è un modo con il quale giustamente il corpo elettorale esprimerà il proprio orientamento su questa grande riforma costituzionale.
Non è questione di chi lo vuole prima o dopo.
Per quanto mi riguarda, ritengo che la questione del referendum dovrà essere decisa collettivamente dalla Casa delle Libertà quando il Senato avrà votato per la quarta volta la riforma costituzionale. Lo dico perché, in realtà, in questi tre anni si sono scontrate due culture di fondo: quella che io considero la cultura del coraggio delle innovazioni, portata avanti dal partito della Casa delle Libertà, cui si è contrapposta continuamente quella della paura del cambiamento.
Non vi è e non vi è stata possibilità di intesa, non perché noi intendessimo cambiare la Costituzione, che non abbiamo cambiato; infatti, il testo costituzionale che ci accingiamo a votare non modifica nessuno degli articoli Parte I della Costituzione, ma, come di qui a breve spiegherò, rispetto ai princìpi fondamentali della Costituzione, il testo che voteremo ne è un’attuazione.
Stiamo facendo, quindi, ciò che nel 1947 non fu possibile fare perché, come ricorderanno i più anziani (il presidente Colombo, probabilmente, lo ricorderà), una parte dell’Assemblea Costituente era favorevolmente orientata ad imporre in Italia il modello sovietico, che, come tutti sappiamo, non era propriamente un modello di democrazia e garantismo.
Quel modello non passò perché vi fu un’adeguata resistenza del partito della Democrazia Cristiana, dei partiti laici e di quelli socialisti che impedì che il modello sovietico diventasse modello costituzionale italiano. Questa è la Costituzione della prima Repubblica…
 
ANGIUS (DS-U). Ma cosa stai dicendo? Non ti vergogni delle falsità che stai dicendo? Sei un bugiardo, un falso!
 
PRESIDENTE. Senatore Angius, per favore non interrompa. Lei ha parecchio tempo per replicare più tardi.
 
D'ONOFRIO (UDC). Credo che il collega Angius farebbe bene a rileggersi gli atti della Costituente, in particolare quelli relativi alla Corte costituzionale.
 
ANGIUS (DS-U). Torna a scuola!
 
PRESIDENTE. Senatore Angius, la prego, per cortesia. Lei deve ancora intervenire. Più tardi potrà replicare come crede; non interrompa.

D'ONOFRIO (UDC). Per cortesia, state zitti, lasciate che la sua opinione venga riproposta. Faremo una sessione particolare dedicata alla lettura degli atti della Costituente.
Il modello sovietico, come dicevo, era un modello ritenuto democratico e fu respinto dalla Costituente…
 
ANGIUS (DS-U). Buffone, ma perché non taci? Cos’è questa storia, demente?
 
PRESIDENTE. Senatore Angius, per cortesia, quel linguaggio!
Sta parlando un Capogruppo e sta esprimendo le sue opinioni. Non ha offeso nessuno. Lei ha usato un linguaggio improprio. Non usi quel linguaggio, lo ripeto, è un Capogruppo. (Il senatore Angius si leva in piedi gridando: "Sono menzogne!").
Lei ha usato un linguaggio inappropriato per un’Aula parlamentare! Non interrompa!
 
BONATESTA (AN). La verità è che non volete stare alla verità.
 
D'ONOFRIO (UDC). Credo che in questo dibattito e nei mesi che seguiranno saranno ripetutamente letti da parte mia il testo dell’Assemblea costituente e gli interventi dei colleghi del Partito Comunista Italiano.
 
ANGIUS (DS-U). È un delinquente politico!
 
D'ONOFRIO (UDC). Leggerò i testi per far capire di cosa ci stiamo occupando, perché il tentativo di mistificare ciò di cui ci stiamo occupando è finito…
 
ANGIUS (DS-U). Chi ha firmato la Costituzione italiana? Chi l’ha firmata?
 
PRESIDENTE. Senatore Angius, la devo richiamare all’ordine!
 
D'ONOFRIO (UDC). Altro che intesa costituzionale all’epoca! Ci fu un durissimo scontro dei partiti della libertà (partito della Democrazia Cristiana, partiti laici e socialisti) contro il partito dell’oppressione costituzionale. (Applausi dai Gruppi UDC, AN, FI e LP).
 
PAGANO (DS-U). Ma stai zitto!
 
D'ONOFRIO (UDC). Altro che storie. (Dai banchi delle opposizioni si levano forti proteste).
 
MONTAGNINO (Mar-DL-U). Buffone!
 
D'ONOFRIO (UDC). Abbiamo assistito ad alcuni illustri studiosi che esaltavano il Duce allora e hanno esaltato il Partito Comunista poi e come tali li abbiamo continuati a rispettare. Mi riferisco ad illustri personaggi che hanno preteso di dare lezioni di democrazia.
 
PAGANO (DS-U). Fai parlare Andreotti, stai zitto.
 
PRESIDENTE. Senatrice Pagano, anche lei.
Il senatore D’Onofrio ha diritto ad esprimere le sue opinioni. Non è possibile interromperlo; lo state facendo deliberatamente. Colleghi, per favore. Non è mai successo finora, tutti hanno parlato con libertà. Ne ha diritto lui, come ne avete diritto voi.
 
VOCE DAI BANCHI DELL’OPPOSIZIONE. Berlusconi ti candida lo stesso!
 
TURCI (DS-U). Vergogna! (Commenti del senatore Fabris).
 
PRESIDENTE. Senatore Fabris, la richiamo all’ordine.
Colleghi, volete che sospenda la seduta? Questa è la sostanza della questione?
Si può fare. Volete questo?
 
FLORINO (AN). Li deve espellere!
 
D'ONOFRIO (UDC). Signor Presidente, leggo nella Costituzione vigente - che tale rimane con questa riforma costituzionale - all’articolo 1: "L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Noi abbiamo applicato l’articolo 1 della Costituzione, dando la sovranità al popolo. Capisco che il popolo faccia paura ad alcuni: noi abbiamo dato il potere al popolo. (Vive proteste dai banchi dell’opposizione).
 
PAGANO (DS-U). Il popolo fa paura a voi, perché vi manda a casa. Siete già a casa!
 
PRESIDENTE. Senatrice Pagano, non è da lei!
 
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). D’Onofrio, sei patetico!
 
PRESIDENTE. Senatore Fabris, per favore!
 
D'ONOFRIO (UDC). Vorrei ricordare che questo è scritto nella Costituzione, applicata per quarantacinque anni attribuendo il potere non al popolo, ma alla partitocrazia, che certamente è un’istituzione molto delicata, ma cosa diversa.
 
PAGANO (DS-U). Ma dove eri tu? Vergognati!
 
D'ONOFRIO (UDC). Capisco che gli esponenti della partitocrazia si irritino. Non mi meraviglia. (Vive proteste dai banchi dell’opposizione).
 
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). Hai fatto il Ministro, ma di cosa stai parlando?
 
PRESIDENTE. Colleghi, se continuate così sospendo la seduta. Poi la sospenderò una seconda volta quando verrete interrotti voi, e poi ancora, e ancora, ma dobbiamo portare a conclusione i lavori. È chiaro? (Commenti del senatore Fabris). Senatore Fabris, la richiamo all’ordine!
 
DI SIENA (DS-U). Sta minacciando!
 
PRESIDENTE. Come sto minacciando? Come si permette di dire che sto minacciando? Sto invitando alla serenità. Il senatore D’Onofrio deve svolgere il suo intervento. Prego, senatore D’Onofrio. (Vivaci commenti dai banchi dell’opposizione).
 
PASSIGLI (DS-U). D’Onofrio, non ti hanno voluto nemmeno come relatore!
 
PRESIDENTE. Senatore Passigli, un compassato senatore come lei non si dovrebbe lasciar trascinare.
 
PASSIGLI (DS-U). Invito il senatore D’Onofrio a godersi la sua rivincita. Ci sono occasioni in cui bisogna abbandonare la compassatezza.
 
D'ONOFRIO (UDC). Se posso riprendere, la Costituzione vigente recita, all’articolo 2… (Forte brusio in Aula). Signor Presidente, avrei piacere che ci fosse silenzio.
All’articolo 2 è scritto: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". Ebbene, signor Presidente, è scritto che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili. Per quarantacinque anni non è stato possibile ottenerlo. (Vivaci proteste dai banchi dell’opposizione). Capisco che il collega Malabarba…
 
GIARETTA (Mar-DL-U). Sei stato Ministro!
 
CAVALLARO (Mar-DL-U). Ma basta!
 
PRESIDENTE. Senatore Cavallaro, dopo ne parlerà lei, se desidera.
 
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). Ma governava lui!
 
PRESIDENTE. Senatore Fabris, la richiamo all’ordine per la seconda volta!
 
D'ONOFRIO (UDC). Signor Presidente, mi permetto di ricordare ai più giovani, che non lo sapevano, che nel 1977 - quindi, non duecento anni fa - l’allora segretario del Partito Comunista…
 
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). D’Onofrio, ma governavi tu!
 
PRESIDENTE. Senatore Fabris, lei ha parlato e non l’ha interrotta nessuno. Se lo rifà, dovrò usare il Regolamento contro di lei.
 
D'ONOFRIO (UDC). Il segretario del Partito comunista, in polemica con il vescovo di Ivrea Bettazzi, sostenne che c’era il pluralismo nelle istituzioni e non, come giustamente ritengo volesse monsignor Bettazzi, il pluralismo delle istituzioni. Di questo si trattava.
Oggi, per la prima volta, nel testo costituzionale che scriviamo - e sono sorpreso che questo non sia mai stato posto in risalto da nessun autorevolissimo commentatore della Costituzione - è scritto che le autonomie locali riconoscono le formazioni sociali. È il principio "più società, meno statalismo": di questo si tratta. Capisco che ci sia paura di un tale cambiamento. (Applausi dai Gruppi UDC, AN, FI e LP). È la prima volta che ciò viene detto in una Costituzione vigente.
Terzo punto, sempre dei princìpi fondamentali della Costituzione. Dice l’articolo 5 (che riguarda, poi, quello che oggi è diventato ed è stato definito "federalismo", secondo me in modo improprio, ma bisogna capire il cambiamento radicale che vi è stato): "La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali". (Commenti del senatore Brutti Massimo).
 
PRESIDENTE. Senatore Brutti, anche lei? Per cortesia! Dopo tocca a lei.
 
D'ONOFRIO (UDC). Nel riconoscimento delle autonomie locali non si era mai dato vita ad un testo nel quale si pensava ad una potestà legislativa esclusiva in alcune materie a fronte della quale vi fosse una diversa tutela dell’interesse nazionale. Lo dico soprattutto ai colleghi del Gruppo Per le Autonomie. L’interesse nazionale, nella Costituzione del 1947, era un vincolo ex ante ai poteri legislativi delle Regioni. Capisco che talune Regioni, con i loro statuti, si erano chiamate fuori da questo vincolo.
Con il nuovo testo non c’è più il vincolo in anticipo, c’è la risposta negativa dopo, che è questione totalmente diversa ed è il principio essenziale dell’unità della Repubblica: non possono esservi Regioni che si chiamino fuori, rispetto a questa reazione di fronte alla potestà esclusiva delle Regioni, proprio perché prevediamo per la prima volta la potestà esclusiva delle Regioni. Forse non c’è stata sufficiente attenzione nel discutere ieri dell’ordine del giorno dei colleghi del Gruppo Per le Autonomie.
Avrei piacere, allora, di venire a parlarne con molta tranquillità a Bolzano o a Trento, in modo da far capire in che senso la nuova Costituzione è diversa da quella precedente, modifica l’assetto dell’interesse nazionale, lo reintroduce - essendo stato cancellato, nella precedente legislatura, dal Titolo V - e ne fa oggetto di una cosa totalmente diversa dalla precedente. Occorre capirsi, ma comprendo che se si sbraita è difficile. Mi auguro che da oggi in poi si possa cominciare a discutere più liberamente. Però, ho grande disponibilità a venire a parlare esplicitamente lì.
Questi sono, dunque, i tre princìpi fondamentali della Costituzione. Quello che si approva è uno sviluppo di questi tre princìpi fondamentali rispetto al modo con il quale la Costituzione del 1947 aveva ritenuto di poterli applicare. Non c’è niente di particolarmente sconvolgente.
C’è una questione di fondo: si ritiene non più percorribile la strada del bicameralismo perfetto. Quell’anomalia italiana della prima Repubblica, che prevedeva due Camere con eguali poteri e deputati e senatori con eguali poteri, unica al mondo, sulla quale non ho letto straordinari articoli a contestazione di questo fatto assolutamente aberrante, giustificata dalla storia politica degli anni dal 1947 al 1992 e non più giustificata oggi, oggi termina, con il nostro voto che viene dopo quello che abbiamo già espresso e dopo quello della Camera. Termina il bicameralismo perfetto. Siamo in grado di farlo terminare? Vogliamo che termini?
Certo, quelli che hanno paura del cambiamento vorrebbero che le cose rimanessero come stanno; quelli che hanno la cultura dell’innovazione dicono che possiamo cambiare, ma non per una mera volontà di cambiamento, bensì perché non ci sono più ragioni al mondo: non c’è più l’Est sovietico, non c’è più la guerra fredda, non c’è più il Partito comunista, non c’è più il fattore K; i due schieramenti si possono alternare al Governo, introducendo la nuova regola di moralità costituzionale.
Davanti agli elettori si stipula un contratto quinquennale, questo è il cambiamento radicale, non si va per chiedere un consenso e poi gestirlo come si vuole. Non ci sono le condizioni che impediscono di governare. Si chiede di governare per una legislatura sulla base di un programma elettorale. Questa è la norma antiribaltone: la gente la capisce quando la spieghiamo. Vogliamo che i deputati e i senatori, una volta eletti, non possano, cambiando schieramento - cosa legittima - diventare la base di un altro Governo che non ha avuto l’investitura popolare.
Questa è la sovranità del popolo: la si vuole o no? Noi vogliamo la sovranità del popolo. Chi non la vuole, fa bene a dire che non vuole la Costituzione! (Applausi dai Gruppi UDC, AN, FI e LP). Questo è il punto centrale della riforma costituzionale. Tutto il resto sono argomentazioni tecnicamente pregevoli, che però non hanno al fondo la comprensione del cambiamento radicale che si intende realizzare in questo momento. (Commenti del senatore Passigli). Passiamo dalla sovranità dei partiti in Parlamento alla sovranità del popolo.
 
ACCIARINI (DS-U). Di Berlusconi!
 
D'ONOFRIO (UDC). Questo è il cambiamento radicale che si vuole con la forma di governo del premierato. Si possono disciplinare i poteri in modo diverso, si può discutere su come si formano i Governi, sono tutte cose ragionevoli, ma è questa la ragione per la quale non ha più senso un Capo dello Stato con poteri di Governo, come è stato dal 1947 al 1992. Noi siamo vissuti in un regime nel quale la maggioranza di Governo esprimeva uno fra i tanti possibili Presidenti del Consiglio e vi era un Capo dello Stato con funzioni in qualche modo di co-governo. Questa è stata una necessità storica, la capisco e la condivido…
 
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). Meno male!
 
D'ONOFRIO (UDC). …ma non ha più senso mantenerla.
Il Capo dello Stato deve svolgere, come la nuova Costituzione chiede, funzioni di garanzia costituzionale. Quali funzioni di garanzia? Quelle del nuovo ordinamento costituzionale aperto al federalismo. Deve garantire l’unità nazionale; deve garantire il rispetto della Costituzione; deve garantire l’autonomia degli organi esterni rispetto alla maggioranza: di qui i poteri sulle Authority, i poteri sulla magistratura, i poteri sul passaggio della competenza legislativa dal Senato federale alla Camera.
È una diversa idea di Capo dello Stato; si può condividere o meno, può piacere o non piacere. Noi vogliamo un Capo dello Stato garante dell’unità della Repubblica e non più cogestore della maggioranza di Governo. Lo si può volere o meno; noi vogliamo ritenerlo in questo modo e da tale punto di vista vogliamo una riforma costituzionale seria.
I tre anni che sono trascorsi, signor Presidente, hanno consentito molto raramente di spiegare questi aspetti con molta attenzione. I mesi che avremo di fronte, prima del terzo voto della Camera e del quarto voto del Senato, consentiranno, riprendendo i lavori della Costituente, leggendo il testo della Costituzione, di andare al confronto elettorale con grande tranquillità. È bene che l’opposizione sappia che è inutile questo continuo appello al popolo che deve disfare la riforma. Il popolo è previsto regolarmente nella riforma costituzionale. Non solo è ovvio che sarà il popolo a decidere: a decidere, non a far finta di decidere. Abbiamo scritto una Costituzione per modificare la quale in futuro occorrerà comunque la maggioranza degli aventi diritto al voto, cosa che non c’era nel Titolo V. Questa è la norma di garanzia centrale.
Ultima considerazione sulla Corte costituzionale. Non è vero che aumentano i giudici di nomina politica. Oggi sono cinque eletti dal Parlamento in seduta comune. Soltanto tre saranno eletti dalla Camera politica; i quattro del Senato federale non sono più figli della maggioranza di Governo. Lo si vuol capire o no che il Senato federale non è la stessa cosa del Senato della Repubblica? O si fa finta di non capirlo? (Proteste dai Gruppi dell’opposizione. Applausi dai banchi della maggioranza).
 
MANCINO (Mar-DL-U). No, proprio no.
 
D'ONOFRIO (UDC). Avremo giudici costituzionali eletti da un organo che non è figlio della maggioranza di Governo. La maggioranza di Governo ne esprimerà, insieme all’opposizione, tre su quindici e c’è una riduzione dei giudici politici. Questa è la garanzia massima che riteniamo di offrire anche al nuovo ordinamento costituzionale. (Vivi applausi dai Gruppi UDC , FI, AN e LP. Molte congratulazioni).
 
NANIA (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NANIA (AN). Signor Presidente, onorevoli senatori, la Costituzione di ieri, la Costituzione del 1948, in alcune sue parti mantiene del tutto inalterata la sua validità. Penso, infatti, a ciò che c’è nella Costituzione del 1948 e che c’è ancora oggi: alla sua I Parte, ai valori fondamentali che nella stessa I Parte sono contenuti. Ciò che invece nella Costituzione del 1948, come tutti sappiamo, per ragioni storiche non c’era, ossia la garanzia che i Governi si sarebbero formati sulla base della scelta degli elettori, ancora oggi, nonostante nel tempo siano intervenute delle significative riforme, non c’è.
La Costituzione oggi mantiene intatta tutta la validità della sua I Parte, ma per il resto è stata modificata significativamente nella scorsa legislatura, attuando una devoluzione squilibrata, che ha attribuito poteri molto importanti e significativi alle Regioni, che ha attribuito alle Regioni competenze in materie che invece debbono rimanere nell’alveo nazionale, come è stato messo in evidenza soprattutto con le sentenze della Corte costituzionale.
Di fronte a questa realtà, oggi ci siamo posti il problema di mantenere intatto ciò che di valido c’è nella I Parte della Costituzione e di introdurre, invece, nella II Parte ciò che nel 1948, per ovvie ragioni storiche, non poteva essere previsto e soprattutto ciò che nel tempo più Commissioni bicamerali hanno cercato di introdurre, senza riuscire a farlo.
Quale metodo abbiamo seguito in questa nostra avventura e in questo nostro grande dibattito sulle riforme? Potevamo seguire, come sempre avviene, due metodi: l’uno è quello del blitz, presidente Andreotti, e l’altro è il metodo del confronto. Il metodo del blitz è quello per il quale io dico al senatore Consolo che gli do uno schiaffo e glielo do immediatamente, cioè non gli do tempo né di dibattere, né di confrontarsi, non lo avverto; non sottopongo le mie intenzioni al vaglio del corpo elettorale e soprattutto non gli consento di argomentare e di portare avanti le sue ragioni.
Quanto al metodo, la Casa delle Libertà ha sottoposto il suo programma di cambiamento al corpo elettorale, cioè prima delle elezioni del 2001 ha detto agli italiani: vogliamo realizzare questo federalismo; vogliamo realizzare questa elezione diretta; vogliamo consentire ai cittadini di scegliere con il loro voto chi governa e di giudicare chi ha governato.
Il corpo elettorale ci ha dato il suo consenso.
Subito dopo però non abbiamo dato lo schiaffo al senatore Consolo. Abbiamo detto ai nostri avversari: questa è la nostra proposta di riforma; siamo presidenzialisti; vorremmo mettere insieme un federalismo equilibrato e l’elezione diretta del Capo dello Stato.
I nostri avversari ci hanno fatto sapere che non gradivano l’elezione diretta del Capo dello Stato, per ragioni che sono a tutti note, e preferivano invece che si lavorasse insieme sul premierato, cosa che appunto abbiamo cercato di fare, per cui da quattro anni ci confrontiamo, dibattiamo in televisione, sui giornali, nel Parlamento, bisticciamo, ognuno di noi esibisce le proprie coccarde tricolori e i propri vessilli, come tutti sappiamo, in un dibattito serio, approfondito, articolato, sofferto, caldo come mai si era svolto nella storia di questa Repubblica.
I nostri avversari di centro-sinistra ci dicono: fermatevi. Attenzione: immaginiamo per un momento che noi si accolga la proposta del centro-sinistra e che decidessimo di fermarci e di non fare le riforme. Cosa succederebbe? In primo luogo, si potrebbero fare i ribaltoni e, come nel 1996, Prodi potrebbe vincere le elezioni e D’Alema e Marini lo potrebbero mandare a casa; se noi ci fermassimo, la cancellazione dell’interesse nazionale resterebbe cancellazione dell’interesse nazionale; se noi ci fermassimo, non sarebbe consentito ai cittadini scegliere con il proprio voto chi governa, ma soprattutto, se noi ci fermassimo, resterebbe la riforma del centro-sinistra senza clausola di salvaguardia a favore dello Stato e - dico di più - con quella secessione mascherata, che come tale è stata definita dal professor Sechi, noto consulente del Capo dello Stato.
In questi giorni Prodi, intervenendo sul tema, ha parlato della devoluzione e l’ha definita un concetto infame. Infame - ha spiegato Prodi - perché consente alle Regioni più ricche di ottenere di più e penalizza le Regioni più povere, che avrebbero di meno. Egli non ha letto - poverino! - l’articolo 116, terzo comma, che l’allegra brigata che gli sta accanto ha posto in Costituzione e sul quale l’onorevole Bressa alla Camera si è espresso così durante il dibattito sulle riforme: "Il motivo per cui tale strumento" - l’articolo 116, terzo comma - "debba essere eliminato, è cosa del tutto incomprensibile, perché in tal modo" - sentite e tremate - "si privano le Regioni politicamente più avanzate e gli stessi Governo e Parlamento della loro funzione più alta di definire l’assetto complessivo del Paese e della capacità di proporre progetti più avanzati di autonomia e perciò di realizzare in concreto il federalismo".
Capisco che il ministro Calderoli si corrucci di fronte a questo, perché se questo articolo 116, terzo comma, rimanesse in Costituzione avremmo le Regioni politicamente più avanzate, di cui parla l’allievo di Prodi, onorevole Bressa della Margherita, che si potrebbero fare la loro autonomia a propria immagine e somiglianza.
Attenzione: c’è ancora di più e di peggio. Il 28 novembre 2004 l’onorevole Violante, capogruppo dei DS (qui c’è la stampa che può abbondantemente testimoniare di questo grande avvenimento), riprendendo un intervento dell’onorevole La Malfa, prende la parola in Aula e dice: "Fermiamoci. Siamo pronti", presidente Amato, "noi del centro-sinistra a votare la devoluzione insieme al centro-destra, però per favore stralciate il premierato".
Quella devoluzione, concetto infame che spezza il Paese e l'unità d'Italia, sbrindella le istituzioni, dà vita a Regioni più forti e meno forti, sarebbe stata, cioè, votata dal centro-sinistra, a condizione che non procedessimo oltre nel premierato. Ancora una volta, ministro Calderoli, se la Lega avesse acconsentito alla proposta di Violante, avremmo avuto la vostra devoluzione, votata dal centro-sinistra, non ci sarebbe stato il referendum perché la riforma sarebbe stata approvata con i due terzi e avremmo messo nel cassetto il premierato.
Il punto nodale, il problema di fondo del centro-sinistra non è la devoluzione o il federalismo, che loro hanno varato con la tecnica del blitz, come ricorderà il senatore Consolo, in quattro e quattr'otto, con quattro voti di scarto, poco prima dello scioglimento delle Camere, senza alcun dibattito, specialmente in Senato. Per bloccare l'accordo della Lega, quindi per ragioni elettorali, mettono da parte il premierato che non è parto del centro-destra - noi siamo stati sempre presidenzialisti - ma è parto, per esempio, di Salvi, il quale nella Bicamerale disse: "Quando qualcuno scioglie il Parlamento, non assume pieni poteri e rinchiude i parlamentari in uno stadio di calcio; la parola viene data al popolo sovrano che si forma un'idea e può decidere di conseguenza".
Sono parole di Salvi, del centro-sinistra, pronunciate alla Bicamerale. Ma c'è anche la bozza Amato, signor Presidente, a meno che il centro-sinistra non arrivi a negare se stesso. Il presidente Amato, per le vie brevi, fa avere la sua bozza nella quale, a proposito del premierato, si afferma che è giusto non siano legittimati i cosiddetti ribaltoni. Mi rivolgo alla stampa, a questa stampa coraggiosa, a "la Repubblica", al "Corriere della Sera"; dite la verità, guardate qual è la proposta del centro-sinistra, del presidente Amato: il Primo ministro sarà nominato dal Presidente della Repubblica; in caso di sfiducia, e su sua proposta, ci sarà lo scioglimento delle Camere.
La proposta Amato, in caso di sfiducia, prevede lo scioglimento delle Camere, a meno che una mozione costruttiva votata dalla maggioranza iniziale, quella che ha vinto le elezioni, non proponga un altro candidato. Premierato forte, premierato debole, premierato molle, premierato duro, premierato non so che, guardate cosa dice l'articolo 32 della riforma, che rileggo per gli smemorati: "Qualora sia presentata ed approvata una mozione di sfiducia, con la designazione di un nuovo Primo ministro, da parte dei deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni".
È esattamente la proposta Amato, ma loro, pur di impedire le riforme, negano se stessi, al punto tale che Cossutta, allora presidente di Rifondazione Comunista, dichiarò in Bicamerale: "Siamo d'accordo che il Presidente della Repubblica elegga il Primo ministro il cui nome deve essere messo sulla scheda e in più gli diamo poteri ragguardevoli, che sono poi quelli indicati nel nostro progetto, tra cui vi è anche quello di sciogliere le Camere". Sono parole di Armando Cossutta.
La riflessione finale che consegno alla stampa riguarda il teorema della sinistra, che è il seguente: se governa il centro-sinistra, le riforme possono farle da soli; se governa il centro-destra, siccome siamo figli di un Dio minore e quando il Padreterno ha distribuito l'intelligenza e la competenza in prima fila c'era Bordon, che è bravo, c'erano tutti loro a prendere la saggezza, mentre noi, caro Francesco D'Onofrio, non sappiamo niente e non capiamo niente, ebbene le riforme non si possono fare. Se governa il centro-destra le riforme si debbono fare insieme.
Li abbiamo interrogati sul premierato e abbiamo ricevuto la bozza Amato: le riforme si possono quindi fare insieme, ma siccome il centro-sinistra non le vuole fare insieme, la logica conclusione sarebbe che loro non vogliono farle. Il teorema invece si conclude - democraticamente, perché loro sono democratici e noi no - nel modo seguente: siccome non le vogliono fare insieme, le riforme non si debbono fare. (Applausi dal Gruppo AN e del senatore Salzano). Ora, le riforme non giovano né al centro-destra, né al centro-sinistra; nel tempo lo abbiamo dichiarato tutti, da De Mita a Nilde Iotti, presidente della Bicamerale nella legislatura 1992-1994, fino a D'Alema; abbiamo detto tutti che le riforme non giovano né al centro-destra né al centro-sinistra.
Giovano a far funzionare le cose, giovano a fare funzionare il Paese. Per questo la devoluzione non può essere buona a singhiozzo: se conviene al centro-sinistra, si può votare insieme e si straccia il premierato; se non conviene, spacca il Paese. La devoluzione è buona o non lo è.
Le riforme nascono da questo processo di confronto, non sono mai Arlecchino. Se le riforme le fa il centro-destra, mettendo insieme le diverse sensibilità della destra, del centro, della Lega e anche della sinistra, sono riforme Arlecchino perché non si è preso tutto da una sola forza politica, ma sono stati accolti i contributi di tutti. Se invece le riforme le fa il centro-sinistra, diventano un nobile e ideale compromesso. Se l’articolo 7 della Costituzione trovò d’accordo nella Costituente comunisti e democristiani, ciò rappresentò un nobile e alto compromesso; se lo facciamo noi del centro-destra, è uno scambio fra la Lega e Alleanza Nazionale.
Ebbene, non può essere accettato questo concetto di arruolamento della Costituzione, della devoluzione, del Capo dello Stato, del fatto se convenga o meno la Mussolini: addirittura negano il massacro degli ebrei, vogliono di nuovo il fascismo, sono le croci celtiche negli stadi a determinare la violenza, ma se conviene abbiamo i certificatori della sinistra che autenticano le firme false. Questo perché conviene! (Vivaci commenti dai banchi dell’opposizione).
Caro presidente Amato, il problema principale è questo: una democrazia che si rispetta solo quando conviene è una vera democrazia? Le garanzie che oggi dobbiamo portare avanti e cercare di inserire nel quadro costituzionale complessivo sono garanzie che debbono servire al centro-destra o al centro-sinistra? Il processo di avvicinamento di Rifondazione Comunista al centro-sinistra, se è vero e autentico, se significa accettazione della cultura europea e occidentale rappresenta un momento di auspicio. Come si fa a caldeggiare da parte del centro-destra una forza che a sinistra sia disgregante, che non si riconosca nel comune tessuto dei valori?
Per questo motivo oggi la riforma costituzionale rappresenta soltanto la voglia da parte del centro-destra di risolvere il problema della garanzia della democrazia. Certo, la democrazia si garantisce in tanti modi e voglio dire al collega Bassanini, che tante volte ha posto questo problema, che basterebbe rileggersi ciò che aveva proposto in un suo emendamento l’onorevole Mantini della Margherita e che era scritto anche nel testo della Bicamerale (quindi noi di centro-destra e voi di centro-sinistra insieme), vale a dire l’aberrante delitto di consentire al Parlamento, con 80 voti, di approvare una legge.
Voi quando parlate di garanzie dimenticate di leggere - anche lei, senatore Bordon, lo dimentica - ciò che c’è scritto e che riguarda purtroppo un patrimonio comune vostro e nostro: aver scritto sul testo uscito dalla Bicamerale che bastavano 80 voti per approvare una legge. L’onorevole Mantini, poveretto, della Margherita, deve aver pensato che se era scritto nel testo della Bicamerale poteva andare bene alla sinistra. Quando poi vi siete resi conto della gravità della proposta, l’emendamento è stato precipitosamente ritirato.
Dunque, senatore Bassanini, vanno bene le garanzie, ma anche attraverso il referendum vogliamo dare ai cittadini la possibilità di votare, di scegliere chi governa e di giudicare chi ha governato? Non vi sembra questa la frontiera della democrazia, quella di impedire che vi sia il tradimento del voto degli elettori? La democrazia non si garantisce soprattutto consentendo ai cittadini di esercitare la loro sovranità? Per questo è opportuno andare al referendum. Avremo tempo, modo e argomenti per confrontarci rispetto alla nostra politica e alla riforma che stiamo portando avanti con spirito di servizio, grande umiltà e - lasciatemelo dire in questo saluto che voglio rivolgere a Francesco Storace - con il cuore. (Applausi dai Gruppi AN, FI, UDC e LP. Congratulazioni. Commenti dai banchi dell’opposizione).

ANGIUS (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGIUS (DS-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa sarebbe dunque la nuova Costituzione della Repubblica: un danno per l’Italia.
Fra tante, è la legge più grave tra quelle approvate in questa legislatura dal Governo e dalla maggioranza, una pagina nera per il Parlamento.
Dal ricatto della Lega Nord deriva un danno per l'Italia intera. Ma l'Italia ha le risorse e avrà la volontà di spazzare via questo oltraggio e di mettere riparo ad un danno che, senza di noi, forze democratiche di sinistra, forze di progresso di questo Paese, avrebbe conseguenze devastanti ed imprevedibili per la democrazia italiana e per il futuro del Paese.
Noi, la Federazione dell'Ulivo e dei Gruppi che al Senato ad essa aderiscono, abbiamo espresso ed esprimiamo il voto contrario a questo disegno di legge di modifica della Parte II della Costituzione, che non riesco - mi scuserete - a chiamare riforma.
Questa è per noi la sfida più alta. L'abbiamo affrontata in Senato con spirito aperto. Ci viene rivolta una critica priva di senso sul fatto di esserci sottratti ad un confronto vero. Ora, essendo noi consapevoli, cari colleghi, di essere in quest'Aula minoranza e dunque destinati ad essere battuti nel voto, quale interesse avremmo avuto a sottrarci al confronto, a chiuderci in noi stessi, a lasciare campo libero a voi, al Governo, alla maggioranza? Come si fa a rivolgerci un'osservazione così poco intelligente?
Abbiamo fatto ciò che si fa in democrazia, contrastando proposte che giudicavamo sbagliate e avanzando proposte precise, alternative e di merito. Siamo andati anche oltre, sino a formulare, per la prima volta tutte le opposizioni unite, una proposta organica di riforma costituzionale, la cosiddetta bozza Amato. Tutte le nostre proposte sono state respinte, tutte. La legge è dunque vostra, tutta e solo vostra.
Ne è risultata una Costituzione che mina l'unità nazionale, che colpisce il Mezzogiorno e con esso un’idea di società fondata sul solidarismo, accentuando diseguaglianze già insopportabili tra il Nord e il Sud del Paese, secondo una visione egoistica e antagonistica della crescita sociale e dello sviluppo economico.
Ne è risultata una Costituzione che colpisce il Presidente della Repubblica, figura di garanzia suprema del nostro ordinamento, e insieme ad esso tutti gli altri istituti di garanzia, a cominciare dalla Corte costituzionale.
Ne è risultata una Costituzione che attribuisce al Presidente del Consiglio un potere smisurato, di controllore assoluto del Governo, della sua composizione e della sua politica, e ne fa in più il dominus, cioè il padrone del Parlamento, su cui ha il potere di scioglimento se non fa ciò che egli decide.
Ne è risultata una Costituzione che fa impressione per la sua farraginosità, le sue contraddizioni, sostanzialmente inapplicabile, destinata come sarebbe ad accentuare - se attuata - conflitti istituzionali permanenti e per di più irta di errori macroscopici che molti di voi conoscono, e su cui però tacete.
Per queste ragioni la vostra proposta di Costituzione, di una Costituzione che dovrebbe essere l'approdo di quella troppo lunga transizione istituzionale apertasi negli anni '90, non approderà a nulla. Al contrario, è un contributo nefasto, destinato a prolungare questa transizione e ad introdurre in essa ragioni nuove di scontro, di visione, di lacerazione, con una sconsiderata gestione politica e parlamentare di questa legge che è la legge delle leggi.
Non c'è in ciò che avete fatto né una visione del futuro del nostro Paese né lungimiranza e direi neanche quel senso di responsabilità che dovrebbe avere chi guida una grande democrazia come la nostra.
Voi avete blindato la vostra proposta di Costituzione; l'abbiamo capito sin dall'inizio, quando vi siete chiusi nella baita di Lorenzago, tra una polenta ed un fiasco di vino. Già da allora era tutto chiaro.
Fare della riscrittura della Parte II della Costituzione l'oggetto, il collante del patto di Governo della Casa delle Libertà è stato un atto politico oltraggioso nella storia della nostra democrazia.
Non era mai avvenuto e non è mai avvenuto in nessuna moderna democrazia nulla di simile. Persino in Iraq, per costruire una Costituzione condivisa, gli sciiti, superando persino l’esito del voto, si pongono il problema di associare al lavoro costituente i sunniti. Non so se siano più fondamentalisti gli sciiti o voi!
La nostra Costituzione è costata sangue e sofferenze, una mobilitazione di coscienze diverse (lo dico a qualche ignaro nostro collega): coscienze diverse, cattoliche, marxiste, liberali, un enorme impegno comune. Oggi certamente la Costituzione ha bisogno di riforme; ma voi ora riscrivete in questo modo la nostra Costituzione per accontentare un partito che ha il 3 per cento dei voti, per distruggere i poteri di garanzia che sono di ostacolo al vostro Presidente del Consiglio. È questo scellerato obiettivo che, di fatto, ha reso voi senatori della maggioranza la base obbediente di questo pasticcio.
Per noi tutto ciò è inaccettabile. È inaccettabile la Costituzione nata da un ricatto. Ecco perché ci opponiamo, non perché non vogliamo le riforme, come ho già dimostrato, ma perché non possiamo accettare questa riforma. In voi non vi è alcuno spirito costituente, ma solo la necessità di rispettare uno scellerato patto di Governo.
Voglio andare oltre ponendo tre quesiti importanti. Sono tre interrogativi che penso sia doveroso porsi, signor Presidente, che tanti si pongono e a cui bisognerà dare risposta.
Domando: corrisponde alla lettera e, soprattutto, allo spirito della Costituzione che una revisione così profonda della Costituzione medesima sia presentata alla Camera come punto qualificante e decisivo di un programma di Governo, che costituisca condizione essenziale dell’esistenza stessa del Governo, precludendo, in questo modo, in partenza un confronto parlamentare aperto, suscettibile di introdurre modifiche all’originale disegno della maggioranza?
Domando: corrisponde alla lettera e allo spirito della Costituzione che un Parlamento eletto con sistema maggioritario possa riscrivere così ampiamente ed approvare con un voto della sola maggioranza semplice la seconda parte, tutta intera, della Costituzione?
E ancora: corrisponde alla lettera e allo spirito della nostra Costituzione che non una legge di revisione della Costituzione, ma la riscrittura intera di una sua parte, così ampia e profonda, possa essere approvata attraverso l’esclusiva applicazione dell’articolo 138?
Sono quesiti che mi paiono fondati. C’è da interrogarsi, dunque, sul profilo di costituzionalità di questa stessa legge. Conosco, le ho ascoltate poco fa, le vostre obiezioni e vi rispondo schiettamente: la modifica del Titolo V della precedente legislatura era importante, certamente, ma non era paragonabile per portata e dimensione a questa modifica che voi fate; in secondo luogo, era una modifica largamente condivisa, votata da tutti nella lettura e nel voto della Bicamerale.
Infine, se è stato (e forse lo è stato) un nostro errore politico - come dite voi - averla approvata a maggioranza nella precedente legislatura, allora questa critica, a maggior ragione, deve valere verso voi stessi perché - lo ammetterete- state compiendo in forme assai più gravi il medesimo errore.
Personalmente, resto convinto che le regole di una grande democrazia (Costituzione, Regolamenti parlamentari, legge elettorale) vadano decise sempre insieme.
La urgente necessità di una profonda revisione della nostra Carta costituzionale aveva trovato le sue ragioni profonde nelle modifiche del sistema elettorale, da proporzionale a sostanzialmente maggioritario, e in quelle del sistema politico, mutato in senso bipolare.
Questi mutamenti sono avvenuti e hanno cambiato profondamente la Costituzione materiale del nostro Paese. È evidente, dunque, che ci sono regole ormai che non risultano efficaci a garantire il funzionamento pieno di una democrazia dell’alternanza in cui i doveri della maggioranza e i diritti dell’opposizione possano entrambi pienamente esprimersi.
Non vogliamo affatto conservare la Costituzione del 1948. Vogliamo rendere viva la Costituzione repubblicana di oggi e di domani. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI-US e Misto-Pop-Udeur).
Ma questa modifica della Costituzione aggrava la lunga transizione istituzionale. Non viene costruito affatto un moderno ordinamento dello Stato ispirato a valori di solidarietà. Si delinea, al contrario, un finto federalismo, segnato profondamente da quell’egoismo sociale che può distruggere la coesione sociale, i beni comuni, i patrimoni condivisi e, persino, un senso di appartenenza alla comunità nazionale.
Si mescolano così nel vostro progetto derive secessioniste e rivincite centraliste. Al tempo stesso, l’autogoverno locale non è rafforzato ma, al contrario, è posto sotto tutela dal Governo e dalle maggioranze politiche. Sono minacciate l’universalità dei diritti e le libertà costituzionali. Parlo di diritti concreti dei cittadini e delle persone: il diritto alla salute e all’istruzione. Aumenterà la conflittualità tra Stato, Regioni ed enti locali. L’ingovernabilità e il caos istituzionale la faranno da padroni e il Mezzogiorno viene colpito al cuore, emarginato, separato.
Mettendo insieme in modo confuso e raffazzonato devolution e interesse nazionale, si definisce quel che è stato chiamato un federalismo a fisarmonica, determinato e deciso a seconda delle maggioranze politiche espresse in questo o in quel momento dalle Camere. Siamo lontani da quell’idea di ordinamento dello Stato, di autonomismo, regionalismo e meridionalismo che erano le idee forza ed erano anche il modo in cui la specificità e la particolarità storica, linguistica, economica, culturale ed etnica potevano uscire dalla loro condizione di marginalità per diventare soggetto e oggetto, insieme, di un nuovo modo di essere dello Stato, riscatto di popoli e protagonismo consapevole.
Forse è troppo ricordare in quest’Aula le lezioni di Giuseppe Dossetti e di Renzo Laconi, ma i rischi dell’ingovernabilità insiti nella vostra riforma si accentuano se guardiamo al ruolo in cui superate - e va superato - il bicameralismo perfetto. Sarà impossibile legiferare.
Niente è più certo ormai in questa vostra Costituzione nel processo legislativo. Le incertezze del procedimento legislativo sono le più bizzarre. Su determinate materie si ha la prevalenza del Senato, su altre della Camera, su altre il procedimento sarà bicamerale, su altre ancora a prevalenza del Senato, ma con richiamo della Camera. E se per caso una legge, prendiamo il cosiddetto decreto omnibus che voteremo più tardi, comprende materie diverse, cosa farete voi applicando la vostra Costituzione? La voterete a pezzi, un pezzo di qua e un pezzo di là? Cosa farete di questa legge che voi stessi andrete a votare sulla base della vostra proposta di processo legislativo? Non sto esagerando. È così, proprio così. Un pasticcio, che riguarda il nostro Parlamento, la sua vita, la sua funzione. Non è cosa da poco.
Ma c’è di più. Nella nostra esperienza, abbiamo appreso, dal diritto parlamentare, dalla scienza costituzionalistica, ma anche dalla nostra storia, di Parlamenti che mandavano a casa Governi o di Parlamenti separati da Governi, con percorsi diversi che non si incrociavano. Qui invece vediamo scritta la norma secondo cui, non un Governo, ma addirittura un Primo ministro manda a casa un Parlamento se al suo interno la maggioranza che lo sostiene non ne condivide una proposta. È un capovolgimento dei poteri, una novità assoluta, un inedito. Parliamo di una Camera totalmente assoggettata al Primo ministro, che un meccanismo di sfiducia costruttiva, sostanzialmente truffaldino, quale quello che avete pensato, non può bilanciare.
Parliamo poi del ruolo che viene riservato al Senato della Repubblica. Il Senato, nella proposta che voi voterete, è praticamente distrutto, è una Camera morta: morta perché priva di funzioni, morta perché eterodiretta dai Presidenti delle Regioni, morta perché priva di qualsiasi rappresentatività nazionale. Che il Senato, anzi le senatrici e i senatori votino una proposta di legge che cancella l’istituzione che dovrebbero difendere e rappresentare rende ben chiaro questo baratro in cui l’attuale classe dirigente sta facendo precipitare il nostro Paese.
Questa vostra proposta di cambiamento della Costituzione non dà all’Italia moderne regole dell’alternanza. Si abbandona la forma del Governo parlamentare, senza approdare ad alcuna forma di Governo finora conosciuta. Proponete un inedito mai scritto nelle Costituzioni democratiche, ma non per questo sconosciuto. Si delinea una proposta unica al mondo, basata sul dominio di un uomo solo, che peraltro può essere ricattato dalle componenti minori della sua stessa maggioranza, rispetto alle quali si vendica ricattando a sua volta l’intero Parlamento, che minaccia di sciogliere.
E no, non sarebbe questo un dominio assoluto rispetto al Parlamento. Qui, badate, le norme antiribaltone non c’entrano niente. Voi state attribuendo al Capo del Governo e solo a lui, quando scrivete che egli determina anche le leggi e la politica del Governo, il potere di cambiare leggi che disciplinano diritti e libertà dei cittadini, l’indipendenza della magistratura, il pluralismo dell’informazione, i meccanismi elettorali, le leggi e il sistema di garanzie. Voi approvate una legge che indebolisce il sistema di garanzie.
Ecco, attraverso queste modifiche la vostra impalcatura di proposta di legge costituzionale colpisce al cuore il ruolo e le competenze del Capo dello Stato; le colpisce, le distrugge, rende cioè visibile come quel sistema di garanzie, necessario laddove c’è un premierato forte, voi lo cancelliate; ma le garanzie istituzionali costituiscono, nella nuova legge elettorale maggioritaria e con il sistema bipolare, nel nuovo Parlamento delle coalizioni contrapposte, la vera, autentica questione democratica: voi fate del Capo dello Stato, del Presidente della Repubblica, un semplice ornamento. E’ un’operazione molto forte quella che voi fate, che avete qui sostanzialmente deciso. E’ un attacco preciso al ruolo del Capo dello Stato, ed è qualcosa che noi non possiamo accettare in alcun modo.
Mi avvio alla conclusione. Il vostro, quindi, è un progetto che ha una sua coerenza: procede per rotture, spezza un equilibrio, rompe coerenze costituzionali. Guardate, in queste mie considerazioni c’è - fatemelo dire - il condizionamento che, mentre discutiamo di questa riforma della Costituzione, viviamo anche l’anno del sessantesimo anniversario della liberazione dell’Italia dal fascismo e dal nazismo e dobbiamo discutere e discutiamo, come si fa in Europa, della nuova Costituzione europea.
Voi non traete ispirazione, con le vostre proposte, da questi eventi esaltanti, siete indifferenti e anche ostili. Forse, cari colleghi, la radice più profonda della nostra Costituzione non sta scritta soltanto nel suo articolo 1, e cioè la sovranità al popolo, ma la si scopre per la prima volta nella storia del nostro Paese nel decreto legislativo luogotenenziale del 25 giugno 1944, nel quale lo Stato italiano, con un ordinamento provvisorio, indica che dopo la liberazione del territorio nazionale dal nazismo e dal fascismo le forme istituzionali saranno decise con il voto dal popolo sovrano. Ecco la sovranità del popolo, ecco il popolo sovrano, sinonimo di democrazia.
Poi però i Costituenti - cari colleghi, attiro la vostra attenzione su questo punto che mi sembra fondamentale - fecero di più: nella Costituzione scrissero che vi sono dei limiti alla sovranità popolare; dei limiti, perché la sovranità del popolo non consente, nella nostra Costituzione, che essa possa trasformarsi né nella dittatura del proletariato e nemmeno nella dittatura del Premier. La nostra è una democrazia regolata, limitata dalla stessa Costituzione affinché il potere politico non possa giungere mai a controbattere e a limitare i poteri della democrazia pluralistica, affinché i diritti delle minoranze, quali che esse siano, vengano tutelati né più né meno dei diritti delle maggioranze. Questa è la nostra Costituzione oggi e noi la vogliamo difendere. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-Un). E non c’è niente, care colleghe e colleghi, proprio niente di solenne nel passaggio che noi stiamo vivendo.
Per questo io considero, fatemelo dire, un’autentica buffonata sia le ampolle del Monviso, sia le guardie padane, sia le camicie verdi, sia le sue dimissioni, ministro Calderoli. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-Un). Francamente io non so cosa di più avremmo dovuto fare.
Io avverto in questo momento, signor Presidente, la tristezza di un’occasione mancata e insieme, però, ne sia sicuro, l’irriducibile convincimento e l’assoluta determinazione che non prevarranno nel nostro Paese né l’offesa né, ancor meno, la lesione al patrimonio che ci è più caro e che voi minate, a cui noi non rinunceremo mai, perché si nutre di giustizia e di libertà.
Questi sono i nostri convincimenti, fermi, decisi e determinati. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI-US e Misto-Pop-Udeur). Questo è il nostro no alla vostra proposta di devastazione e di lesione dei princìpi sanciti nella nostra Costituzione repubblicana. (Vivi, prolungati applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Aut, Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI-US, Misto-IdV, Misto-Cant e Misto-Pop-Udeur. Molte congratulazioni. Numerosi senatori dell’opposizione espongono striscioni tricolore).
 
PALOMBO (AN). Giù le mani dal tricolore!
 
PRESIDENTE. Colleghi, vi invito a ritirare gli striscioni; ancorché molto patriottico, non è consentito. Vi invito a ritirare gli striscioni tricolore. Ancorché sia la bandiera italiana, non è consentito. (I senatori dell’opposizione continuano ad esporre striscioni tricolore e a sventolare bandiere). Colleghi, ritirateli.
Sospendo la seduta per cinque minuti, affinché vengano ritirati striscioni e bandiere.
 
(La seduta, sospesa alle ore 11,30, è ripresa alle ore 11,41).
 
Riprendiamo la seduta.
Colleghi, la manifestazione c'è stata, lo sventolio del tricolore pure; la seduta è stata sospesa e ora vi prego gentilmente, perché non sono consentiti, di togliere quei tricolori dalle aste dei microfoni. Siate gentili e fatelo spontaneamente, vi prego.
 
GRECO (FI). Meglio queste bandiere che le bandiere rosse!
 
MULAS (AN). Hanno scoperto il tricolore! (Il senatore Fabris toglie alcune bandiere tricolori dalle aste dei microfoni).
 
PRESIDENTE. Per cortesia, toglietele tutte. Grazie, colleghi, vi prego anche di fare silenzio. Senatore Montino, vuole essere così gentile da togliere la bandiera da quel microfono? Altrimenti, dovrò chiederlo ad un senatore Questore.
Senatore Servello, per cortesia, lo faccia lei. La ringrazio, senatore Fabris, per la collaborazione, grazie anche a lei.
Riprendiamo le dichiarazioni di voto finale.

PASTORE (FI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PASTORE (FI). Signor Presidente, onorevoli Ministri, onorevoli colleghi, mi rammarico che il Regolamento del Senato non consenta di esporre le bandiere tricolori in quest'Aula ed in numero così elevato. Devo esprimere anche il mio compiacimento che il tricolore venga scoperto da tanti che fino a qualche anno fa marciavano sotto le bandiere rosse e spesso calpestavano e oltraggiavano la nostra bandiera nazionale! (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e LP).
 
RONCONI (UDC). (All'indirizzo del senatore Malabarba) Comunista! Vattene!
 
PRESIDENTE. Senatore Ronconi, mantenga la serenità.
 
PASTORE (FI). Il senatore Malabarba è per lo meno franco e sincero nelle sue idee; altri sono comunisti ma non lo dicono.
Signor Presidente, non posso nascondere un'intima soddisfazione nel dichiarare il voto favorevole di Forza Italia sulla riforma costituzionale. Con questo voto si conclude un complesso processo di riflessione, di approfondimento, di confronto su temi che da oltre vent'anni sono al centro della discussione sul futuro delle nostre istituzioni, istituzioni che la Casa delle Libertà si è impegnata, dinanzi al proprio elettorato, a riformare in questa legislatura.
Il Parlamento si è occupato molto spesso di riforme, non solo con la Commissione Bozzi, che risale al 12 ottobre 1983, ma anche con la Commissione De Mita-Iotti, istituita con legge costituzionale, che risale al 1992; nella passata legislatura vi è stata poi la Commissione bicamerale presieduta da D'Alema. In questa legislatura abbiamo discusso fin dall'inizio di profonde riforme del sistema in materia di Governo, di revisione del Titolo V e di devoluzione: altro che mancanza di confronto e di dibattito su questi temi! (Applausi dal Gruppo FI).
Cosa ci ha consegnato l'Ulivo nella passata legislatura? Ci ha consegnato provvedimenti parziali e scoordinati che solo oggi, grazie a un testo coordinato, razionale ed equilibrato, trovano una collocazione efficiente e positiva per il nostro Paese.
Replico al senatore Angius che ha la bontà di ascoltarmi: è vero che alla Commissione bicamerale D'Alema il centro-destra si espresse a favore della riforma del Titolo V, ma questa riforma era inserita in un quadro complessivo che è stato poi spezzato, frantumato, prendendo da questa riforma solo la parte del Titolo V e facendola cadere pesantemente, senza alcun paracadute, sulla testa dei nostri cittadini, delle nostre imprese e della pubblica amministrazione.
Questa riforma costituzionale rappresenta il vero passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, ed è proprio questo il punto, colleghi: il passaggio dalla Repubblica fondata nel 1947 - e siamo grati a coloro che la fondarono - a quella che trova nuove basi con la fine della guerra fredda e la crisi irreversibile dei partiti storici; soprattutto, con il venir meno del concetto di arco costituzionale che comprendeva solo i partiti resistenziali ed escludeva quindi tutte le formazioni, anche democratiche, che erano al di fuori di questo arco.
È questo, colleghi della sinistra, che voi non sopportate: non sopportate che le riforme siano portate avanti da uomini nuovi alla politica, non vincolati da concezioni di antitotalitarismo strabico, cioè solo verso la destra, ma che vedono nell'antitotalitarismo di destra e di sinistra, sia del fascismo che del comunismo, il fondamento delle proprie radici. (Applausi dal Gruppo FI).
Non mi sento altrimenti di spiegare la dura opposizione del centro-sinistra, l'ostruzionismo esasperato in Commissione e in Aula, con migliaia di emendamenti. Ci si lamenta poi che non c'è dibattito, ma se avessimo preso parte a quel dibattito questa riforma non sarebbe mai passata né in quest'Aula, né alla Camera dei deputati, saremmo oggi senza riforma costituzionale. Abbiamo in questo momento la possibilità di parlare.
Si è arrivati al punto di tacciare la riforma costituzionale di anticostituzionalità. Si è arrivati al punto di contestare - e alcuni colleghi lo hanno fatto anche in dichiarazione di voto - l'idoneità del procedimento di revisione costituzionale di cui all'articolo 138 rispetto ad una riforma di questo tipo. Come dovremmo riformare la Costituzione? Quale strada è percorribile per affrontare una riforma importante come quella che consegniamo al Paese per ulteriori passaggi che ci saranno in futuro?
In realtà, l’opposizione - è stato detto dal collega Nania - ha una visione ben precisa di ciò che si può fare e di ciò che non si può fare: si può fare quello che condivide, quello che non condivide è illegittimo. Ancora oggi si è parlato di dittatura della maggioranza, ma credo che in un sistema democratico parlamentare la maggioranza abbia la responsabilità, il potere e il dovere di governare e l’opposizione di fare opposizione nell’ambito delle regole scritte. In questo contesto e in quello futuro le regole ci sono e andranno tutte rispettate.
Credo sia sotto gli occhi di tutti l’approfondimento che vi è stato nell’elaborare il testo sottoposto oggi al nostro voto. Basti pensare che l’Assemblea costituente impiegò poco più di un anno a redigere un testo costituzionale molto complesso e in un contesto estremamente difficile, di forti tensioni. È dall’inizio della legislatura che lavoriamo su questo testo e alle nostre spalle abbiamo un lavoro di anni e anni di riflessioni, di approfondimenti, di analisi di testi elaborati.
Oggi si contesta la legittimità della riforma perché verrebbe approvata solo dalla maggioranza. Certo, sarebbe stato auspicabile un voto favorevole, anche se non di tutta, di parte dell’opposizione. Tuttavia, collega Angius, non è rispondente al vero sostenere che non sono stati recepiti i contributi dell’opposizione. Vi sono non decine, ma parecchie decine di emendamenti, anche importanti, presentati dalle opposizioni e inseriti nel testo Costituzionale, proprio perché esso è stato oggetto di dibattito e confronto. (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e LP).
Riteniamo, però, che alla fine sia opportuno rivolgersi al popolo, ai nostri elettori che saranno chiamati ad un referendum che non ci spaventa, che vogliamo, anzi pretendiamo perché riteniamo rappresenti il sigillo finale di un processo democratico di approvazione parlamentare che da sola giudichiamo insufficiente a legittimare una revisione della Costituzione, qualunque essa sia, in particolare se così articolata e importante (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e LP).
Si è polemizzato sui tempi del referendum. È curioso però che i colleghi del centro-sinistra oggi reclamino il referendum prima del voto delle politiche e poi facciano ostruzionismo in Commissione e in Aula. Credo sia estremamente contraddittorio tenere posizioni tra loro inconciliabili. Forse, se avessimo approvato questo testo due o tre mesi fa, la prospettiva di un referendum prima delle elezioni politiche sarebbe stata più credibile. Approvato adesso, è irresponsabile pensare che una riforma del genere, che tocca in particolare il Parlamento della Repubblica e i rapporti tra Parlamento e Governo, possa essere approvata in via definitiva a ridosso di quelle elezioni che stabiliranno come sarà formato il Parlamento e quale sarà il futuro Governo del Paese.
Noi abbiamo il senso della responsabilità, non siamo irresponsabili come il centro-sinistra che ci ha paracadutato la riforma del Titolo V della Costituzione senza alcuna norma transitoria e senza alcuna possibilità di preparare il campo. Una riforma, quella del Titolo V, che modifichiamo profondamente, pur mantenendo intatte le linee fondamentali. Quella riforma - è sotto gli occhi di tutti - ha generato conflittualità e la conflittualità porta alla paralisi o all’anarchia e quella sì può portare alla secessione. Noi invece abbiamo raddrizzato quel meccanismo di riforma costituzionale stabilendo un riequilibrio dei poteri complessivi Stato-Regioni. Non vi è alcuna fuga, né avanti, né indietro.
Si è ridisegnato il quadro complessivo con il grande senso di responsabilità che ci viene riconosciuto anche da parte di rappresentanti della sinistra, i quali ci chiedono lo stralcio o di riflettere in modo migliore sulla parte relativa al Titolo V perché hanno visto che quella parte della riforma è credibile, è possibile, fa bene al Paese e alle nostre autonomie. (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e LP).
Vi è di più. Il Governo viene rafforzato. Si sono rafforzati i sindaci, i presidenti delle Province, i governatori. Il Governo nazionale è rimasto - per così dire - a mezza strada, in mezzo al guado. Vogliamo costituzionalizzare quel principio, che tutti dicono di voler rispettare, secondo cui il cittadino, l'elettore voti per un Premier, per una maggioranza ed un programma che possano restare in piedi fino alla fine della legislatura, senza ribaltoni di alcun tipo. È chiaro che il sistema di oggi non esclude ribaltoni.
Ma perché - scusatemi - l'onorevole Prodi vuole l'investitura delle primarie? Perché l'onorevole Prodi vuole fare le primarie ed essere investito dal centro-sinistra? Perché sa che il giorno dopo la sua elezione, con questo sistema di legislazione ordinaria, potrà essere tranquillamente rovesciato, come è già successo. Avendo invece l'investitura delle primarie, l'onorevole Prodi si sentirà in qualche modo espressione di tutta la maggioranza di centro-sinistra.
Allora, vogliamo che questo meccanismo entri in Costituzione escludendo - come dicevo - ribaltoni. Non dobbiamo fare come alcuni eminenti rappresentanti del centro-sinistra che hanno presentato sul nostro testo emendamenti che introducono in Costituzione il ribaltone. Mi riferisco all'emendamento 27.13, che reca le firme dei senatori Bassanini, Villone e Passigli, secondo cui, per cambiare il Premier, è sufficiente che i due terzi dell'originaria maggioranza si pronuncino in tal senso e possano quindi completare la loro consistenza con una parte dell'opposizione. Ma vi è ancor di più. Un altro emendamento, che questa volta ha perso per strada la firma del senatore Villone, riduce addirittura la maggioranza originaria alla metà.
È sufficiente, quindi, che la metà della maggioranza originaria, se decide di cambiare Premier, si metta d'accordo con una parte sufficiente dell'opposizione. Questo vorrebbero o volevano che fosse scritto in Costituzione. È riportato nel testo stampato degli emendamenti e credo non ci sia bisogno di autentiche da parte né di notai, né di consiglieri comunali. (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e LP).
 
ASCIUTTI (FI). Bravo! Bravo!
 
PASTORE (FI). L'opposizione parla strumentalmente di premierato onnipotente. Non vi è alcuna onnipotenza del Premier. Abbiamo inserito nella formula del premierato, ricevendo anche critiche da parte di chi lo sosteneva, un passaggio che ci è stato letteralmente dettato dalla bozza Amato e dagli interventi della Commissione del Senato. Mi riferisco a quella parte secondo cui si può cambiare il Premier se è d'accordo la maggioranza che lo sostiene. Si tratta quindi di un passaggio fondamentale che elimina qualsiasi possibilità di dittatura del Premier.
Ci si è lamentati della riduzione dei poteri del Presidente della Repubblica. Non voglio in questa sede aggiungere altro, ma solo utilizzare la parafrasi di una formula che si usava e si usa per le monarchie costituzionali. Mi riferisco a quell'espressione secondo cui il re regna ma non governa. Noi diciamo che il Presidente della Repubblica garantisce: garantisce la Costituzione in maniera più ferma e più salda di quanto sia previsto oggi nel testo costituzionale, ma non governa. Il Presidente della Repubblica non governa, perché il Governo è rimesso nelle mani del popolo attraverso i rappresentanti parlamentari e il Premier eletto.
Signor Presidente, mi soffermo su un ultimo passaggio e concludo il mio intervento. La riforma del bicameralismo è stata un punto assai delicato. Non voglio entrare nei dettagli e sfido chiunque a leggere o a rileggere le Costituzioni dei Paesi che prevedono due Camere con poteri differenziati. Sono tutte davvero complicate e articolate, ma sono Costituzioni alle quali guardiamo sempre. Mi riferisco al sistema tedesco, alla monarchia spagnola, alla Repubblica francese e a quella austriaca. Sono Costituzioni estremamente complesse a causa del bicameralismo differenziato.
Colleghi dell'opposizione, non si può, però, un giorno affermare - magari i giorni pari - che il Premier è onnipotente perché domina la maggioranza parlamentare e il giorno successivo dire che il Parlamento è bloccato perché il bicameralismo non funziona. Se il Parlamento è bloccato, è bloccato anche il Premier; se il Premier è forte, vuol dire che il Parlamento funziona.
Non si può fare una scelta diversa addirittura nello stesso giorno per bocca degli stessi parlamentari.
Quello che mi preme sottolineare non è tanto il tecnicismo, quanto il fatto, signor Presidente, che il Parlamento, questo Parlamento, il Parlamento di questa legislatura, ha avuto il coraggio e la forza, con grandi travagli, sofferenze ed impegno, di riformare se stesso. Chiedo a chiunque quando mai si sia verificato un fatto del genere nella storia d’Italia e di altri Paesi. (Applausi dai Gruppi FI e UDC e del ministro Calderoli. I senatori del Gruppo Forza Italia si levano in piedi). Un Parlamento che rinuncia a proprie prerogative, a parte dei propri componenti e fa un salto di qualità verso un nuovo modello di Stato e di Repubblica che vede sia la Camera che il Senato con poteri indubbiamente ridimensionati.
Signor Presidente, sono orgoglioso di far parte di questo Parlamento. Per me è un grande Parlamento e spero che lei, Presidente del Senato, e i nostri Ministri siate come me orgogliosi di essere espressione e di avere la fiducia di quest’Aula e del Parlamento intero. (Vivi applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e LP. Molte congratulazioni).

*FISICHELLA (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.
 
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.
 
FISICHELLA (AN). Signor Presidente, formalmente io sto parlando in dissenso rispetto al Gruppo parlamentare di Alleanza Nazionale. Di fatto, è il Gruppo parlamentare di Alleanza Nazionale che si accinge a votare in dissenso rispetto ai valori fondanti e fondativi di Alleanza Nazionale, valori fondanti e fondativi che io conosco meglio di chiunque altro.
Ciò premesso, poiché nel disegno di legge costituzionale in via di votazione non sono intervenuti mutamenti qualitativi e quantitativi che possano indurmi a modificare la mia opinione in merito, dichiaro - in coerenza con la mia posizione critica assunta nella scorsa legislatura verso la riforma costituzionale attuata dal centro-sinistra, nonché in coerenza con l’atteggiamento fin qui tenuto nella presente legislatura verso la riforma ora in discussione - il mio voto contrario, nello spirito dell’unità culturale e istituzionale della Nazione che costituisce storicamente uno dei connotati essenziali e irrinunciabili della Destra italiana. (Applausi dai Gruppi DS-U, Verdi-Un, Misto-Com e Mar-DL-U).

GUBERT (UDC). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.

PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.

GUBERT (UDC). Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, in dissenso dal mio Gruppo voterò contro il disegno di legge al nostro esame.
È un disegno di legge che contraddice princìpi e valori di fondo che ritengo patrimonio indisponibile e non negoziabile.
Mi avvinceva l’impegno annunciato in campagna elettorale nel 2001 di trasformare l’Italia in uno Stato federale. Il fatto che la Lega Nord facesse del federalismo il punto cruciale per la propria adesione alla Casa delle Libertà e che essa fosse parte rilevante della maggioranza mi induceva a credere che si sarebbero potute superare eventuali resistenze. Del resto, queste potevano essere solo minoritarie, se la Casa delle Libertà aveva voluto il referendum contro la riforma costituzionale del Titolo V approvata dall’Ulivo nella scorsa legislatura perché insufficientemente federalista.
Ebbene, la riforma all’esame costituisce un forte arretramento degli spazi di autonomia. Ritorna, peggiorato, il controllo politico centrale sulla legislazione regionale; il Senato cosiddetto federale non solo non rappresenta gli enti federati, le Regioni, ma viene privato di ogni reale potere. Viene condizionata fortemente l’autonomia fiscale di Regioni ed enti locali e alla volontà dello Stato centrale; viene tolta alle Regioni la possibilità di sviluppare la propria autonomia negoziando con lo Stato l’allargamento delle proprie competenze.
Trovo poco il piccolo avanzamento qua e là realizzato (qualche competenza esclusiva alle Regioni in materie in gran parte già di competenza regionale, qualche limite al cambiamento degli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale contro la loro volontà) per modificare la valutazione.
Quale coerenza di tutto ciò con il principio della sussidiarietà, patrimonio importante del pensiero sociale cristiano al quale i partiti della Casa delle Libertà dicono di ispirarsi? In questa riforma non è lo Stato di sussidio all’esplicarsi degli spazi di libertà delle collettività regionali e locali, bensì queste sono poste al servizio degli interessi dello Stato, per di più interpretabili in relazione alle convenienze della maggioranza di turno nella lotta politica per il potere.
È questa logica avversa agli spazi di libertà, di autonomia, che ha indotto ad affiancare, allo stravolgimento dell'impegno federalista, la restrizione della libertà di valutazione, di ricerca del bene comune da parte del Parlamento, dei parlamentari, in omaggio alla necessità del Capo del Governo di decidere senza gli intralci della codeterminazione, senza dover fare i conti con la sua maggioranza. La riforma va chiaramente in direzione autoritaria. Più poteri al Capo del Governo, che può tenere sotto ricatto la sua maggioranza, essendo reso troppo difficoltoso il ricorso al meccanismo, pur positivo, della sfiducia costruttiva. Più poteri al Capo del Governo, che può svuotare di potere decisionale il Senato, invocando il rilievo di un oggetto di legiferazione per il suo programma. Con ciò si riduce a parvenza la separazione del potere legislativo da quello esecutivo, conferendo entrambi ad un Capo scelto ogni cinque anni.
Quale coerenza di ciò con la concezione della democrazia come larga partecipazione alle decisioni, assunte in piena libertà da chi rappresenta il popolo in modo assai più pieno, più rispondente alla pluralità di valutazioni e di orientamenti in esso presenti, di quanto lo possa fare una sola persona? Mi spiace che il nostro partito si affidi ad una sol persona dopo l’esperienza autoritaria del passato. Chi si ispira alla ricerca del bene comune non può assecondare la riduzione della responsabilità politica di ciascuna persona al voto, ogni cinque anni, di un Capo che può decidere.
Già con la Costituzione che abbiamo si è fortemente indebolito il carattere democratico del nostro sistema di decisione politica: si pensi al ricorso permanente alla delega della legislazione di rilievo al Governo, con criteri del tutto generici; si pensi all'uso frequente dei decreti-legge in assenza dei presupposti di necessità e straordinaria urgenza; si pensi al modo verticistico nel quale sono scelte le candidature. E si potrebbe continuare. Possibile che, anziché rispondere alla crisi della democrazia con meccanismi che la salvaguardino, si proceda, invece, in direzione autoritaria? Possibile che un partito e una coalizione che si ispirano ai valori della libertà riducano il processo di decisione politica sul bene comune alla stregua di quella di una decisione aziendale?
Questa riforma contraddice l'impegno di costruire una migliore democrazia, contraddice l'impegno ad ampliare gli spazi di libertà e di autonomia, contraddice il principio regolativo della sussidarietà. Pensavo che le spinte aziendaliste, autoritarie, centraliste, pur presenti trasversalmente nella cultura politica contemporanea, trovassero antidoto sufficiente nell'ispirazione al pensiero sociale cristiano, al pensiero sociale laico-liberale, al pensiero autonomista e federalista delle forze politiche che si sono alleate nella Casa delle Libertà. Questo disegno di legge di riforma dimostra che tale antidoto è del tutto insufficiente. Tutt'al più si traduce in silenzio mugugnante, ma obbediente, per spirito conformista od opportunista. Non si può cedere sui princìpi di fondo. Voterò contro e spero che voterà contro, poi, il popolo italiano. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Misto-Pop-Udeur, Misto-Com e Aut).
 
PRESIDENTE. Procediamo dunque alla votazione finale del disegno di legge costituzionale n. 2544-B. (I senatori dei Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Misto-Pop-Udeur, Misto-SDI-US, Misto-Com e Misto-RC abbandonano l'Aula).
 
 

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