Dichiarazioni di voto Ddl di revisione Costituzionale: Senato - 23
marzo 2005
Fonte: Senato |
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Approvazione, in prima deliberazione, del disegno di legge costituzionale n. 2544-B
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione
dei disegni di legge costituzionale nn. 2544-B, già approvato in
prima deliberazione dal Senato e modificato in prima deliberazione dalla
Camera dei deputati, 1941, 2025, 2556 e 2651.
Ricordo che nella seduta pomeridiana di ieri si è concluso l’esame
degli articoli.
Passiamo alla votazione finale.
DONADI (Misto-IdV). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà per due minuti.
DONADI (Misto-IdV). Signor Presidente, credo debba essere chiaro a tutti che quella che stiamo approvando qui, oggi, non può essere definita una semplice riforma costituzionale; è qualcosa di più: è di fatto una vera e propria nuova Costituzione. Stiamo modificando l’intero impianto dell’ordinamento della Repubblica. Della vecchia Costituzione restano intatti soltanto i primi 50 articoli, quelli relativi ai diritti e alle libertà fondamentali. Tutto il resto cambia. (Diffuso brusio in Aula).
PRESIDENTE. C’è troppo brusio in Aula. Per cortesia, colleghi, non si sente il senatore Donadi.
DONADI (Misto-IdV). Paradossalmente, nel circuito dell’informazione
si sente parlare soltanto di devolution, ma qui stiamo facendo molto
di più che introdurre la devolution: stiamo cambiando la
forma di Stato, che passa da nazionale a federale; stiamo cambiando la
forma di Governo, che passa da Governo parlamentare a Governo di un Premier
tiranno, svincolato da contrappesi ed equilibri di altri organi costituzionali.
Stiamo ridefinendo il ruolo e il peso degli organi fondamentali dello Stato:
il Parlamento, che da domani sarà ostaggio del Premier; il
Presidente della Repubblica, ridotto a un ruolo secondario e marginale;
la Corte costituzionale, che sarà meno indipendente e più
politicizzata di prima. Ebbene, questo crea dei problemi.
Nel momento in cui si cambia una Costituzione, ci si aspetterebbe un’Assemblea
costituente, un grande dibattito nel Paese, dentro e soprattutto fuori
dal Parlamento, perché la nuova Costituzione sia la Costituzione
di tutti, un nuovo patto fondativo tra i cittadini e le istituzioni. Invece
no, niente di tutto questo. Il Parlamento sta approvando una nuova Costituzione
a maggioranza semplice. Ma non solo: sta approvando una nuova Costituzione
di fatto impedendo il dibattito nel Parlamento; sta approvando una nuova
Costituzione mettendo la museruola all’opposizione e mettendo la sordina
al dibattito anche nel Paese. Questo è inaccettabile.
State approvando una nuova Costituzione in modo furtivo e clandestino
e non so se dietro questo atteggiamento, signori colleghi, vi sia più
arroganza o insipienza. Sappiate, in ogni caso, che quella che state approvando
oggi non è solo una nuova Costituzione: è anche un’offesa
ai più elementari princìpi di democrazia e di civiltà
del diritto; è un tradimento dello spirito dell’articolo 138 della
Carta costituzionale, che prevede sì modifiche alla Costituzione
approvate a maggioranza, ma non una Costituzione completamente nuova.
Questa legislatura ha già conosciuto l’onta delle tante leggi
ad personam e della legalizzazione del monopolio dell’informazione.
Facciamo in modo che non sia ricordata anche come la legislatura che ha
svenduto, per dieci denari, i valori di una Costituzione nata dalla Resistenza,
dall’antifascismo e dal sacrificio della vita di tanti italiani nel nome
della libertà. (Applausi dai Gruppi DS-U, Verdi-Un e dei senatori
Occhetto e Malabarba).
MARINO (Misto-Com). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà per due minuti e trenta secondi.
MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, con queste modifiche alla
seconda parte della Costituzione si rompe l’impianto istituzionale che
ha retto la Repubblica sinora, salta il sistema di garanzie e gran parte
dei pesi e contrappesi che hanno assicurato la democrazia nel nostro Paese.
Queste modifiche incidono anche sulla prima parte della Costituzione, che
resta solo formalmente inalterata.
Gli attacchi alla Costituzione sono d’altra parte venuti con le scelte
di politica internazionale, con la legislazione ordinaria in materia di
fisco, di giustizia, di lavoro, di ambiente ed ora con queste cosiddette
riforme che rompono l’equilibrio armonico fra le diverse istituzioni dello
Stato e la stessa unità nazionale.
Vengono rafforzati enormemente i poteri del Primo ministro, ma indeboliti
i contrappesi, gli istituti di garanzia rappresentati dalle prerogative
del Capo dello Stato, dalla Corte costituzionale e dallo stesso Parlamento,
ritenuto un intralcio. Viene tolto al Presidente della Repubblica il potere
di sciogliere il Parlamento, che resta di fatto ostaggio nelle mani del
Primo ministro assoluto, alla sua mercé, sotto il ricatto dello
scioglimento.
Al Presidente della Repubblica viene sottratto altresì il potere
di autorizzare la presentazione dei disegni di legge governativi, che costituiva
un ostacolo ai tentativi di debordare dai princìpi fondamentali
stabiliti dalla Costituzione.
Con la devoluzione, che dà alle Regioni la legislazione esclusiva
in materia di scuola e sanità, si frantuma il Servizio sanitario
nazionale ed il sistema scolastico unitario. Si sanziona così a
livello costituzionale che il diritto all’istruzione e alla salute è
diversamente tutelato, dal momento che diverso è il livello di sviluppo
delle Regioni. Tutto ciò è in contrasto con i princìpi
della universalità e dell’uguaglianza dei diritti sociali fondamentali
e con quelli della unità e indivisibilità della Repubblica.
Si rompe così la coesione nazionale del Paese. Il Senato cosiddetto
federale vede il suo ruolo gravemente ridotto. Più coerente e valida
invece sarebbe stata la nostra proposta del monocameralismo, che è
stata respinta.
La nuova composizione della Corte costituzionale squilibra la sintesi
dei diversi apporti voluti dal Costituente.
Tutto questo fa sì che la Repubblica, la nostra democrazia,
corra un serio e grave pericolo. Di qui l’allarme non solo di carattere
costituzionale, ma anche sociale che noi Comunisti Italiani lanciamo, perché
il referendum confermativo inevitabile respinga lo snaturamento
della Costituzione repubblicana. (Applausi dai Gruppi Misto-RC e DS-U).
OCCHETTO (Misto-Cant). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
OCCHETTO (Misto-Cant). Signor Presidente, quello che si sta perpetrando
qui oggi è un misfatto, un delitto di una gravità inaudita:
è la decapitazione dello spirito della più bella Costituzione
europea.
Sul piano formale, si è di fatto andati ad un mutamento di fondo
dello spirito democratico a centralità parlamentare della Costituzione
nata dalla Resistenza, attraverso una totale e inammissibile illegalità
delle procedure. Infatti, per il cambiamento della Costituzione non si
può forzare oltre i suoi limiti l’articolo 138, utilizzabile solo
per un suo rinnovamento e aggiornamento interno. Non lo si può fare
con il maggioritario, a colpi di maggioranza, e sotto il ricatto di un
partito che rappresenta il 4 per cento degli elettori.
Sul piano sostanziale, vi piaccia o no, si dà vita ad una forma
moderna di dittatura della maggioranza e del Premier; non si garantisce
solo una maggiore governabilità: no, si impone la mordacchia al
Parlamento e si instaura il dominio della maggioranza su tutte le istituzioni
di garanzia, a partire dalla Corte costituzionale.
Il federalismo è vanificato da un duplice inganno: l’accentramento
dei poteri economici e il decentramento delle politiche sociali che, con
la diminuzione di fondi agli enti locali e in mancanza di un vero federalismo
fiscale, si presenta come un’autentica truffa fatta all’insieme del popolo
italiano, che ora, ancora ignaro, vedrà messo in crisi il carattere
universale del welfare.
Ma noi sveglieremo coloro che ancora dormono dal torpore e li porteremo
all’azione attraverso il referendum abrogativo e diremo loro che
non siamo per la mera conservazione dell’esistente. No, troppe cose sono
cambiate sotto il cielo!
Noi siamo stati per una maggiore governabilità, ma la governabilità
e il maggioritario andavano corretti da un sistema ricchissimo di pesi
e contrappesi, da un allargamento e non da un restringimento della democrazia.
Presenteremo un progetto di riforma che non stravolga la democrazia
ma la adegui all’epoca della globalizzazione e alle nuove sfide della dittatura
mediatica e lo faremo all’interno di quanto consentito dall’articolo 138.
Signori della maggioranza, avete ridotto questo Parlamento un bivacco;
ora vi attenderemo e batteremo nel Paese! (Applausi dai Gruppi Misto-Cant,
DS-U, Verdi-Un e Misto-Com).
MALABARBA (Misto-RC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, voi, signori della maggioranza,
vi state assumendo la gravissima responsabilità di cambiare l’ordinamento
della Repubblica.
Formalmente, modificate numerosi articoli della seconda parte della
Costituzione, ma nella sostanza ne modificate pesantemente anche la prima,
quella che statuisce i princìpi fondamentali e i diritti dei cittadini.
Ma con la Costituzione non si può scherzare! È noto il
parere negativo di Rifondazione Comunista sulla riforma del Titolo V approvata
alla fine della scorsa legislatura. Noi non siamo ondivaghi: quella norma
va corretta riordinando funzioni e competenze, ma quella dell'attuale maggioranza
è una vera e propria riscrittura delle regole, che piegano l'istituzione
parlamentare alla dittatura del Premier, che concentra su di sé
poteri immensi, tra cui quello di scioglimento delle Camere, oggi prerogativa
del Capo dello Stato.
E dopo che il sistema maggioritario ha abolito l'uguaglianza nel voto
dei cittadini, le modifiche costituzionali aboliscono ora anche l'uguaglianza
nel voto dei parlamentari, annullando qualsiasi ruolo dell'opposizione.
Bravo Calderoli! Bravo Ministro! Questo sfascio, che nasce dall'impianto
della cosiddetta devolution, e che produrrà guasti alla democrazia
e nuove diseguaglianze sociali, porta la sua impronta. Ognuno si prende
la medaglia che pensa di meritare, anche quella della vergogna, quella
del patto che i vincitori impongono ai vinti, per usare le urbane espressioni
di Gianfranco Miglio di qualche anno fa.
Sia chiaro, il federalismo è nato storicamente per unire, per
federare ciò che era diviso, per mettere in relazione culture, poteri,
identità statuali. Il vostro federalismo è, al contrario,
una secessione mascherata, un azzardo costituzionale di stampo liberista,
una costruzione mercificata in cui i territori vengono messi in concorrenza
tra loro, in una competitività che premia il più forte, tesa
ad abbassare il livello delle garanzie sociali. Stiamo parlando della cancellazione
del Servizio sanitario nazionale, dell'unità formativa della scuola
repubblicana, così come della sicurezza, ma anche della cancellazione
dei contratti nazionali di lavoro che ne deriverà, portando a livelli
parossistici la precarizzazione. È bene che tutti i lavoratori ne
siano consapevoli.
Ma tanta arroganza padronale può trasformarsi in un boomerang,
se le opposizioni saranno in grado di uscire dalle semplici schermaglie
e di far comprendere la devastazione sociale che consegue dalle modifiche
costituzionali, e saranno quindi in grado di preparare il referendum
attraverso una fortissima mobilitazione di tutta l'opposizione sociale,
cancellando così questa mostruosità giuridica.
La lotta di liberazione dal nazifascismo ha prodotto la Carta costituzionale.
Né pulsioni revisionistiche, né rigurgiti liberticidi saranno
mai accettati dalla vigile coscienza democratica del Paese! (Applausi
dai Gruppi Misto-Com e DS-U).
DEL PENNINO (Misto-PRI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DEL PENNINO (Misto-PRI). Signor Presidente, ho già avuto
modo di esprimere, nel corso della discussione sugli emendamenti, le ragioni
che sostanziano il complessivo giudizio negativo dei repubblicani sul provvedimento
al nostro esame.
Il testo che ci è pervenuto dalla Camera, e che nel corso del
dibattito non si è voluto minimamente correggere qui in Senato,
non risolve, infatti, i problemi che ci avevano indotto ad esprimere il
nostro dissenso in occasione della prima lettura del disegno di legge.
Certo, sono state migliorate alcune disposizioni che erano contenute nella
riforma del Titolo V approvata, purtroppo, nella passata legislatura, anche
se questi miglioramenti non sono ancora soddisfacenti.
E se fossero state accolte le nostre proposte di stralcio ed il voto
fosse stato limitato alla parte del provvedimento relativa alla cosiddetta
devolution e alla revisione dell'articolo 117, diverso avrebbe potuto
essere il nostro atteggiamento, anche se permangono forti incongruenze
pure nel nuovo sistema.
Ma, respinto lo stralcio, siamo in presenza di un testo complessivo
che ci induce ad esprimere un voto negativo. Giudichiamo, infatti, pasticciato
e confuso il meccanismo previsto per la formazione delle leggi; di fatto
vanificato il ruolo del Senato, cui rimane una competenza residuale; squilibrato
il rapporto fra Governo e Parlamento nel momento in cui non si modifica
l'articolo 49, prevedendo un sistema di vere primarie, sia per la scelta
del Primo ministro sia per quella dei parlamentari; scarse le garanzie,
non essendo stata introdotta la possibilità di ricorso alla Corte
costituzionale da parte delle minoranze; evasive le norme relative al CSM,
che non servono a correggerne il carattere corporativo; demagogica e foriera
di conflitti di attribuzione la previsione che consente a Comuni, Province
e Città metropolitane di impugnare direttamente davanti alla Corte
costituzionale le leggi o gli atti aventi forza di legge, qualora ritengano
violate le loro competenze.
Francamente non capiamo le ragioni che inducono ad un’approvazione
frettolosa di un testo improvvisato e contraddittorio, sol che si pensi
che le disposizioni che riguardano la riforma del bicameralismo e della
forma di Governo sono destinate ad entrare in vigore solo nel 2011.
Quando si è in presenza di norme che devono regolare e garantire
i processi politici e la vita democratica del Paese, fretta ed improvvisazione
dovrebbero essere messe da parte. Non avete voluto farlo e non potete chiedere
che il PRI, partito storico delle istituzioni, non neghi il proprio consenso.
(Applausi dal Gruppo DS-U e dei senatori Betta e Boscetto).
COLOMBO (Misto). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLOMBO (Misto). Signor Presidente, onorevoli senatori, più
volte, di fronte al testo (o meglio ai vari testi che si sono avvicendati
nel corso della convulsa negoziazione politica all’interno della maggioranza),
mi sono chiesto quale potesse essere un giudizio obbiettivo sulla cosiddetta
Grande Riforma (che non mi appare né grande né buona). Nella
convinzione che la Costituzione non è certamente un testo inemendabile,
sotto la spinta di una storia e di un costume che cambiano e che chiedono
di "vivere" dentro istituzioni che li interpretino adeguatamente e durevolmente,
mi sono sforzato di dare un giudizio del lavoro compiuto fuori da ogni
pregiudizio e dallo scontro che si è perpetrato in questa Aula.
Ebbene, il giudizio non è positivo, me ne scuso con il senatore
D’Onofrio del quale da tempo ho grande stima. Non è positivo sia
per il modo con cui si sta procedendo, sia per il clima culturale ed etico-civile
che sta accompagnando il nostro lavoro legislativo. Chi, come me, ha vissuto
le atmosfere dell’Assemblea costituente, ricorda bene la tensione delle
grandi culture, il contributo della riflessione perfino religiosa, soprattutto
il costruttivo sentimento unitario capace di trascendere le forti diversità
ideologiche.
Nella grande trama di obiettivi e valori contenuti in quel testo costituzionale,
tutti siamo stati garantiti e l’Italia ha seguito una traiettoria virtuosa
che l’ha portata - pur attraverso stagioni difficili e tormentate - a vivere
da protagonista fra il secolo delle grandi tragedie e il nuovo che si è
aperto in un clima di straordinarie tensioni e trasformazioni.
Diversamente da allora, si è preferito avviare un'opera di revisione
costituzionale, non solo al di fuori di una temperie morale e culturale
adeguata e lontana assai da quel clima di concordia di fondo che, sola,
pur nelle legittime diversità, può rendere possibili le grandi
imprese politiche, ma, soprattutto, ricorrendo ad una prassi di revisione
costituzionale ordinaria che, a rigore, non avrebbe potuto conciliarsi
con le smodate ambizioni del progetto, che è una nuova Costituzione.
Depreco il sistema che ogni maggioranza si faccia la sua Costituzione.
D’altra parte il testo del quale ci occupiamo è, come è
stato rilevato, confuso, contraddittorio, lontanissimo dal modello di Costituzione
che la nostra migliore tradizione ha finora salvaguardato sia in termini
di asciuttezza delle norme, sia di coerenza dell’impianto, sia di efficienza
delle istituzioni, nonché di armonia e cooperazione fra di esse
dentro una visione unitaria dello Stato.
Questo testo non dice quali garanzie possono difenderci da una sovraesposizione
così manifesta di poteri del Premier; non ci dice se la Repubblica
che stiamo definendo sia presidenziale, semipresidenziale o ancora, in
qualche modo, parlamentare, pur con così patenti limitazioni di
sovranità e centralità del Parlamento; non dice se il Presidente
della Repubblica debba esercitare ancora un ruolo di garanzia e di custodia
dell'unità nazionale o invece, com'è stato scritto, non venga
ridotto a Presidente onorario o Past Governor (come accade nei Lions
o nei Rotary); non dice se l'opposizione venga (e come) garantita nei suoi
essenziali poteri; ancora se la "devoluzione" non apra le strade ad una
disarticolazione dello Stato (finora salvaguardato sia in termini di asciuttezza
delle norme, sia di coerenza dell'impianto, sia di efficienza delle istituzioni,
nonché di armonia e cooperazione fra di esse dentro una visione
unitaria dello Stato) e ad una ingovernabilità permanente.
Infine (ma non è l'ultima delle tante inaccettabili modifiche)
questo testo non dice se sia possibile definire "federale" un Senato che
non ha certezza né di rappresentanza, né di funzioni, né
di ruolo, nel concerto dei grandi poteri costituzionali.
Come si vede, sono troppe e troppo consistenti le obiezioni perché
si possa indulgere in un voto di consenso o almeno in una sospensione del
giudizio.
L'unico fatto certo - è la mia convinzione - è che stiamo
sprecando una grande occasione per riformare, nel senso della creazione
di un nuovo equilibrio costituzionale, un ordinamento pensato con lungimiranza,
con coraggio e con una capacità di ascolto verso le voci, le istanze
e le speranze più vere del popolo italiano. (Applausi dal Gruppo
Mar-DL-U e del senatore Marino).
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). Signor Presidente, onorevoli colleghi,
oggi approviamo di nuovo in prima lettura, dopo che la Camera vi ha bocciato
il testo che avevate precedentemente approvato in quest'Aula, il cosiddetto
disegno di legge "Modifica della Parte II della Costituzione". Ritengo
questo un titolo eufemistico, perché sarebbe più corretto
chiamarlo "Stravolgimento della II Parte della Costituzione". Con questa
vostra riforma, infatti, i cittadini italiani diventano diseguali, perché
alcuni diritti fondamentali, come quello alla sicurezza, alla salute e
all'istruzione, saranno trattati in modo diverso a seconda delle Regioni
e dei soldi che ad esse lo Stato darà.
Questo testo - come sappiamo - ha un solo vincitore, il partito della
Lega Nord, ma anche molti padri, peraltro non so quanto consapevoli. Sarebbe
giusto elencarli tutti, non fosse altro per dare a ciascuno la propria
parte di responsabilità. Ci manca però il tempo perché,
anche di fronte alla modifica di 50 articoli della Costituzione, ci avete
costretti al contingentamento ed non è quindi possibile elencarli
tutti.
Mi dispiace dover sottolineare come, a fianco dei cosiddetti quattro
saggi, si debba purtroppo inserire anche lei, signor Presidente, e non
già come estensore, ma devo purtroppo dire per la non ammirevole
acquiescenza con la quale, nel suo ruolo di Presidente di tutta la nostra
Assemblea, ha assistito, avallato e portato per mano al temporaneo successo
il primo e vero tentativo di sconquassamento del Senato. Non saprei come
altrimenti definire lo stravolgimento del Senato e delle sue funzioni per
come emerge da questo obbrobrio che state approvando, da questa "incostituzionale
riforma costituzionale", per usare una felice espressione del collega Bassanini.
Nessuno dei costituzionalisti più autorevoli, dei commentatori,
degli studiosi è in grado di definire con esattezza quello che accadrà
quando questa sedicente riforma andrà a regime, presumibilmente
tra una decina di anni.
L'elenco delle critiche puntuali e approfondite fatte al testo al nostro
esame è infinito e abbiamo già ascoltato molte di esse. Vorrei
mettere in evidenza non solo le ambiguità del Senato prossimo venturo,
ma anche il fatto che operando in tal modo si dimostrerà l'incapacità
di funzionamento dell'intero sistema istituzionale.
Molte delle critiche avanzate sono notoriamente condivise da autorevoli
esponenti del centro-destra e non a caso - io credo - si è previsto
che l'effettiva entrata in vigore di questa riforma sia differita, con
l'intenzione di correggerla e di rimetterci le mani dopo che sarà
stata approvata definitivamente, e forse con la tacita speranza che il
referendum metterà tutto al suo posto.
Certo, è uno strano modo di ragionare, ma è evidente
che, quando si è sotto ricatto, quando si è costretti a subire
le bizze di Ministri sempre sull'orlo di dimissioni, anche le menti migliori
perdono lucidità e, come in questo caso, anche il concetto di dignità
diventa relativo. Ci si sottopone muti e umiliati alle mortificazioni più
indicibili, come abbiamo visto ieri in quest'Aula, con un Ministro che
passava nei banchi dei senatori a dirigere tutta l'orchestra, a dirigere
i lavori di quest'Aula.
Molte di queste critiche, fra l’altro, richiamano alla mente quelle
che lei stesso, signor Presidente, pronunciò pubblicamente all’indomani
dell’approvazione in prima lettura al Senato, il 1° aprile 2004.
Noi allora condividemmo molte delle critiche da lei espresse e ci rammaricammo
esclusivamente del fatto che lei le avesse espresse solo ad approvazione
avvenuta. Ci eravamo comunque illusi perché lei, signor Presidente,
allora disse: "…c’è tempo per cambiare, anche se, lo dico con rammarico,
a cambiare il Senato avrei desiderato che fossero stati protagonisti i
senatori".
Per come sta finendo, si è visto quanto contino - purtroppo
- i suoi auspici e gli auspici dei molti che, anche in quest’Aula, si dicono
contrari all’"eutanasia" del Senato.
Ma noi siamo fiduciosi: in particolare sappiamo che saranno i cittadini
a rimettere a posto le cose, quando il dibattito su questa riforma uscirà
dalle Aule parlamentari e coinvolgerà i cittadini, anche e soprattutto
quelli che vi hanno eletto. Allora sì, si potrà iniziare
un vero processo riformatore in grado di rispondere davvero alle necessità
del nostro Paese.
Forse, però, le nostre preoccupazioni sono eccessive, perché
come ricordava ieri l’onorevole Tabacci dell’UDC: "Queste riforme saranno
approvate dal Parlamento, ma nel referendum popolare che seguirà
non otterranno l’appoggio sperato e cadranno".
Sottoscriviamo integralmente le parole dette a suo tempo, da lei, signor
Presidente, e l’auspicio dell’onorevole Tabacci.
Anche per queste ragioni, con maggior forza voteremo contro questo
obbrobrio di riforma della seconda parte della Costituzione. (Applausi
dal Gruppo Misto-Pop-Udeur).
KOFLER (Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
KOFLER (Aut). Signor Presidente, onorevoli Sottosegretari, colleghe
senatrici e colleghi senatori, nel tentativo di fare una brevissima valutazione
generale della riforma costituzionale che stiamo votando, va dato atto
che il superamento del bicameralismo perfetto è in parte riuscito.
Non tutte le leggi dovranno più passare per Camera e Senato.
Purtroppo, ciò non significherà una semplificazione vera
e propria dell’iter della formazione delle leggi. La molteplicità
di tipologie di leggi (cioè leggi a prevalenza Camera, leggi a prevalenza
Senato e leggi bicamerali), infatti, farà sì che conflitti
di attribuzione tra le Camere saranno non l'eccezione ma la regola. Il
tutto poi è ulteriormente complicato da nuovi istituti, quali una
Commissione di conciliazione, oppure il caso della prevalenza del Governo
sul Senato in occasione della cosiddetta fiducia indiretta.
Altro tema importante della riforma doveva essere il Senato federale.
Purtroppo, i fatti sono rimasti molto indietro rispetto alle attese. Il
nuovo Senato porta sì il nome "federale" però mancano elementi
forti del suo radicamento sul territorio. La contestualità della
sua elezione con i Consigli regionali non è certamente un elemento
sufficientemente forte per garantire tale radicamento sul territorio. Il
fatto di avere creato, poi, partecipanti alle sedute del Senato eletti
in sede locale ma che non hanno diritto di voto certamente non aumenterà
la proficuità del lavoro di un consesso a composizione così
eterogenea. Un vero Senato federale, secondo il mio punto di vista, sarebbe
la Conferenza dei Presidenti delle Regioni nell'odierna composizione dotata
però di poteri legislativi.
Tralascio altri passaggi della riforma che non trovano certo il consenso
di noi Autonomisti, quale ad esempio il ritrasferimento di competenze dall'ambito
regionale a quello statale ed un indebito rafforzamento del ruolo del Primo
ministro a scapito del ruolo di garanzia costituzionale del Presidente
della Repubblica. Mi soffermo un attimo sulle autonomie speciali.
Va dato atto che con l'introduzione di una nuova procedura di modifica
degli statuti speciali è aumentato il potere delle entità
ad autonomia speciale a regolamentare, ma anche a gestire il proprio futuro
rispettando le diversità e peculiarità storico-culturali
e sociali. Purtroppo, manca un riferimento specifico all'espressione di
volontà da parte delle minoranze stesse. Ribadisco, anche in questa
occasione, che nel caso della regione Trentino-Alto Adige Südtirol
è comunque obbligatorio l'assenso delle minoranze stesse e dell'Austria
riguardo alle modifiche statutarie di rilievo, in quanto lo statuto si
basa sull'Accordo internazionale di Parigi a tutela delle minoranze linguistiche
tedesca e ladina.
L’accoglimento del nostro ordine del giorno riguardante la salvaguardia
delle autonomie speciali da procedure del Governo che implicano un sindacato
politico e di merito avrebbe sottolineato fortemente questa volontà
più volte manifestata dal Governo, di voler far crescere le autonomie
tutte, ed in particolar modo anche quelle speciali. Purtroppo Governo e
maggioranza erano contrari e con ciò hanno dimostrato che: non sono
convinti di quanto hanno dichiarato; non intendono rispettare quanto già
acquisito nell’ambito della sfera di competenza delle autonomie speciali;
non esitano a diminuire pro futuro la tutela delle minoranze prevista dagli
statuti speciali.
Queste considerazioni e quanto detto sopra sulle incongruenze e contraddittorietà,
nonché sui peggioramenti delle garanzie costituzionali, ci inducono
ad un voto contrario. (Applausi dai Gruppi Aut, Verdi-Un e del
senatore Battafarano).
TURRONI (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TURRONI (Verdi-Un). Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi
Verdi osserviamo che non si tratta di votare no al vostro progetto di Costituzione.
Non parteciperemo al voto per non essere corresponsabili in questa iniziativa
arrogante volta a ridurre la libertà e la democrazia nel nostro
Paese.
Denunciamo il fatto che non è stato possibile partecipare alla
discussione sulla riscrittura del documento che dovrebbe rappresentare
quelle regole comunemente condivise e rispettate.
Dichiariamo qui la nostra contrarietà a questa vergogna solo
per non lasciarvi liberi in un campo abbandonato, come avvenne nel 1924,
e per rispettare le istituzioni e chi ci ha votato.
Spiace che la Presidenza del Senato abbia consentito alla riduzione
di ogni spazio per le opposizioni, per consentire un ricatto al Parlamento
e al Paese.
L’accelerazione data all’esame di questo ennesimo disegno di legge
di riforma costituzionale dimostra la paura che avete verso una definitiva
presa di coscienza dell’opinione pubblica e degli stessi parlamentari sulle
gravi conseguenze derivanti dalla sua approvazione, nonché l’obiettivo
vero della riforma: permettere ad alcune parti politiche di rivendicare
elettoralmente la grande riforma del federalismo. E lo hanno fatto con
il ricatto, ricattando il Parlamento, ricattando l’Italia intera.
Il problema è che non si conosce la Costituzione: si danno ad
essa colpe che sono della classe politica, che non ha voluto organizzare
tempestivamente lo Stato delle autonomie nel timore di Regioni bianche,
rosse o nere, e ora ha deciso di cambiare addirittura la forma dello Stato
perché alcuni astuti - diciamo così - politici hanno messo
sul piatto della bilancia la minaccia della secessione e altri hanno scambiato
spinte populistiche per intenti progressivi.
I rapporti tra organi costituzionali che il testo prefigura ingenerano
un profondo e radicale cambiamento non solo della forma di Governo, ma
della stessa forma di Stato, dal momento che incidono e alterano profondamente
gli equilibri di quei rapporti. Attraverso tale progetto, integrato dall’annunciata
legge elettorale, si cristallizza una interpretazione del principio maggioritario,
inteso come illimitato e insofferente di ogni vincolo, incompatibile con
la concezione di democrazia accolta dal costituzionalismo occidentale che
prevede robusti argini e contrappesi al potere della maggioranza.
L’esito finale della riforma è l’uscita dallo Stato di diritto
democratico. Non è solo la democrazia, infatti, a risultare annichilita.
(Brusio in Aula). Chiedo ai padani di tacere, se lei, signor Presidente,
non fa rispettare il diritto al silenzio in quest’Aula.
Dicevo, non è solo la democrazia, infatti, a risultare annichilita:
di essa una parvenza, svuotata di contenuto, in qualche modo rimane; del
costituzionalismo, viceversa, non rimane assolutamente nulla, dal momento
che l’obiettivo della riforma è esattamente quello di liberare il
potere da limiti e controlli.
Non si può affermare una coincidenza-analogia pura e semplice
tra il modello di forme di governo locali e regionali con quella nazionale
non solo per questioni di natura quantitativa (le autonomie locali sono
per l’appunto limitate nel territorio e nella comunità di persone),
ma anche per questioni di natura qualitativa, dal momento che le prime
presuppongono una vicinanza e un controllo più diretto governanti-governati.
È semmai da rilevare come in questo momento tutte le assemblee
rappresentative e i Consigli regionali, comunali e provinciali soffrano
di un gravissimo deficit di democrazia. Tutto il circuito politico
si è spostato e bypassa le Assemblee, compresa questa, che sostanzialmente
diventa poco rappresentativa e poco significativa.
Sono, inoltre, tutti da verificare gli effetti in termini di migliore
soddisfacimento dell’interesse pubblico, di una riforma, quella del 2001,
limitata al solo Titolo V, fino all’ultimo da voi ampiamente condivisa
sul piano politico. Ad essa era sottesa una filosofia marcatamente autonomista,
ma il quadro prodotto è quello di presidenti di giunte regionali
autoproclamatisi "governatori", consigli regionali con pretese di erigersi
a parlamenti, previsioni di complicati meccanismi di funzionamento degli
organi rappresentativi, statuti regionali più simili alla Carta
delle Nazioni Unite che ad una norma di base regolante il funzionamento
di un ente territoriale, qual è la Regione, secondo quanto previsto
dall’articolo 123 della Costituzione riformata.
In un contesto così complesso e confuso, che ha condotto al
fortissimo aumento del contenzioso Stato-Regioni, la Corte costituzionale
ha assunto il ruolo, tanto delicato quanto ingrato di arbitro unico di
tutti i conflitti di competenza legislativa ed amministrativa insorgenti
fra Stato e Regioni. La pronuncia n. 196 del 2004 sul condono edilizio
è il più eclatante dei tanti esempi che si possono fare e
che hanno portato ad una sovraesposizione della Consulta, configurando
una sorta di federalismo-regionalismo di carattere giurisdizionale.
Il modellino congegnato dal potere, accanto ad una contrazione della
responsabilità e del ruolo delle Assemblee parlamentari, porta ad
una ancora maggiore sovraesposizione politica... (Brusio in Aula).
PRESIDENTE. Colleghi, fate un po’ di silenzio, altrimenti il senatore
Turroni non può leggere, come merita, il suo testo.
TURRONI (Verdi-Un). Se facesse bene dell’ironia, signor Presidente,
sarei più contento.
PRESIDENTE. Li ho richiamati al silenzio.
TURRONI (Verdi-Un). Grazie, signor Presidente, ma c’è
modo e modo.
Dicevo, porta ad una ancora maggiore sovraesposizione politica di un
organo giurisdizionale, quale la Corte costituzionale, cosa non richiesta
né gradita.
Il passaggio alla Camera non ha infatti mutato la preponderante anima
politica della Corte, prevedendo ben sette giudici di nomina politica su
quindici. I rischi di colonizzazione politica e partitica sono dunque di
tutta evidenza. E a dimostrarlo è la vicenda recente dell’elezione
dei due giudici costituzionali vacanti. Un federalismo che di federale
ha solo il nome, insaporito da un autoritarismo mascherato da "premierato
forte", non può che complicare la vita a tutti i livelli istituzionali
e ai cittadini che degli stessi sopportano l’onere economico.
Per questa Costituzione, dichiarata ab origine inemendabile,
è stato impossibile addivenire ad un testo che non fosse un insieme
di norme sbagliate e sgangherate, come quelle subite dal Parlamento e dal
Paese, da ultimo, con la controriforma dell’ordinamento giudiziario, approvata
con contingentamento dei tempi e blindature.
Abbiamo un’ulteriore dimostrazione del metodo usato dalla maggioranza
parlamentare e del suo rispetto per le regole democratiche, trattate come
inutili orpelli. Del resto, quando l’obiettivo è quello elevato
di promuovere la democrazia, non si può sottilizzare con tante procedure.
Altrove si fa con le armi; qui con la violenza della maggioranza e nello
spregio dell’opposizione e delle regole. Così si entra in conflitto
con il potere giudiziario, costretto a scioperare di fronte ad una legge
che ne mina l’indipendenza e contrasta con i princìpi costituzionali
posti alla base di questa indipendenza. Ma si entra in conflitto anche
con il Capo dello Stato, obbligato all’esercizio del potere di rinvio alle
Camere dinanzi a disposizioni ictu oculi incostituzionali.
Lo stesso atteggiamento si propone per la Costituzione: una maggioranza
parlamentare, assimilabile ad una asservita macchina da guerra, che, al
di là delle buone intenzioni espresse a parole, procede da sola
verso la scrittura di una Costituzione radicalmente nuova, modificata in
49 articoli, e che altera in maniera sostanziale la stessa Parte I. È
questa, di per sé, una violazione dello stesso articolo 138 della
Costituzione, concepito per modifiche puntuali e parziali.
Moltissimi sono i punti pericolosi di questa ulteriore grande opera
del Governo Berlusconi, che dal passaggio alla Camera risultano invariati
o peggiorati: da un inedito "Senato federale della Repubblica", non rappresentativo
delle Regioni e neppure più organo di garanzia, o, meglio, di contrappeso,
a rilevanti, confuse e prolisse modifiche al procedimento di formazione
delle leggi; dal cambiamento del ruolo costituzionale del Presidente della
Repubblica, con riduzione dei suoi poteri e delle funzioni da lui esercitate,
e ridotto a semplice spettatore e notaio, alla concentrazione inaccettabile
e antidemocratica dei poteri nelle mani del Primo ministro, Capo del Governo;
dall’asservimento delle Assemblee rappresentative, alla modifica della
composizione del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale,
con l’introduzione dei giudici costituzionali regionali. Sullo sfondo rimarrà
l’estensione della potestà legislativa delle Regioni, definita impropriamente
esclusiva per alcune materie.
Un’ulteriore considerazione deve svolgersi in relazione ai Regolamenti
parlamentari. La Camera ha infatti modificato in senso riduttivo la norma
sui diritti che devono essere riconosciuti all’opposizione e alle minoranze
per il Senato: mentre il testo approvato dal Senato prescriveva che il
Regolamento garantisse i diritti delle opposizioni o delle minoranze "in
ogni fase dell’attività parlamentare", quello licenziato dalla Camera
non prevede più tale clausola.
Non è certo una garanzia in più per le opposizioni e
le minoranze l’aver specificato che occorre la maggioranza dei componenti
per eleggere, dopo il terzo scrutinio, i Presidenti di Camera e Senato,
in virtù non solo della legge elettorale, ma soprattutto delle rilevanti
funzioni ad essi attribuiti, tali da far parlare di loro nella stessa relazione
illustrativa governativa in termini di "supreme magistrature del Parlamento".
Tanto più che in altra norma, relativa al procedimento legislativo,
le loro decisioni sono qualificate come insindacabili tout court.
Abbiamo già avuto in questa legislatura una riprova di cosa ci aspetti
con un Presidente nominato dalla sola maggioranza, e lo vediamo quotidianamente
in quest’Aula.
Nell’ambito del procedimento legislativo, la Camera, pur mantenendo
l’opzione per un sistema bicamerale imperfetto o asimmetrico, ha modificato
in modo sostanziale il testo approvato dal Senato. Quest’ultimo risulta
svuotato del suo ruolo, privato delle funzioni di garanzia come, per esempio,
le funzioni importanti sulle leggi che disciplinano l’esercizio dei diritti
fondamentali, di cui agli articoli 13 e 21 della Costituzione, nonché
sulle leggi anche annuali concernenti la perequazione delle risorse finanziarie
tra quelle di competenza paritaria.
Preoccupante è anche un’altra modifica apportata dalla Camera
relativa all’attuazione del programma di Governo e al nuovo ruolo assegnato
in esso al Presidente della Repubblica, di cui ho già parlato.
Sono inaccettabili, ad avviso dei Verdi, i poteri conferiti al Primo
ministro. Correlata infatti alla questione della forma di Governo e dell’annichilimento
delle funzioni della Assemblee parlamentari è una modifica al procedimento
legislativo approvata dalla Camera, che ha introdotto all’articolo 72 regole
ad hoc per i disegni di legge presentati o fatti propri dal Governo.
In particolare, si prevede che tali disegni di legge, su richiesta
del Governo, possano essere posti all’ordine del giorno delle Camere competenti
e votati entro termini certi, secondo norme stabilite dai rispettivi Regolamenti.
Se il termine decorre senza che sia intervenuta la conclusione dell’esame,
il Governo può richiedere che la sola Camera dei deputati deliberi
articolo per articolo e con votazione finale sul testo proposto o fatto
proprio dal Governo. Sembra così configurarsi una sorta di voto
bloccato, che comporta la spoliazione del Parlamento di una delle sue prerogative
essenziali, quella di modificare il testo legislativo al suo esame.
Attraverso tali modifiche il Governo, e in particolare il Primo ministro,
diviene, al contempo, organo esecutivo e dominus della funzione
legislativa, restando assegnata al Parlamento solo una funzione di mera
ratifica.
Il passaggio alla Camera ha rafforzato l’originario modello di "premierato
assoluto" configurato dall’iniziale disegno di legge governativo. Non si
tratta di un semplice rafforzamento della figura del Primo ministro, ma
l’approdo di una populistica ricerca di decisionalità e di capi,
avviata in Italia a partire dagli anni Novanta.
Il disegno di legge infatti non si limita al rafforzamento dei poteri
del Premier, ma contempla la perdita della cultura dei contrappesi,
siano essi la Corte costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura
e l’autonomia della magistratura o il Presidente della Repubblica, tali
da condurre ad una centralità dell’Esecutivo, o meglio del suo Capo,
posto fuori da ogni controllo. Lo stesso Governo è tagliato fuori
dalle decisioni politiche più significative, come il potere di scioglimento
rimesso all’esclusività dell’organo monocratico.
Il testo conferma, da un lato il potere in capo al Premier di
determinare la politica generale del Governo, con conseguente spostamento,
già dal punto di vista semantico, del momento formativo dell'indirizzo
politico da un ambito collegiale ad uno monocratico; dall'altro quello,
ancor più pregnante, di sciogliere la Camera dei deputati.
Un'altra questione intendo sollevare in quest'ultimo minuto che mi
resta, quella del meccanismo antiribaltone. Ebbene, se questo fosse un
libero Parlamento, i suoi componenti da tempo avrebbero ribaltato un Governo
incapace e dannoso per l'Italia. Il fatto è che vige nelle file
della maggioranza una limitazione dei diritti dei parlamentari di potersi
esprimere liberamente secondo coscienza, sulla base del ricatto della candidatura,
in queste ore espresso ad alta voce.
Il centro-sinistra troppo timidamente ha subìto, reagendo flebilmente
alle accuse di ribaltonismo che provenivano da forze politiche che hanno
fatto dell'acquisto dei parlamentari un proprio vanto e con l'inganno degli
elettori, costruendo due diverse coalizioni per il proprio primo Governo.
Se c'è il destino dell'Italia in gioco, se ci sono supremi interessi
da difendere, se ci fosse da unirsi per far fronte a disastri ed altre
terribili evenienze e fosse necessario il concorso di tutti, perché
non farlo? Per stupidi motivi ideologici? Avete brandito un'arma per contestare
un cambio di Governo. Ora dovete andare avanti, ed è una strada
sbagliata, come il resto della Costituzione che vi apprestate ad approvare:
dannosa per l'Italia, dannosa per la sua economia, ma dannosa soprattutto
per la nostra democrazia! (Applausi dai Gruppi Verdi-Un, Aut, DS-U,
Misto-Com e del senatore Battisti).
PIROVANO (LP). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIROVANO (LP). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo,
colleghi, nell'immediato dopoguerra fu promulgata la Costituzione italiana,
una Costituzione nata dopo le tragedie della Seconda guerra mondiale, dopo
la fine di una dittatura e sotto l'incubo che un'altra dittatura arrivasse
dall'Est. I partiti di allora concepirono la nuova Costituzione anche come
un complesso sistema di garanzie che tutelasse i cittadini e lo Stato da
ogni possibilità di restaurazione di un potere assoluto, inserendo
un sofisticato sistema di antintrusione normativo: il bicameralismo perfetto.
Il paritario antagonismo dei due rami del Parlamento - indispensabile
per i costituenti del dopoguerra - oggi non ha più ragione di esistere;
in Occidente, non vi sono più dittature e l'abitudine dei popoli
alla democrazia è ormai genetica. Il bicameralismo perfetto, freno
dell'efficienza dello Stato e veicolo di innumerevoli clientele, è
giunto alla conclusione.
Il movimento della Lega Nord che ho l'onore di rappresentare in quest'Aula
è nato e opera per lo scopo, semplice all'apparenza ma complesso
nelle sue ramificazioni: la libertà e l'uguaglianza in uno Stato
federale. Il federalismo è stato il terrore politico degli ultimi
vent’anni, la spaccatura della Nazione, a volte un'ottusa preclusione,
a volte un calcolato "tutto deve rimanere come sempre". Una gestione lunga,
sofferta: dubbi e ripensamenti, scontri e incomprensioni, complessità
da risolvere, equilibri delicati da garantire. E finalmente capire, cominciare
a dialogare, stemperare i pregiudizi, lavorare in squadra a Lorenzago.
Oggi: il Senato federale, il Senato delle Regioni, la riduzione del
numero dei deputati a 500, e dei senatori a 252, la contestualità
assoluta con le Regioni e la presenza nel Senato di rappresentanti degli
enti locali e del Consiglio delle autonomie, la devoluzione alle Regioni
delle competenze esclusive per la sanità, la scuola e la sicurezza.
Ci sarà tempo per divulgare in modo comprensibile a tutti l'importanza
della riforma.
La riforma della Costituzione, che garantisce una vera democrazia,
è la prima pietra del federalismo fiscale, che non potrebbe attuarsi
senza la storica votazione di oggi; quel federalismo fiscale che non creerà
ingiustizie per nessuno. Noi siamo determinati a rendere giustizia e merito
a tutte le Regioni e a tutti gli enti locali. È singolare come il
federalismo, terrore politico di ieri, sia oggi il collante della coalizione
di maggioranza, che ha saggiamente innescato un dialogo concreto al suo
interno e che esce fortemente rafforzata dal lungo dibattito condotto,
che si conclude oggi con un voto che rappresenta una svolta.
Comincia una nuova era, siamo più vicini alla gente che ci ha
eletti, più concreti nei fatti, più coerenti nel nostro lavoro,
ma soprattutto abbiamo onorato un impegno: un lavoro ben fatto merito di
molti, cui rivolgo un sincero riconoscimento di stima a nome del nostro
Gruppo. E non posso non citare i due Ministri per le riforme che ci hanno
guidati e spronati sino ad oggi: il ministro Umberto Bossi (Applausi
dal Gruppo LP) e il ministro Roberto Calderoli. (Applausi dal Gruppo
LP).
Oggi non voglio parlare in modo particolareggiato delle riforme, ve
ne sarà ancora occasione; sprono tutti ad essere più chiari
quando ci rivolgeremo alla gente, a quella gente che non è abituata
ai discorsi interni, al politichese; sforzandoci, potremo riuscire ad essere
facilmente comprensibili.
Devo ora dichiarare il voto del nostro Gruppo; ebbene, credo che mai
come oggi il Gruppo della Lega Nord sia onorato e felice di dichiarare
un voto favorevole! (Applausi dai Gruppi LP, FI e del senatore Salzano.
Congratulazioni).
D'ONOFRIO (UDC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
D'ONOFRIO (UDC). Signor Presidente, credo di avere il dovere
di utilizzare tutti i quindici minuti a mia disposizione, perché
in molti degli interventi di stamani e in molti degli interventi svolti
in Senato in questo ultimo esame della riforma costituzionale sono stati
richiesti chiarimenti e spiegazioni circa il mio atteggiamento non soltanto
come ex relatore, ma anche come Capogruppo dell'UDC.
Desidero innanzitutto ringraziare, in particolare, il quotidiano "L'Avvenire"
per aver ripetutamente consentito a molti di noi di esporre, nel corso
di questi tre lunghi anni, le questioni che hanno riguardato la grande
riforma costituzionale. Non che gli altri quotidiani non abbiamo dato informazioni
sufficienti, ma non mi risulta che abbiano seguito con altrettanta attenzione
questa vicenda, che - lo ripeto - dura da tre anni, signor Presidente,
e non da pochi minuti, come ho sentito affermare anche questa mattina.
Il 13 marzo 2002 il Senato della Repubblica inizia a preoccuparsi della
grande riforma costituzionale. Capisco che tre anni possano essere pochi
e che per qualcuno possano essere molti, ma sta di fatto che si tratta
pur sempre di tre anni. Non c'è stato alcuno strozzamento del dibattito
parlamentare. Vi è stata la possibilità per chiunque lo volesse,
in questi tre lunghi anni, di parlare, di spiegare, di chiarire, di chiedere
il confronto e, se possibile, di intervenire sul contenuto.
Non appartengo a coloro che hanno lamentato il fatto che la riforma
costituzionale nella scorsa legislatura fu approvata dall'allora maggioranza
con uno scarto di soli quattro voti, e per una ragione molto semplice:
ritenevo, infatti, e ritengo tuttora, che il centro-sinistra non abbia
capito cosa stava all'epoca varando con la modifica del Titolo V della
Costituzione, per il semplice motivo che quel Titolo V era stato scritto,
nella Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, dal sottoscritto
in qualità di relatore sulla forma di Stato ed era stato votato
in Parlamento dal centro-sinistra nell'illusione di impedire alla Lega
Nord un accordo politico con la Casa delle Libertà.
Se partiamo da questo punto specifico, capiamo per quale motivo oggi
stiamo per votare un testo che probabilmente diventerà definitivo,
in ordine al quale desidero una volta per tutte sgomberare il campo dal
timore di un referendum. Il referendum su questo testo costituzionale
si svolgerà: si deciderà, dopo la quarta votazione in Parlamento,
qui in Senato, quali sono i tempi per il suo svolgimento. Nessuno di noi
ha paura del referendum. Il referendum è un modo con
il quale giustamente il corpo elettorale esprimerà il proprio orientamento
su questa grande riforma costituzionale.
Non è questione di chi lo vuole prima o dopo.
Per quanto mi riguarda, ritengo che la questione del referendum
dovrà essere decisa collettivamente dalla Casa delle Libertà
quando il Senato avrà votato per la quarta volta la riforma costituzionale.
Lo dico perché, in realtà, in questi tre anni si sono scontrate
due culture di fondo: quella che io considero la cultura del coraggio delle
innovazioni, portata avanti dal partito della Casa delle Libertà,
cui si è contrapposta continuamente quella della paura del cambiamento.
Non vi è e non vi è stata possibilità di intesa,
non perché noi intendessimo cambiare la Costituzione, che non abbiamo
cambiato; infatti, il testo costituzionale che ci accingiamo a votare non
modifica nessuno degli articoli Parte I della Costituzione, ma, come di
qui a breve spiegherò, rispetto ai princìpi fondamentali
della Costituzione, il testo che voteremo ne è un’attuazione.
Stiamo facendo, quindi, ciò che nel 1947 non fu possibile fare
perché, come ricorderanno i più anziani (il presidente Colombo,
probabilmente, lo ricorderà), una parte dell’Assemblea Costituente
era favorevolmente orientata ad imporre in Italia il modello sovietico,
che, come tutti sappiamo, non era propriamente un modello di democrazia
e garantismo.
Quel modello non passò perché vi fu un’adeguata resistenza
del partito della Democrazia Cristiana, dei partiti laici e di quelli socialisti
che impedì che il modello sovietico diventasse modello costituzionale
italiano. Questa è la Costituzione della prima Repubblica…
ANGIUS (DS-U). Ma cosa stai dicendo? Non ti vergogni delle falsità
che stai dicendo? Sei un bugiardo, un falso!
PRESIDENTE. Senatore Angius, per favore non interrompa. Lei ha parecchio
tempo per replicare più tardi.
D'ONOFRIO (UDC). Credo che il collega Angius farebbe bene a
rileggersi gli atti della Costituente, in particolare quelli relativi alla
Corte costituzionale.
ANGIUS (DS-U). Torna a scuola!
PRESIDENTE. Senatore Angius, la prego, per cortesia. Lei deve ancora
intervenire. Più tardi potrà replicare come crede; non interrompa.
D'ONOFRIO (UDC). Per cortesia, state zitti, lasciate che la sua
opinione venga riproposta. Faremo una sessione particolare dedicata alla
lettura degli atti della Costituente.
Il modello sovietico, come dicevo, era un modello ritenuto democratico
e fu respinto dalla Costituente…
ANGIUS (DS-U). Buffone, ma perché non taci? Cos’è
questa storia, demente?
PRESIDENTE. Senatore Angius, per cortesia, quel linguaggio!
Sta parlando un Capogruppo e sta esprimendo le sue opinioni. Non ha
offeso nessuno. Lei ha usato un linguaggio improprio. Non usi quel linguaggio,
lo ripeto, è un Capogruppo. (Il senatore Angius si leva in piedi
gridando: "Sono menzogne!").
Lei ha usato un linguaggio inappropriato per un’Aula parlamentare!
Non interrompa!
BONATESTA (AN). La verità è che non volete stare
alla verità.
D'ONOFRIO (UDC). Credo che in questo dibattito e nei mesi che
seguiranno saranno ripetutamente letti da parte mia il testo dell’Assemblea
costituente e gli interventi dei colleghi del Partito Comunista Italiano.
ANGIUS (DS-U). È un delinquente politico!
D'ONOFRIO (UDC). Leggerò i testi per far capire di cosa
ci stiamo occupando, perché il tentativo di mistificare ciò
di cui ci stiamo occupando è finito…
ANGIUS (DS-U). Chi ha firmato la Costituzione italiana? Chi
l’ha firmata?
PRESIDENTE. Senatore Angius, la devo richiamare all’ordine!
D'ONOFRIO (UDC). Altro che intesa costituzionale all’epoca!
Ci fu un durissimo scontro dei partiti della libertà (partito della
Democrazia Cristiana, partiti laici e socialisti) contro il partito dell’oppressione
costituzionale. (Applausi dai Gruppi UDC, AN, FI e LP).
PAGANO (DS-U). Ma stai zitto!
D'ONOFRIO (UDC). Altro che storie. (Dai banchi delle opposizioni
si levano forti proteste).
MONTAGNINO (Mar-DL-U). Buffone!
D'ONOFRIO (UDC). Abbiamo assistito ad alcuni illustri studiosi
che esaltavano il Duce allora e hanno esaltato il Partito Comunista poi
e come tali li abbiamo continuati a rispettare. Mi riferisco ad illustri
personaggi che hanno preteso di dare lezioni di democrazia.
PAGANO (DS-U). Fai parlare Andreotti, stai zitto.
PRESIDENTE. Senatrice Pagano, anche lei.
Il senatore D’Onofrio ha diritto ad esprimere le sue opinioni. Non
è possibile interromperlo; lo state facendo deliberatamente. Colleghi,
per favore. Non è mai successo finora, tutti hanno parlato con libertà.
Ne ha diritto lui, come ne avete diritto voi.
VOCE DAI BANCHI DELL’OPPOSIZIONE. Berlusconi ti candida lo stesso!
TURCI (DS-U). Vergogna! (Commenti del senatore Fabris).
PRESIDENTE. Senatore Fabris, la richiamo all’ordine.
Colleghi, volete che sospenda la seduta? Questa è la sostanza
della questione?
Si può fare. Volete questo?
FLORINO (AN). Li deve espellere!
D'ONOFRIO (UDC). Signor Presidente, leggo nella Costituzione
vigente - che tale rimane con questa riforma costituzionale - all’articolo
1: "L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione". Noi abbiamo applicato l’articolo 1 della Costituzione,
dando la sovranità al popolo. Capisco che il popolo faccia paura
ad alcuni: noi abbiamo dato il potere al popolo. (Vive proteste dai
banchi dell’opposizione).
PAGANO (DS-U). Il popolo fa paura a voi, perché vi manda
a casa. Siete già a casa!
PRESIDENTE. Senatrice Pagano, non è da lei!
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). D’Onofrio, sei patetico!
PRESIDENTE. Senatore Fabris, per favore!
D'ONOFRIO (UDC). Vorrei ricordare che questo è scritto
nella Costituzione, applicata per quarantacinque anni attribuendo il potere
non al popolo, ma alla partitocrazia, che certamente è un’istituzione
molto delicata, ma cosa diversa.
PAGANO (DS-U). Ma dove eri tu? Vergognati!
D'ONOFRIO (UDC). Capisco che gli esponenti della partitocrazia
si irritino. Non mi meraviglia. (Vive proteste dai banchi dell’opposizione).
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). Hai fatto il Ministro, ma di cosa
stai parlando?
PRESIDENTE. Colleghi, se continuate così sospendo la seduta.
Poi la sospenderò una seconda volta quando verrete interrotti voi,
e poi ancora, e ancora, ma dobbiamo portare a conclusione i lavori. È
chiaro? (Commenti del senatore Fabris). Senatore Fabris, la richiamo
all’ordine!
DI SIENA (DS-U). Sta minacciando!
PRESIDENTE. Come sto minacciando? Come si permette di dire che sto
minacciando? Sto invitando alla serenità. Il senatore D’Onofrio
deve svolgere il suo intervento. Prego, senatore D’Onofrio. (Vivaci
commenti dai banchi dell’opposizione).
PASSIGLI (DS-U). D’Onofrio, non ti hanno voluto nemmeno come
relatore!
PRESIDENTE. Senatore Passigli, un compassato senatore come lei non
si dovrebbe lasciar trascinare.
PASSIGLI (DS-U). Invito il senatore D’Onofrio a godersi la sua
rivincita. Ci sono occasioni in cui bisogna abbandonare la compassatezza.
D'ONOFRIO (UDC). Se posso riprendere, la Costituzione vigente
recita, all’articolo 2… (Forte brusio in Aula). Signor Presidente,
avrei piacere che ci fosse silenzio.
All’articolo 2 è scritto: "La Repubblica riconosce e garantisce
i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale".
Ebbene, signor Presidente, è scritto che la Repubblica riconosce
e garantisce i diritti inviolabili. Per quarantacinque anni non è
stato possibile ottenerlo. (Vivaci proteste dai banchi dell’opposizione).
Capisco che il collega Malabarba…
GIARETTA (Mar-DL-U). Sei stato Ministro!
CAVALLARO (Mar-DL-U). Ma basta!
PRESIDENTE. Senatore Cavallaro, dopo ne parlerà lei, se desidera.
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). Ma governava lui!
PRESIDENTE. Senatore Fabris, la richiamo all’ordine per la seconda
volta!
D'ONOFRIO (UDC). Signor Presidente, mi permetto di ricordare
ai più giovani, che non lo sapevano, che nel 1977 - quindi, non
duecento anni fa - l’allora segretario del Partito Comunista…
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). D’Onofrio, ma governavi tu!
PRESIDENTE. Senatore Fabris, lei ha parlato e non l’ha interrotta nessuno.
Se lo rifà, dovrò usare il Regolamento contro di lei.
D'ONOFRIO (UDC). Il segretario del Partito comunista, in polemica
con il vescovo di Ivrea Bettazzi, sostenne che c’era il pluralismo nelle
istituzioni e non, come giustamente ritengo volesse monsignor Bettazzi,
il pluralismo delle istituzioni. Di questo si trattava.
Oggi, per la prima volta, nel testo costituzionale che scriviamo -
e sono sorpreso che questo non sia mai stato posto in risalto da nessun
autorevolissimo commentatore della Costituzione - è scritto che
le autonomie locali riconoscono le formazioni sociali. È il principio
"più società, meno statalismo": di questo si tratta. Capisco
che ci sia paura di un tale cambiamento. (Applausi dai Gruppi UDC, AN,
FI e LP). È la prima volta che ciò viene detto in una
Costituzione vigente.
Terzo punto, sempre dei princìpi fondamentali della Costituzione.
Dice l’articolo 5 (che riguarda, poi, quello che oggi è diventato
ed è stato definito "federalismo", secondo me in modo improprio,
ma bisogna capire il cambiamento radicale che vi è stato): "La Repubblica,
una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali". (Commenti
del senatore Brutti Massimo).
PRESIDENTE. Senatore Brutti, anche lei? Per cortesia! Dopo tocca a
lei.
D'ONOFRIO (UDC). Nel riconoscimento delle autonomie locali non
si era mai dato vita ad un testo nel quale si pensava ad una potestà
legislativa esclusiva in alcune materie a fronte della quale vi fosse una
diversa tutela dell’interesse nazionale. Lo dico soprattutto ai colleghi
del Gruppo Per le Autonomie. L’interesse nazionale, nella Costituzione
del 1947, era un vincolo ex ante ai poteri legislativi delle Regioni.
Capisco che talune Regioni, con i loro statuti, si erano chiamate fuori
da questo vincolo.
Con il nuovo testo non c’è più il vincolo in anticipo,
c’è la risposta negativa dopo, che è questione totalmente
diversa ed è il principio essenziale dell’unità della Repubblica:
non possono esservi Regioni che si chiamino fuori, rispetto a questa reazione
di fronte alla potestà esclusiva delle Regioni, proprio perché
prevediamo per la prima volta la potestà esclusiva delle Regioni.
Forse non c’è stata sufficiente attenzione nel discutere ieri dell’ordine
del giorno dei colleghi del Gruppo Per le Autonomie.
Avrei piacere, allora, di venire a parlarne con molta tranquillità
a Bolzano o a Trento, in modo da far capire in che senso la nuova Costituzione
è diversa da quella precedente, modifica l’assetto dell’interesse
nazionale, lo reintroduce - essendo stato cancellato, nella precedente
legislatura, dal Titolo V - e ne fa oggetto di una cosa totalmente diversa
dalla precedente. Occorre capirsi, ma comprendo che se si sbraita è
difficile. Mi auguro che da oggi in poi si possa cominciare a discutere
più liberamente. Però, ho grande disponibilità a venire
a parlare esplicitamente lì.
Questi sono, dunque, i tre princìpi fondamentali della Costituzione.
Quello che si approva è uno sviluppo di questi tre princìpi
fondamentali rispetto al modo con il quale la Costituzione del 1947 aveva
ritenuto di poterli applicare. Non c’è niente di particolarmente
sconvolgente.
C’è una questione di fondo: si ritiene non più percorribile
la strada del bicameralismo perfetto. Quell’anomalia italiana della prima
Repubblica, che prevedeva due Camere con eguali poteri e deputati e senatori
con eguali poteri, unica al mondo, sulla quale non ho letto straordinari
articoli a contestazione di questo fatto assolutamente aberrante, giustificata
dalla storia politica degli anni dal 1947 al 1992 e non più giustificata
oggi, oggi termina, con il nostro voto che viene dopo quello che abbiamo
già espresso e dopo quello della Camera. Termina il bicameralismo
perfetto. Siamo in grado di farlo terminare? Vogliamo che termini?
Certo, quelli che hanno paura del cambiamento vorrebbero che le cose
rimanessero come stanno; quelli che hanno la cultura dell’innovazione dicono
che possiamo cambiare, ma non per una mera volontà di cambiamento,
bensì perché non ci sono più ragioni al mondo: non
c’è più l’Est sovietico, non c’è più la guerra
fredda, non c’è più il Partito comunista, non c’è
più il fattore K; i due schieramenti si possono alternare al Governo,
introducendo la nuova regola di moralità costituzionale.
Davanti agli elettori si stipula un contratto quinquennale, questo
è il cambiamento radicale, non si va per chiedere un consenso e
poi gestirlo come si vuole. Non ci sono le condizioni che impediscono di
governare. Si chiede di governare per una legislatura sulla base di un
programma elettorale. Questa è la norma antiribaltone: la gente
la capisce quando la spieghiamo. Vogliamo che i deputati e i senatori,
una volta eletti, non possano, cambiando schieramento - cosa legittima
- diventare la base di un altro Governo che non ha avuto l’investitura
popolare.
Questa è la sovranità del popolo: la si vuole o no? Noi
vogliamo la sovranità del popolo. Chi non la vuole, fa bene a dire
che non vuole la Costituzione! (Applausi dai Gruppi UDC, AN, FI e LP).
Questo è il punto centrale della riforma costituzionale. Tutto il
resto sono argomentazioni tecnicamente pregevoli, che però non hanno
al fondo la comprensione del cambiamento radicale che si intende realizzare
in questo momento. (Commenti del senatore Passigli). Passiamo dalla
sovranità dei partiti in Parlamento alla sovranità del popolo.
ACCIARINI (DS-U). Di Berlusconi!
D'ONOFRIO (UDC). Questo è il cambiamento radicale che
si vuole con la forma di governo del premierato. Si possono disciplinare
i poteri in modo diverso, si può discutere su come si formano i
Governi, sono tutte cose ragionevoli, ma è questa la ragione per
la quale non ha più senso un Capo dello Stato con poteri di Governo,
come è stato dal 1947 al 1992. Noi siamo vissuti in un regime nel
quale la maggioranza di Governo esprimeva uno fra i tanti possibili Presidenti
del Consiglio e vi era un Capo dello Stato con funzioni in qualche modo
di co-governo. Questa è stata una necessità storica, la capisco
e la condivido…
FABRIS (Misto-Pop-Udeur). Meno male!
D'ONOFRIO (UDC). …ma non ha più senso mantenerla.
Il Capo dello Stato deve svolgere, come la nuova Costituzione chiede,
funzioni di garanzia costituzionale. Quali funzioni di garanzia? Quelle
del nuovo ordinamento costituzionale aperto al federalismo. Deve garantire
l’unità nazionale; deve garantire il rispetto della Costituzione;
deve garantire l’autonomia degli organi esterni rispetto alla maggioranza:
di qui i poteri sulle Authority, i poteri sulla magistratura, i
poteri sul passaggio della competenza legislativa dal Senato federale alla
Camera.
È una diversa idea di Capo dello Stato; si può condividere
o meno, può piacere o non piacere. Noi vogliamo un Capo dello Stato
garante dell’unità della Repubblica e non più cogestore della
maggioranza di Governo. Lo si può volere o meno; noi vogliamo ritenerlo
in questo modo e da tale punto di vista vogliamo una riforma costituzionale
seria.
I tre anni che sono trascorsi, signor Presidente, hanno consentito
molto raramente di spiegare questi aspetti con molta attenzione. I mesi
che avremo di fronte, prima del terzo voto della Camera e del quarto voto
del Senato, consentiranno, riprendendo i lavori della Costituente, leggendo
il testo della Costituzione, di andare al confronto elettorale con grande
tranquillità. È bene che l’opposizione sappia che è
inutile questo continuo appello al popolo che deve disfare la riforma.
Il popolo è previsto regolarmente nella riforma costituzionale.
Non solo è ovvio che sarà il popolo a decidere: a decidere,
non a far finta di decidere. Abbiamo scritto una Costituzione per modificare
la quale in futuro occorrerà comunque la maggioranza degli aventi
diritto al voto, cosa che non c’era nel Titolo V. Questa è la norma
di garanzia centrale.
Ultima considerazione sulla Corte costituzionale. Non è vero
che aumentano i giudici di nomina politica. Oggi sono cinque eletti dal
Parlamento in seduta comune. Soltanto tre saranno eletti dalla Camera politica;
i quattro del Senato federale non sono più figli della maggioranza
di Governo. Lo si vuol capire o no che il Senato federale non è
la stessa cosa del Senato della Repubblica? O si fa finta di non capirlo?
(Proteste dai Gruppi dell’opposizione. Applausi dai banchi della maggioranza).
MANCINO (Mar-DL-U). No, proprio no.
D'ONOFRIO (UDC). Avremo giudici costituzionali eletti da un
organo che non è figlio della maggioranza di Governo. La maggioranza
di Governo ne esprimerà, insieme all’opposizione, tre su quindici
e c’è una riduzione dei giudici politici. Questa è la garanzia
massima che riteniamo di offrire anche al nuovo ordinamento costituzionale.
(Vivi applausi dai Gruppi UDC , FI, AN e LP. Molte congratulazioni).
NANIA (AN). Domando di parlare per dichiarazione
di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NANIA (AN). Signor Presidente, onorevoli senatori, la Costituzione
di ieri, la Costituzione del 1948, in alcune sue parti mantiene del tutto
inalterata la sua validità. Penso, infatti, a ciò che c’è
nella Costituzione del 1948 e che c’è ancora oggi: alla sua I Parte,
ai valori fondamentali che nella stessa I Parte sono contenuti. Ciò
che invece nella Costituzione del 1948, come tutti sappiamo, per ragioni
storiche non c’era, ossia la garanzia che i Governi si sarebbero formati
sulla base della scelta degli elettori, ancora oggi, nonostante nel tempo
siano intervenute delle significative riforme, non c’è.
La Costituzione oggi mantiene intatta tutta la validità della
sua I Parte, ma per il resto è stata modificata significativamente
nella scorsa legislatura, attuando una devoluzione squilibrata, che ha
attribuito poteri molto importanti e significativi alle Regioni, che ha
attribuito alle Regioni competenze in materie che invece debbono rimanere
nell’alveo nazionale, come è stato messo in evidenza soprattutto
con le sentenze della Corte costituzionale.
Di fronte a questa realtà, oggi ci siamo posti il problema di
mantenere intatto ciò che di valido c’è nella I Parte della
Costituzione e di introdurre, invece, nella II Parte ciò che nel
1948, per ovvie ragioni storiche, non poteva essere previsto e soprattutto
ciò che nel tempo più Commissioni bicamerali hanno cercato
di introdurre, senza riuscire a farlo.
Quale metodo abbiamo seguito in questa nostra avventura e in questo
nostro grande dibattito sulle riforme? Potevamo seguire, come sempre avviene,
due metodi: l’uno è quello del blitz, presidente Andreotti,
e l’altro è il metodo del confronto. Il metodo del blitz
è quello per il quale io dico al senatore Consolo che gli do uno
schiaffo e glielo do immediatamente, cioè non gli do tempo né
di dibattere, né di confrontarsi, non lo avverto; non sottopongo
le mie intenzioni al vaglio del corpo elettorale e soprattutto non gli
consento di argomentare e di portare avanti le sue ragioni.
Quanto al metodo, la Casa delle Libertà ha sottoposto il suo
programma di cambiamento al corpo elettorale, cioè prima delle elezioni
del 2001 ha detto agli italiani: vogliamo realizzare questo federalismo;
vogliamo realizzare questa elezione diretta; vogliamo consentire ai cittadini
di scegliere con il loro voto chi governa e di giudicare chi ha governato.
Il corpo elettorale ci ha dato il suo consenso.
Subito dopo però non abbiamo dato lo schiaffo al senatore Consolo.
Abbiamo detto ai nostri avversari: questa è la nostra proposta di
riforma; siamo presidenzialisti; vorremmo mettere insieme un federalismo
equilibrato e l’elezione diretta del Capo dello Stato.
I nostri avversari ci hanno fatto sapere che non gradivano l’elezione
diretta del Capo dello Stato, per ragioni che sono a tutti note, e preferivano
invece che si lavorasse insieme sul premierato, cosa che appunto abbiamo
cercato di fare, per cui da quattro anni ci confrontiamo, dibattiamo in
televisione, sui giornali, nel Parlamento, bisticciamo, ognuno di noi esibisce
le proprie coccarde tricolori e i propri vessilli, come tutti sappiamo,
in un dibattito serio, approfondito, articolato, sofferto, caldo come mai
si era svolto nella storia di questa Repubblica.
I nostri avversari di centro-sinistra ci dicono: fermatevi. Attenzione:
immaginiamo per un momento che noi si accolga la proposta del centro-sinistra
e che decidessimo di fermarci e di non fare le riforme. Cosa succederebbe?
In primo luogo, si potrebbero fare i ribaltoni e, come nel 1996, Prodi
potrebbe vincere le elezioni e D’Alema e Marini lo potrebbero mandare a
casa; se noi ci fermassimo, la cancellazione dell’interesse nazionale resterebbe
cancellazione dell’interesse nazionale; se noi ci fermassimo, non sarebbe
consentito ai cittadini scegliere con il proprio voto chi governa, ma soprattutto,
se noi ci fermassimo, resterebbe la riforma del centro-sinistra senza clausola
di salvaguardia a favore dello Stato e - dico di più - con quella
secessione mascherata, che come tale è stata definita dal professor
Sechi, noto consulente del Capo dello Stato.
In questi giorni Prodi, intervenendo sul tema, ha parlato della devoluzione
e l’ha definita un concetto infame. Infame - ha spiegato Prodi - perché
consente alle Regioni più ricche di ottenere di più e penalizza
le Regioni più povere, che avrebbero di meno. Egli non ha letto
- poverino! - l’articolo 116, terzo comma, che l’allegra brigata che gli
sta accanto ha posto in Costituzione e sul quale l’onorevole Bressa alla
Camera si è espresso così durante il dibattito sulle riforme:
"Il motivo per cui tale strumento" - l’articolo 116, terzo comma - "debba
essere eliminato, è cosa del tutto incomprensibile, perché
in tal modo" - sentite e tremate - "si privano le Regioni politicamente
più avanzate e gli stessi Governo e Parlamento della loro funzione
più alta di definire l’assetto complessivo del Paese e della capacità
di proporre progetti più avanzati di autonomia e perciò di
realizzare in concreto il federalismo".
Capisco che il ministro Calderoli si corrucci di fronte a questo, perché
se questo articolo 116, terzo comma, rimanesse in Costituzione avremmo
le Regioni politicamente più avanzate, di cui parla l’allievo di
Prodi, onorevole Bressa della Margherita, che si potrebbero fare la loro
autonomia a propria immagine e somiglianza.
Attenzione: c’è ancora di più e di peggio. Il 28 novembre
2004 l’onorevole Violante, capogruppo dei DS (qui c’è la stampa
che può abbondantemente testimoniare di questo grande avvenimento),
riprendendo un intervento dell’onorevole La Malfa, prende la parola in
Aula e dice: "Fermiamoci. Siamo pronti", presidente Amato, "noi del centro-sinistra
a votare la devoluzione insieme al centro-destra, però per favore
stralciate il premierato".
Quella devoluzione, concetto infame che spezza il Paese e l'unità
d'Italia, sbrindella le istituzioni, dà vita a Regioni più
forti e meno forti, sarebbe stata, cioè, votata dal centro-sinistra,
a condizione che non procedessimo oltre nel premierato. Ancora una volta,
ministro Calderoli, se la Lega avesse acconsentito alla proposta di Violante,
avremmo avuto la vostra devoluzione, votata dal centro-sinistra, non ci
sarebbe stato il referendum perché la riforma sarebbe stata
approvata con i due terzi e avremmo messo nel cassetto il premierato.
Il punto nodale, il problema di fondo del centro-sinistra non è
la devoluzione o il federalismo, che loro hanno varato con la tecnica del
blitz, come ricorderà il senatore Consolo, in quattro e quattr'otto,
con quattro voti di scarto, poco prima dello scioglimento delle Camere,
senza alcun dibattito, specialmente in Senato. Per bloccare l'accordo della
Lega, quindi per ragioni elettorali, mettono da parte il premierato che
non è parto del centro-destra - noi siamo stati sempre presidenzialisti
- ma è parto, per esempio, di Salvi, il quale nella Bicamerale disse:
"Quando qualcuno scioglie il Parlamento, non assume pieni poteri e rinchiude
i parlamentari in uno stadio di calcio; la parola viene data al popolo
sovrano che si forma un'idea e può decidere di conseguenza".
Sono parole di Salvi, del centro-sinistra, pronunciate alla Bicamerale.
Ma c'è anche la bozza Amato, signor Presidente, a meno che il centro-sinistra
non arrivi a negare se stesso. Il presidente Amato, per le vie brevi, fa
avere la sua bozza nella quale, a proposito del premierato, si afferma
che è giusto non siano legittimati i cosiddetti ribaltoni. Mi rivolgo
alla stampa, a questa stampa coraggiosa, a "la Repubblica", al "Corriere
della Sera"; dite la verità, guardate qual è la proposta
del centro-sinistra, del presidente Amato: il Primo ministro sarà
nominato dal Presidente della Repubblica; in caso di sfiducia, e su sua
proposta, ci sarà lo scioglimento delle Camere.
La proposta Amato, in caso di sfiducia, prevede lo scioglimento delle
Camere, a meno che una mozione costruttiva votata dalla maggioranza iniziale,
quella che ha vinto le elezioni, non proponga un altro candidato. Premierato
forte, premierato debole, premierato molle, premierato duro, premierato
non so che, guardate cosa dice l'articolo 32 della riforma, che rileggo
per gli smemorati: "Qualora sia presentata ed approvata una mozione di
sfiducia, con la designazione di un nuovo Primo ministro, da parte dei
deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni".
È esattamente la proposta Amato, ma loro, pur di impedire le
riforme, negano se stessi, al punto tale che Cossutta, allora presidente
di Rifondazione Comunista, dichiarò in Bicamerale: "Siamo d'accordo
che il Presidente della Repubblica elegga il Primo ministro il cui nome
deve essere messo sulla scheda e in più gli diamo poteri ragguardevoli,
che sono poi quelli indicati nel nostro progetto, tra cui vi è anche
quello di sciogliere le Camere". Sono parole di Armando Cossutta.
La riflessione finale che consegno alla stampa riguarda il teorema
della sinistra, che è il seguente: se governa il centro-sinistra,
le riforme possono farle da soli; se governa il centro-destra, siccome
siamo figli di un Dio minore e quando il Padreterno ha distribuito l'intelligenza
e la competenza in prima fila c'era Bordon, che è bravo, c'erano
tutti loro a prendere la saggezza, mentre noi, caro Francesco D'Onofrio,
non sappiamo niente e non capiamo niente, ebbene le riforme non si possono
fare. Se governa il centro-destra le riforme si debbono fare insieme.
Li abbiamo interrogati sul premierato e abbiamo ricevuto la bozza Amato:
le riforme si possono quindi fare insieme, ma siccome il centro-sinistra
non le vuole fare insieme, la logica conclusione sarebbe che loro non vogliono
farle. Il teorema invece si conclude - democraticamente, perché
loro sono democratici e noi no - nel modo seguente: siccome non le vogliono
fare insieme, le riforme non si debbono fare. (Applausi dal Gruppo AN
e del senatore Salzano). Ora, le riforme non giovano né al centro-destra,
né al centro-sinistra; nel tempo lo abbiamo dichiarato tutti, da
De Mita a Nilde Iotti, presidente della Bicamerale nella legislatura 1992-1994,
fino a D'Alema; abbiamo detto tutti che le riforme non giovano né
al centro-destra né al centro-sinistra.
Giovano a far funzionare le cose, giovano a fare funzionare il Paese.
Per questo la devoluzione non può essere buona a singhiozzo: se
conviene al centro-sinistra, si può votare insieme e si straccia
il premierato; se non conviene, spacca il Paese. La devoluzione è
buona o non lo è.
Le riforme nascono da questo processo di confronto, non sono mai Arlecchino.
Se le riforme le fa il centro-destra, mettendo insieme le diverse sensibilità
della destra, del centro, della Lega e anche della sinistra, sono riforme
Arlecchino perché non si è preso tutto da una sola forza
politica, ma sono stati accolti i contributi di tutti. Se invece le riforme
le fa il centro-sinistra, diventano un nobile e ideale compromesso. Se
l’articolo 7 della Costituzione trovò d’accordo nella Costituente
comunisti e democristiani, ciò rappresentò un nobile e alto
compromesso; se lo facciamo noi del centro-destra, è uno scambio
fra la Lega e Alleanza Nazionale.
Ebbene, non può essere accettato questo concetto di arruolamento
della Costituzione, della devoluzione, del Capo dello Stato, del fatto
se convenga o meno la Mussolini: addirittura negano il massacro degli ebrei,
vogliono di nuovo il fascismo, sono le croci celtiche negli stadi a determinare
la violenza, ma se conviene abbiamo i certificatori della sinistra che
autenticano le firme false. Questo perché conviene! (Vivaci commenti
dai banchi dell’opposizione).
Caro presidente Amato, il problema principale è questo: una
democrazia che si rispetta solo quando conviene è una vera
democrazia? Le garanzie che oggi dobbiamo portare avanti e cercare di inserire
nel quadro costituzionale complessivo sono garanzie che debbono servire
al centro-destra o al centro-sinistra? Il processo di avvicinamento di
Rifondazione Comunista al centro-sinistra, se è vero e autentico,
se significa accettazione della cultura europea e occidentale rappresenta
un momento di auspicio. Come si fa a caldeggiare da parte del centro-destra
una forza che a sinistra sia disgregante, che non si riconosca nel comune
tessuto dei valori?
Per questo motivo oggi la riforma costituzionale rappresenta soltanto
la voglia da parte del centro-destra di risolvere il problema della garanzia
della democrazia. Certo, la democrazia si garantisce in tanti modi e voglio
dire al collega Bassanini, che tante volte ha posto questo problema, che
basterebbe rileggersi ciò che aveva proposto in un suo emendamento
l’onorevole Mantini della Margherita e che era scritto anche nel testo
della Bicamerale (quindi noi di centro-destra e voi di centro-sinistra
insieme), vale a dire l’aberrante delitto di consentire al Parlamento,
con 80 voti, di approvare una legge.
Voi quando parlate di garanzie dimenticate di leggere - anche lei,
senatore Bordon, lo dimentica - ciò che c’è scritto e che
riguarda purtroppo un patrimonio comune vostro e nostro: aver scritto sul
testo uscito dalla Bicamerale che bastavano 80 voti per approvare una legge.
L’onorevole Mantini, poveretto, della Margherita, deve aver pensato che
se era scritto nel testo della Bicamerale poteva andare bene alla sinistra.
Quando poi vi siete resi conto della gravità della proposta, l’emendamento
è stato precipitosamente ritirato.
Dunque, senatore Bassanini, vanno bene le garanzie, ma anche attraverso
il referendum vogliamo dare ai cittadini la possibilità di
votare, di scegliere chi governa e di giudicare chi ha governato? Non vi
sembra questa la frontiera della democrazia, quella di impedire che vi
sia il tradimento del voto degli elettori? La democrazia non si garantisce
soprattutto consentendo ai cittadini di esercitare la loro sovranità?
Per questo è opportuno andare al referendum. Avremo tempo,
modo e argomenti per confrontarci rispetto alla nostra politica e alla
riforma che stiamo portando avanti con spirito di servizio, grande umiltà
e - lasciatemelo dire in questo saluto che voglio rivolgere a Francesco
Storace - con il cuore. (Applausi dai Gruppi AN, FI, UDC e LP. Congratulazioni.
Commenti dai banchi dell’opposizione).
ANGIUS (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANGIUS (DS-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa
sarebbe dunque la nuova Costituzione della Repubblica: un danno per l’Italia.
Fra tante, è la legge più grave tra quelle approvate
in questa legislatura dal Governo e dalla maggioranza, una pagina nera
per il Parlamento.
Dal ricatto della Lega Nord deriva un danno per l'Italia intera. Ma
l'Italia ha le risorse e avrà la volontà di spazzare via
questo oltraggio e di mettere riparo ad un danno che, senza di noi, forze
democratiche di sinistra, forze di progresso di questo Paese, avrebbe conseguenze
devastanti ed imprevedibili per la democrazia italiana e per il futuro
del Paese.
Noi, la Federazione dell'Ulivo e dei Gruppi che al Senato ad essa aderiscono,
abbiamo espresso ed esprimiamo il voto contrario a questo disegno di legge
di modifica della Parte II della Costituzione, che non riesco - mi scuserete
- a chiamare riforma.
Questa è per noi la sfida più alta. L'abbiamo affrontata
in Senato con spirito aperto. Ci viene rivolta una critica priva di senso
sul fatto di esserci sottratti ad un confronto vero. Ora, essendo noi consapevoli,
cari colleghi, di essere in quest'Aula minoranza e dunque destinati ad
essere battuti nel voto, quale interesse avremmo avuto a sottrarci al confronto,
a chiuderci in noi stessi, a lasciare campo libero a voi, al Governo, alla
maggioranza? Come si fa a rivolgerci un'osservazione così poco intelligente?
Abbiamo fatto ciò che si fa in democrazia, contrastando proposte
che giudicavamo sbagliate e avanzando proposte precise, alternative e di
merito. Siamo andati anche oltre, sino a formulare, per la prima volta
tutte le opposizioni unite, una proposta organica di riforma costituzionale,
la cosiddetta bozza Amato. Tutte le nostre proposte sono state respinte,
tutte. La legge è dunque vostra, tutta e solo vostra.
Ne è risultata una Costituzione che mina l'unità nazionale,
che colpisce il Mezzogiorno e con esso un’idea di società fondata
sul solidarismo, accentuando diseguaglianze già insopportabili tra
il Nord e il Sud del Paese, secondo una visione egoistica e antagonistica
della crescita sociale e dello sviluppo economico.
Ne è risultata una Costituzione che colpisce il Presidente della
Repubblica, figura di garanzia suprema del nostro ordinamento, e insieme
ad esso tutti gli altri istituti di garanzia, a cominciare dalla Corte
costituzionale.
Ne è risultata una Costituzione che attribuisce al Presidente
del Consiglio un potere smisurato, di controllore assoluto del Governo,
della sua composizione e della sua politica, e ne fa in più il dominus,
cioè il padrone del Parlamento, su cui ha il potere di scioglimento
se non fa ciò che egli decide.
Ne è risultata una Costituzione che fa impressione per la sua
farraginosità, le sue contraddizioni, sostanzialmente inapplicabile,
destinata come sarebbe ad accentuare - se attuata - conflitti istituzionali
permanenti e per di più irta di errori macroscopici che molti di
voi conoscono, e su cui però tacete.
Per queste ragioni la vostra proposta di Costituzione, di una Costituzione
che dovrebbe essere l'approdo di quella troppo lunga transizione istituzionale
apertasi negli anni '90, non approderà a nulla. Al contrario, è
un contributo nefasto, destinato a prolungare questa transizione e ad introdurre
in essa ragioni nuove di scontro, di visione, di lacerazione, con una sconsiderata
gestione politica e parlamentare di questa legge che è la legge
delle leggi.
Non c'è in ciò che avete fatto né una visione
del futuro del nostro Paese né lungimiranza e direi neanche quel
senso di responsabilità che dovrebbe avere chi guida una grande
democrazia come la nostra.
Voi avete blindato la vostra proposta di Costituzione; l'abbiamo capito
sin dall'inizio, quando vi siete chiusi nella baita di Lorenzago, tra una
polenta ed un fiasco di vino. Già da allora era tutto chiaro.
Fare della riscrittura della Parte II della Costituzione l'oggetto,
il collante del patto di Governo della Casa delle Libertà è
stato un atto politico oltraggioso nella storia della nostra democrazia.
Non era mai avvenuto e non è mai avvenuto in nessuna moderna
democrazia nulla di simile. Persino in Iraq, per costruire una Costituzione
condivisa, gli sciiti, superando persino l’esito del voto, si pongono il
problema di associare al lavoro costituente i sunniti. Non so se siano
più fondamentalisti gli sciiti o voi!
La nostra Costituzione è costata sangue e sofferenze, una mobilitazione
di coscienze diverse (lo dico a qualche ignaro nostro collega): coscienze
diverse, cattoliche, marxiste, liberali, un enorme impegno comune. Oggi
certamente la Costituzione ha bisogno di riforme; ma voi ora riscrivete
in questo modo la nostra Costituzione per accontentare un partito che ha
il 3 per cento dei voti, per distruggere i poteri di garanzia che sono
di ostacolo al vostro Presidente del Consiglio. È questo scellerato
obiettivo che, di fatto, ha reso voi senatori della maggioranza la base
obbediente di questo pasticcio.
Per noi tutto ciò è inaccettabile. È inaccettabile
la Costituzione nata da un ricatto. Ecco perché ci opponiamo, non
perché non vogliamo le riforme, come ho già dimostrato, ma
perché non possiamo accettare questa riforma. In voi non vi è
alcuno spirito costituente, ma solo la necessità di rispettare uno
scellerato patto di Governo.
Voglio andare oltre ponendo tre quesiti importanti. Sono tre interrogativi
che penso sia doveroso porsi, signor Presidente, che tanti si pongono e
a cui bisognerà dare risposta.
Domando: corrisponde alla lettera e, soprattutto, allo spirito della
Costituzione che una revisione così profonda della Costituzione
medesima sia presentata alla Camera come punto qualificante e decisivo
di un programma di Governo, che costituisca condizione essenziale dell’esistenza
stessa del Governo, precludendo, in questo modo, in partenza un confronto
parlamentare aperto, suscettibile di introdurre modifiche all’originale
disegno della maggioranza?
Domando: corrisponde alla lettera e allo spirito della Costituzione
che un Parlamento eletto con sistema maggioritario possa riscrivere così
ampiamente ed approvare con un voto della sola maggioranza semplice la
seconda parte, tutta intera, della Costituzione?
E ancora: corrisponde alla lettera e allo spirito della nostra Costituzione
che non una legge di revisione della Costituzione, ma la riscrittura intera
di una sua parte, così ampia e profonda, possa essere approvata
attraverso l’esclusiva applicazione dell’articolo 138?
Sono quesiti che mi paiono fondati. C’è da interrogarsi, dunque,
sul profilo di costituzionalità di questa stessa legge. Conosco,
le ho ascoltate poco fa, le vostre obiezioni e vi rispondo schiettamente:
la modifica del Titolo V della precedente legislatura era importante, certamente,
ma non era paragonabile per portata e dimensione a questa modifica che
voi fate; in secondo luogo, era una modifica largamente condivisa, votata
da tutti nella lettura e nel voto della Bicamerale.
Infine, se è stato (e forse lo è stato) un nostro errore
politico - come dite voi - averla approvata a maggioranza nella precedente
legislatura, allora questa critica, a maggior ragione, deve valere verso
voi stessi perché - lo ammetterete- state compiendo in forme assai
più gravi il medesimo errore.
Personalmente, resto convinto che le regole di una grande democrazia
(Costituzione, Regolamenti parlamentari, legge elettorale) vadano decise
sempre insieme.
La urgente necessità di una profonda revisione della nostra
Carta costituzionale aveva trovato le sue ragioni profonde nelle modifiche
del sistema elettorale, da proporzionale a sostanzialmente maggioritario,
e in quelle del sistema politico, mutato in senso bipolare.
Questi mutamenti sono avvenuti e hanno cambiato profondamente la Costituzione
materiale del nostro Paese. È evidente, dunque, che ci sono regole
ormai che non risultano efficaci a garantire il funzionamento pieno di
una democrazia dell’alternanza in cui i doveri della maggioranza e i diritti
dell’opposizione possano entrambi pienamente esprimersi.
Non vogliamo affatto conservare la Costituzione del 1948. Vogliamo
rendere viva la Costituzione repubblicana di oggi e di domani. (Applausi
dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI-US
e Misto-Pop-Udeur).
Ma questa modifica della Costituzione aggrava la lunga transizione
istituzionale. Non viene costruito affatto un moderno ordinamento dello
Stato ispirato a valori di solidarietà. Si delinea, al contrario,
un finto federalismo, segnato profondamente da quell’egoismo sociale che
può distruggere la coesione sociale, i beni comuni, i patrimoni
condivisi e, persino, un senso di appartenenza alla comunità nazionale.
Si mescolano così nel vostro progetto derive secessioniste e
rivincite centraliste. Al tempo stesso, l’autogoverno locale non è
rafforzato ma, al contrario, è posto sotto tutela dal Governo e
dalle maggioranze politiche. Sono minacciate l’universalità dei
diritti e le libertà costituzionali. Parlo di diritti concreti dei
cittadini e delle persone: il diritto alla salute e all’istruzione. Aumenterà
la conflittualità tra Stato, Regioni ed enti locali. L’ingovernabilità
e il caos istituzionale la faranno da padroni e il Mezzogiorno viene colpito
al cuore, emarginato, separato.
Mettendo insieme in modo confuso e raffazzonato devolution e
interesse nazionale, si definisce quel che è stato chiamato un federalismo
a fisarmonica, determinato e deciso a seconda delle maggioranze politiche
espresse in questo o in quel momento dalle Camere. Siamo lontani da quell’idea
di ordinamento dello Stato, di autonomismo, regionalismo e meridionalismo
che erano le idee forza ed erano anche il modo in cui la specificità
e la particolarità storica, linguistica, economica, culturale ed
etnica potevano uscire dalla loro condizione di marginalità per
diventare soggetto e oggetto, insieme, di un nuovo modo di essere dello
Stato, riscatto di popoli e protagonismo consapevole.
Forse è troppo ricordare in quest’Aula le lezioni di Giuseppe
Dossetti e di Renzo Laconi, ma i rischi dell’ingovernabilità insiti
nella vostra riforma si accentuano se guardiamo al ruolo in cui superate
- e va superato - il bicameralismo perfetto. Sarà impossibile legiferare.
Niente è più certo ormai in questa vostra Costituzione
nel processo legislativo. Le incertezze del procedimento legislativo sono
le più bizzarre. Su determinate materie si ha la prevalenza del
Senato, su altre della Camera, su altre il procedimento sarà bicamerale,
su altre ancora a prevalenza del Senato, ma con richiamo della Camera.
E se per caso una legge, prendiamo il cosiddetto decreto omnibus
che voteremo più tardi, comprende materie diverse, cosa farete voi
applicando la vostra Costituzione? La voterete a pezzi, un pezzo di qua
e un pezzo di là? Cosa farete di questa legge che voi stessi andrete
a votare sulla base della vostra proposta di processo legislativo? Non
sto esagerando. È così, proprio così. Un pasticcio,
che riguarda il nostro Parlamento, la sua vita, la sua funzione. Non è
cosa da poco.
Ma c’è di più. Nella nostra esperienza, abbiamo appreso,
dal diritto parlamentare, dalla scienza costituzionalistica, ma anche dalla
nostra storia, di Parlamenti che mandavano a casa Governi o di Parlamenti
separati da Governi, con percorsi diversi che non si incrociavano. Qui
invece vediamo scritta la norma secondo cui, non un Governo, ma addirittura
un Primo ministro manda a casa un Parlamento se al suo interno la maggioranza
che lo sostiene non ne condivide una proposta. È un capovolgimento
dei poteri, una novità assoluta, un inedito. Parliamo di una Camera
totalmente assoggettata al Primo ministro, che un meccanismo di sfiducia
costruttiva, sostanzialmente truffaldino, quale quello che avete pensato,
non può bilanciare.
Parliamo poi del ruolo che viene riservato al Senato della Repubblica.
Il Senato, nella proposta che voi voterete, è praticamente distrutto,
è una Camera morta: morta perché priva di funzioni, morta
perché eterodiretta dai Presidenti delle Regioni, morta perché
priva di qualsiasi rappresentatività nazionale. Che il Senato, anzi
le senatrici e i senatori votino una proposta di legge che cancella l’istituzione
che dovrebbero difendere e rappresentare rende ben chiaro questo baratro
in cui l’attuale classe dirigente sta facendo precipitare il nostro Paese.
Questa vostra proposta di cambiamento della Costituzione non dà
all’Italia moderne regole dell’alternanza. Si abbandona la forma del Governo
parlamentare, senza approdare ad alcuna forma di Governo finora conosciuta.
Proponete un inedito mai scritto nelle Costituzioni democratiche, ma non
per questo sconosciuto. Si delinea una proposta unica al mondo, basata
sul dominio di un uomo solo, che peraltro può essere ricattato dalle
componenti minori della sua stessa maggioranza, rispetto alle quali si
vendica ricattando a sua volta l’intero Parlamento, che minaccia di sciogliere.
E no, non sarebbe questo un dominio assoluto rispetto al Parlamento.
Qui, badate, le norme antiribaltone non c’entrano niente. Voi state attribuendo
al Capo del Governo e solo a lui, quando scrivete che egli determina anche
le leggi e la politica del Governo, il potere di cambiare leggi che disciplinano
diritti e libertà dei cittadini, l’indipendenza della magistratura,
il pluralismo dell’informazione, i meccanismi elettorali, le leggi e il
sistema di garanzie. Voi approvate una legge che indebolisce il sistema
di garanzie.
Ecco, attraverso queste modifiche la vostra impalcatura di proposta
di legge costituzionale colpisce al cuore il ruolo e le competenze del
Capo dello Stato; le colpisce, le distrugge, rende cioè visibile
come quel sistema di garanzie, necessario laddove c’è un premierato
forte, voi lo cancelliate; ma le garanzie istituzionali costituiscono,
nella nuova legge elettorale maggioritaria e con il sistema bipolare, nel
nuovo Parlamento delle coalizioni contrapposte, la vera, autentica questione
democratica: voi fate del Capo dello Stato, del Presidente della Repubblica,
un semplice ornamento. E’ un’operazione molto forte quella che voi fate,
che avete qui sostanzialmente deciso. E’ un attacco preciso al ruolo del
Capo dello Stato, ed è qualcosa che noi non possiamo accettare in
alcun modo.
Mi avvio alla conclusione. Il vostro, quindi, è un progetto
che ha una sua coerenza: procede per rotture, spezza un equilibrio, rompe
coerenze costituzionali. Guardate, in queste mie considerazioni c’è
- fatemelo dire - il condizionamento che, mentre discutiamo di questa riforma
della Costituzione, viviamo anche l’anno del sessantesimo anniversario
della liberazione dell’Italia dal fascismo e dal nazismo e dobbiamo discutere
e discutiamo, come si fa in Europa, della nuova Costituzione europea.
Voi non traete ispirazione, con le vostre proposte, da questi eventi
esaltanti, siete indifferenti e anche ostili. Forse, cari colleghi, la
radice più profonda della nostra Costituzione non sta scritta soltanto
nel suo articolo 1, e cioè la sovranità al popolo, ma la
si scopre per la prima volta nella storia del nostro Paese nel decreto
legislativo luogotenenziale del 25 giugno 1944, nel quale lo Stato italiano,
con un ordinamento provvisorio, indica che dopo la liberazione del territorio
nazionale dal nazismo e dal fascismo le forme istituzionali saranno decise
con il voto dal popolo sovrano. Ecco la sovranità del popolo, ecco
il popolo sovrano, sinonimo di democrazia.
Poi però i Costituenti - cari colleghi, attiro la vostra attenzione
su questo punto che mi sembra fondamentale - fecero di più: nella
Costituzione scrissero che vi sono dei limiti alla sovranità popolare;
dei limiti, perché la sovranità del popolo non consente,
nella nostra Costituzione, che essa possa trasformarsi né nella
dittatura del proletariato e nemmeno nella dittatura del Premier. La
nostra è una democrazia regolata, limitata dalla stessa Costituzione
affinché il potere politico non possa giungere mai a controbattere
e a limitare i poteri della democrazia pluralistica, affinché i
diritti delle minoranze, quali che esse siano, vengano tutelati né
più né meno dei diritti delle maggioranze. Questa è
la nostra Costituzione oggi e noi la vogliamo difendere. (Applausi dai
Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-Un). E non c’è niente, care colleghe
e colleghi, proprio niente di solenne nel passaggio che noi stiamo vivendo.
Per questo io considero, fatemelo dire, un’autentica buffonata sia
le ampolle del Monviso, sia le guardie padane, sia le camicie verdi, sia
le sue dimissioni, ministro Calderoli. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U
e Verdi-Un). Francamente io non so cosa di più avremmo dovuto
fare.
Io avverto in questo momento, signor Presidente, la tristezza di un’occasione
mancata e insieme, però, ne sia sicuro, l’irriducibile convincimento
e l’assoluta determinazione che non prevarranno nel nostro Paese né
l’offesa né, ancor meno, la lesione al patrimonio che ci è
più caro e che voi minate, a cui noi non rinunceremo mai, perché
si nutre di giustizia e di libertà.
Questi sono i nostri convincimenti, fermi, decisi e determinati. (Applausi
dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI-US
e Misto-Pop-Udeur). Questo è il nostro no alla vostra proposta
di devastazione e di lesione dei princìpi sanciti nella nostra Costituzione
repubblicana. (Vivi, prolungati applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U,
Verdi-Un, Aut, Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI-US, Misto-IdV, Misto-Cant
e Misto-Pop-Udeur. Molte congratulazioni. Numerosi senatori dell’opposizione
espongono striscioni tricolore).
PALOMBO (AN). Giù le mani dal tricolore!
PRESIDENTE. Colleghi, vi invito a ritirare gli striscioni; ancorché
molto patriottico, non è consentito. Vi invito a ritirare gli striscioni
tricolore. Ancorché sia la bandiera italiana, non è consentito.
(I senatori dell’opposizione continuano ad esporre striscioni tricolore
e a sventolare bandiere). Colleghi, ritirateli.
Sospendo la seduta per cinque minuti, affinché vengano ritirati
striscioni e bandiere.
(La seduta, sospesa alle ore 11,30, è ripresa alle ore 11,41).
Riprendiamo la seduta.
Colleghi, la manifestazione c'è stata, lo sventolio del tricolore
pure; la seduta è stata sospesa e ora vi prego gentilmente, perché
non sono consentiti, di togliere quei tricolori dalle aste dei microfoni.
Siate gentili e fatelo spontaneamente, vi prego.
GRECO (FI). Meglio queste bandiere che le bandiere rosse!
MULAS (AN). Hanno scoperto il tricolore! (Il senatore Fabris
toglie alcune bandiere tricolori dalle aste dei microfoni).
PRESIDENTE. Per cortesia, toglietele tutte. Grazie, colleghi, vi prego
anche di fare silenzio. Senatore Montino, vuole essere così gentile
da togliere la bandiera da quel microfono? Altrimenti, dovrò chiederlo
ad un senatore Questore.
Senatore Servello, per cortesia, lo faccia lei. La ringrazio, senatore
Fabris, per la collaborazione, grazie anche a lei.
Riprendiamo le dichiarazioni di voto finale.
PASTORE (FI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PASTORE (FI). Signor Presidente, onorevoli Ministri, onorevoli
colleghi, mi rammarico che il Regolamento del Senato non consenta di esporre
le bandiere tricolori in quest'Aula ed in numero così elevato. Devo
esprimere anche il mio compiacimento che il tricolore venga scoperto da
tanti che fino a qualche anno fa marciavano sotto le bandiere rosse e spesso
calpestavano e oltraggiavano la nostra bandiera nazionale! (Applausi
dai Gruppi FI, AN, UDC e LP).
RONCONI (UDC). (All'indirizzo del senatore Malabarba)
Comunista! Vattene!
PRESIDENTE. Senatore Ronconi, mantenga la serenità.
PASTORE (FI). Il senatore Malabarba è per lo meno franco
e sincero nelle sue idee; altri sono comunisti ma non lo dicono.
Signor Presidente, non posso nascondere un'intima soddisfazione nel
dichiarare il voto favorevole di Forza Italia sulla riforma costituzionale.
Con questo voto si conclude un complesso processo di riflessione, di approfondimento,
di confronto su temi che da oltre vent'anni sono al centro della discussione
sul futuro delle nostre istituzioni, istituzioni che la Casa delle Libertà
si è impegnata, dinanzi al proprio elettorato, a riformare in questa
legislatura.
Il Parlamento si è occupato molto spesso di riforme, non solo
con la Commissione Bozzi, che risale al 12 ottobre 1983, ma anche con la
Commissione De Mita-Iotti, istituita con legge costituzionale, che risale
al 1992; nella passata legislatura vi è stata poi la Commissione
bicamerale presieduta da D'Alema. In questa legislatura abbiamo discusso
fin dall'inizio di profonde riforme del sistema in materia di Governo,
di revisione del Titolo V e di devoluzione: altro che mancanza di confronto
e di dibattito su questi temi! (Applausi dal Gruppo FI).
Cosa ci ha consegnato l'Ulivo nella passata legislatura? Ci ha consegnato
provvedimenti parziali e scoordinati che solo oggi, grazie a un testo coordinato,
razionale ed equilibrato, trovano una collocazione efficiente e positiva
per il nostro Paese.
Replico al senatore Angius che ha la bontà di ascoltarmi: è
vero che alla Commissione bicamerale D'Alema il centro-destra si espresse
a favore della riforma del Titolo V, ma questa riforma era inserita in
un quadro complessivo che è stato poi spezzato, frantumato, prendendo
da questa riforma solo la parte del Titolo V e facendola cadere pesantemente,
senza alcun paracadute, sulla testa dei nostri cittadini, delle nostre
imprese e della pubblica amministrazione.
Questa riforma costituzionale rappresenta il vero passaggio dalla prima
alla seconda Repubblica, ed è proprio questo il punto, colleghi:
il passaggio dalla Repubblica fondata nel 1947 - e siamo grati a coloro
che la fondarono - a quella che trova nuove basi con la fine della guerra
fredda e la crisi irreversibile dei partiti storici; soprattutto, con il
venir meno del concetto di arco costituzionale che comprendeva solo i partiti
resistenziali ed escludeva quindi tutte le formazioni, anche democratiche,
che erano al di fuori di questo arco.
È questo, colleghi della sinistra, che voi non sopportate: non
sopportate che le riforme siano portate avanti da uomini nuovi alla politica,
non vincolati da concezioni di antitotalitarismo strabico, cioè
solo verso la destra, ma che vedono nell'antitotalitarismo di destra e
di sinistra, sia del fascismo che del comunismo, il fondamento delle proprie
radici. (Applausi dal Gruppo FI).
Non mi sento altrimenti di spiegare la dura opposizione del centro-sinistra,
l'ostruzionismo esasperato in Commissione e in Aula, con migliaia di emendamenti.
Ci si lamenta poi che non c'è dibattito, ma se avessimo preso parte
a quel dibattito questa riforma non sarebbe mai passata né in quest'Aula,
né alla Camera dei deputati, saremmo oggi senza riforma costituzionale.
Abbiamo in questo momento la possibilità di parlare.
Si è arrivati al punto di tacciare la riforma costituzionale
di anticostituzionalità. Si è arrivati al punto di contestare
- e alcuni colleghi lo hanno fatto anche in dichiarazione di voto - l'idoneità
del procedimento di revisione costituzionale di cui all'articolo 138 rispetto
ad una riforma di questo tipo. Come dovremmo riformare la Costituzione?
Quale strada è percorribile per affrontare una riforma importante
come quella che consegniamo al Paese per ulteriori passaggi che ci saranno
in futuro?
In realtà, l’opposizione - è stato detto dal collega
Nania - ha una visione ben precisa di ciò che si può fare
e di ciò che non si può fare: si può fare quello che
condivide, quello che non condivide è illegittimo. Ancora oggi si
è parlato di dittatura della maggioranza, ma credo che in un sistema
democratico parlamentare la maggioranza abbia la responsabilità,
il potere e il dovere di governare e l’opposizione di fare opposizione
nell’ambito delle regole scritte. In questo contesto e in quello futuro
le regole ci sono e andranno tutte rispettate.
Credo sia sotto gli occhi di tutti l’approfondimento che vi è
stato nell’elaborare il testo sottoposto oggi al nostro voto. Basti pensare
che l’Assemblea costituente impiegò poco più di un anno a
redigere un testo costituzionale molto complesso e in un contesto estremamente
difficile, di forti tensioni. È dall’inizio della legislatura che
lavoriamo su questo testo e alle nostre spalle abbiamo un lavoro di anni
e anni di riflessioni, di approfondimenti, di analisi di testi elaborati.
Oggi si contesta la legittimità della riforma perché
verrebbe approvata solo dalla maggioranza. Certo, sarebbe stato auspicabile
un voto favorevole, anche se non di tutta, di parte dell’opposizione. Tuttavia,
collega Angius, non è rispondente al vero sostenere che non sono
stati recepiti i contributi dell’opposizione. Vi sono non decine, ma parecchie
decine di emendamenti, anche importanti, presentati dalle opposizioni e
inseriti nel testo Costituzionale, proprio perché esso è
stato oggetto di dibattito e confronto. (Applausi dai Gruppi FI, AN,
UDC e LP).
Riteniamo, però, che alla fine sia opportuno rivolgersi al popolo,
ai nostri elettori che saranno chiamati ad un referendum che non
ci spaventa, che vogliamo, anzi pretendiamo perché riteniamo rappresenti
il sigillo finale di un processo democratico di approvazione parlamentare
che da sola giudichiamo insufficiente a legittimare una revisione della
Costituzione, qualunque essa sia, in particolare se così articolata
e importante (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e LP).
Si è polemizzato sui tempi del referendum. È curioso
però che i colleghi del centro-sinistra oggi reclamino il referendum
prima del voto delle politiche e poi facciano ostruzionismo in Commissione
e in Aula. Credo sia estremamente contraddittorio tenere posizioni tra
loro inconciliabili. Forse, se avessimo approvato questo testo due o tre
mesi fa, la prospettiva di un referendum prima delle elezioni politiche
sarebbe stata più credibile. Approvato adesso, è irresponsabile
pensare che una riforma del genere, che tocca in particolare il Parlamento
della Repubblica e i rapporti tra Parlamento e Governo, possa essere approvata
in via definitiva a ridosso di quelle elezioni che stabiliranno come sarà
formato il Parlamento e quale sarà il futuro Governo del Paese.
Noi abbiamo il senso della responsabilità, non siamo irresponsabili
come il centro-sinistra che ci ha paracadutato la riforma del Titolo V
della Costituzione senza alcuna norma transitoria e senza alcuna possibilità
di preparare il campo. Una riforma, quella del Titolo V, che modifichiamo
profondamente, pur mantenendo intatte le linee fondamentali. Quella riforma
- è sotto gli occhi di tutti - ha generato conflittualità
e la conflittualità porta alla paralisi o all’anarchia e quella
sì può portare alla secessione. Noi invece abbiamo raddrizzato
quel meccanismo di riforma costituzionale stabilendo un riequilibrio dei
poteri complessivi Stato-Regioni. Non vi è alcuna fuga, né
avanti, né indietro.
Si è ridisegnato il quadro complessivo con il grande senso di
responsabilità che ci viene riconosciuto anche da parte di rappresentanti
della sinistra, i quali ci chiedono lo stralcio o di riflettere in modo
migliore sulla parte relativa al Titolo V perché hanno visto che
quella parte della riforma è credibile, è possibile, fa bene
al Paese e alle nostre autonomie. (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e
LP).
Vi è di più. Il Governo viene rafforzato. Si sono rafforzati
i sindaci, i presidenti delle Province, i governatori. Il Governo nazionale
è rimasto - per così dire - a mezza strada, in mezzo al guado.
Vogliamo costituzionalizzare quel principio, che tutti dicono di voler
rispettare, secondo cui il cittadino, l'elettore voti per un Premier,
per una maggioranza ed un programma che possano restare in piedi fino alla
fine della legislatura, senza ribaltoni di alcun tipo. È chiaro
che il sistema di oggi non esclude ribaltoni.
Ma perché - scusatemi - l'onorevole Prodi vuole l'investitura
delle primarie? Perché l'onorevole Prodi vuole fare le primarie
ed essere investito dal centro-sinistra? Perché sa che il giorno
dopo la sua elezione, con questo sistema di legislazione ordinaria, potrà
essere tranquillamente rovesciato, come è già successo. Avendo
invece l'investitura delle primarie, l'onorevole Prodi si sentirà
in qualche modo espressione di tutta la maggioranza di centro-sinistra.
Allora, vogliamo che questo meccanismo entri in Costituzione escludendo
- come dicevo - ribaltoni. Non dobbiamo fare come alcuni eminenti rappresentanti
del centro-sinistra che hanno presentato sul nostro testo emendamenti che
introducono in Costituzione il ribaltone. Mi riferisco all'emendamento
27.13, che reca le firme dei senatori Bassanini, Villone e Passigli, secondo
cui, per cambiare il Premier, è sufficiente che i due terzi
dell'originaria maggioranza si pronuncino in tal senso e possano quindi
completare la loro consistenza con una parte dell'opposizione. Ma vi è
ancor di più. Un altro emendamento, che questa volta ha perso per
strada la firma del senatore Villone, riduce addirittura la maggioranza
originaria alla metà.
È sufficiente, quindi, che la metà della maggioranza
originaria, se decide di cambiare Premier, si metta d'accordo con
una parte sufficiente dell'opposizione. Questo vorrebbero o volevano che
fosse scritto in Costituzione. È riportato nel testo stampato degli
emendamenti e credo non ci sia bisogno di autentiche da parte né
di notai, né di consiglieri comunali. (Applausi dai Gruppi FI,
AN, UDC e LP).
ASCIUTTI (FI). Bravo! Bravo!
PASTORE (FI). L'opposizione parla strumentalmente di premierato
onnipotente. Non vi è alcuna onnipotenza del Premier. Abbiamo
inserito nella formula del premierato, ricevendo anche critiche da parte
di chi lo sosteneva, un passaggio che ci è stato letteralmente dettato
dalla bozza Amato e dagli interventi della Commissione del Senato. Mi riferisco
a quella parte secondo cui si può cambiare il Premier se
è d'accordo la maggioranza che lo sostiene. Si tratta quindi di
un passaggio fondamentale che elimina qualsiasi possibilità di dittatura
del Premier.
Ci si è lamentati della riduzione dei poteri del Presidente
della Repubblica. Non voglio in questa sede aggiungere altro, ma solo utilizzare
la parafrasi di una formula che si usava e si usa per le monarchie costituzionali.
Mi riferisco a quell'espressione secondo cui il re regna ma non governa.
Noi diciamo che il Presidente della Repubblica garantisce: garantisce la
Costituzione in maniera più ferma e più salda di quanto sia
previsto oggi nel testo costituzionale, ma non governa. Il Presidente della
Repubblica non governa, perché il Governo è rimesso nelle
mani del popolo attraverso i rappresentanti parlamentari e il Premier
eletto.
Signor Presidente, mi soffermo su un ultimo passaggio e concludo il
mio intervento. La riforma del bicameralismo è stata un punto assai
delicato. Non voglio entrare nei dettagli e sfido chiunque a leggere o
a rileggere le Costituzioni dei Paesi che prevedono due Camere con poteri
differenziati. Sono tutte davvero complicate e articolate, ma sono Costituzioni
alle quali guardiamo sempre. Mi riferisco al sistema tedesco, alla monarchia
spagnola, alla Repubblica francese e a quella austriaca. Sono Costituzioni
estremamente complesse a causa del bicameralismo differenziato.
Colleghi dell'opposizione, non si può, però, un giorno
affermare - magari i giorni pari - che il Premier è onnipotente
perché domina la maggioranza parlamentare e il giorno successivo
dire che il Parlamento è bloccato perché il bicameralismo
non funziona. Se il Parlamento è bloccato, è bloccato anche
il Premier; se il Premier è forte, vuol dire che il
Parlamento funziona.
Non si può fare una scelta diversa addirittura nello stesso
giorno per bocca degli stessi parlamentari.
Quello che mi preme sottolineare non è tanto il tecnicismo,
quanto il fatto, signor Presidente, che il Parlamento, questo Parlamento,
il Parlamento di questa legislatura, ha avuto il coraggio e la forza, con
grandi travagli, sofferenze ed impegno, di riformare se stesso. Chiedo
a chiunque quando mai si sia verificato un fatto del genere nella storia
d’Italia e di altri Paesi. (Applausi dai Gruppi FI e UDC e del ministro
Calderoli. I senatori del Gruppo Forza Italia si levano in piedi).
Un Parlamento che rinuncia a proprie prerogative, a parte dei propri componenti
e fa un salto di qualità verso un nuovo modello di Stato e di Repubblica
che vede sia la Camera che il Senato con poteri indubbiamente ridimensionati.
Signor Presidente, sono orgoglioso di far parte di questo Parlamento.
Per me è un grande Parlamento e spero che lei, Presidente del Senato,
e i nostri Ministri siate come me orgogliosi di essere espressione e di
avere la fiducia di quest’Aula e del Parlamento intero. (Vivi applausi
dai Gruppi FI, AN, UDC e LP. Molte congratulazioni).
*FISICHELLA (AN). Domando di parlare
per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.
FISICHELLA (AN). Signor Presidente, formalmente io sto parlando
in dissenso rispetto al Gruppo parlamentare di Alleanza Nazionale. Di fatto,
è il Gruppo parlamentare di Alleanza Nazionale che si accinge a
votare in dissenso rispetto ai valori fondanti e fondativi di Alleanza
Nazionale, valori fondanti e fondativi che io conosco meglio di chiunque
altro.
Ciò premesso, poiché nel disegno di legge costituzionale
in via di votazione non sono intervenuti mutamenti qualitativi e quantitativi
che possano indurmi a modificare la mia opinione in merito, dichiaro -
in coerenza con la mia posizione critica assunta nella scorsa legislatura
verso la riforma costituzionale attuata dal centro-sinistra, nonché
in coerenza con l’atteggiamento fin qui tenuto nella presente legislatura
verso la riforma ora in discussione - il mio voto contrario, nello spirito
dell’unità culturale e istituzionale della Nazione che costituisce
storicamente uno dei connotati essenziali e irrinunciabili della Destra
italiana. (Applausi dai Gruppi DS-U, Verdi-Un, Misto-Com e Mar-DL-U).
GUBERT (UDC). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.
GUBERT (UDC). Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del
Governo, onorevoli colleghi, in dissenso dal mio Gruppo voterò contro
il disegno di legge al nostro esame.
È un disegno di legge che contraddice princìpi e valori
di fondo che ritengo patrimonio indisponibile e non negoziabile.
Mi avvinceva l’impegno annunciato in campagna elettorale nel 2001 di
trasformare l’Italia in uno Stato federale. Il fatto che la Lega Nord facesse
del federalismo il punto cruciale per la propria adesione alla Casa delle
Libertà e che essa fosse parte rilevante della maggioranza mi induceva
a credere che si sarebbero potute superare eventuali resistenze. Del resto,
queste potevano essere solo minoritarie, se la Casa delle Libertà
aveva voluto il referendum contro la riforma costituzionale del
Titolo V approvata dall’Ulivo nella scorsa legislatura perché insufficientemente
federalista.
Ebbene, la riforma all’esame costituisce un forte arretramento degli
spazi di autonomia. Ritorna, peggiorato, il controllo politico centrale
sulla legislazione regionale; il Senato cosiddetto federale non solo non
rappresenta gli enti federati, le Regioni, ma viene privato di ogni reale
potere. Viene condizionata fortemente l’autonomia fiscale di Regioni ed
enti locali e alla volontà dello Stato centrale; viene tolta alle
Regioni la possibilità di sviluppare la propria autonomia negoziando
con lo Stato l’allargamento delle proprie competenze.
Trovo poco il piccolo avanzamento qua e là realizzato (qualche
competenza esclusiva alle Regioni in materie in gran parte già di
competenza regionale, qualche limite al cambiamento degli Statuti delle
Regioni ad autonomia speciale contro la loro volontà) per modificare
la valutazione.
Quale coerenza di tutto ciò con il principio della sussidiarietà,
patrimonio importante del pensiero sociale cristiano al quale i partiti
della Casa delle Libertà dicono di ispirarsi? In questa riforma
non è lo Stato di sussidio all’esplicarsi degli spazi di libertà
delle collettività regionali e locali, bensì queste sono
poste al servizio degli interessi dello Stato, per di più interpretabili
in relazione alle convenienze della maggioranza di turno nella lotta politica
per il potere.
È questa logica avversa agli spazi di libertà, di autonomia,
che ha indotto ad affiancare, allo stravolgimento dell'impegno federalista,
la restrizione della libertà di valutazione, di ricerca del bene
comune da parte del Parlamento, dei parlamentari, in omaggio alla necessità
del Capo del Governo di decidere senza gli intralci della codeterminazione,
senza dover fare i conti con la sua maggioranza. La riforma va chiaramente
in direzione autoritaria. Più poteri al Capo del Governo, che può
tenere sotto ricatto la sua maggioranza, essendo reso troppo difficoltoso
il ricorso al meccanismo, pur positivo, della sfiducia costruttiva. Più
poteri al Capo del Governo, che può svuotare di potere decisionale
il Senato, invocando il rilievo di un oggetto di legiferazione per il suo
programma. Con ciò si riduce a parvenza la separazione del potere
legislativo da quello esecutivo, conferendo entrambi ad un Capo scelto
ogni cinque anni.
Quale coerenza di ciò con la concezione della democrazia come
larga partecipazione alle decisioni, assunte in piena libertà da
chi rappresenta il popolo in modo assai più pieno, più rispondente
alla pluralità di valutazioni e di orientamenti in esso presenti,
di quanto lo possa fare una sola persona? Mi spiace che il nostro partito
si affidi ad una sol persona dopo l’esperienza autoritaria del passato.
Chi si ispira alla ricerca del bene comune non può assecondare la
riduzione della responsabilità politica di ciascuna persona al voto,
ogni cinque anni, di un Capo che può decidere.
Già con la Costituzione che abbiamo si è fortemente indebolito
il carattere democratico del nostro sistema di decisione politica: si pensi
al ricorso permanente alla delega della legislazione di rilievo al Governo,
con criteri del tutto generici; si pensi all'uso frequente dei decreti-legge
in assenza dei presupposti di necessità e straordinaria urgenza;
si pensi al modo verticistico nel quale sono scelte le candidature. E si
potrebbe continuare. Possibile che, anziché rispondere alla crisi
della democrazia con meccanismi che la salvaguardino, si proceda, invece,
in direzione autoritaria? Possibile che un partito e una coalizione che
si ispirano ai valori della libertà riducano il processo di decisione
politica sul bene comune alla stregua di quella di una decisione aziendale?
Questa riforma contraddice l'impegno di costruire una migliore democrazia,
contraddice l'impegno ad ampliare gli spazi di libertà e di autonomia,
contraddice il principio regolativo della sussidarietà. Pensavo
che le spinte aziendaliste, autoritarie, centraliste, pur presenti trasversalmente
nella cultura politica contemporanea, trovassero antidoto sufficiente nell'ispirazione
al pensiero sociale cristiano, al pensiero sociale laico-liberale, al pensiero
autonomista e federalista delle forze politiche che si sono alleate nella
Casa delle Libertà. Questo disegno di legge di riforma dimostra
che tale antidoto è del tutto insufficiente. Tutt'al più
si traduce in silenzio mugugnante, ma obbediente, per spirito conformista
od opportunista. Non si può cedere sui princìpi di fondo.
Voterò contro e spero che voterà contro, poi, il popolo italiano.
(Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Misto-Pop-Udeur,
Misto-Com e Aut).
PRESIDENTE. Procediamo dunque alla votazione finale del disegno di
legge costituzionale n. 2544-B. (I senatori dei Gruppi DS-U, Mar-DL-U,
Verdi-Un, Misto-Pop-Udeur, Misto-SDI-US, Misto-Com e Misto-RC abbandonano
l'Aula).