Riforme Istituzionali
 
 
Dichiarazioni di voto Ddl di revisione Costituzionale: Senato - 16 novembre 2005 
  
Fonte: Senato
(2544-D) Modifiche alla Parte II della Costituzione
approvazione in seconda deliberazione,
con la maggioranza dei componenti
 
 
Scalfaro    -    Caruso    -    Del Pennino    -   Lauro  -  Marino   -   Formisano    -   Sodano
 
Dentamaro    -    Marini   -   Falomi   -  Colombo   -   Kofler    -   Turroni  -  Pirovano   -   D'Onofrio
 
Bordon    -    Nania   -   Angius    -   Schifani  -  Fisichella   -   Rollandin   -   Betta
 
 
 
 (2544-D) Modifiche alla Parte II della Costituzione (Approvato in prima deliberazione dal Senato; modificato in prima deliberazione dalla Camera dei deputati; nuovamente approvato, in prima deliberazione, dal Senato e approvato, in seconda deliberazione, dalla Camera dei deputati) (Votazione finale qualificata ai sensi dell'articolo 120, comma 3, del Regolamento)
 
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale n. 2544-D, già approvato in prima deliberazione dal Senato, modificato in prima deliberazione dalla Camera dei deputati, nuovamente approvato, in prima deliberazione, dal Senato e approvato, in seconda deliberazione, dalla Camera dei deputati.
Ricordo che, ai sensi dell'articolo 123 del Regolamento, in sede di seconda deliberazione, il disegno di legge costituzionale, dopo la discussione generale, sarà sottoposto solo alla votazione finale per l'approvazione nel suo complesso.
Non sono ammessi emendamenti né ordini del giorno, né lo stralcio di una o più norme. Del pari, non sono ammesse questioni pregiudiziali e sospensive. Sono ammesse le dichiarazioni di voto.
Ricordo altresì che nella seduta antimeridiana si è conclusa la discussione generale ed hanno avuto luogo le repliche del relatore e del rappresentante del Governo.
Passiamo alla votazione finale.
 
SCALFARO (Misto). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
SCALFARO (Misto). Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho sperato che non si arrivasse a questo voto, ma la volontà di approvare una riforma purchessia ha prevalso. (Brusìo in Aula. Richiami del Presidente).
 
PRESIDENTE. C'è un senatore che mi sta voltando le spalle. Per cortesia, vi prego di sedere e di far silenzio.
 
SCALFARO (Misto). Di fronte al voto della sola maggioranza di Governo ripenso ai 556 eletti il 2 giugno 1946 e all'approvazione della Costituzione del dicembre 1947 con soli 62 «no». I dati parlano da soli.
Osservo: l'articolo 138, concernente la procedura per la revisione della Costituzione, non ritengo possa contenere questo stravolgimento dei connotati della nostra Carta costituzionale.
Oggi il Parlamento è la colonna portante dell'intero edificio costituzionale, ma qui si vota un Parlamento mortificato, sia nei rapporti con il Governo, sia per la spada di Damocle sul capo dei parlamentari dato che il potere di scioglimento passa dal Presidente della Repubblica al Primo ministro, che ne è l'esclusivo responsabile.
Quindi, un Capo dello Stato inutile e fantasma, chiamato garante della Costituzione: ma come e con che poteri può essere garante?
Ancora, lo strapotere delle Regioni, specie in materia di sanità e scuola, che calpesta l'articolo 5 della Carta: «Repubblica, una e indivisibile».
Constatiamo: questa cosiddetta riforma è del tutto inemendabile.
Il «no», quindi, è dovere civile e patriottico. Con il «no» l'appello ai cittadini, perché dipende da ciascuno di noi che la Costituzione, costata tanto sacrificio e tanto sangue, non sia travolta nei suoi princìpi e nei suoi valori, ancora oggi così vivi e così attuali. (I senatori del centro-sinistra si levano in piedi. Vivi, prolungati applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-Un, Aut, Misto-SDI-US, Misto-Com, Misto-RC, Misto-Pop-Udeur, Misto-IdV e del senatore Colombo. Molte congratulazioni).
 
CARUSO Luigi (Misto-MIS). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
CARUSO Luigi (Misto-MIS). Signor Presidente del Senato, signori del Governo, onorevoli colleghi…
 
GARRAFFA (DS-U). Non ci sei mai!
 
PRESIDENTE. Senatore Garraffa, intendo che le dichiarazioni di voto si svolgano nella maniera più ordinata e rispettosa. La prego di non dare il cattivo esempio; altrimenti, devo richiamarla all'ordine con tutte le conseguenze che ne discendono. (Commenti dai banchi dell'opposizione).
 
CARUSO Luigi (Misto-MIS). Onorevoli colleghi, giunge finalmente a compimento in Aula il percorso necessariamente lungo e complesso della riforma costituzionale, voluta dalla Casa delle Libertà.
Mi stupisce, salvo fare come il centro-sinistra propaganda preelettorale di bassa lega, il comportamento del centro-sinistra almeno per tre ordini di ragioni: in primo luogo, perché non c'è quanto si va strombazzando di uno sconvolgimento della nostra Carta costituzionale in quanto i princìpi fondamentali rimangono sacri ed intoccabili nella I parte della Costituzione; in secondo luogo, perché la riforma proposta e voluta dalla Casa delle Libertà si inserisce nell'alveo delle Commissioni bicamerali, l'ultima delle quali fu presieduta proprio dall'onorevole D'Alema, allora presidente dei DS; in terzo luogo, perché proprio il centro-sinistra, nella scorsa legislatura, ha fatto una riforma costituzionale a colpi di maggioranza.
Questa è una riforma necessitata per porre rimedio, questa volta sì, allo sconquasso che voi, con la vostra riforma, avete fatto nella passata legislatura, creando confusione, conflitti di potere, di competenza e continui ricorsi alla Corte costituzionale. (Applausi del senatore Chirilli. Commenti della senatrice Pagano).
Voi pretendereste di fare le riforme da soli quando siete al potere e di avere il diritto di veto quando sono gli altri ad essere al Governo: neanche il principe De Curtis, quando chiedeva il voto per Antonio La Trippa, se fosse diventato deputato, avrebbe fatto una regola di questo tipo! Comandereste sempre voi: al potere perché siete in maggioranza; in minoranza perché blocchereste qualunque riforma costituzionale. Questo, prima ancora che essere una vergogna, è una grossa scemenza che gli italiani non potranno certamente ingoiare e ve lo dimostrerà il referendum.
Esprimo il mio convinto consenso a questa riforma come rappresentante del Movimento Idea Sociale di Rauti, come parlamentare eletto nel più meridionale collegio d'Italia, quello di Avola che finisce a Pachino…
 
PAGANO (DS-U)…vieni qualche volta in Aula!
 
CARUSO Luigi (Misto-MIS). …all'estremità sud-orientale della Sicilia, e come siciliano cui nessuno deve dare lezioni di federalismo, in quanto il nostro Statuto, precostituzionale, nasce per attribuire alla Regione poteri speciali prima ancora della Costituzione del senatore Scalfaro. (Commenti del senatore Garraffa).
Ecco perché voterò a favore della riforma costituzionale e di questo progetto di legge. (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e LP).
 
DEL PENNINO (Misto-PRI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
DEL PENNINO (Misto-PRI). Signor Presidente, colleghi senatori, ho avuto modo, nel corso delle precedenti discussioni sul disegno di legge di riforma costituzionale che ci accingiamo a votare, di esprimere le riserve e i punti di dissenso dei repubblicani e di avanzare una serie di proposte emendative.
Oggi, peraltro, ci troviamo di fronte a una scelta delicata e difficile perché la reiezione della riforma al nostro esame avrebbe l'effetto di mantenere in vita immutato l'attuale Titolo V della Costituzione, così come è stato modificato nella passata legislatura. E quel testo noi giudichiamo la soluzione peggiore, motivo di continui conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni. Mentre oggi ad esso si propongono alcune utili, anche se ancora inadeguate, correzioni.
D'altro canto, il mio voto non è solo testimonianza individuale, ma rappresenta l'espressione di una forza politica che fa parte di questa maggioranza. E, sapendo che la nostra scelta può essere determinante, non riteniamo di poterci assumere la responsabilità del mancato raggiungimento del quorum, con il risultato di consolidare la normativa vigente di cui diamo un giudizio assolutamente negativo.
Voteremo a favore, pur mantenendo tutte le riserve già manifestate e ribadendo la necessità di porre mano ad ulteriori interventi legislativi di natura costituzionale che affrontino e risolvano i problemi cui l'attuale disegno di legge non dà adeguata soluzione, anche tenendo conto che il voto di oggi non è definitivo. Seguirà, infatti, l'appello referendario, rispetto al quale il Partito repubblicano italiano si riserva di definire la propria posizione alla luce del divenire delle auspicate correzioni. (Applausi dai Gruppi FI e UDC).
 
LAURO (Misto-CdL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
LAURO (Misto-CdL). Signor Presidente, onorevoli colleghi, annuncio il voto favorevole della Casa delle Libertà alla devolution e sono felice di contribuire alla modifica della Carta per adeguarla alle necessità e alla cultura dei nostri tempi. Non più un'Italia sconfitta, divisa dall'odio, povera, stracciona, ma un'Italia moderna, forte, rispettata, ricca e finalmente più libera.
Diciamo sì alla devolution e alle altre parti della riforma, perché con questa legge si rafforza il potere del Governo e si impediscono i ribaltoni, si responsabilizzano le Regioni e gli enti locali chiamati ad essere artefici del proprio destino, si riducono le spese e gli sperperi in cui sguazzano i mestieranti della politica, si rinvigorisce 1'unità nazionale, si offre al Mezzogiorno una grande opportunità per realizzare infrastrutture e servizi di eccellenza.
Signor Presidente, votando sì intendiamo abbattere l'ultimo muro; dopo la caduta del muro di Berlino e della cortina di ferro sovietica e dopo che i commerci hanno forato persino la muraglia cinese, la devolution si propone di affermare una economia libera in un libero mercato. (Applausi dal Gruppo FI).
 
MARINO (Misto-Com). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, queste modifiche alla II parte della Costituzione stravolgono i principi di uguaglianza e di universalità dei diritti della legge fondamentale dello Stato, alterano l'equilibrio dei poteri e quindi il funzionamento della democrazia. Sono solo il risultato di una logica spartitoria all'interno delle forze del centro-destra.
Con la devoluzione viene data alle Regioni la legislazione esclusiva in materia di organizzazione e di assistenza sanitaria, di organizzazione scolastica e di sicurezza; ma, poiché le Regioni non sono tutte uguali e non sono tutte sviluppate allo stesso modo, avremo una diversa tutela dei diritti alla salute, all'istruzione, alla sicurezza, a seconda delle Regioni d'appartenenza, smantellando così le conquiste del Servizio sanitario nazionale e del sistema di istruzione pubblica, attentando così ai princìpi dell'uguaglianza, della solidarietà, dell'unità e dell'indivisibilità dello Stato.
Con la devoluzione aumenterà il divario Nord-Sud. Queste cosiddette riforme indeboliscono tutti gli organi e gli istituti di garanzia che hanno costituito un argine all'arroganza del Governo di centro?destra; concentrano nelle mani del Primo Ministro poteri enormi, sottraendo al Presidente della Repubblica anche il potere di scioglimento. Il Parlamento è un ostaggio nelle mani del Primo Ministro.
Noi Comunisti Italiani voteremo contro e siamo convinti che il referendum confermativo cancellerà questo obbrobrio giuridico-costituzionale, ripristinando i principi della pari dignità sociale ed il primato del Parlamento contro ogni deriva plebiscitaria, riaffermando così i valori fondanti della Repubblica. (Applausi dai Gruppi Misto-Com, Misto-RC, DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un e Misto-SDI-US).
 
FORMISANO (Misto-IdV). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
FORMISANO (Misto-IdV). Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi esaminiamo la riforma della parte II della Costituzione in un contesto di avvicinamento al federalismo sempre più compiuto. Per un attimo mi sono interrogato e la mente mi è andata al termine foedus, da cui deriva il termine federalismo. Ricordavo bene, perché dopo una verifica sul mio vecchio vocabolario di latino, ha trovato conferma la mia supposizione, cioè che foedus sta per «unire con un patto ciò che è diviso».
Questo dovrebbe essere il compito del federalismo. Credo che oggi voi della maggioranza in questa Aula farete l'esatto contrario. Voi voterete una riforma della Costituzione che dividerà ciò che oggi è unito, quindi andrete in una direzione esattamente opposta a quello che il termine federalismo etimologicamente significa e che voi invocate a sostegno delle vostre tesi. Lo fate, signori colleghi della maggioranza, in un momento particolare in cui è sotto gli occhi di tutti l'evidente necessità, nei settori sensibili della scuola, della sanità e della sicurezza, di realizzare una solidarietà sempre maggiore, sicuramente più ampia di quella fin qui realizzatasi.
Siamo convinti, nel dichiarare il no netto e deciso dell'Italia dei Valori a questa riforma, anche di un'altra cosa. Siamo convinti che tanti parlamentari probabilmente la pensano come noi e probabilmente votano a favore di questa riforma per vincolo di partito o di maggioranza. Ebbene, nel referendum che si farà, il pronunciamento che chiederemo al popolo italiano sarà di aiuto anche a quei parlamentari che a malincuore, oggi, sono costretti a votare questa riforma. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-Un e Misto-Com).
 
SODANO Tommaso (Misto-RC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
SODANO Tommaso (Misto-RC). Signor Presidente, la Costituzione di un Paese nasce dalla storia di un popolo e costituisce l'avvio di una nuova storia per quello stesso popolo.
La Costituzione italiana è nata dal sangue, dalle lotte portate avanti da milioni di persone che hanno sofferto la dittatura del nazifascismo e hanno conosciuto l'orrore della guerra. Persone che hanno sacrificato la propria vita per permettere all'Italia di uscire da un periodo nero della propria storia, di uscirne restituendo dignità e diritti ai propri cittadini.
In essa si ritrovano i princìpi basilari per caratterizzare la nostra Repubblica: il diritto al lavoro, il ripudio della guerra, la pubblicità dei servizi necessari alla dignità umana. Princìpi semplici e condivisi da tutti e proprio per questo di una forza dirompente. E' questa la straordinaria attualità della nostra Carta costituzionale, nata dalla ricerca spasmodica di una convergenza ampia di culture, storie ed esperienze diverse.
La maggioranza di centro-destra fa prevalere per l'ennesima volta la forza dei numeri anche su un tema delicato che riguarda il principio ispiratore della convivenza civile e democratica. Diceva Piero Calamandrei: «La Costituzione deve vedere lontano» e invece questo Governo riduce la discussione a mera valutazione della convenienza politica del momento.
In questo clima è nata la vostra proposta di legge, spinta da interessi politici ben precisi, utilizzata come merce di scambio nella vostra disastrata politica interna. Una proposta nella quale si riconoscono le storture del neoliberismo autoritario, vengono ridotte molte delle vecchie libertà democratiche che ritenevamo acquisite e si affida ad un mercato selvaggio la gestione di molti beni comuni, dalla sanità all'istruzione, ai servizi primari come l'acqua e l'elettricità.
La riforma indebolisce i poteri di garante del Capo dello Stato, concentra forti poteri nelle mani di un Primo Ministro, denominazione infelice che ricorda il Governo del Primo Ministro del periodo fascista, il cui operato non sarà praticamente più sottoposto alla verifica della Camera.
Da ultimo, vorremmo citare il vero e proprio mostro legislativo partorito dalla maggioranza: la devoluzione. Un mostro nato dagli scarti della secessione tanto desiderata dal partito di Bossi, nato da principi opposti a quelli del federalismo. È un regalo per la Lega, inapplicabile e sicuramente pericoloso per l'assetto economico del nostro Paese con estreme conseguenze per il Mezzogiorno.
Questa riforma rappresenta una delle eredità più pesanti e pericolose del Governo Berlusconi. Nella Carta costituzionale votata dai nostri Padri costituenti, come ci ha ricordato il presidente Scalfaro, vi sono le regole scritte della nostra democrazia. Nella vostra proposta, che vi apprestate a votare, c'è lo stravolgimento di questi principi condivisi.
Rifondazione Comunista è ancorata ai valori della nostra Costituzione e la difenderà con le armi della democrazia: oggi con il voto contrario e da domani con la mobilitazione per cancellare la controriforma con il referendum popolare. (Applausi dai Gruppi Misto-RC, Misto-Com, DS-U e Verdi-Un).
 
DENTAMARO (Misto-Pop-Udeur). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
DENTAMARO (Misto-Pop-Udeur). Signor Presidente, con l'approvazione di questa riforma si giunge alla fine di un non edificante percorso fatto di scontri frontali in Parlamento, ricatti e veti all'interno della maggioranza, accompagnato da pesanti giudizi negativi degli studiosi, nella stragrande parte, e dal dissenso di un numero enorme di associazioni e gruppi organizzati di cittadini convinti che il Paese abbia bisogno di più diritti, più garanzie, più eguaglianza, mentre questa riforma va nella direzione esattamente opposta.
Tutto prende le mosse dalla devolution (è pessima anche la parola, ma i padani preferiscono persino l'inglese all'italiano). La devoluzione è stata pretesa dalla Lega fin dall'inizio della legislatura con la minaccia costante di uscire dal Governo, provocandone la caduta. E accanto a quella, come in un perverso gioco di incastri mal riusciti, ciascuna forza di maggioranza ha piantato la propria zeppa, ognuno ha iniettato un antidoto per neutralizzare quello che considera evidentemente un virus istituzionale.
Alleanza Nazionale si è accontentata dell'interesse nazionale, formula astratta e vana che non modifica la questione di fondo della devoluzione: la costruzione di un Paese nel quale esisteranno venti modelli diversi di sanità e di scuola, secondo le risorse che ciascuna Regione sarà in grado di destinare per finanziarli.
La conseguenza non è soltanto la penalizzazione delle Regioni del Sud; la conseguenza è la negazione dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte a diritti essenziali come la salute e l'istruzione, è la rottura del principio di universalità di quei diritti, è il venir meno della coesione sociale.

È la prima parte della Costituzione, quella che enuncia i princìpi fondamentali, a esser lesa da questa riforma; se è vero - come è vero - che il principio di uguaglianza è cardine della nostra democrazia, viene compromessa l'identità costituzionale della Repubblica in quanto una e democratica.
In compenso, Padania felix, la Lega rimane al Governo.
Forza Italia ha voluto il Premierato forte, illudendosi forse che Berlusconi sia eterno. Ha ridotto così la Camera dei deputati a un esercito di soldatini condannati ad andare a casa al primo no; il Senato a un ibrido, né Camera politica, né Camera territoriale, utile solo a complicare l'iter delle leggi fino al parossismo; il Presidente della Repubblica, una delle poche istituzioni rimaste autorevoli, ancora depositarie della fiducia degli italiani, a poco più che un cerimoniere. Fin qui la Costituzione.
Ma nessuna illusione è più fallace di quella dell'eternità del proprio potere e da ultimo se n'è accorto anche il Presidente del Consiglio. Via libera, allora, all'ultima bandierina, influente anche se fuori campo, ossia formalmente fuori dalla riforma costituzionale. La bandierina dell'UDC sulla riforma elettorale proporzionale, che ha il grande merito politico - agli occhi di chi teme di perdere le elezioni - di contraddire in modo stridente una forma di Governo concepita in stretta coerenza con la legge maggioritaria. È così garantito, almeno per la prossima legislatura, un sufficiente tasso di ingovernabilità e instabilità, a dispetto della mirabile architettura costituzionale.
A un sistema di garanzie democratiche fondato su un equilibrio attento di pesi e contrappesi, un sistema che ha retto a passaggi epocali, dalla trasformazione dello scenario internazionale al ricambio traumatico della classe dirigente, alla rivoluzione pacifica del maggioritario, si sostituisce una perversa mistura di spirito autoritario e caos. (Richiami del Presidente).
I Popolari Udeur voteranno ancora una volta no. Oggi non è la più triste tra le tante pagine tristi di questa legislatura, per la semplice ragione che potremo subito voltarla.
Voteremo ancora una volta no; e questa volta non sarà un voto di testimonianza, com'è normalmente quello dei parlamentari di opposizione. Ciascuno dei nostri no sarà utile ad evitare la maggioranza qualificata che renderebbe drammaticamente definitiva questa riforma iniqua e irresponsabile. Ciascuno dei nostri no renderà possibile quel referendum che, ne siamo sicuri, consentirà all'Italia di voltare in fretta quella pagina. (Applausi dai Gruppi Misto-Pop-Udeur, DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un e Misto-Com).
 
MARINI (Misto-SDI-US). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
MARINI (Misto-SDI-US). Signor Presidente, onorevoli colleghi, non credo di essere eccessivo se chiamo il provvedimento che state per approvare "legge vergogna".
State per negare agli italiani i diritti fondamentali di cittadinanza, rappresentati dalla tutela che lo Stato deve garantire: diritto alla salute, all'istruzione e alla sicurezza per tutti i cittadini, in maniera equa e senza distinzioni territoriali.
Non può sfuggire anche alla riflessione meno attenta come una sanità regionale possa negare il diritto alla salute ai cittadini delle Regioni più deboli. Una sanità pubblica senza adeguati sostegni finanziari e carente di infrastrutture e servizi è inidonea a soddisfare l'esigenza di proteggere la salute dei cittadini.
Una scuola regionale non solo contraddice la necessità di avere un'unica istituzione di formazione dello spirito nazionale, ma, consentendo percorsi formativi improntati alle esigenze di ogni singola Regione, crea degli insuperabili confini alla libera circolazione dei cittadini all'interno del Paese. Distruggete, in tal modo, il principio di pari opportunità che lo Stato deve offrire a tutti.
E anche il diritto alla sicurezza, già non sufficientemente garantito in alcune aree del Paese, può subire un ulteriore indebolimento, fino al punto di produrre una sospensione della legalità con la istituzione della polizia locale.
Come se non bastasse, l'intero dispositivo della legge sembra essere dettato da un pensiero schizofrenico. Infatti, si introduce il Premierato, che pone il Parlamento in una posizione di debolezza, e contemporaneamente si propone una legge elettorale di tipo proporzionale. Il proporzionalismo è lo strumento elettorale del parlamentarismo e mal si concilia con Governi monocratici.
Le elezioni con il metodo proporzionale sono funzionali al primato assoluto del Parlamento; il Governo ne è un'emanazione, al punto che deve avere e conservare per tutta la sua durata la fiducia dell'Assemblea.
Questa vostra controriforma, onorevoli della maggioranza, è contro i principi della democrazia parlamentare e del tutto estranea alla dottrina costituzionale. Un pasticcio che si caratterizza per innaturali contorsioni. La monocrazia del Premierato è senza contropoteri e per giunta indebolisce le autorità di garanzia: Presidente della Repubblica e Corte costituzionale.
Il cittadino è assente nell'impalcatura costituzionale che state per disegnare e lo dimostrate con impressionante testardaggine: infatti, proponete il ritorno al proporzionale, sopprimendo il voto di preferenza. Il cittadino, quindi, viene privato del diritto di scegliere chi dovrà rappresentarlo. Questa è una grave lesione della democrazia e del principio di rappresentanza.
Non dimenticate mai che una sana democrazia vive e progredisce se sulle regole generali di governo della società vi è ampio consenso. La riforma scritta da voi non rappresenta la maggioranza del Paese. È una riforma di parte, minoritaria, nata dalle pressioni ricattatorie di una parte della maggioranza e subita dall'altra, per esigenze di sopravvivenza.
Se vi chiedessimo di fermarvi non ci ascoltereste, per cui non ci rimane che votare contro e appellarci alla coscienza democratica del Paese. (Applausi dai Gruppi Misto-SDI-US, Verdi-Un, DS-U e Mar-DL-U).
 
FALOMI (Misto-Cant). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
FALOMI (Misto-Cant). Signor Presidente, una vera democrazia, se non vuole degenerare in dittatura dalla maggioranza, deve porre argini solidi al potere di chi vince le elezioni. Voi invece state demolendo gli argini robusti che i partiti antifascisti costruirono per mettere l'Italia al riparo dal pericolo di nuove forme di dittatura.
Volete un uomo solo al comando, con enormi poteri, inamovibile per cinque anni, solo perché è stato eletto. Ma la storia, com'è noto, è ricca di dittatori eletti. Vi fate forti del diritto degli elettori della coalizione vincente a vedere realizzato il programma per il quale hanno votato. Vi chiedo: nel vostro programma elettorale c'era forse scritto che avreste alleggerito le pene per il falso in bilancio o che avreste garantito per legge l'impunità del Presidente del Consiglio? C'era forse scritto che avreste coinvolto l'Italia in una guerra scatenata sulla base delle menzogne o che avreste cambiato la legge elettorale a favore di un finto sistema proporzionale solo perché vi conviene? No, tutto questo non c'era.
Avevate annunciato un nuovo miracolo economico e ci avete regalato un lungo periodo di stagnazione e di impoverimento di ampie fasce della popolazione; avevate promesso lavoro per tutti e avete creato soltanto un esercito di giovani precari senza diritti, che hanno la sola prospettiva di rimanere precari a vita. Ve ne siete infischiati della volontà degli elettori e adesso la invocate per stravolgere la Costituzione.
Per questo diciamo oggi, e diremo domani nel referendum, un no chiaro e netto allo scempio che oggi si sta per compiere. (Applausi dai Gruppi Verdi-Un, DS-U, Mar-DL-U e Misto-Com).
 
COLOMBO (Misto). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
COLOMBO (Misto). Signor Presidente, voterò contro la riforma cosiddetta federalista per alcune essenziali ragioni che sono insieme di principio e di metodo.
La prima obiezione è di metodo: si è pervenuti ad una riforma della Costituzione in un clima di discordia e contrapposizione, privando il testo di un coerente disegno culturale e politico, che solo potrebbe garantire unità, organicità, comprensibilità e quindi una corretta interpretazione ad un ordinamento istituzionale.
A ben vedere, la questione di metodo non attiene, se non in minima misura, al galateo istituzionale, ma attiene invece alla sostanza di un provvedimento che è destinato ad incidere profondamente sui lineamenti della Repubblica, che nella Costituzione - ora è 60 anni - immaginammo e disegnammo, seppur in un clima acceso di contrapposizione politica e ideologica, consapevoli tuttavia di una comune responsabilità verso l'Italia.
Purtroppo, il testo che ci viene sottoposto non è condivisibile nemmeno da quanti, come me, sono convinti che la Costituzione non è un testo inemendabile, sotto la spinta di una storia e di un costume che cambiano e che chiedono di vivere dentro le istituzioni, che li interpretino adeguatamente e durevolmente.
È quindi difficile dare il consenso ad un groviglio istituzionale, dal quale è difficile estrarre con chiarezza quale sia la forma di bicameralismo, quale il senso di un Senato federale, privo com'è di riferimenti veri al territorio, quale sia il rapporto e quali le garanzie di tale rapporto fra Primo Ministro, Governo, Parlamento soprattutto, nonché poteri e funzione del Presidente della Repubblica. E c'è, infine, la questione della composizione e del funzionamento della Corte costituzionale.
La devolution, inoltre, mantiene il carattere di disarticolazione dello Stato e di fonte inesauribile di contenzioso. Ma essa, nella sua più recente formulazione, per una sorta di eterogenesi dei fini, viene proposta in termini che potrebbero configurare anche una concezione neocentralista.
È un'architettura complessiva, dunque, irricevibile e claudicante, piena di insanabili contraddizioni, dalla quale auspichiamo fin d'ora che il popolo italiano, con il suo voto, sappia liberarsi e liberarci e ci adopereremo perché questo avvenga. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-Un, Misto-SDI-US, Misto-Com e del senatore Scalfaro. Congratulazioni).
 
KOFLER (Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
KOFLER (Aut). Signor Presidente, onorevoli Ministri e Sottosegretari, colleghe senatrici e colleghi senatori, nel tentativo di proporre una brevissima valutazione generale della riforma costituzionale che stiamo votando, va dato atto che il superamento del bicameralismo perfetto è in parte riuscito: non tutte le leggi dovranno più passare per Camera e Senato.
Purtroppo, ciò non significherà una semplificazione vera e propria dell'iter della formazione delle leggi. La molteplicità di tipologie di leggi (leggi a prevalenza Camera, leggi a prevalenza Senato e leggi bicamerali), infatti, farà sì che i conflitti di attribuzione tra le Camere saranno non l'eccezione, ma la regola. Il tutto poi è ulteriormente complicato da nuovi istituti, quali la Commissione di conciliazione, oppure il caso della prevalenza del Governo sul Senato in occasione della cosiddetta fiducia indiretta.
Altro tema importante della riforma doveva essere il Senato federale. Purtroppo, i fatti sono rimasti molto indietro rispetto alle attese. Il nuovo Senato porta sì il nome «federale»; però, mancano elementi forti del suo radicamento sul territorio. La contestualità della sua elezione con quella dei Consigli regionali non è certo un elemento sufficientemente forte per garantire tale radicamento sul territorio.
Il fatto di aver previsto partecipanti alle sedute del Senato eletti in sede locale ma che non hanno diritto di voto non aumenterà certamente la proficuità del lavoro di un consesso a composizione così eterogenea. Un vero Senato federale, secondo il mio punto di vista, sarebbe la Conferenza dei Presidenti delle Regioni nella odierna composizione, dotata però di poteri legislativi.
Tralascio altri passaggi della riforma che non trovano certo il consenso di noi Autonomisti, quali, ad esempio, il ritrasferimento cospicuo di competenze dall'ambito regionale a quello statale ed un indebito rafforzamento del ruolo del Primo Ministro a scapito del ruolo di garanzia costituzionale del Presidente della Repubblica.
Mi soffermo, invece, un attimo sulle autonomie speciali. Va dato atto che con l'introduzione di una nuova procedura di modifica degli Statuti speciali è aumentato il potere delle entità ad autonomia speciale a regolamentare, ma anche a gestire il proprio futuro rispettando le diversità e peculiarità storico-culturali e sociali.
Purtroppo, manca un riferimento specifico alla espressione di volontà da parte delle minoranze stesse. Ribadisco, anche in questa occasione, che nel caso della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è comunque obbligatorio l'assenso delle minoranze stesse e dell'Austria a riguardo delle modifiche statutarie di rilievo, in quanto lo Statuto si basa sull'Accordo internazionale di Parigi, a tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina.
Una salvaguardia esplicita delle autonomie speciali da procedure del Governo che implicano un sindacato politico e di merito avrebbe sottolineato fortemente questa volontà, più volte manifestata dal Governo, di voler far crescere le autonomie tutte, ed in particolar modo anche quelle speciali.
Purtroppo, Governo e maggioranza erano contrari ed hanno introdotto l'interesse nazionale, non meglio specificato, quale limite alla legislazione regionale. Esso si presta ad interventi di interferenza politica e di un vero controllo politico da parte del Governo sulla Regione.
Con ciò, Governo e maggioranza hanno dimostrato che non sono convinti di quanto hanno dichiarato, non intendono rispettare quanto già acquisito nell'ambito della sfera di competenza delle autonomie speciali, non esitano a diminuire pro futuro la tutela delle minoranze prevista dagli Statuti speciali.
Queste considerazioni e quanto detto sopra sulle incongruenze e contraddittorietà, nonché sui peggioramenti delle garanzie costituzionali, inducono, noi senatori della Südtiroler Volkspartei, ad un voto di astensione. (Applausi dal Gruppo Aut).
 
TURRONI (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
TURRONI (Verdi-Un). Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, con questa modifica della Costituzione avete infranto il Patto costitutivo della nostra Repubblica.
Con la devolution avete posto le premesse per la divisione dell'Italia. Avete attribuito poteri incontrollati ad un Presidente del Consiglio che chiamate Premier. Avete tolto ruolo e funzioni al Parlamento, che considerate un impedimento all'azione del Governo. Avete cancellato i poteri di garanzia del Capo dello Stato. Avete stravolto, politicizzandola, la funzione della Corte costituzionale.
Oggi è un giorno triste per il Parlamento, funesto per la Repubblica, di lutto per la democrazia. Per questo, noi Verdi useremo una parte del nostro tempo osservando un minuto di silenzio. (I senatori del Gruppo Verdi-Un si levano in piedi. Commenti dal Gruppo FI).
 
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, si può fare una dichiarazione di voto anche in silenzio.
 
TURRONI (Verdi-Un). Grazie, colleghi. ( Applausi dai Gruppi DS-U e Mar-DL-U).
Questa legge di modifica della Costituzione sarà cancellata dal referendum a cui noi, parlamentari dell'opposizione, chiameremo i cittadini italiani, e insieme con noi lo faranno le Regioni.
Questa mattina, nel suo intervento di replica, in maniera assai demagogica, il ministro Calderoli ha detto che è vostra intenzione sottoporre la legge al popolo. Pura demagogia.
Ministro Calderoli - non lo vedo in Aula, non c'era neanche ieri durante la discussione generale, ma mi rivolgo idealmente a lui - lei si rivolge al popolo nello stesso modo con cui lo faceva Maria Antonietta, quando diceva che al popolo affamato potevano essere date brioches. Noi ci rivolgiamo ai cittadini, ai quali chiederemo di cancellare questa legge perché nega quei diritti di uguaglianza che la Costituzione repubblicana riconosce.
Siete tutti qui oggi, in grande spolvero, ma durante il dibattito generale di questi due giorni, quest'Aula era paurosamente vuota; brillavate per la vostra assenza, forse alcuni di voi vergognandosi davvero per quello che stavate facendo. Mancavano persino i saggi di Lorenzago, mancava, come ho detto prima, il ministro Calderoli; forse mancava anche la convinzione in molti di voi.
Mi ha colpito molto, in particolare, la scomparsa, tra le altre, della magica parola "antiribaltone", che è stata quella più gridata e ripetuta durante tutto il periodo di esame del disegno di legge. Una vera fissazione per taluni di voi.
La ragione per cui non se ne parla più è da ricercare nelle parole del ministro Tremonti, che ieri ho definito lo chaperon di Lorenzago, il quale, dopo la vostra legge elettorale - l'ennesima vergogna proposta per cercare di limitare i danni o creare le situazioni di una ingovernabilità - propone la grande coalizione.
Molti si sono affrettati a smentire, ma sappiamo che a questa ipotesi state concretamente lavorando. Voi siete dunque i veri "ribaltonisti", come lo eravate all'inizio, quando avete costituito il vostro primo Governo, per dar vita al quale avete comprato il voto di un senatore, ricompensandolo molto bene con importanti cariche. E non possiamo neppure dimenticare che proprio la Lega, che oggi è qui ed ottiene il suo successo - assai temporaneo e assai breve perché durerà pochi mesi fino al referendum - ribaltò quel Governo, facendone nascere un altro guidato dal presidente Dini.
Voi ora osate accusare noi, ma nessuno cade in questo inganno, miei cari: siete stati voi a cancellare il bipolarismo con la legge elettorale che avete presentato e siete voi a proporre la grande coalizione, i grandi inciuci. Questo è quello di cui voi siete capaci.
Molti sono i punti pericolosi di questa ulteriore e grande opera del vostro Governo, che, nonostante i passaggi alla Camera e poi al Senato, sono rimasti intatti nella loro pericolosità o, addirittura, in taluni casi peggiorati.
Mi riferisco, innanzitutto, alla previsione di un inedito Senato federale della Repubblica, che non è rappresentativo delle Regioni e neppure più organo di garanzia o di contrappeso a rilevanti, confuse e prolisse modifiche del procedimento di formazione delle leggi; al cambiamento del ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica, di cui ho già detto prima, con la riduzione dei poteri e delle funzioni da lui esercitate, ridotto a semplice notaio (forse uno dei saggi di Lorenzago ha pensato a ridurre il Presidente della Repubblica a semplice notaio); infine, alla concentrazione inaccettabile ed antidemocratica di poteri nelle mani del Primo Ministro, che chiamate Capo del Governo, nonché all'asservimento delle Assemblee rappresentative ed alla modifica della composizione del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale. Sullo sfondo rimarrà l'estensione della potestà legislativa delle Regioni, definita impropriamente esclusiva per alcune materie.
Signor Presidente, come abbiamo fatto durante tutto questo periodo, intendiamo segnalare, in particolare, che c'è un aspetto assai grave contenuto nella modifica della Costituzione che ci viene proposta, che riguarda quello che abbiamo detto anche quando siamo andati a piantare la bandiera tricolore sul prato di Pontida: vogliamo mantenere l'Italia unita, impedire che questa modifica costituzionale crei le premesse per la sua divisione.
Ebbene, dalle leggi necessariamente bicamerali sono state eliminate quelle che disciplinano l'esercizio dei diritti fondamentali di cui agli articoli dal 13 al 21 della Costituzione, decisione assai pericolosa se considerata nel complessivo assetto del progetto che vede la Camera rappresentativa in condizioni di sudditanza rispetto al Governo, costretta a seguirne le indicazioni, pena il suo scioglimento. Non figura più l'espressa menzione delle leggi, anche annuali, concernenti la perequazione delle risorse finanziarie tra quelle di competenza paritaria.
Questa - caro ministro Calderoli, mi riferisco sempre alla sua replica di questa mattina - è la ragione per cui sosteniamo che state spaccando l'Italia, dividendola tra le zone più ricche e quelle più povere del Paese, le zone del Sud. Questa è la realtà, è inutile nasconderla.
Più volte in Aula abbiamo denunciato l'attività di spoliazione del Parlamento delle sue prerogative attraverso il ricorso ai decreti, ai voti di fiducia, alle leggi delega. Il Parlamento è stato inteso da voi come ostacolo al libero fare del Governo e, soprattutto, del suo Presidente; il tutto, con il contingentamento dei tempi, con le blindature, con i parlamentari trasformati in pigiatori di bottoni. Tutto ciò sarà esaltato, con il Parlamento - ribadisco - ridotto e spogliato delle sue competenze. Questo è quello che state proponendo.
Molti studiosi e uomini politici nelle loro riflessioni hanno spesso fatto riferimento ad una Costituzione materiale che si sovrappone a quella dei Padri costituenti. Ciò, a mio avviso, ha cercato di mascherare le profonde e negative modificazioni avvenute, in particolare, in questi ultimi anni nella vita politica del Paese. In nome della cosiddetta governabilità, sono stati progressivamente sottratti poteri alle assemblee elettive per trasferirle agli esecutivi, come nel caso delle amministrazioni locali, in cui, tra l'altro, l'operato degli organi esecutivi è stato anche sottratto a qualsiasi attività di controllo. Questo è il vostro modello di Governo.
Se analizziamo - come dicevo prima - l'attività parlamentare, possiamo notare che la maggior parte dei provvedimenti approvati riguarda decreti-legge e decreti legislativi, nei confronti dei quali il ruolo del Parlamento è ridotto a semplice ratificatore. Le stesse leggi delega approvate, che hanno affidato al Governo il compito di predisporre importanti riforme, non hanno rispettato neppure i criteri direttivi stringenti richiesti dall'articolo 76 della Costituzione: sostanzialmente delle deleghe in bianco esercitate senza che il Parlamento possa esprimere nient'altro che un parere consultivo.
Un esempio per tutti sono i sei decreti legislativi riguardanti l'ambiente, per effetto della delega ambientale contro la quale ci siamo battuti strenuamente in Parlamento: due voti di fiducia ha dovuto porre il Governo per poterla approvare e per poter battere, nonostante tutto, la nostra opposizione. Ebbene, quelle sei deleghe legislative sono state raggruppate in un monstrum di settecento pagine da esaminare in un tempo talmente limitato - nei fatti due o tre sedute - da rendere impossibile qualsiasi trattazione, tale da poterci consentire di dire che il Parlamento l'aveva esaminato.
Anziché meditare sulle esperienze già effettuate, senza riflettere sulle distorsioni provocate nel sistema politico-istituzionale dalle modifiche già introdotte sia per via legislativa, sia attraverso l'interpretazione estensiva delle leggi e della Costituzione, senza correggere gli errori provocati, si ripropone un'ulteriore e preoccupante modifica della Costituzione.
C'è una distanza abissale - ripeto abissale - tra quanto fatto dai Padri costituenti e la vostra avventuristica iniziativa legislativa che - badate bene - non chiamo Costituzione, perché potrà diventarla solamente qualora i cittadini italiani la confermeranno. Ma sappiamo bene che non sarà così. Abbiamo visto oltre quattro milioni di italiani andare a votare, senza altra sollecitazione che la legge elettorale che voi stavate proponendo. Pensate quale sarà l'ondata, capace di travolgere questo vostro insopportabile disegno di legge.
Ebbene, c'è una distanza abissale tra questa vostra avventuristica iniziativa legislativa e quanto fatto dai Padri costituenti. Essi hanno lavorato nell'interesse supremo del Paese; voi per esigenze del vostro mercato interno. (Applausi dai Gruppi Verdi-Un, DS-U, Mar-DL-U e Aut). 
 
PIROVANO (LP). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
PIROVANO (LP). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, oggi siamo chiamati a votare una riforma della Costituzione che aumenta i poteri del popolo, in perfetta sintonia con i contenuti della I Parte della Costituzione stessa. La principale spinta che ci ha sostenuti sino ad oggi proviene dalla vita concreta, dalla gente, dalle realtà quotidiane, dall'aspirazione alla libertà.
Queste ed altre le argomentazioni che hanno incrinato gli equilibri statici di un bicameralismo rigido e condizionante, determinando finalmente una concreta rappresentanza delle autonomie regionali e comunali.
Devoluzione e federalismo, parole amate e odiate: Thomas Jefferson scrisse: «Il prezzo della libertà è l'eterna vigilanza». E l'uomo Umberto Bossi, che oggi è qui con noi in quest'Aula con la sua famiglia (Applausi dai Gruppi LP, FI, AN e UDC), lotta e vigila per la libertà da ventisei anni, anni duri, di offese, insulti, incomprensione, ma anche di orgoglio e di forza.
Il movimento della Lega Nord, che oggi in quest'Aula, in questa data storica, ho il privilegio di rappresentare, è nato per merito di quest'uomo che ha anteposto ad ogni bene la libertà; un movimento composto da uomini liberi, scevri da ideologie, autonomi nelle tattiche, ma tesi, con l'unica strategia, al medesimo ideale. Dopo gli interminabili e lunghi anni di lotta in solitudine, la magia di condividere un ideale con gli antagonisti di un tempo divenuti alleati. Condivisione, non forzatura, fattiva, propositiva e migliorativa di un testo rivoluzionario e democratico.
La compattezza dell'alleanza all'interno della Casa delle Libertà si concretizza oggi. Oggi le annose dispute si sciolgono e si convertono, con grande forza, in coesione. Dall'uomo libero il merito si diffonde su tutti noi, su tutti i componenti della Casa delle Libertà, sui presidenti Francesco D'Onofrio, Renato Schifani, Domenico Nania, Andrea Pastore (Applausi dai Gruppi LP, FI, AN, UDC e dai banchi del Governo), su tutti i senatori della Casa delle Libertà che hanno lavorato e, a volte litigando, hanno contribuito con intelligenza; sui sottosegretari Aldo Brancher e Nuccio Carrara, sui colleghi deputati della Lega Nord e della Casa delle Libertà, sui ministri Maroni e Castelli e su tutti coloro che sanno di aver dato un contributo; sul vice presidente del Consiglio, Gianfranco Fini, e sul paziente presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
La forza di questa riforma viene dalla gente; quella stessa gente che ci ha eletti per rappresentarlo in questo Palazzo, che finalmente sarà a loro più vicino perché qui si insedierà il nuovo Senato federale delle Regioni.
Un forte riconoscimento da parte del Gruppo della Lega Nord va a chi ha lavorato strenuamente - imbastendo, scucendo e ricucendo - alla riforma federale della Costituzione che oggi noi votiamo con orgoglio.
Al ministro Roberto Calderoli va la nostra stima e il nostro grazie per aver mantenuto saldo il testimone che, per destino, il ministro Umberto Bossi gli ha lasciato tra le mani.
Ovviamente, preannunciamo il nostro voto favorevole. (Applausi dai Gruppi LP, FI, UDC e del senatore Frau. Congratulazioni).
 
D'ONOFRIO (UDC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
D'ONOFRIO (UDC). Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il voto che ci accingiamo a dare riguarda una grande riforma della Costituzione italiana e, di fronte a un fatto di questa rilevanza, credo che dobbiamo porci alcune domande essenziali; almeno a me sembra opportuno porci alcune domande essenziali.
Ovviamente la prima domanda riguarda proprio l'articolo 1 della Costituzione, dove noi leggiamo che: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
La domanda è: questa grande riforma costituzionale incrementa o diminuisce la sovranità del popolo? Una grande riforma costituzionale aumenta o riduce la sovranità popolare? Per noi che abbiamo una cultura della sovranità popolare molto radicata nella nostra coscienza individuale e collettiva - mi riferisco in questo caso ai colleghi senatori dell'UDC che sono intervenuti nel dibattito generale, in particolare ai colleghi Gubert, Ciccanti, Calogero Sodano - questa domanda è essenziale prima di qualunque argomento tecnico.
Questa riforma allarga o restringe, aumenta o riduce, la sovranità popolare? Noi allarghiamo la sovranità popolare rispetto a due questioni fondamentali. Ho detto ieri in discussione generale, e lo ripeto adesso, che la Costituzione attualmente vigente prevede che quando una riforma costituzionale è approvata a maggioranza dei due terzi del Parlamento il popolo rimane a guardare, non può essere chiamato a discuterne; il popolo rimane esterno.
Noi abbiamo cambiato questa norma fondamentale della Costituzione; da quella al nostro esame in poi, qualunque riforma costituzionale potrà essere portata al voto popolare. Non si tratta di una concessione, ma di un punto fondamentale: la sovranità popolare potrà esercitarsi, se questa riforma verrà approvata - come mi auguro - pure dal referendum popolare, anche sulle riforme costituzionali. Questo è il primo allargamento della sovranità popolare.
Il secondo allargamento, signor Presidente, onorevoli Ministri, riguarda la formazione del Governo. Fino ad oggi gli italiani non possono votare per una maggioranza parlamentare e un Presidente del Consiglio, o Primo Ministro. Votano per i parlamentari, i quali, dopo il voto, possono decidere cosa fare. Da questa riforma costituzionale in poi ciò non sarà più possibile. Il voto popolare, per la prima volta con questa riforma costituzionale, consentirà agli italiani di votare per i parlamentari, per il capo del Governo e per il programma.
Il grande risultato di questa riforma costituzionale è, dunque, innanzitutto un poderoso ampliamento della sovranità popolare in due aspetti essenziali che per noi sono decisivi.
Noi ci siamo chiesti: una grande riforma costituzionale la si fa perché la chiede una parte della maggioranza - in particolare la Lega Nord - o perché l'intera maggioranza persegue i propri interessi o quelli del Paese? Di cosa si sta parlando?
Ho sentito più volte in questi mesi, anche in quest'Aula, che in realtà si tratta di una riforma costituzionale che variamo per pagare un prezzo alla Lega Nord. Voglio dire, nel modo più fermo e solenne, in una sede importante come questa, che non vi è alcun dubbio che se la Lega Nord non avesse iniziato il processo della riforma della Costituzione in senso federale stasera non staremmo qui a votarla.
Vi è innegabilmente un merito storico nell'aver iniziato un processo. Ma la Lega Nord ha accettato - e di ciò le va riconosciuto il merito - tutte le richieste avanzate dalle altre parti della maggioranza, in modo da contenere la spinta federalista all'origine della sua proposta non solo entro il quadro dell'unità nazionale, ma anche dell'unità federale della Repubblica. Si tratta di un risultato al quale il mio Gruppo, l'UDC, ha concorso in modo decisivo nei diversi passaggi parlamentari, sia al Senato che alla Camera.
Di questo voglio rendere merito non soltanto al mio Gruppo, per quanto ottenuto a garanzia dell'unità fondamentale della Repubblica, ma alla Lega, che con estrema intelligenza politica, della quale l'opposizione a volte mostra di non rendersi conto, ha saputo capire che non si trattava più di un semplice vincolo politico contratto nel 2001, ma di un vincolo riguardante anche le prospettive della riforma.
Non si tratta soltanto di un fatto elettorale pregresso, ma di un patto politico nuovo. Il passaggio dal patto elettorale a quello politico è avvenuto - ed è fondamentale che ciò venga percepito - perché esso rappresenta la ragione di fondo per la quale i Gruppi di Alleanza Nazionale, Forza Italia e UDC votano una riforma costituzionale che all'inizio avrebbe potuto suscitare e suscitava, da parte di questa o quella forza politica, perplessità progressivamente cadute.
Infatti, le due richieste fondamentali che voglio richiamare - è bene che gli italiani che ascoltano questo dibattito lo sappiano - sottolineano che in questa riforma non vi è nulla che tolga qualcosa al principio di uguaglianza nel diritto alla salute degli italiani. Quest'ultima resta una competenza fondamentale della Repubblica e il diritto alla salute non viene meno. (Applausi dai Gruppi UDC, FI e del senatore Lauro). Il diritto alla salute viene garantito nonostante la potestà esclusiva regionale, perché si combina con la tutela del medesimo diritto a livello nazionale.
Non esisteranno cittadini di serie A e di serie B, come per la verità esistono oggi che il federalismo non c'è (basta andare nei diversi ospedali della Repubblica per rendersi conto di quanto il diritto alla salute non sia garantito in termini eguali). Noi, per la prima volta, nel nuovo testo Costituzionale stabiliamo che la tutela della salute e la sicurezza degli alimenti - e nessuno sa quanto questo sia importante - vengono garantiti in misura identica in tutte le parti del territorio nazionale.
Il secondo punto sul quale siamo stati spesso chiamati a discutere riguarda l'istruzione. Nessuno di noi immagina, fino in fondo, quanto fondamentale sia l'istruzione dei nostri figli e nipoti. In questa riforma costituzionale noi stabiliamo, a differenza di quella approvata dal centro-sinistra nella precedente legislatura, che le norme generali sull'istruzione debbono essere identiche in tutta Italia e non possono cambiare in nessuna parte del territorio. Il centro-sinistra invece aveva detto che le Regioni, probabilmente quelle più ricche, potevano persino appropriarsi di queste competenze.
Non capisco dove si collochi l'accusa di non rispettare il principio di uguaglianza mossa da parte di chi aveva concorso ad un testo costituzionale vigente - non parlo di proposte, ma di ciò che è scritto - nel quale non vi è più alcuna garanzia di eguaglianza sulla salute e sull'istruzione. (Applausi dai Gruppi UDC, FI, AN e dai banchi del Governo). Di questo voglio rendere atto ancora una volta ai colleghi e agli amici della Lega Nord, per il fatto di essere riusciti a passare da una rivendicazione di parte ad una rivendicazione politica generale.
Tale mutazione fondamentale è avvenuta in ciascuna componente di questa alleanza, che è passata dalla logica del cartello elettorale a quella dell'alleanza politica. È un aspetto fondamentale che avrà effetto già dalle prossime elezioni politiche, nelle quali non ci presenteremo più come alleanza puramente elettorale, ma come alleanza politica. La convergenza su questi punti sarà pertanto fondamentale già dalla campagna elettorale politica. Altro che referendum, come se fosse una sfida! Per noi il referendum è del tutto normale. Non c'è alcuna pretesa da parte di questa maggioranza di fare la riforma della Costituzione.
L'attuale maggioranza ha indicato la volontà che qualunque riforma costituzionale, da chiunque approvata in Parlamento, purché dalla maggioranza assoluta dei componenti, possa essere sottoposta a referendum. È ciò che voi, che chiedete di mantenere la vecchia Costituzione, non garantite. È bene che il popolo sappia che dall'altra parte si ha il timore che il popolo si esprima sulle riforme costituzionali. Da parte nostra, invece, non c'è alcun timore che il popolo si esprima liberamente su tutte le riforme, comprese quelle costituzionali. Questa è la differenza di fondo tra i due schieramenti politici e su questa saranno gli italiani a giudicare. (Applausi dai Gruppi UDC, FI, del senatore Lauro e dai banchi del Governo).
Terzo punto fondamentale. Si è detto, in modo costante e noioso, insistente e sgradevole che questa riforma penalizza il Sud. Lo dico da meridionale orgoglioso di esserlo, orgoglioso delle mie origini lucane, alle quali tengo molto; lo dico da meridionale che presiede un Gruppo nel quale molti sono i colleghi senatori meridionali che non avrebbero mai approvato - sottolineo mai - una riforma che suonasse contraria agli interessi fondamentali del Mezzogiorno. Lo dico a merito loro. (Applausi dai Gruppi UDC, FI, AN e del senatore Lauro). Nessuno di loro avrebbe, neanche per un momento, votato una riforma che potesse essere vissuta come contraria agli interessi fondamentali dei propri concittadini.
Lo dico, signor Presidente, perché il collega Compagna, del Gruppo dell'UDC, qualche tempo fa, mi ha regalato, direi con grande intelligenza, un volume, di cui suggerisco la lettura, dal titolo: «Il federalismo nella cultura politica meridionale»; un volume non di chissà quanto tempo fa, bensì recente.
Signor Presidente, nel Mezzogiorno sono vissuti tre diversi tipi di federalismo: un federalismo contro l'unità nazionale mazziniana; un federalismo borbonico contro il Piemonte sabaudo; un federalismo liberale e democratico, al quale noi ci richiamiamo, a partire da quello di Sturzo e di Caltagirone, dove io tra qualche giorno mi recherò con il collega Calderoli per iniziare un percorso nell'Italia meridionale (Applausi dai Gruppi UDC, FI, AN e LP), per dimostrare alle plebi dell'Italia meridionale, ai suoi cittadini, città dopo città, dovunque ha vissuto un grande esponente del federalismo meridionale di cultura liberale (Commenti del senatore Garraffa. Richiami del Presidente), che questa riforma il Mezzogiorno la può vivere con grande dignità, dico persino con orgoglio, se saprà dimostrare, come ha voluto dimostrare il Mezzogiorno, di passare dalla politica delle mance alla politica della liberazione.
Se questo è il merito che la Lega Nord ha voluto indicare al Mezzogiorno, insieme lavoreremo per il grande riscatto di libertà del Mezzogiorno, dimostrando che vi può essere l'unità federale della Repubblica, che è diversa dall'unità centralista della Repubblica. Sempre di unità si tratta; quella federale è l'unità verso la quale noi tendiamo.
Intendo dire che, da questo momento in poi, noi riteniamo iniziata la grande campagna elettorale politica sulle due questioni di fondo: principio di sovranità popolare e questione meridionale. (Commenti dai banchi del Gruppo DS-U). Su tali due questioni chiedo al popolo di poter giudicare e sono certo che, una volta posto di fronte a queste due domande, il popolo, soprattutto quello meridionale, ma non solo, non avrà difficoltà a dire che questa riforma è nell'interesse generale della Repubblica. (Vivi applausi dai Gruppi UDC, FI, AN, LP e dai banchi del Governo. Molte congratulazioni). 
 
BORDON (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
BORDON (Mar-DL-U). Signor Presidente, questo è un momento molto difficile per il nostro Paese e questo atto è forse il più grave dell'intera legislatura. Cos'è infatti la Costituzione, se non l'anima di un popolo? Tanto più lo è questa nostra Costituzione, che per molti decenni ha tenuto unito il Paese sulla base di un grande patrimonio comune di valori condivisi, capaci di resistere ad anni di lotte e scontri politici durissimi. Invece, tanto per usare una definizione del presidente Fisichella, questo sghimbescio costituzionale codifica un principio di disordine, foriero di innumerevoli vertenze, e perciò di indebolimento complessivo del nostro Paese.
Non so quanto le più giovani generazioni, assistendo ai dibattiti di questi ultimi tempi, possano aver conservato, una chiara visione di cosa sia e cosa significhi la nostra Costituzione, se non fosse in virtù dei richiami che periodicamente e meritoriamente provengono da uomini come lei, presidente Scalfaro, dai nostri Costituenti e dal Presidente della Repubblica. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).
Innovare la Costituzione è certo necessario ed è soprattutto necessario farlo per quanto riguarda la seconda parte, negli aspetti che affrontano i temi della forma di governo, del bicameralismo perfetto e del raccordo tra i poteri decentrati e quello centrale. Ma nessuna innovazione e rinnovamento è possibile, a partire dalla cancellazione, sì, dalla cancellazione, del patrimonio genetico stesso della nostra Costituzione.
Piero Calamandrei, più volte ricordato in quest'Aula, diceva che "più che la carenza delle leggi è pericolosa la carenza delle coscienze". Le costituzioni, fondamento del pensiero democratico liberale, hanno infatti lo scopo di fissare e garantire ciò che è destinato a restare stabile, e allora la Costituzione non può ricondursi al prevalere occasionale di una forza, di uno schieramento, non può essere trattata - come avete fatto - come un normale oggetto di programma elettorale o governativo o addirittura come oggetto di scambi pattizi, come ha denunciato il presidente Mancino.
Anche in ciò si vede tutta la distanza di questa vicenda dal tempo della Costituente. Allora in Aula ci si occupava della Costituzione esaminandone il testo, ed al banco del Governo sedeva la Commissione dei 75 per distinguere l'attività di Governo dall'attività fondamentale di riscrittura della Carta.
La Costituzione rappresenta il quadro di riferimento valido per tutti che precede e condiziona la dialettica tra maggioranza e minoranza assicurando la salvaguardia degli interessi ad esse comuni e dei limiti conseguenti. Fare della Costituzione un prodotto di maggioranza e disponibile alla sola maggioranza è dunque tradire l'idea stessa di Costituzione. Del resto, la concezione costituzionale della democrazia si fonda non sul riconoscimento di una sovranità illimitata, propria del sovrano dell'antico regime, ma sull'attribuzione di poteri che si esercitano, come scriveva il giudice Coke della Magna Charta, nelle forme e nei limiti di una Costituzione, che proprio per la sua funzione storica, non conosce sovrano.
Quello che sta avvenendo è colossale: si tratta del tentativo, mai così devastante, di modificare qualità e quantità di oltre 50 articoli della nostra Costituzione con lo svuotamento dei poteri del Presidente della Repubblica, con la svendita del Senato, con l'umiliazione più in generale del Parlamento, con la politicizzazione della Corte costituzionale e con un Premier sospeso tra una condizione di onnipotenza e il ricatto di parti marginali della sua maggioranza o di un infernale guazzabuglio di ingorghi legislativi e contenziosi costituzionali.
Nel progetto c'è una totale sottovalutazione dell'importanza per la democrazia dei "checks and balances", dei controlli e dei bilanciamenti, delle garanzie che costituiscono il legato di James Madison, il fondatore pratico della moderna democrazia liberale, che viene dimenticato del tutto.
Non tragga in inganno poi il fatto che in questa fase non sia in gioco la prima parte della Costituzione, quella che contiene i principi fondamentali. Quando la demolizione della seconda parte sarà cosa fatta, la prima parte apparirà del tutto estranea ed i suoi valori fondamentali saranno inutili orpelli di cui disfarsi il più rapidamente possibile.
Colleghi della maggioranza, tra gli elementi più gravi di questa vicenda c'è l'uso spregiudicato del termine «federale»: ne distorcete e ne umiliate il carattere, e non solo perché, come insegna la storia, le federazioni nascono come processo ascendente che tende a mettere assieme in una unità sovraordinata quanto è già diviso statualmente, ma anche perché nella nostra tradizione risorgimentale il federalismo è patrimonio di quei patrioti che miravano ad un Paese unitario, ad una unitaria e variegata Europa federale.
Quel federalismo che per gran parte la dottrina e la cultura riconoscono è il federalismo per aggregazione che ha costituito l'esperienza di importanti realtà come Stati Uniti, Germania e Svizzera. A quello, voi volete sostituire un "federalismo per disaggregazione" che contraddice la radice e la faticosa costruzione di un Paese unitario e lo stesso pensiero federalista risorgimentale. E per di più con l'introduzione di forme davvero singolari di un contraddittorio neocentralismo.
All'unità del Paese, a questo senso di più vasta appartenenza comune - pur nella creativa ed amata varietà: di città, territori, tradizioni, dialetti e costumi diversi - si vuol contrapporre un nazionalismo locale pronto ad alzare ponti levatoi che sottendono non l'Italia moderna, ma quella delle vecchie baronie, dei vecchi feudatari.
Come ha ricordato in uno scatto di ribellione intellettuale Claudio Magris, il Paese natale vissuto e amato liberamente non è un'endogamia asfittica né una sfilata folcloristica.
Dante diceva che l'Arno gli aveva insegnato ad amare fortemente Firenze, ma anche a sentire che la nostra Patria è il mondo, come per i pesci il mare. La sicilianità di Verga come la veneticità di Goldoni sono inscindibili dalla loro grandezza ma non interessano un veneto meno di un siciliano o un siciliano meno di un veneto. E forse non è un caso che oggi gli autori teatrali più tradotti al mondo siano il napoletano Eduardo ed il lombardo Fo. Le peculiarità locali compongono, costituiscono l'unità del Paese.
Già ieri sono riecheggiate in quest'Aula le parole di Piero Calamandrei: «quel patrimonio storico che attingeva nel sangue della storia resistenziale e dalle pagine del nostro glorioso Risorgimento». Oggi dunque voi cercate di cancellarle. Siete come quegli eserciti in fuga che non pensano ad altro che ad avvelenare i pozzi, facendo riemergere dalla penombra della storia ciò che scriveva Metternich all'inglese Palmerston: «L'Italia non è altro che un'espressione geografica e non la troverete che sulla carta».
Signor Presidente, signori del Governo, molti di noi appartengono al movimento referendario, a quella stagione che, seppure con qualche sussulto e con qualche contraddizione, aveva la grande ambizione di costruire nel nostro Paese una moderna democrazia compiuta secondo il sistema dell'alternanza tra maggioranze, con Governi stabili scelti sin dal momento del voto in modo chiaro e trasparente dai nostri concittadini. Una moderna democrazia dell'alternanza che superasse ritardi ed incrostazioni, che permettesse di affermare una piena democrazia governante e nello stesso tempo creasse le condizioni perché l'opposizione vedesse riconosciuto il suo ruolo fondamentale di controllo, di ispezione, di proposta in una naturale ed ambiziosa prospettiva di diventare essa medesima futura forza di governo.
Pensavamo che il rinnovamento istituzionale e politico fosse una condizione indispensabile per liberare il nostro Paese da ritardi, incrostazioni, lacciuoli, retroguardie parassitarie ed in ciò vedevamo anche la necessità di riscrivere, nella più alta condivisione, quelle parti che ancora andavano completate e innovate per porre fine a questa infinita ma, non inutile transizione.
In ciò sta l'ulteriore grave colpa per quanto avete fatto e - si può dire - per quanto non siete stati in grado di fare: l'esito deludente di un iter che si doveva intendere riformatore e che invece è semplicemente demolitore. Del resto, la riforma elettorale che avete presentato in parallelo al voto finale sulla riforma costituzionale è il suggello che dimostra come, in luogo del completamento della transizione, avete scelto un salto nel caos istituzionale ed elettorale, nella frammentazione selvaggia, nella instabilità e nella ingovernabilità, addirittura preparata ed auspicata.
Ecco perché dico che l'altro danno grave che oggi state compiendo è quello di riportare indietro le lancette della possibilità del rinnovamento: se qualcuno è scottato dall'acqua calda, infatti, anche quella fredda fa paura.
Onorevoli colleghi della maggioranza, non basterà tutta l'acqua del Po per assolvervi dal tentativo di disfare l'Italia e per questo fino all'ultimo voglio sperare che non prevarranno coloro che, come li definì il presidente Fisichella, «sono solo vogliosi di vendicarsi di una storia unitaria, decisamente più grande e più nobile dei profili intellettuali e civili di una classe politica di uomini nuovi inopinatamente comparsi dal nulla».
Pertanto, fino all'ultimo voglio sperare che chi proviene dalle vicende di forze politiche che hanno costruito questa Repubblica, prima di compiere il gesto di un voto così drasticamente confermativo, si interroghi e dica: "No, io non ci sto!" Anche perché nessuno potrà dire altrimenti: "Io non c'ero, io non c'entro. Fu colpa di una disciplina di maggioranza".
Circa 700 anni fa, affermando il suo attaccamento alla religione cattolica ed il suo profondo dolore nel vedere Roma e la Sede pontificia abbandonate e deserte e il diffondersi della piaga delle eresie, in una epistola rivolta ai 24 cardinali radunati in Francia a Carpentras, Dante scriveva: «L'attuale miseria trafisse di dolore gli altri italiani e li confuse con la vergogna. Chi potrebbe dubitare che siate voi a dovervi vergognare e dolere, voi che allora foste la causa della sua inaudita eclisse?». Onorevoli senatori della maggioranza, di questa eventuale eclisse della nostra Costituzione, se la porterete fino in fondo, voi tutti sarete responsabili!
Quello che sta avvenendo oggi segnerà per molto tempo la storia parlamentare italiana, con uno sfregio che somiglia a quello che nei Paesi fondamentalisti viene fatto per deturpare e punire le donne che non si coprono il volto con il burqa: si colpisce l'identità e la qualità della nostra Costituzione.
Con il nostro voto contrario non si raggiungerà il tetto dei due terzi che la Costituzione prevede perché una legge di riforma costituzionale possa entrare immediatamente in vigore. Ci sarà dunque il referendum, come proprio oggi ha ribadito il presidente Scalfaro. E non vi è persona di buonsenso che non sappia come finirà, cioè con una netta, forte e clamorosa bocciatura di questo pericoloso insulto costituzionale.
Lo sapete anche voi, ma ciò nonostante, sotto il ricatto della Lega, di una fantomatica Repubblica Padana, di cui oggi si celebrano i fasti celtici, state prendendo in ostaggio l'Italia sperando, con la Lega, di guadagnare qualche misero vantaggio elettorale.
E se anche, come vi ripeto e vi confermo, il referendum restituirà al volto della Costituzione le sue belle fattezze, nessuno potrà dimenticare quello che intanto in quest'Aula è avvenuto.
Fa bene la Lega a vantarsene! Con una pattuglia di fantomatici padani è riuscita a conquistare e ad espugnare la fortezza dell'unità nazionale. Ed è significativo che oggi, nella tribuna presidenziale sieda proprio Umberto Bossi, che oggi può guardare con soddisfazione quanti passi in avanti abbia fatto la sua idea della secessione. È il suo trionfo!
Ma mi domando, colleghi di altri partiti della maggioranza, voi di Forza Italia, voi di Alleanza Nazionale, voi dell'UDC, se questo trionfo sia per davvero anche il vostro. Se esso non assomigli, invece, a quelle forche caudine per le quali i romani furono costretti a passare.
Ma, vedete, proprio quella storia, la nostra bella unitaria storia antica, ci ricorda che se oggi questa sembra essere la vittoria di Bossi, domani questa stessa data sarà ricordata come la vostra vittoria di Pirro, perché saremo noi, assieme ai cittadini italiani, a reimpugnare il tricolore del nostro Paese nel segno dell'unità nazionale! (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-Un, Aut, Misto-SDI-US e del senatore Amato). 
 
NANIA (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
NANIA (AN). Signor Presidente, la grande riforma di oggi non è figlia del nulla. La grande riforma, costruita sul presidenzialismo e il federalismo, sull'elezione diretta di chi governa, sulla norma antiribaltone, sulla reintroduzione dell'interesse nazionale e su un sistema istituzionale che sta vicino al cuore dei cittadini, non nasce dal nulla, non l'ha imposta nessuno, né noi, né altri. Nasce dal contratto che la Casa delle Libertà ha stipulato con gli italiani prima del 2001.
Abbiamo detto agli italiani: se ci voterete, noi faremo questa grande riforma e gli italiani ci hanno affidato questo compito. Agiamo qui, nel Parlamento italiano, su mandato degli italiani.
Ecco perché la grande riforma portata avanti dalla Casa delle Libertà costituisce la riforma di una coalizione che unisce la storia del Paese: stiamo insieme, nella Casa delle Libertà, laici, liberali, riformisti, federalisti, cattolici, nazionali e popolari. La storia dell'Italia, la storia secolare dell'Italia, è nella Casa delle Libertà. È da questo grande passaggio che continua il percorso riformatore e costituente italiano.
La nostra è una Costituzione, come tutti sanno, lunga, molto lunga: è composta di 139 articoli, ma soprattutto è composta di una I Parte e di una II Parte. È sempre avvenuto, nella storia del processo riformatore italiano, anche quando questo processo è stato portato avanti dal centro-sinistra, che le riforme abbiano interessato la Parte II della Costituzione, che è la parte organizzativa, poiché la nostra Costituzione, come è ovvio, non può essere riformata - e non è riformabile - nella I Parte, quella che riguarda i princìpi fondamentali.
Tutte le Commissioni bicamerali, la Commissione Bozzi, la Commissione De Mita-Iotti, la Commissione D'Alema, la stessa riforma dell'Ulivo del 2001, che ha disarticolato lo Stato, hanno sempre riguardato la II Parte della Costituzione, il cui titolo è il seguente: «Ordinamento della Repubblica».
La I Parte, quella fondamentale, mai nessuno, nella storia della Repubblica, si è sognato di toccarla. Questo è il dato di partenza: gli italiani debbono sapere che la riforma di cui ci stiamo occupando riguarda la parte organizzativa della Costituzione italiana.
Nel corso dei lavori della Bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, ci siamo occupati di riformare la Corte costituzionale e il centro-sinistra ha proposto di inserire tre giudici nominati dalle Regioni, ci siamo occupati di riformare l'elezione diretta di chi governa e il centro-sinistra ha proposto il Premierato, ci siamo occupati di riformare il bicameralismo (due Camere, il Senato e la Camera dei deputati, che fanno le stesse cose e non concludono niente) e il centro-sinistra ha proposto il Senato federale.
In questo Paese di grande cultura e di grandi tradizioni, c'è un centro-sinistra che è arrivato alla conclusione che quando una proposta la fa il centro-destra non è buona e quando la fa il centro-sinistra è buona.
Tanto per capirci, italiani che mi ascoltate, è come se all'improvviso il centro-sinistra proponesse al Paese di introdurre il semipresidenzialismo alla francese, con l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, e noi, che abbiamo una lunga storia a favore di questa posizione, replicassimo: «No, non si fa più, perché lo state dicendo voi e quindi non è una buona idea». Questa è la cultura costituzionale e istituzionale del centro-sinistra. (Applausi dai Gruppi AN e FI)
C'è di più: se governa il centro-sinistra, può fare le riforme che vuole. Nella scorsa legislatura, addirittura, il Senato è stato umiliato, perché la riforma è stata presentata alla Camera, si è discussa solo in quella sede e, siccome si doveva procedere di corsa poiché, per ragioni politiche, volevano cambiare e hanno cambiato la Costituzione (le ragioni politiche erano quelle di bloccare l'accordo della Lega con la Casa delle libertà), il testo è stato approvato dal Senato così com'è uscito dalla Camera.
 
TONINI (DS-U). Dalla Bicamerale è uscito!
 
NANIA (AN). In Senato non si è potuto parlare. Nessuno è potuto intervenire per modificare il testo approvato alla Camera. (Applausi dei senatori Greco e Falcier). Al Senato tutti «zitti e mosca», come si diceva una volta. Tutti voi avete approvato il testo proposto dalla Camera per far presto, perché bisognava votare, bisognava dire agli italiani che si era fatto qualcosa, ed è andata com'è andata.
Se governate voi, potete fare le riforme; se governiamo noi del centro-destra, siccome voi siete grandi scienziati e il Padre Eterno quando ha distribuito l'intelligenza vi ha fatto sedere tutti in prima fila, mentre noi siamo sempre nell'ultima, le riforme non le possiamo fare; o meglio, le riforme, se governiamo noi, le possiamo fare insieme. Ma, siccome voi insieme con noi non le volete fare, le riforme non si debbono fare.
Quindi, o governate voi e le fate come volete, anche da soli, o governiamo noi, vi preghiamo di farle insieme, ma non siete d'accordo: la conclusione è che stabilite voi quello che si deve fare, sia quando governate, sia quando non governate.
Domanda finale: ma la le riforme servono o no al Paese? I cittadini italiani vogliono vedere di nuovo il ribaltone del 1994? Vogliono, ad esempio, vedere di nuovo - campa cavallo, che l'erba cresce! - un Prodi che vince nel 1996 e che poi viene sfrattato da D'Alema perché fa l'accordo con Marini e l'Udeur? (Applausi dai Gruppi AN, UDC, FI e del senatore Zanoletti).
Gli italiani, cosa vogliono? Vogliono che il loro voto sia tradito dagli inciuci di Palazzo? Vogliono i ribaltoni? Questa è la domanda fondamentale. Se gli italiani vogliono norme chiare e lineari e, soprattutto, se non vogliono che sia tradito il loro voto, noi proponiamo agli italiani la grande riforma del cambiamento, che può fare della nostra una democrazia non superiore, ma come le altre, ossia una democrazia che funziona bene.
Da qui siamo partiti nella costruzione del nostro processo riformatore. Abbiamo cominciato con il correggere i guasti causati dal centro-sinistra perché, nella fretta di approvare una riforma da sventagliare per bloccare la Lega, ha realizzato un principio molto importante - gli italiani lo debbono sapere - che si chiama rovesciamento (anche il nome è indicativo) dell'articolo 117. L'articolo 117 è molto importante: è l'articolo con il quale i vecchi Padri Costituenti - presidente Scalfaro, lei dovrebbe ricordarlo - stabilirono che lo Stato aveva tutte le competenze e che alcune "cosette" venivano date alle Regioni.
Che cos'è la devoluzione della quale si parla tanto? Pensiamo all'espressione «devolvere in beneficenza»: chi devolve in beneficenza? Soltanto chi ha può dare. Ebbene, lo Stato, che aveva tantissimo, secondo la nostra Costituzione italiana del 1948 - quella antifascista - ha dato alcune "cosette" alle Regioni e ha anche stabilito «attenzione, voi Regioni in queste cosette, quando decidete, non potete violare l'interesse nazionale».
Dov'era il presidente Scalfaro nel 2001, quando il centro-sinistra rovesciò questo principio? (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e LP). Il centro-sinistra - italiani che ci ascoltate - ha capovolto questo principio: non più lo Stato ha tutto e le Regioni alcune cose, ma le Regioni tutto e lo Stato alcune cose. E le ha elencate, quelle dello Stato, la riforma dell'Ulivo: lo Stato ha a), b), c), d), e), f), g), h), i), l), m); punto: solo quello e niente più, tutto il resto è delle Regioni.
Domando (perché non risponde il collega Angius?): oggi, con quella riforma (la nostra ancora non è in vigore), la sanità a chi appartiene? I concorsi per il manager ASL di Bologna chi li fa, Berlusconi o Errani? (Applausi dal Gruppo UDC). Il concorso per la Polizia municipale di Napoli chi lo fa, Bassolino o Berlusconi?
L'esempio più evidente sotto gli occhi degli italiani è che non soltanto hanno fatto quella riforma, ma hanno abolito il Ministero della sanità. Il ministro della salute Storace (che - lo sappiano gli italiani - a causa della loro riforma non si può più chiamare ministro della sanità), oggi, sulla RU486, la cosiddetta pillola abortiva, registra che il Piemonte fa la sperimentazione (perché, presidente Scalfaro, l'Ulivo ha dato alle Regioni anche la ricerca scientifica, non lo sa, questo?), la Regione di destra non la fa perché è contro l'aborto, la Regione del centro-sinistra, della Margherita, dice «ni»; il Ministro può solo intervenire per controllare se la salute è messa in discussione dalla sperimentazione. (Commenti del senatore Crema).
Presidente Angius, oggi la sanità a chi appartiene? La polizia municipale a chi appartiene? L'organizzazione scolastica a chi appartiene? Lo chieda ad Errani, che fa costantemente ricorsi contro la politica unitaria del ministro Moratti! (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e dai banchi del Governo).
Attenzione, si dice, ma se è così, se la sanità, la scuola e la polizia locale sono delle Regioni, perché avete fatto la devoluzione? È presto detto, anche questo gli italiani devono sapere. Il centro-sinistra è originale e non si è più accontentato di alcune materie riservate allo Stato e tutto il resto alla Regione. Voi, con la grande capacità creativa dei grandi scienziati del centro-sinistra, avete inventato la legislazione concorrente. (Commenti del senatore Rotondo). Che cos'è questo terzo genus? È, come dire, una legislazione fifty fifty, un po' dello Stato e un po' delle Regioni: non si capisce, cioè, su alcuni temi dove decide lo Stato e dove decidono le Regioni.
Qui casca l'asino (Commenti dal Gruppo DS-U) e qui interviene la devoluzione della Casa delle Libertà. Bisogna dare atto al ministro Bossi - lo ricordo perfettamente - che rispetto alla riforma del centro-sinistra che dà tutto alle Regioni - il che poi, a stringere, vuol dire nulla - è preferibile una riforma che dica esattamente, come si conviene in una democrazia calda, autentica, partecipata, che sente l'alito dei cittadini, cosa è dello Stato e cosa è delle Regioni.
 
CREMA (Misto-SDI-US). Noi siamo federalisti, non tu!
 
NANIA (AN). La devoluzione - lo dico per gli studiosi - è esattamente questo: non che la sanità è delle Regioni, ma l'assistenza e l'organizzazione sanitaria, che è un minus rispetto al genere…
 
MORANDO (DS-U). Bravo, spiegalo a quelli della Lega che non lo hanno ancora capito.
 
NANIA (AN). …non la scuola è delle Regioni, ma l'organizzazione scolastica e anche di più: guarda guarda, nei programmi scolastici, c'è anche la cura dei dialetti; ho sentito un collega del centro-sinistra dirsi preoccupato del problema dei dialetti, come fossero qualcosa che non appartiene alla nostra storia e alla nostra cultura.
Sono messinese e risento dell'inflessione messinese, sono siciliano e mi capita con orgoglio di parlare siciliano, ma so che la lingua italiana è il risultato della sofferenza del dialetto siciliano, di quello toscano e di quello lombardo. I dialetti sono le nostre radici. (Applausi del senatore Antonio Battaglia). Perché non vi siete preoccupati, quando avete fatto la vostra riforma, della circostanza che avete inserito all'articolo 116 della Costituzione - nonno mio, che sei andato a combattere per i confini della Patria, che ti dicevano essere sacri, e sei andato a scoprire quella Costituzione; non c'era la Lega, era la vostra Costituzione - accanto all'espressione «Trentino-Alto Adige» quella «Südtirol» e accanto a quella della «Valle d'Aosta» l'espressione «Vallée d'Aoste»? Andate a leggere la Costituzione austriaca, tedesca, francese per vedere se in quelle Costituzioni vi è un'espressione italiana! (Prolungati commenti dai banchi dell'opposizione).
 
PRESIDENTE. Colleghi, per favore!
 
PAGANO (DS-U). Per piacere, parla in siciliano!
 
PRESIDENTE. Senatrice Pagano, faccia opera di moderazione.
 
NANIA (AN). Abbiamo riparato ai guasti. Intendiamo coprire un vuoto e concludo come ho iniziato: questa riforma è fatta su mandato degli italiani. Un solo interesse da difendere, quello degli italiani.
Questa riforma conclude il suo iter con il pensiero rivolto agli italiani, perché saranno gli italiani a decidere e a dire si o no, ma - attenzione - saranno gli italiani in base al fatto che abbiamo proposto con forza, con grande significato, che agli italiani spetti sempre l'ultima parola. Su questa Costituzione, se per caso il centro-sinistra avesse votato insieme a noi - anche questo gli italiani debbono sapere - non si sarebbe potuto tenere un referendum.
Se nel Palazzo ci fossimo messi d'accordo, se il centro-destra si fosse messo d'accordo con il centro-sinistra, si sarebbe superata la soglia dei due terzi e gli italiani non avrebbero potuto votare. Con la nostra riforma, abbiamo introdotto l'interesse nazionale… (Commenti dai banchi dell'opposizione), aggiustato i guasti del vostro federalismo secessionista, dato agli elettori il potere di scegliere chi governa, ma soprattutto abbiamo dato agli italiani il grande potere di decidere.
Il nostro voto, mentre lo formuleremo, è rivolto tutto e per intero al popolo italiano. (Applausi dai Gruppi AN, FI, UDC e LP. Molte congratulazioni).
 
ANGIUS (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
ANGIUS (DS-U). Noi consideriamo questo provvedimento, signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, un danno per l'Italia e per questa ragione voteremo contro una legge che modifica 53 articoli della Costituzione repubblicana e l'intero ordinamento dello Stato. Si divide l'Italia in ciò che la dovrebbe unire: la sua Carta costituzionale.
Ci è stato insegnato che la Costituzione di un Paese, di uno Stato, ne stabilisce le ragioni del suo essere, ne motiva la sua esistenza. In essa si riconosce un popolo, una Nazione. Da oggi nel nostro Paese non è più così. Siamo divisi e dunque siamo più deboli. Questo è il danno per l'Italia e il referendum popolare, che promuoveremo un minuto dopo l'approvazione di questa legge, vi metterà un rimedio.
Oggi c'è qui l'onorevole Bossi. Mi rivolgo a lui: intanto le faccio il nostro e mio personale affettuoso augurio di buona salute. Siamo contenti che lei sia qui con noi oggi. (Generali applausi). Considero questa legge una vittoria politica di Bossi. Mi consenta però di dirle anche che considero questa legge una sconfitta per l'Italia.
Si approva la Costituzione italiana; voi la approvate, colleghi della Lega, ottenete ciò che volevate e volete. Vi sfido: perché non sventolate la bandiera italiana? Sventolatela, quella bandiera che è il simbolo di questo nostro Paese. (Commenti del Gruppo AN). Non lo farete perché dell'unità d'Italia e dell'Italia non vi importa nulla, non vi importa della sua unità, del suo prestigio e forse neanche della sua esistenza.
La questione, signor Presidente, alla fin fine è tutta qui. Questa pagina nera del Parlamento la scrivono una maggioranza ed un Governo che hanno accettato, dall'inizio della legislatura, il ricatto politico della Lega.
O si cambia la Costituzione come vogliamo noi - ha detto la Lega Nord - o non stiamo né nel Governo, né nella maggioranza. Tutto nasce da qui: o la dissolution o niente. Forza Italia, Alleanza Nazionale e l'UDC hanno subìto, hanno accettato, poi ci hanno messo del loro: Forza Italia, con il Premierato che toglie potere al Capo dello Stato e al Parlamento; Alleanza Nazionale, con la foglia di fico del cosiddetto interresse nazionale; l'UDC, alla fine, con la legge elettorale proporzionale.
Il cerchio si chiude: uno scambio, un mercato durato del resto tutta la legislatura con le leggi vergogna e con le leggi finanziare taroccate, compresa l'ultima, quella di 27 miliardi di euro che gli italiani pagheranno sborsando i soldi dalle loro tasche.
Abbiamo affrontato in questi mesi con spirito aperto il confronto parlamentare. Siamo una minoranza, dunque destinata ad essere sconfitta con il voto. Abbiamo sempre avanzato le nostre proposte, certo anche le nostre critiche, ma formulando i nostri dissensi abbiamo anche offerto proposte che sono state tutte respinte.
A un certo momento le opposizioni, compattamente, hanno formulato una proposta organica di riforma della Costituzione che recepiva alcune delle vostre proposte, ma anche in questo caso c'è stato il silenzio: anche quelle sono state respinte, cestinate.
Non so francamente che cosa avremmo potuto fare di più. Siete andati avanti da soli. Grandissima parte della cultura giuridica e costituzionale del nostro Paese vi ha chiesto a più riprese di fermarvi. Non c'è stato verso.
Ma la Costituzione di un grande Paese non è mai proprietà di una parte, non lo può essere per sua stessa natura. E questa legge, che altera la Costituzione, è vostra, è solo vostra! Giratela come volete, ma questo non è mai accaduto in nessuna democrazia moderna; persino in Iraq si è trovato il compromesso tra sciiti, sunniti e curdi. I veri fondamentalisti, signor Presidente del Senato, sono qui in Italia, non in Iraq. (Commenti dai Gruppi UDC, FI e AN. Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI-US e Misto-Pop-Udeur).
Questa legge indebolisce l'Italia, innanzitutto perché la divide sulla Carta costituzionale, sugli assetti istituzionali. È una legge che accentuerà la conflittualità tra le istituzioni, una legge che spacca l'Italia. In secondo luogo perché l'Italia conterà meno, molto meno, per esempio nell'Europa che si sta costruendo. Sarà più divisa.
Avremmo dovuto invece porci l'obiettivo di un'Italia più unita, più forte, più coesa, in modo da essere protagonista in Europa. E' una legge cieca che non affronta, rifiuta, non si misura con i problemi inediti e nuovi che le grandi democrazie del mondo stanno affrontando, non solo quello della lotta al terrorismo, che di per sé presuppone un Paese più unito più coeso, che sta insieme, che si tiene insieme, ma anche problemi di notevoli dimensioni, che il genere umano non ha mai conosciuto. Mi riferisco a quello della migrazione, che è al tempo stesso emigrazione ed immigrazione, che riguarda gli equilibri democratici, le identità culturali e storiche di grandi Paesi democratici.
Con questo ci stiamo misurando e ci si sta misurando nelle banlieue di Parigi o in tante città dell'Europa. Si tratta di qualcosa che riguarda il modo di pensare di un Paese, la concezione dello Stato, la visione della società, la coscienza collettiva di un Paese. Queste sono le sfide delle democrazia moderne. Questo è anche un problema delle nostre istituzioni.
L'altro giorno mi hanno colpito le parole del presidente francese Chirac, un uomo di destra, a proposito delle violenze nelle banlieue di Parigi. Un discorso duro, contro la violenza, contro quei giovani di diverso colore della pelle, di lontane origini. Il Presidente francese ha rivendicato, giustamente, la mano ferma, una repressione dura, ma poi ha aggiunto: «siete figli della Francia. E se tanti figli della Francia agiscono così, dobbiamo chiederci perché».
Vuol dire che c'è qualcosa che riguarda l'identità - ha usato questa parola - della Francia. Ha parlato di identità per sottolineare che costoro non si riconoscono, non si identificano, non ha detto che si tratta di pericolosi meticci che incrinano la purezza dell'identità francese. Quel Presidente sarà di destra, ma è un liberale aperto e intelligente. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U e Misto-Com).
Chi vince le elezioni ha diritto a governare, ma non può fare tutto. Ci sono limiti invalicabili sanciti dalla Costituzione repubblicana e posti alla stessa sovranità popolare. Chi gode della sovranità popolare ha il dovere di rispettarne i limiti, che nella nostra Costituzione sono chiaramente sanciti. Ripeto, la sovranità del popolo ha certamente dei limiti, perché la nostra Carta costituzionale non consente a nessuno che essa possa trasformarsi in una dittatura del proletariato, ma neanche nella dittatura di un uomo solo, di un Premier. Ecco perché la nostra democrazia è regolata. Ecco perché ci troviamo di fronte a questo enorme problema.
Conosco le vostre obiezioni, le ho ascoltate. La vostra obiezione fondamentale è una: voi avete fatto lo stesso nella precedente legislatura. Vi ho già risposto nella dichiarazione di voto da me svolta quando abbiamo esaminato nuovamente questa riforma. Penso che si sia sbagliato. Vi rispondo schiettamente, quindi. Credo tuttavia che quella modifica del Titolo V della Costituzione, all'epoca approvata da noi a maggioranza, fosse piccola cosa confronto alla questione che voi modificate. Questo è il mio parere. (Commenti dai banchi della maggioranza).
È stato comunque un errore. Ma se è stato un errore, il vostro è un errore ancora più grande. Personalmente resto convinto che le riforme costituzionali, quelle elettorali e le modifiche dei Regolamenti parlamentari debbano essere sempre decise insieme. Le regole si decidono insieme e quando si sbaglia si sbaglia. Quando si decide da soli si sbaglia sia quando si è al Governo sia quando si è all'opposizione. Non si può cambiare tanto profondamente una Costituzione impedendo il confronto su di essa. Non si può fare di una riforma profonda della Costituzione un patto, un accordo politico che tiene insieme un Governo ed una maggioranza, quali che essi siano.
Noi non vogliamo conservare questa Costituzione, o meglio la vogliamo conservare - lo hanno già detto altri colleghi, anche della maggioranza - nei suoi princìpi fondamentali, ma rendendola più viva, correggendola e non stravolgendola, integrandola e non demolendola, arricchendola e non immiserendola.
Molti poteri si danno al Presidente del Consiglio e si tolgono al Presidente della Repubblica e al Parlamento. Vengono colpite le funzioni di garanzia della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura, maggiormente controllate dal potere politico. Si alterano gli equilibri democratici di questo Paese. Non è soltanto una nostra preoccupazione. Si cancella il Parlamento, ridotto ad una camera di assenzienti. Comanda solo uno: il Capo del Governo che determina le leggi e se la sua maggioranza non accetta le sue determinazioni va a casa e il Parlamento viene sciolto. Non trovate che vi sia qualcosa di abnorme! Si separa il ruolo delle Camere, ma l'approvazione della legge diventa più farraginosa. Tanti passaggi in più, competenza di una Camera e poi dell'altra, competenza di entrambe per alcune materie.
Il Senato, ad esempio, viene ridotto ad una specie di camera morta perché non dà la fiducia al Governo - così è scritto nella vostra riforma - ma può impedire l'approvazione del bilancio, che è l'atto più importante che quel medesimo Governo deve compiere.
Per quanto concerne poi il federalismo, la cosiddetta devoluzione che io chiamo dissoluzione, vi sono poche righe, ma bastano e avanzano. Non giriamoci attorno. Il Sistema sanitario nazionale è gestito dalle Regioni in ogni sua forma e si spezzerà in venti sistemi regionali sanitari ognuno dei quali potrà essere diverso dall'altro. Il diritto alla salute potrà essere così diseguale: in Veneto in un modo, in Puglia in un altro; in Calabria in un modo, nel Lazio in un altro ancora e così via.
Il sistema scolastico nazionale, gestito dalle Regioni in ogni sua forma, si spezzerà in venti sistemi scolastici. Il diritto al sapere potrà essere diseguale. I nostri figli potranno apprendere storie diverse. Ma la cultura nazionale, l'identità nazionale (lo dico ai colleghi di Alleanza Nazionale) non si spezza così.
No, non è federalismo, è un'altra cosa, è dissoluzione. Il diritto alla salute, il diritto alla scuola devono essere uguali per tutti, si viola l'articolo 3 della Costituzione oggi in vigore! Diritti uguali per tutti, diritti sociali uguali per tutti, alla salute e alla scuola! (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un e Misto-Com).
Non cambiate: c'è un centralismo vero nelle vostre politiche concrete, il centralismo delle politiche economiche e di bilancio, delle politiche ambientali. (Richiami del Presidente). Mi avvio a concludere, signor Presidente.
Perché non nominate mai il federalismo fiscale? Lo chiedo ad alcuni colleghi qui presenti della maggioranza. Nella precedente legislatura, signor Presidente del Senato, ci fu, sul federalismo fiscale (lo sanno bene i Presidenti attuali delle Commissioni bilancio e finanze), un accordo scritto, una conclusione alla quale giungemmo comunemente, unitariamente. Nella vostra riforma il federalismo fiscale non è nominato, un aspetto positivo sul quale potevamo essere d'accordo.
Concludo, signor Presidente. Vedete, anche quello che è accaduto in questi giorni svela le vostre bugie, le vostre contraddizioni: da una parte, la propaganda della devolution (della dissolution), dall'altra, la necessità di far quadrare i conti del Paese. La sentenza dell'altro giorno della Consulta, in fondo, anche la finanziaria appena approvata dimostrano che siete federalisti per scherzo; avete fatto il gioco delle tre carte: il buco l'avete fatto nei bilanci dello Stato, i costi li trasferite ai Comuni e alle Regioni e li fate pagare ai cittadini. Un capolavoro di federalismo.
Perché, colleghi della Lega, su questo tacete? Perché la Lega tace sul centralismo del Governo di cui fa parte? Tace perché, alla battaglia aperta che un tempo conduceva, preferisce, onorevole Bossi, le poltrone sicure del potere di Roma. Questo è davvero inaccettabile. (Richiami del Presidente). Ho finito, signor Presidente.
Siamo già in campagna elettorale, lo sappiamo bene, Governo e maggioranza probabilmente sanno di perdere le elezioni, contengono le perdite. (Commenti ironici dai banchi della maggioranza). Anziché fare i bilanci di questa legislatura fallimentare, continuano, io penso, a lanciare promesse; lo ha fatto il leader del Governo: l'ultima era la casa per tutti, l'altro giorno (Commenti dai banchi della maggioranza), poi è diventata la casa per gli sfrattati, che è un grande problema. Ma non è, signor Presidente del Consiglio, che ha pensato allo sfratto che l'attende il 10 aprile da Palazzo Chigi? (Applausi dal Gruppo DS-U. Commenti ironici dai banchi della maggioranza). Ho l'impressione di sì.
Ringrazio tutti i colleghi del mio Gruppo per l'impegno in questo lavoro negli ultimi giorni. Certo, è un danno per il Paese, ma è anche un'occasione mancata e me ne rammarico. Resta però in noi l'irriducibile convincimento e l'assoluta determinazione che nel nostro Paese non prevarranno né l'offesa, né, ancora meno, la lesione al patrimonio che ci è più caro e a cui non rinunceremo mai: questo nostro Paese, con questa sua Costituzione nutrita di giustizia e di libertà. (Vivi applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Misto-SDI-US, Misto-Pop-Udeur, Misto-Com e dei senatori Scalfaro e Amato. Molte congratulazioni). 
 
SCHIFANI (FI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
 
SCHIFANI (FI). Signor Presidente, vorrei assicurare al collega Angius che gli italiani già hanno notificato che prorogheranno di altri cinque anni il contratto di locazione al Premier. (Applausi dal Gruppo FI).
Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che con il voto di oggi non perda l'Italia, ma vincano tutti quegli italiani onesti che credono e vogliono il miglioramento e la velocizzazione dei processi decisionali delle istituzioni; che vogliono che le leggi si facciano più in fretta; che vogliono che i Governi votati e iPremier voluti dagli elettori non vengano sostituiti da altre maggioranze e da altri uomini; che vogliono sostanzialmente un sistema Italia modernizzato e vogliono la riduzione dei costi della politica, come ci accingiamo a fare con questo voto di grande responsabilità attraverso il quale riduciamo il numero dei parlamentari. (Applausi dal Gruppo FI).
Il collega Nania ha accennato all'esigenza di intervenire sugli errori della riforma costituzionale del Titolo V portata avanti dalla precedente maggioranza alla vigilia delle elezioni, perché potesse sbandierare quell'idea di federalismo che è stata sempre un vessillo dell'intera Casa delle Libertà e non soltanto di un partito di essa. Abbiamo quindi cercato di mettervi mano rimediando agli errori. Paradossalmente in alcuni punti l'abbiamo resa meno federale e meno regionalista, laddove abbiamo deciso di riportare tra le competenze dello Stato alcune materie che voi sciaguratamente avevate attribuito alle Regioni, come i trasporti e l'energia.
Abbiamo individuato l'esigenza di mantenere fermo un principio sacrosanto in capo allo Stato, quello del diritto alla salute. In questa riforma costituzionale (lo dico agli italiani che ci stanno ascoltando in una diretta televisiva voluta dall'opposizione; dopo aver ascoltato il collega Angius me ne spiego il motivo, perché attraverso la diretta televisiva si può parlare per slogan senza entrare nei particolari, anche se io mi sforzerò nel tempo assegnatomi di farlo) manteniamo fermo il diritto alla salute, il diritto sacrosanto degli italiani di avere una sanità valida, idonea, esigente, per tutti coloro che ne hanno bisogno.
Avremo un'istruzione unitaria - collega Angius, l'articolo 3 viene rispettato -, avremo dei programmi unitari, che si differenzieranno soltanto sulle materie localistiche. Non credo che sia un delitto di lesa maestà, collega Angius, il fatto che i ragazzi della Lombardia, così come i ragazzi della Sicilia, possano conoscere meglio la storia della loro Regione.
Nello stesso tempo vogliamo una migliore organizzazione della sicurezza. Qui abbiamo riesumato una vostra espressione, un modello di organizzazione della polizia locale, amministrativa e regionale, ripreso dalla riforma Bassanini, esimio esponente quest'ultimo del centro-sinistra.
Il 56 per cento degli italiani, intervistato dal CENSIS, è favorevole alla regionalizzazione della sanità. Gli italiani vogliono una sanità più regionale e più vicina alle loro esigenze, vogliono che i concorsi per primari o l'individuazione di un modulo ospedaliero vengano fatti secondo le esigenze localistiche e non dal Ministro della salute. Colleghi dell'opposizione, voi che contestate questa riforma perché paventate il pericolo che la sanità venga messa sotto i piedi, con la riforma Bassanini avevate cancellato quel Ministro e quel Ministero. C'è voluto un decreto del Presidente del Consiglio per reintrodurre quel Ministero e ora, in maniera devo dire abbastanza interessata, ma non convincente, lamentate il fatto che la sanità venga spaccata in due, spaccando in due il Paese.
Non è affatto così. Questo Governo ha aumentato il Fondo sanitario nazionale da 65 a 93 miliardi di euro; questi sono numeri, colleghi dell'opposizione, non sono soltanto tabelle. Questa è l'attenzione che il Governo ha rivolto in questi cinque anni alla sanità e alla salute dei cittadini italiani. (Applausi dal Gruppo FI).
Abbiamo detto no alla dissoluzione. Lo diciamo noi, colleghi, perché nella vostra riforma del Titolo V avevate introdotto un principio terribile, secondo il quale, se una Regione governata da una maggioranza di centro-destra o di centro-sinistra decideva di rivendicare, nei confronti di un Governo amico, più poteri, più competenze, poteva farlo e il Governo amico gliele dava. Questo era federalismo o piuttosto la dissoluzione di un Paese in relazione all'appartenenza politica? Avevate concepito questo; noi ci siamo fatti carico di cancellare il pericolo di provocare realmente la dissoluzione del Paese in funzione soltanto di previsioni, di scelte, di appartenenze politiche.
Abbiamo poi introdotto un principio essenziale, secondo il quale il Governo, lo Stato, vigila affinché le Regioni non possano legiferare contro la Costituzione, non possano violare i dettami costituzionali. C'è quindi un vigile attento, cioè lo Stato, il Governo, che fa in modo che le Regioni non vadano oltre le loro competenze. Non ci avevate pensato, nella vostra riforma del Titolo V, ma ora queste decisioni le stiamo prendendo noi.
Vi abbiamo chiesto più volte collaborazione, colleghi, vi abbiamo chiesto più volte incontri di vario genere, riservati ed ufficiali, per trovare punti di intesa, ma voi avete rinnegato ciò che pensavate del bicameralismo, dell'elezione diretta del Premier e della riduzione dei parlamentari. Avete cioè rinnegato le vostre proposte, che risultano scritte agli atti della Bicamerale. Esprimete un «no» politico pregiudiziale, esasperando il mancato confronto tra le forze politiche.
Nel proporre di ridurre i tempi di approvazione delle leggi, ci rifacciamo ad un modello già esistente in Germania, in Spagna, in Francia e in Austria. È un modello di bicameralismo che condividevate nella Commissione bicamerale e che condividete nei vostri testi di riforma depositati in Senato e alla Camera. Ecco perché ci chiediamo e vi chiediamo perché oggi dite «no» a voi stessi, a quello che sostenevate fino a qualche fa, soltanto per una questione squisitamente politica.
Abbiamo deciso di ridurre i costi della politica. Riduciamo il numero dei parlamentari del 20 per cento, signor Presidente e colleghi. Con grande responsabilità e coraggio, facciamo questa scelta. Purtroppo, dobbiamo lamentare che noi del centro-destra, da soli (visto che voi non votate questa riforma), ci stiamo assumendo questa responsabilità.
Quando state al Governo, voi fate ben altro. Mi spiace dover ricordare che nel Lazio, dove governate, avete aumentato gli assessori da 12 a 16 e le commissioni da 14 a 24. (Applausi dai Gruppi FI, UDC e del senatore Lauro).
 
NOCCO (FI). Bravo!
 
SCHIFANI (FI). In Calabria avete nominato tre nuovi Sottosegretari alla Presidenza e avete istituito quattro nuove commissioni speciali. In Campania avete istituito ben 12 commissioni speciali. (Applausi dai Gruppi FI, UDC e del senatore Lauro).
 
IZZO (FI). Bravo!
 
SCHIFANI (FI). Per non parlare poi dell'introduzione in Campania di un corso, che ha impegnato 1.300.000 euro, per aspiranti veline: non ho parole, signor Presidente! (Ilarità. Applausi dai Gruppi FI, UDC e AN).
Vogliamo un Premier voluto dai cittadini, che governi e che non possa essere mandato a casa come avete fatto con Prodi, sostituendo addirittura un pezzo di maggioranza. Lo abbiamo scritto in questo testo che modifica la Costituzione, su cui chiederemo agli italiani di votare a favore.
Abbiamo ripetuto e trascritto vostre proposte, che erano state avanzate dal collega Salvi in Commissione bicamerale. Un Premier voluto dagli italiani non può essere mandato a casa da maggioranze diverse; se rischia di perdere la maggioranza, egli stesso scioglie il Parlamento e si torna a votare. Non è un dittatore.
Su questa nostra proposta, che ritenevamo avreste pienamente condiviso, avete sollevato una grandissima protesta, sostenendo che l'Italia verrebbe sottoposta alla dittatura del Premier. Ci siamo allora fatti carico di questo aspetto e abbiamo introdotto nella nostra proposta un'idea dello stimatissimo collega Amato, secondo la quale, attraverso la sfiducia costruttiva, un Premier può essere sostituito dalla sua stessa maggioranza. Pertanto, collega Angius, non è più vero, come lei afferma, che può succedere che un Premier si svegli la mattina e decida di mandare tutti a casa, perché abbiamo recepito una vostra proposta contenuta nella bozza Amato.
Con l'emendamento 20.100, presentato dagli stimatissimi colleghi Bassanini, Villone e Passigli, avete proposto una norma pro ribaltone, che consente cioè alla maggioranza di cambiare il Premier attraverso la sostituzione di un pezzo della maggioranza con un pezzo dell'opposizione. È sostanzialmente ciò che avete fatto con Prodi! (Applausi dai Gruppi FI, UDC e dai banchi del Governo). Ma mi rendo conto del motivo per cui questo emendamento è firmato dai diessini e non da altri colleghi della Margherita: nel caso in cui doveste, malauguratamente per il Paese, vincere le elezioni (e non vincerete), con questa norma sareste già pronti a fare subito fuori Prodi, perché sapete che egli non può governare il Paese. (Applausi dai Gruppi FI, UDC, AN, del senatore Lauro e dai banchi del Governo).
Avete parlato di un Presidente della Repubblica privo di poteri. In realtà la nostra proposta gli conferisce il potere - che attualmente non ha - di nominare i presidenti delle Authority di garanzia e il Vice presidente del Consiglio superiore della magistratura. Certo, non potrà avallare cambi di maggioranza, ma questo in funzione della norma che introduciamo sull'elezione diretta del Premier.
Oggi, l'attuale Costituzione non consente al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere in presenza di maggioranze diverse da quelle volute dagli italiani. Questo noi vogliamo evitare: di trovarci davanti un Presidente della Repubblica immobilizzato nello sciogliere le Camere se si dovesse trovare davanti una maggioranza parlamentare diversa da quella espressa dagli italiani, ma che formalmente si presenta per il voto. (Applausi dal Gruppo FI).
Ma cosa ne pensano, gli esimi costituzionalisti della sinistra? Signor Presidente, colleghi, c'è un certo tal professor Augusto Barbera, persona che io conosco poco, ma che stimo molto, che è stato ed è professore ordinario di diritto pubblico a Bologna, eletto per cinque volte deputato nel PCI e nei DS, nel 1976 componente della Commissione affari costituzionali e della Commissione parlamentare per le questioni regionali, e nel 1992 delle Commissioni affari costituzionali e Bicamerale per le riforme istituzionali. Credo che abbia un curriculum di tutto rispetto.
Ebbene, è quella che io definisco la voce della verità. In un'intervista rilasciata al quotidiano «Il Sole-24 ORE» dice: «Il testo della CDL è attento alle esigenze unitarie e si muove nella prospettiva di un regionalismo forte. È paradossale, ma bisogna riconoscere che è toccato a un ministro leghista come Roberto Calderoli rimediare ai pericoli per l'unità nazionale del federalismo sgangherato del Titolo V dell'Ulivo». Lo dite voi! (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e LP).
«Corriere della Sera» del 26 marzo 2005: "Il federalismo della CDL non spacca in due l'Italia". Domanda: «E i poteri del Presidente della Repubblica?» Risposta: «Non credo che vengano umiliati».
Intervista recentissima, di ieri: «Macché attentato all'unità nazionale, saremo più centralisti». Domanda: «Chi grida alla dittatura può dunque stare tranquillo?» Risposta: «Tranquillissimo, anche se sono discorsi da far cadere le braccia: sia Schröder che Blair hanno sciolto anticipatamente i loro Parlamenti e a sinistra nessuno li ha certo paragonati a Mussolini». (Applausi dal Gruppo FI).
Cosa farete, colleghi, nei confronti del professor Barbera? Pensate di fare quello che state facendo ai dirigenti diessini di Venezia, che hanno deciso di appoggiare Cacciari? (Applausi dai Gruppi FI e UDC).
Colleghi, abbiamo introdotto, in questa riforma, una garanzia per le opposizioni: i Regolamenti parlamentari potranno essere cambiati soltanto con una maggioranza qualificata dei tre quinti; la Presidenza delle Commissioni di garanzia alle opposizioni; l'elezione dei Presidenti delle Camere, se pure alla quarta votazione, non potrà sfuggire all'obbligo della maggioranza assoluta dei componenti delle Camere, norma non attualmente esistente nei nostri Regolamenti. Attenzione massima dunque ai diritti dell'opposizione, nella consapevolezza che si può essere maggioranza e opposizione nella logica dell'alternanza.
E allora, colleghi, credo che quando si sacrifica davanti all'altare dell'opportunismo la coerenza, chi fa questo sacrificio non offende solo se stesso ma anche la parte politica cui appartiene. Ebbene, voi lo state facendo e ce ne dispiace, perché noi utilizzeremo il referendum in campagna elettorale per spiegare al Paese quello che stiamo facendo e quello che c'è di positivo in questa riforma, che tende a modernizzare lo stesso Paese.
Un saluto, un augurio ed un abbraccio sentito a Umberto Bossi. Io lo avevo salutato il 25 marzo del 2004. (Prolungati applausi dai Gruppi FI, AN, UDC, LP e dai banchi del Governo). Avevo manifestato espressioni di augurio per una sua guarigione nel mio intervento di dichiarazione di voto sulla riforma costituzionale il 25 marzo 2004. Siamo oggi felici che quegli auguri siano stati fruttiferi per la sua guarigione. Assicuriamo all'onorevole Bossi che questo nostro voto è e sarà realmente rispettoso della Costituzione.
Vedete colleghi, e concludo signor Presidente, ho davanti il tabulato delle votazioni della seduta della Camera dei deputati del 28 febbraio 2001. In quella occasione, quella maggioranza con quattro voti di maggioranza soltanto (la maggioranza prevista era di 312 voti ed i voti furono 316) ebbe ad approvare la riforma del Titolo V.
Colleghi, voi avete rispettato formalmente la Costituzione, ma non l'etica della politica, perché avete avuto bisogno di ben 19 voti di parlamentari eletti nel centro-destra che erano passati nel centro-sinistra. Quello è un voto che, formalmente corretto, è eticamente scorretto: avete utilizzato una maggioranza illegittima per cambiare la Costituzione! (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC, LP, dai banchi del Governo e del senatore Lauro).
Noi non lo faremo, non lo stiamo facendo. I tabulati del nostro voto, così come i tabulati della Camera, rimarranno segnati e affidati alla storia e la storia sarà segnata anche dal voto dei cittadini italiani, che diranno sì a questa storica riforma. (Vivi applausi dai Gruppi FI, AN, UDC, LP, dai banchi del Governo e del senatore Lauro. Molte congratulazioni). 
 
Ripresa della discussione del disegno di legge costituzionale n. 2544-D (ore 19,13)
 
PRESIDENTE. Riprendiamo le dichiarazioni di voto finale.
 
FISICHELLA (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.
 
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola. (Commenti dai Gruppi AN, UDC e FI).
 
PAGANO (DS-U). E la democrazia dove è finita?
 
FISICHELLA (AN). Signor Presidente del Senato, signor Presidente del Consiglio dei ministri, colleghi, nella passata legislatura ho contrastato la riforma del Titolo V della Costituzione voluta dal centro-sinistra ed ho cercato di spiegare le ragioni di tale mio orientamento e del voto negativo che ne è conseguito. Anche nella presente legislatura, e in continuità di atteggiamento, ho contrastato la riforma costituzionale promossa, questa volta, dal centro-destra, votando contro. Confermo adesso tale voto contrario perché non mi pare che il quadro sia migliorato.
Non è necessario ripetere cose già dette; un solo punto voglio richiamare. Mi sono fermamente opposto alla cancellazione della nozione di interesse nazionale attuata dal centro-sinistra nella passata legislatura. Sarei stato pronto a salutare, come un fatto positivo, il recupero del concetto di interesse nazionale intervenuto nel disegno di legge costituzionale che il Senato si accinge oggi a votare in via definitiva.
Purtroppo la collocazione della recuperata nozione di interesse nazionale non consente valutazioni apprezzative. La questione, infatti, è sottoposta al Parlamento in seduta comune e basta considerare, per non dire altro, la nuova articolazione del Senato federale per cogliere le difficoltà di un'efficace e obiettiva valutazione dell'interesse nazionale.
Detto questo, e in ragione di una scelta che annuncerò presto, per me molto difficile, debbo aggiungere qualche altra parola, ed il senso di queste poche parole è il seguente. C'è una storia nazionale nella quale io mi riconosco che non contempla il federalismo; c'è un storia familiare e personale che non contempla il federalismo.
Non ripercorrerò le vicende di quanti nella mia famiglia, dal Risorgimento ad oggi, hanno patito le repressioni borboniche, servito la patria in uniforme, conseguito medaglie al valor militare, subito l'internamento nei campi di concentramento nazisti, militato come parlamentari del vecchio Movimento Sociale italiano. Hanno fatto il loro dovere e questo dovere non contemplava il federalismo.
Aggiungo che credo di aver fatto qualcosa per la nascita e lo sviluppo di Alleanza Nazionale, al cui interno, peraltro, mi sono costantemente impegnato perché fosse evitato l'esito federalista. Oggi siamo all'epilogo; ne prende serenamente atto, senza malanimo verso nessuno. Lascio Alleanza Nazionale.
Le mie dimissioni decorreranno dal momento dell'approvazione di questa riforma costituzionale, cioè tra pochi minuti. Su di essa il mio voto è contrario, come ho già detto. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Misto-SDI-US e dei senatori Grillo, Castagnetti e Pagliarulo).
 
ROLLANDIN (Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.
 
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.
 
ROLLANDIN (Aut). Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi, prendo la parola come senatore della Vallée d'Aoste, Regione bilingue. Francamente, so di non poter pretendere che il collega messinese Nania conosca il francese, però pensavo fosse lecito aspettarsi che pronunciasse Vallée d'Aoste in modo corretto.
Nell'intervento in discussione generale avevo chiesto chiarimenti in merito alla applicabilità alle Regioni a Statuto speciale delle norme dell'articolo 45 riferite all'interesse nazionale. Da interventi di colleghi e da precedenti affermazioni del ministro Calderoli e del presidente Pastore sembrava dedursi che le Regioni a Statuto speciale fossero escluse.
Nella replica del Ministro e del relatore non c'è stato alcun riferimento al tema. Da ciò ne deduco che vale l'interpretazione letterale del testo, con la conseguente possibilità di impugnativa delle leggi regionali da parte del Governo, senza che le Regioni possano far ricorso alla Corte costituzionale per una pronuncia ufficiale. Questo costituisce un rischio reale di innescare un conflitto tutto politico sul tema cardine dell'autonomia delle Regioni a Statuto differenziato: la potestà legislativa esclusiva e concorrente. Il tutto rappresenta una potenziale violazione dei dettati dell'articolo 114 della Costituzione, che sancisce la pari dignità tra Stato e Regioni.
Per questa considerazione, che si aggiunge ai rilievi già evidenziati, in particolare in merito alla soluzione prospettata per l'intesa tra Stato e Regioni per le modifiche degli Statuti speciali, che rende inconsistente il potere contrattuale delle Regioni, pur condividendo i contenuti della cosiddetta devolution di cui al decimo comma dell'articolo 39, voterò contro il disegno di legge, che propone radicali cambiamenti che non posso condividere. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Misto-Com, Verdi-Un e dei senatori Betta e Michelini).
 
BETTA (Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.
 
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.
 
BETTA (Aut). Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi, alla modifica della Costituzione promossa da Bossi, quando venne presentata in prima lettura al Senato, come Gruppo delle Autonomie avevamo detto «sì», perché ampliava le competenze delle Regioni a Statuto ordinario, rafforzando così il sistema delle autonomie regionali e locali.
Insieme al collega Michelini, invece, voterò - e mi dispiace - «no» a questa modifica per molte ragioni.
La legge Bossi è stata ridimensionata al punto da renderla inconsistente. Basta pensare che la competenza in materia di polizia è stata declassata da ordine pubblico ad esercizio burocratico per l'uso pubblico di locali ed impianti proprio della polizia amministrativa.
Alle Regioni sono state sottratte competenze molto importanti loro assegnate con la legge costituzionale del 2001. Ricordo ai colleghi che su quella legge un referendum c'è già stato e il popolo sovrano si era espresso meno di quattro anni fa; oggi con questa decisione il Senato cambia anche quella espressione di voto.
Al Governo è stato conferito il potere di chiedere al Parlamento di annullare le leggi regionali per ragioni di merito all'ombra del principio dell'interesse nazionale.
Le Regioni a Statuto speciale possono modificare i loro Statuti, concordando le proposte con il Parlamento per un periodo massimo di tre mesi, dopodiché devono accettare o respingere le proposte fatte dal Parlamento; per respingerle, i Consigli regionali devono esprimersi con la maggioranza dei due terzi dei consiglieri assegnati. Essi non votano per accettarle ma solo per respingerle, cosicché la modifica statutaria finisce per costituire una imposizione dello Stato alla comunità regionale.
Vi sono, poi, le ragioni di carattere generale. Il Parlamento cambia il suo ruolo, peggiorandolo, a mio giudizio, sia perché viene suddiviso in due Camere disuguali, con un percorso confuso per quanto riguarda l'approvazione delle leggi, sia perché può essere sciolto a richiesta del Presidente del Consiglio dei ministri.
In questo modo l'interlocutore delle Regioni non sarà, come dovrebbe essere in uno Stato federale, il Senato federale della Repubblica, ma il Governo che, rafforzato nei suoi poteri, continuerà, come è avvenuto fino ad oggi ad essere l'interlocutore vero delle Regioni. Infine vengono meno le garanzie del Presidente della Repubblica, che è indebolito, e viene compromessa l'autorevolezza della Consulta.
Mi pare vi siano molti motivi per dire «no». Infine, voglio esprimere la mia contrarietà anche perché questa è una riforma sbagliata; è soprattutto una riforma della maggioranza e non penso che serva dire: lo avete fatto anche voi. Credo che la maggioranza debba assumersi le sue responsabilità ora, senza ricercare le colpe delle vecchie maggioranze del passato.
Penso che sia una brutta pagina e mi auguro che il Parlamento ed il Senato non veda più decisioni prese in questo modo sulle regole fondamentali. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI-US e Misto-Pop-Udeur).
 
PRESIDENTE. Siamo all'epilogo, colleghi. Prima di giungervi, desidero anch'io, a titolo personale associarmi al saluto ed all'augurio cordiale all'onorevole Bossi qui presente oggi. (Generali applausi). Cari auguri a lei, onorevole Bossi.
Prima di passare alla votazione finale, ricordo che, ai sensi dell'articolo 124, comma 1, del Regolamento, il disegno di legge sarà approvato in seconda deliberazione, e in via definitiva, se otterrà il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti del Senato.
 

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Speciale "Referendum costituzionale" 2006