Dichiarazioni di voto Ddl di revisione
Costituzionale: Senato - 16 novembre 2005
Fonte: Senato |
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È la prima parte della Costituzione,
quella che enuncia i princìpi fondamentali, a esser lesa da questa
riforma; se è vero - come è vero - che il principio di uguaglianza
è cardine della nostra democrazia, viene compromessa l'identità
costituzionale della Repubblica in quanto una e democratica.
In compenso, Padania felix, la Lega rimane
al Governo.
Forza Italia ha voluto il Premierato forte,
illudendosi forse che Berlusconi sia eterno. Ha ridotto così la
Camera dei deputati a un esercito di soldatini condannati ad andare a casa
al primo no; il Senato a un ibrido, né Camera politica, né
Camera territoriale, utile solo a complicare l'iter delle leggi fino al
parossismo; il Presidente della Repubblica, una delle poche istituzioni
rimaste autorevoli, ancora depositarie della fiducia degli italiani, a
poco più che un cerimoniere. Fin qui la Costituzione.
Ma nessuna illusione è più
fallace di quella dell'eternità del proprio potere e da ultimo se
n'è accorto anche il Presidente del Consiglio. Via libera, allora,
all'ultima bandierina, influente anche se fuori campo, ossia formalmente
fuori dalla riforma costituzionale. La bandierina dell'UDC sulla riforma
elettorale proporzionale, che ha il grande merito politico - agli occhi
di chi teme di perdere le elezioni - di contraddire in modo stridente una
forma di Governo concepita in stretta coerenza con la legge maggioritaria.
È così garantito, almeno per la prossima legislatura, un
sufficiente tasso di ingovernabilità e instabilità, a dispetto
della mirabile architettura costituzionale.
A un sistema di garanzie democratiche
fondato su un equilibrio attento di pesi e contrappesi, un sistema che
ha retto a passaggi epocali, dalla trasformazione dello scenario internazionale
al ricambio traumatico della classe dirigente, alla rivoluzione pacifica
del maggioritario, si sostituisce una perversa mistura di spirito autoritario
e caos. (Richiami del Presidente).
I Popolari Udeur voteranno ancora una
volta no. Oggi non è la più triste tra le tante pagine tristi
di questa legislatura, per la semplice ragione che potremo subito voltarla.
Voteremo ancora una volta no; e questa
volta non sarà un voto di testimonianza, com'è normalmente
quello dei parlamentari di opposizione. Ciascuno dei nostri no sarà
utile ad evitare la maggioranza qualificata che renderebbe drammaticamente
definitiva questa riforma iniqua e irresponsabile. Ciascuno dei nostri
no renderà possibile quel referendum che, ne siamo sicuri, consentirà
all'Italia di voltare in fretta quella pagina. (Applausi dai Gruppi Misto-Pop-Udeur,
DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un e Misto-Com).
MARINI (Misto-SDI-US).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARINI (Misto-SDI-US). Signor Presidente,
onorevoli colleghi, non credo di essere eccessivo se chiamo il provvedimento
che state per approvare "legge vergogna".
State per negare agli italiani i diritti
fondamentali di cittadinanza, rappresentati dalla tutela che lo Stato deve
garantire: diritto alla salute, all'istruzione e alla sicurezza per tutti
i cittadini, in maniera equa e senza distinzioni territoriali.
Non può sfuggire anche alla riflessione
meno attenta come una sanità regionale possa negare il diritto alla
salute ai cittadini delle Regioni più deboli. Una sanità
pubblica senza adeguati sostegni finanziari e carente di infrastrutture
e servizi è inidonea a soddisfare l'esigenza di proteggere la salute
dei cittadini.
Una scuola regionale non solo contraddice
la necessità di avere un'unica istituzione di formazione dello spirito
nazionale, ma, consentendo percorsi formativi improntati alle esigenze
di ogni singola Regione, crea degli insuperabili confini alla libera circolazione
dei cittadini all'interno del Paese. Distruggete, in tal modo, il principio
di pari opportunità che lo Stato deve offrire a tutti.
E anche il diritto alla sicurezza, già
non sufficientemente garantito in alcune aree del Paese, può subire
un ulteriore indebolimento, fino al punto di produrre una sospensione della
legalità con la istituzione della polizia locale.
Come se non bastasse, l'intero dispositivo
della legge sembra essere dettato da un pensiero schizofrenico. Infatti,
si introduce il Premierato, che pone il Parlamento in una posizione di
debolezza, e contemporaneamente si propone una legge elettorale di tipo
proporzionale. Il proporzionalismo è lo strumento elettorale del
parlamentarismo e mal si concilia con Governi monocratici.
Le elezioni con il metodo proporzionale
sono funzionali al primato assoluto del Parlamento; il Governo ne è
un'emanazione, al punto che deve avere e conservare per tutta la sua durata
la fiducia dell'Assemblea.
Questa vostra controriforma, onorevoli
della maggioranza, è contro i principi della democrazia parlamentare
e del tutto estranea alla dottrina costituzionale. Un pasticcio che si
caratterizza per innaturali contorsioni. La monocrazia del Premierato è
senza contropoteri e per giunta indebolisce le autorità di garanzia:
Presidente della Repubblica e Corte costituzionale.
Il cittadino è assente nell'impalcatura
costituzionale che state per disegnare e lo dimostrate con impressionante
testardaggine: infatti, proponete il ritorno al proporzionale, sopprimendo
il voto di preferenza. Il cittadino, quindi, viene privato del diritto
di scegliere chi dovrà rappresentarlo. Questa è una grave
lesione della democrazia e del principio di rappresentanza.
Non dimenticate mai che una sana democrazia
vive e progredisce se sulle regole generali di governo della società
vi è ampio consenso. La riforma scritta da voi non rappresenta la
maggioranza del Paese. È una riforma di parte, minoritaria, nata
dalle pressioni ricattatorie di una parte della maggioranza e subita dall'altra,
per esigenze di sopravvivenza.
Se vi chiedessimo di fermarvi non ci ascoltereste,
per cui non ci rimane che votare contro e appellarci alla coscienza democratica
del Paese. (Applausi dai Gruppi Misto-SDI-US, Verdi-Un, DS-U e Mar-DL-U).
FALOMI (Misto-Cant).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FALOMI (Misto-Cant). Signor Presidente,
una vera democrazia, se non vuole degenerare in dittatura dalla maggioranza,
deve porre argini solidi al potere di chi vince le elezioni. Voi invece
state demolendo gli argini robusti che i partiti antifascisti costruirono
per mettere l'Italia al riparo dal pericolo di nuove forme di dittatura.
Volete un uomo solo al comando, con enormi
poteri, inamovibile per cinque anni, solo perché è stato
eletto. Ma la storia, com'è noto, è ricca di dittatori eletti.
Vi fate forti del diritto degli elettori della coalizione vincente a vedere
realizzato il programma per il quale hanno votato. Vi chiedo: nel vostro
programma elettorale c'era forse scritto che avreste alleggerito le pene
per il falso in bilancio o che avreste garantito per legge l'impunità
del Presidente del Consiglio? C'era forse scritto che avreste coinvolto
l'Italia in una guerra scatenata sulla base delle menzogne o che avreste
cambiato la legge elettorale a favore di un finto sistema proporzionale
solo perché vi conviene? No, tutto questo non c'era.
Avevate annunciato un nuovo miracolo economico
e ci avete regalato un lungo periodo di stagnazione e di impoverimento
di ampie fasce della popolazione; avevate promesso lavoro per tutti e avete
creato soltanto un esercito di giovani precari senza diritti, che hanno
la sola prospettiva di rimanere precari a vita. Ve ne siete infischiati
della volontà degli elettori e adesso la invocate per stravolgere
la Costituzione.
Per questo diciamo oggi, e diremo domani
nel referendum, un no chiaro e netto allo scempio che oggi si sta per compiere.
(Applausi dai Gruppi Verdi-Un, DS-U, Mar-DL-U e Misto-Com).
COLOMBO (Misto).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLOMBO (Misto). Signor Presidente, voterò
contro la riforma cosiddetta federalista per alcune essenziali ragioni
che sono insieme di principio e di metodo.
La prima obiezione è di metodo:
si è pervenuti ad una riforma della Costituzione in un clima di
discordia e contrapposizione, privando il testo di un coerente disegno
culturale e politico, che solo potrebbe garantire unità, organicità,
comprensibilità e quindi una corretta interpretazione ad un ordinamento
istituzionale.
A ben vedere, la questione di metodo non
attiene, se non in minima misura, al galateo istituzionale, ma attiene
invece alla sostanza di un provvedimento che è destinato ad incidere
profondamente sui lineamenti della Repubblica, che nella Costituzione -
ora è 60 anni - immaginammo e disegnammo, seppur in un clima acceso
di contrapposizione politica e ideologica, consapevoli tuttavia di una
comune responsabilità verso l'Italia.
Purtroppo, il testo che ci viene sottoposto
non è condivisibile nemmeno da quanti, come me, sono convinti che
la Costituzione non è un testo inemendabile, sotto la spinta di
una storia e di un costume che cambiano e che chiedono di vivere dentro
le istituzioni, che li interpretino adeguatamente e durevolmente.
È quindi difficile dare il consenso
ad un groviglio istituzionale, dal quale è difficile estrarre con
chiarezza quale sia la forma di bicameralismo, quale il senso di un Senato
federale, privo com'è di riferimenti veri al territorio, quale sia
il rapporto e quali le garanzie di tale rapporto fra Primo Ministro, Governo,
Parlamento soprattutto, nonché poteri e funzione del Presidente
della Repubblica. E c'è, infine, la questione della composizione
e del funzionamento della Corte costituzionale.
La devolution, inoltre, mantiene il carattere
di disarticolazione dello Stato e di fonte inesauribile di contenzioso.
Ma essa, nella sua più recente formulazione, per una sorta di eterogenesi
dei fini, viene proposta in termini che potrebbero configurare anche una
concezione neocentralista.
È un'architettura complessiva,
dunque, irricevibile e claudicante, piena di insanabili contraddizioni,
dalla quale auspichiamo fin d'ora che il popolo italiano, con il suo voto,
sappia liberarsi e liberarci e ci adopereremo perché questo avvenga.
(Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-Un, Misto-SDI-US, Misto-Com
e del senatore Scalfaro. Congratulazioni).
KOFLER (Aut).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
KOFLER (Aut). Signor Presidente, onorevoli
Ministri e Sottosegretari, colleghe senatrici e colleghi senatori, nel
tentativo di proporre una brevissima valutazione generale della riforma
costituzionale che stiamo votando, va dato atto che il superamento del
bicameralismo perfetto è in parte riuscito: non tutte le leggi dovranno
più passare per Camera e Senato.
Purtroppo, ciò non significherà
una semplificazione vera e propria dell'iter della formazione delle leggi.
La molteplicità di tipologie di leggi (leggi a prevalenza Camera,
leggi a prevalenza Senato e leggi bicamerali), infatti, farà sì
che i conflitti di attribuzione tra le Camere saranno non l'eccezione,
ma la regola. Il tutto poi è ulteriormente complicato da nuovi istituti,
quali la Commissione di conciliazione, oppure il caso della prevalenza
del Governo sul Senato in occasione della cosiddetta fiducia indiretta.
Altro tema importante della riforma doveva
essere il Senato federale. Purtroppo, i fatti sono rimasti molto indietro
rispetto alle attese. Il nuovo Senato porta sì il nome «federale»;
però, mancano elementi forti del suo radicamento sul territorio.
La contestualità della sua elezione con quella dei Consigli regionali
non è certo un elemento sufficientemente forte per garantire tale
radicamento sul territorio.
Il fatto di aver previsto partecipanti
alle sedute del Senato eletti in sede locale ma che non hanno diritto di
voto non aumenterà certamente la proficuità del lavoro di
un consesso a composizione così eterogenea. Un vero Senato federale,
secondo il mio punto di vista, sarebbe la Conferenza dei Presidenti delle
Regioni nella odierna composizione, dotata però di poteri legislativi.
Tralascio altri passaggi della riforma
che non trovano certo il consenso di noi Autonomisti, quali, ad esempio,
il ritrasferimento cospicuo di competenze dall'ambito regionale a quello
statale ed un indebito rafforzamento del ruolo del Primo Ministro a scapito
del ruolo di garanzia costituzionale del Presidente della Repubblica.
Mi soffermo, invece, un attimo sulle autonomie
speciali. Va dato atto che con l'introduzione di una nuova procedura di
modifica degli Statuti speciali è aumentato il potere delle entità
ad autonomia speciale a regolamentare, ma anche a gestire il proprio futuro
rispettando le diversità e peculiarità storico-culturali
e sociali.
Purtroppo, manca un riferimento specifico
alla espressione di volontà da parte delle minoranze stesse. Ribadisco,
anche in questa occasione, che nel caso della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol
è comunque obbligatorio l'assenso delle minoranze stesse e dell'Austria
a riguardo delle modifiche statutarie di rilievo, in quanto lo Statuto
si basa sull'Accordo internazionale di Parigi, a tutela delle minoranze
linguistiche tedesca e ladina.
Una salvaguardia esplicita delle autonomie
speciali da procedure del Governo che implicano un sindacato politico e
di merito avrebbe sottolineato fortemente questa volontà, più
volte manifestata dal Governo, di voler far crescere le autonomie tutte,
ed in particolar modo anche quelle speciali.
Purtroppo, Governo e maggioranza erano
contrari ed hanno introdotto l'interesse nazionale, non meglio specificato,
quale limite alla legislazione regionale. Esso si presta ad interventi
di interferenza politica e di un vero controllo politico da parte del Governo
sulla Regione.
Con ciò, Governo e maggioranza
hanno dimostrato che non sono convinti di quanto hanno dichiarato, non
intendono rispettare quanto già acquisito nell'ambito della sfera
di competenza delle autonomie speciali, non esitano a diminuire pro futuro
la tutela delle minoranze prevista dagli Statuti speciali.
Queste considerazioni e quanto detto sopra
sulle incongruenze e contraddittorietà, nonché sui peggioramenti
delle garanzie costituzionali, inducono, noi senatori della Südtiroler
Volkspartei, ad un voto di astensione. (Applausi dal Gruppo Aut).
TURRONI (Verdi-Un).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TURRONI (Verdi-Un). Signor Presidente,
colleghi, rappresentanti del Governo, con questa modifica della Costituzione
avete infranto il Patto costitutivo della nostra Repubblica.
Con la devolution avete posto le premesse
per la divisione dell'Italia. Avete attribuito poteri incontrollati ad
un Presidente del Consiglio che chiamate Premier. Avete tolto ruolo e funzioni
al Parlamento, che considerate un impedimento all'azione del Governo. Avete
cancellato i poteri di garanzia del Capo dello Stato. Avete stravolto,
politicizzandola, la funzione della Corte costituzionale.
Oggi è un giorno triste per il
Parlamento, funesto per la Repubblica, di lutto per la democrazia. Per
questo, noi Verdi useremo una parte del nostro tempo osservando un minuto
di silenzio. (I senatori del Gruppo Verdi-Un si levano in piedi. Commenti
dal Gruppo FI).
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, si
può fare una dichiarazione di voto anche in silenzio.
TURRONI (Verdi-Un). Grazie, colleghi.
( Applausi dai Gruppi DS-U e Mar-DL-U).
Questa legge di modifica della Costituzione
sarà cancellata dal referendum a cui noi, parlamentari dell'opposizione,
chiameremo i cittadini italiani, e insieme con noi lo faranno le Regioni.
Questa mattina, nel suo intervento di
replica, in maniera assai demagogica, il ministro Calderoli ha detto che
è vostra intenzione sottoporre la legge al popolo. Pura demagogia.
Ministro Calderoli - non lo vedo in Aula,
non c'era neanche ieri durante la discussione generale, ma mi rivolgo idealmente
a lui - lei si rivolge al popolo nello stesso modo con cui lo faceva Maria
Antonietta, quando diceva che al popolo affamato potevano essere date brioches.
Noi ci rivolgiamo ai cittadini, ai quali chiederemo di cancellare questa
legge perché nega quei diritti di uguaglianza che la Costituzione
repubblicana riconosce.
Siete tutti qui oggi, in grande spolvero,
ma durante il dibattito generale di questi due giorni, quest'Aula era paurosamente
vuota; brillavate per la vostra assenza, forse alcuni di voi vergognandosi
davvero per quello che stavate facendo. Mancavano persino i saggi di Lorenzago,
mancava, come ho detto prima, il ministro Calderoli; forse mancava anche
la convinzione in molti di voi.
Mi ha colpito molto, in particolare, la
scomparsa, tra le altre, della magica parola "antiribaltone", che è
stata quella più gridata e ripetuta durante tutto il periodo di
esame del disegno di legge. Una vera fissazione per taluni di voi.
La ragione per cui non se ne parla più
è da ricercare nelle parole del ministro Tremonti, che ieri ho definito
lo chaperon di Lorenzago, il quale, dopo la vostra legge elettorale - l'ennesima
vergogna proposta per cercare di limitare i danni o creare le situazioni
di una ingovernabilità - propone la grande coalizione.
Molti si sono affrettati a smentire, ma
sappiamo che a questa ipotesi state concretamente lavorando. Voi siete
dunque i veri "ribaltonisti", come lo eravate all'inizio, quando avete
costituito il vostro primo Governo, per dar vita al quale avete comprato
il voto di un senatore, ricompensandolo molto bene con importanti cariche.
E non possiamo neppure dimenticare che proprio la Lega, che oggi è
qui ed ottiene il suo successo - assai temporaneo e assai breve perché
durerà pochi mesi fino al referendum - ribaltò quel Governo,
facendone nascere un altro guidato dal presidente Dini.
Voi ora osate accusare noi, ma nessuno
cade in questo inganno, miei cari: siete stati voi a cancellare il bipolarismo
con la legge elettorale che avete presentato e siete voi a proporre la
grande coalizione, i grandi inciuci. Questo è quello di cui voi
siete capaci.
Molti sono i punti pericolosi di questa
ulteriore e grande opera del vostro Governo, che, nonostante i passaggi
alla Camera e poi al Senato, sono rimasti intatti nella loro pericolosità
o, addirittura, in taluni casi peggiorati.
Mi riferisco, innanzitutto, alla previsione
di un inedito Senato federale della Repubblica, che non è rappresentativo
delle Regioni e neppure più organo di garanzia o di contrappeso
a rilevanti, confuse e prolisse modifiche del procedimento di formazione
delle leggi; al cambiamento del ruolo costituzionale del Presidente della
Repubblica, di cui ho già detto prima, con la riduzione dei poteri
e delle funzioni da lui esercitate, ridotto a semplice notaio (forse uno
dei saggi di Lorenzago ha pensato a ridurre il Presidente della Repubblica
a semplice notaio); infine, alla concentrazione inaccettabile ed antidemocratica
di poteri nelle mani del Primo Ministro, che chiamate Capo del Governo,
nonché all'asservimento delle Assemblee rappresentative ed alla
modifica della composizione del Consiglio superiore della magistratura
e della Corte costituzionale. Sullo sfondo rimarrà l'estensione
della potestà legislativa delle Regioni, definita impropriamente
esclusiva per alcune materie.
Signor Presidente, come abbiamo fatto
durante tutto questo periodo, intendiamo segnalare, in particolare, che
c'è un aspetto assai grave contenuto nella modifica della Costituzione
che ci viene proposta, che riguarda quello che abbiamo detto anche quando
siamo andati a piantare la bandiera tricolore sul prato di Pontida: vogliamo
mantenere l'Italia unita, impedire che questa modifica costituzionale crei
le premesse per la sua divisione.
Ebbene, dalle leggi necessariamente bicamerali
sono state eliminate quelle che disciplinano l'esercizio dei diritti fondamentali
di cui agli articoli dal 13 al 21 della Costituzione, decisione assai pericolosa
se considerata nel complessivo assetto del progetto che vede la Camera
rappresentativa in condizioni di sudditanza rispetto al Governo, costretta
a seguirne le indicazioni, pena il suo scioglimento. Non figura più
l'espressa menzione delle leggi, anche annuali, concernenti la perequazione
delle risorse finanziarie tra quelle di competenza paritaria.
Questa - caro ministro Calderoli, mi riferisco
sempre alla sua replica di questa mattina - è la ragione per cui
sosteniamo che state spaccando l'Italia, dividendola tra le zone più
ricche e quelle più povere del Paese, le zone del Sud. Questa è
la realtà, è inutile nasconderla.
Più volte in Aula abbiamo denunciato
l'attività di spoliazione del Parlamento delle sue prerogative attraverso
il ricorso ai decreti, ai voti di fiducia, alle leggi delega. Il Parlamento
è stato inteso da voi come ostacolo al libero fare del Governo e,
soprattutto, del suo Presidente; il tutto, con il contingentamento dei
tempi, con le blindature, con i parlamentari trasformati in pigiatori di
bottoni. Tutto ciò sarà esaltato, con il Parlamento - ribadisco
- ridotto e spogliato delle sue competenze. Questo è quello che
state proponendo.
Molti studiosi e uomini politici nelle
loro riflessioni hanno spesso fatto riferimento ad una Costituzione materiale
che si sovrappone a quella dei Padri costituenti. Ciò, a mio avviso,
ha cercato di mascherare le profonde e negative modificazioni avvenute,
in particolare, in questi ultimi anni nella vita politica del Paese. In
nome della cosiddetta governabilità, sono stati progressivamente
sottratti poteri alle assemblee elettive per trasferirle agli esecutivi,
come nel caso delle amministrazioni locali, in cui, tra l'altro, l'operato
degli organi esecutivi è stato anche sottratto a qualsiasi attività
di controllo. Questo è il vostro modello di Governo.
Se analizziamo - come dicevo prima - l'attività
parlamentare, possiamo notare che la maggior parte dei provvedimenti approvati
riguarda decreti-legge e decreti legislativi, nei confronti dei quali il
ruolo del Parlamento è ridotto a semplice ratificatore. Le stesse
leggi delega approvate, che hanno affidato al Governo il compito di predisporre
importanti riforme, non hanno rispettato neppure i criteri direttivi stringenti
richiesti dall'articolo 76 della Costituzione: sostanzialmente delle deleghe
in bianco esercitate senza che il Parlamento possa esprimere nient'altro
che un parere consultivo.
Un esempio per tutti sono i sei decreti
legislativi riguardanti l'ambiente, per effetto della delega ambientale
contro la quale ci siamo battuti strenuamente in Parlamento: due voti di
fiducia ha dovuto porre il Governo per poterla approvare e per poter battere,
nonostante tutto, la nostra opposizione. Ebbene, quelle sei deleghe legislative
sono state raggruppate in un monstrum di settecento pagine da esaminare
in un tempo talmente limitato - nei fatti due o tre sedute - da rendere
impossibile qualsiasi trattazione, tale da poterci consentire di dire che
il Parlamento l'aveva esaminato.
Anziché meditare sulle esperienze
già effettuate, senza riflettere sulle distorsioni provocate nel
sistema politico-istituzionale dalle modifiche già introdotte sia
per via legislativa, sia attraverso l'interpretazione estensiva delle leggi
e della Costituzione, senza correggere gli errori provocati, si ripropone
un'ulteriore e preoccupante modifica della Costituzione.
C'è una distanza abissale - ripeto
abissale - tra quanto fatto dai Padri costituenti e la vostra avventuristica
iniziativa legislativa che - badate bene - non chiamo Costituzione, perché
potrà diventarla solamente qualora i cittadini italiani la confermeranno.
Ma sappiamo bene che non sarà così. Abbiamo visto oltre quattro
milioni di italiani andare a votare, senza altra sollecitazione che la
legge elettorale che voi stavate proponendo. Pensate quale sarà
l'ondata, capace di travolgere questo vostro insopportabile disegno di
legge.
Ebbene, c'è una distanza abissale
tra questa vostra avventuristica iniziativa legislativa e quanto fatto
dai Padri costituenti. Essi hanno lavorato nell'interesse supremo del Paese;
voi per esigenze del vostro mercato interno. (Applausi dai Gruppi Verdi-Un,
DS-U, Mar-DL-U e Aut).
PIROVANO (LP).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIROVANO (LP). Signor Presidente, rappresentanti
del Governo, colleghi, oggi siamo chiamati a votare una riforma della Costituzione
che aumenta i poteri del popolo, in perfetta sintonia con i contenuti della
I Parte della Costituzione stessa. La principale spinta che ci ha sostenuti
sino ad oggi proviene dalla vita concreta, dalla gente, dalle realtà
quotidiane, dall'aspirazione alla libertà.
Queste ed altre le argomentazioni che
hanno incrinato gli equilibri statici di un bicameralismo rigido e condizionante,
determinando finalmente una concreta rappresentanza delle autonomie regionali
e comunali.
Devoluzione e federalismo, parole amate
e odiate: Thomas Jefferson scrisse: «Il prezzo della libertà
è l'eterna vigilanza». E l'uomo Umberto Bossi, che oggi è
qui con noi in quest'Aula con la sua famiglia (Applausi dai Gruppi LP,
FI, AN e UDC), lotta e vigila per la libertà da ventisei anni, anni
duri, di offese, insulti, incomprensione, ma anche di orgoglio e di forza.
Il movimento della Lega Nord, che oggi
in quest'Aula, in questa data storica, ho il privilegio di rappresentare,
è nato per merito di quest'uomo che ha anteposto ad ogni bene la
libertà; un movimento composto da uomini liberi, scevri da ideologie,
autonomi nelle tattiche, ma tesi, con l'unica strategia, al medesimo ideale.
Dopo gli interminabili e lunghi anni di lotta in solitudine, la magia di
condividere un ideale con gli antagonisti di un tempo divenuti alleati.
Condivisione, non forzatura, fattiva, propositiva e migliorativa di un
testo rivoluzionario e democratico.
La compattezza dell'alleanza all'interno
della Casa delle Libertà si concretizza oggi. Oggi le annose dispute
si sciolgono e si convertono, con grande forza, in coesione. Dall'uomo
libero il merito si diffonde su tutti noi, su tutti i componenti della
Casa delle Libertà, sui presidenti Francesco D'Onofrio, Renato Schifani,
Domenico Nania, Andrea Pastore (Applausi dai Gruppi LP, FI, AN, UDC e dai
banchi del Governo), su tutti i senatori della Casa delle Libertà
che hanno lavorato e, a volte litigando, hanno contribuito con intelligenza;
sui sottosegretari Aldo Brancher e Nuccio Carrara, sui colleghi deputati
della Lega Nord e della Casa delle Libertà, sui ministri Maroni
e Castelli e su tutti coloro che sanno di aver dato un contributo; sul
vice presidente del Consiglio, Gianfranco Fini, e sul paziente presidente
del Consiglio, Silvio Berlusconi.
La forza di questa riforma viene dalla
gente; quella stessa gente che ci ha eletti per rappresentarlo in questo
Palazzo, che finalmente sarà a loro più vicino perché
qui si insedierà il nuovo Senato federale delle Regioni.
Un forte riconoscimento da parte del Gruppo
della Lega Nord va a chi ha lavorato strenuamente - imbastendo, scucendo
e ricucendo - alla riforma federale della Costituzione che oggi noi votiamo
con orgoglio.
Al ministro Roberto Calderoli va la nostra
stima e il nostro grazie per aver mantenuto saldo il testimone che, per
destino, il ministro Umberto Bossi gli ha lasciato tra le mani.
Ovviamente, preannunciamo il nostro voto
favorevole. (Applausi dai Gruppi LP, FI, UDC e del senatore Frau. Congratulazioni).
D'ONOFRIO (UDC).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
D'ONOFRIO (UDC). Signor Presidente, onorevoli
rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il voto che ci accingiamo
a dare riguarda una grande riforma della Costituzione italiana e, di fronte
a un fatto di questa rilevanza, credo che dobbiamo porci alcune domande
essenziali; almeno a me sembra opportuno porci alcune domande essenziali.
Ovviamente la prima domanda riguarda proprio
l'articolo 1 della Costituzione, dove noi leggiamo che: «L'Italia
è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
La domanda è: questa grande riforma
costituzionale incrementa o diminuisce la sovranità del popolo?
Una grande riforma costituzionale aumenta o riduce la sovranità
popolare? Per noi che abbiamo una cultura della sovranità popolare
molto radicata nella nostra coscienza individuale e collettiva - mi riferisco
in questo caso ai colleghi senatori dell'UDC che sono intervenuti nel dibattito
generale, in particolare ai colleghi Gubert, Ciccanti, Calogero Sodano
- questa domanda è essenziale prima di qualunque argomento tecnico.
Questa riforma allarga o restringe, aumenta
o riduce, la sovranità popolare? Noi allarghiamo la sovranità
popolare rispetto a due questioni fondamentali. Ho detto ieri in discussione
generale, e lo ripeto adesso, che la Costituzione attualmente vigente prevede
che quando una riforma costituzionale è approvata a maggioranza
dei due terzi del Parlamento il popolo rimane a guardare, non può
essere chiamato a discuterne; il popolo rimane esterno.
Noi abbiamo cambiato questa norma fondamentale
della Costituzione; da quella al nostro esame in poi, qualunque riforma
costituzionale potrà essere portata al voto popolare. Non si tratta
di una concessione, ma di un punto fondamentale: la sovranità popolare
potrà esercitarsi, se questa riforma verrà approvata - come
mi auguro - pure dal referendum popolare, anche sulle riforme costituzionali.
Questo è il primo allargamento della sovranità popolare.
Il secondo allargamento, signor Presidente,
onorevoli Ministri, riguarda la formazione del Governo. Fino ad oggi gli
italiani non possono votare per una maggioranza parlamentare e un Presidente
del Consiglio, o Primo Ministro. Votano per i parlamentari, i quali, dopo
il voto, possono decidere cosa fare. Da questa riforma costituzionale in
poi ciò non sarà più possibile. Il voto popolare,
per la prima volta con questa riforma costituzionale, consentirà
agli italiani di votare per i parlamentari, per il capo del Governo e per
il programma.
Il grande risultato di questa riforma
costituzionale è, dunque, innanzitutto un poderoso ampliamento della
sovranità popolare in due aspetti essenziali che per noi sono decisivi.
Noi ci siamo chiesti: una grande riforma
costituzionale la si fa perché la chiede una parte della maggioranza
- in particolare la Lega Nord - o perché l'intera maggioranza persegue
i propri interessi o quelli del Paese? Di cosa si sta parlando?
Ho sentito più volte in questi
mesi, anche in quest'Aula, che in realtà si tratta di una riforma
costituzionale che variamo per pagare un prezzo alla Lega Nord. Voglio
dire, nel modo più fermo e solenne, in una sede importante come
questa, che non vi è alcun dubbio che se la Lega Nord non avesse
iniziato il processo della riforma della Costituzione in senso federale
stasera non staremmo qui a votarla.
Vi è innegabilmente un merito storico
nell'aver iniziato un processo. Ma la Lega Nord ha accettato - e di ciò
le va riconosciuto il merito - tutte le richieste avanzate dalle altre
parti della maggioranza, in modo da contenere la spinta federalista all'origine
della sua proposta non solo entro il quadro dell'unità nazionale,
ma anche dell'unità federale della Repubblica. Si tratta di un risultato
al quale il mio Gruppo, l'UDC, ha concorso in modo decisivo nei diversi
passaggi parlamentari, sia al Senato che alla Camera.
Di questo voglio rendere merito non soltanto
al mio Gruppo, per quanto ottenuto a garanzia dell'unità fondamentale
della Repubblica, ma alla Lega, che con estrema intelligenza politica,
della quale l'opposizione a volte mostra di non rendersi conto, ha saputo
capire che non si trattava più di un semplice vincolo politico contratto
nel 2001, ma di un vincolo riguardante anche le prospettive della riforma.
Non si tratta soltanto di un fatto elettorale
pregresso, ma di un patto politico nuovo. Il passaggio dal patto elettorale
a quello politico è avvenuto - ed è fondamentale che ciò
venga percepito - perché esso rappresenta la ragione di fondo per
la quale i Gruppi di Alleanza Nazionale, Forza Italia e UDC votano una
riforma costituzionale che all'inizio avrebbe potuto suscitare e suscitava,
da parte di questa o quella forza politica, perplessità progressivamente
cadute.
Infatti, le due richieste fondamentali
che voglio richiamare - è bene che gli italiani che ascoltano questo
dibattito lo sappiano - sottolineano che in questa riforma non vi è
nulla che tolga qualcosa al principio di uguaglianza nel diritto alla salute
degli italiani. Quest'ultima resta una competenza fondamentale della Repubblica
e il diritto alla salute non viene meno. (Applausi dai Gruppi UDC, FI e
del senatore Lauro). Il diritto alla salute viene garantito nonostante
la potestà esclusiva regionale, perché si combina con la
tutela del medesimo diritto a livello nazionale.
Non esisteranno cittadini di serie A e
di serie B, come per la verità esistono oggi che il federalismo
non c'è (basta andare nei diversi ospedali della Repubblica per
rendersi conto di quanto il diritto alla salute non sia garantito in termini
eguali). Noi, per la prima volta, nel nuovo testo Costituzionale stabiliamo
che la tutela della salute e la sicurezza degli alimenti - e nessuno sa
quanto questo sia importante - vengono garantiti in misura identica in
tutte le parti del territorio nazionale.
Il secondo punto sul quale siamo stati
spesso chiamati a discutere riguarda l'istruzione. Nessuno di noi immagina,
fino in fondo, quanto fondamentale sia l'istruzione dei nostri figli e
nipoti. In questa riforma costituzionale noi stabiliamo, a differenza di
quella approvata dal centro-sinistra nella precedente legislatura, che
le norme generali sull'istruzione debbono essere identiche in tutta Italia
e non possono cambiare in nessuna parte del territorio. Il centro-sinistra
invece aveva detto che le Regioni, probabilmente quelle più ricche,
potevano persino appropriarsi di queste competenze.
Non capisco dove si collochi l'accusa
di non rispettare il principio di uguaglianza mossa da parte di chi aveva
concorso ad un testo costituzionale vigente - non parlo di proposte, ma
di ciò che è scritto - nel quale non vi è più
alcuna garanzia di eguaglianza sulla salute e sull'istruzione. (Applausi
dai Gruppi UDC, FI, AN e dai banchi del Governo). Di questo voglio rendere
atto ancora una volta ai colleghi e agli amici della Lega Nord, per il
fatto di essere riusciti a passare da una rivendicazione di parte ad una
rivendicazione politica generale.
Tale mutazione fondamentale è avvenuta
in ciascuna componente di questa alleanza, che è passata dalla logica
del cartello elettorale a quella dell'alleanza politica. È un aspetto
fondamentale che avrà effetto già dalle prossime elezioni
politiche, nelle quali non ci presenteremo più come alleanza puramente
elettorale, ma come alleanza politica. La convergenza su questi punti sarà
pertanto fondamentale già dalla campagna elettorale politica. Altro
che referendum, come se fosse una sfida! Per noi il referendum è
del tutto normale. Non c'è alcuna pretesa da parte di questa maggioranza
di fare la riforma della Costituzione.
L'attuale maggioranza ha indicato la volontà
che qualunque riforma costituzionale, da chiunque approvata in Parlamento,
purché dalla maggioranza assoluta dei componenti, possa essere sottoposta
a referendum. È ciò che voi, che chiedete di mantenere la
vecchia Costituzione, non garantite. È bene che il popolo sappia
che dall'altra parte si ha il timore che il popolo si esprima sulle riforme
costituzionali. Da parte nostra, invece, non c'è alcun timore che
il popolo si esprima liberamente su tutte le riforme, comprese quelle costituzionali.
Questa è la differenza di fondo tra i due schieramenti politici
e su questa saranno gli italiani a giudicare. (Applausi dai Gruppi UDC,
FI, del senatore Lauro e dai banchi del Governo).
Terzo punto fondamentale. Si è
detto, in modo costante e noioso, insistente e sgradevole che questa riforma
penalizza il Sud. Lo dico da meridionale orgoglioso di esserlo, orgoglioso
delle mie origini lucane, alle quali tengo molto; lo dico da meridionale
che presiede un Gruppo nel quale molti sono i colleghi senatori meridionali
che non avrebbero mai approvato - sottolineo mai - una riforma che suonasse
contraria agli interessi fondamentali del Mezzogiorno. Lo dico a merito
loro. (Applausi dai Gruppi UDC, FI, AN e del senatore Lauro). Nessuno di
loro avrebbe, neanche per un momento, votato una riforma che potesse essere
vissuta come contraria agli interessi fondamentali dei propri concittadini.
Lo dico, signor Presidente, perché
il collega Compagna, del Gruppo dell'UDC, qualche tempo fa, mi ha regalato,
direi con grande intelligenza, un volume, di cui suggerisco la lettura,
dal titolo: «Il federalismo nella cultura politica meridionale»;
un volume non di chissà quanto tempo fa, bensì recente.
Signor Presidente, nel Mezzogiorno sono
vissuti tre diversi tipi di federalismo: un federalismo contro l'unità
nazionale mazziniana; un federalismo borbonico contro il Piemonte sabaudo;
un federalismo liberale e democratico, al quale noi ci richiamiamo, a partire
da quello di Sturzo e di Caltagirone, dove io tra qualche giorno mi recherò
con il collega Calderoli per iniziare un percorso nell'Italia meridionale
(Applausi dai Gruppi UDC, FI, AN e LP), per dimostrare alle plebi dell'Italia
meridionale, ai suoi cittadini, città dopo città, dovunque
ha vissuto un grande esponente del federalismo meridionale di cultura liberale
(Commenti del senatore Garraffa. Richiami del Presidente), che questa riforma
il Mezzogiorno la può vivere con grande dignità, dico persino
con orgoglio, se saprà dimostrare, come ha voluto dimostrare il
Mezzogiorno, di passare dalla politica delle mance alla politica della
liberazione.
Se questo è il merito che la Lega
Nord ha voluto indicare al Mezzogiorno, insieme lavoreremo per il grande
riscatto di libertà del Mezzogiorno, dimostrando che vi può
essere l'unità federale della Repubblica, che è diversa dall'unità
centralista della Repubblica. Sempre di unità si tratta; quella
federale è l'unità verso la quale noi tendiamo.
Intendo dire che, da questo momento in
poi, noi riteniamo iniziata la grande campagna elettorale politica sulle
due questioni di fondo: principio di sovranità popolare e questione
meridionale. (Commenti dai banchi del Gruppo DS-U). Su tali due questioni
chiedo al popolo di poter giudicare e sono certo che, una volta posto di
fronte a queste due domande, il popolo, soprattutto quello meridionale,
ma non solo, non avrà difficoltà a dire che questa riforma
è nell'interesse generale della Repubblica. (Vivi applausi dai Gruppi
UDC, FI, AN, LP e dai banchi del Governo. Molte congratulazioni).
BORDON (Mar-DL-U).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BORDON (Mar-DL-U). Signor Presidente,
questo è un momento molto difficile per il nostro Paese e questo
atto è forse il più grave dell'intera legislatura. Cos'è
infatti la Costituzione, se non l'anima di un popolo? Tanto più
lo è questa nostra Costituzione, che per molti decenni ha tenuto
unito il Paese sulla base di un grande patrimonio comune di valori condivisi,
capaci di resistere ad anni di lotte e scontri politici durissimi. Invece,
tanto per usare una definizione del presidente Fisichella, questo sghimbescio
costituzionale codifica un principio di disordine, foriero di innumerevoli
vertenze, e perciò di indebolimento complessivo del nostro Paese.
Non so quanto le più giovani generazioni,
assistendo ai dibattiti di questi ultimi tempi, possano aver conservato,
una chiara visione di cosa sia e cosa significhi la nostra Costituzione,
se non fosse in virtù dei richiami che periodicamente e meritoriamente
provengono da uomini come lei, presidente Scalfaro, dai nostri Costituenti
e dal Presidente della Repubblica. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).
Innovare la Costituzione è certo
necessario ed è soprattutto necessario farlo per quanto riguarda
la seconda parte, negli aspetti che affrontano i temi della forma di governo,
del bicameralismo perfetto e del raccordo tra i poteri decentrati e quello
centrale. Ma nessuna innovazione e rinnovamento è possibile, a partire
dalla cancellazione, sì, dalla cancellazione, del patrimonio genetico
stesso della nostra Costituzione.
Piero Calamandrei, più volte ricordato
in quest'Aula, diceva che "più che la carenza delle leggi è
pericolosa la carenza delle coscienze". Le costituzioni, fondamento del
pensiero democratico liberale, hanno infatti lo scopo di fissare e garantire
ciò che è destinato a restare stabile, e allora la Costituzione
non può ricondursi al prevalere occasionale di una forza, di uno
schieramento, non può essere trattata - come avete fatto - come
un normale oggetto di programma elettorale o governativo o addirittura
come oggetto di scambi pattizi, come ha denunciato il presidente Mancino.
Anche in ciò si vede tutta la distanza
di questa vicenda dal tempo della Costituente. Allora in Aula ci si occupava
della Costituzione esaminandone il testo, ed al banco del Governo sedeva
la Commissione dei 75 per distinguere l'attività di Governo dall'attività
fondamentale di riscrittura della Carta.
La Costituzione rappresenta il quadro
di riferimento valido per tutti che precede e condiziona la dialettica
tra maggioranza e minoranza assicurando la salvaguardia degli interessi
ad esse comuni e dei limiti conseguenti. Fare della Costituzione un prodotto
di maggioranza e disponibile alla sola maggioranza è dunque tradire
l'idea stessa di Costituzione. Del resto, la concezione costituzionale
della democrazia si fonda non sul riconoscimento di una sovranità
illimitata, propria del sovrano dell'antico regime, ma sull'attribuzione
di poteri che si esercitano, come scriveva il giudice Coke della Magna
Charta, nelle forme e nei limiti di una Costituzione, che proprio per la
sua funzione storica, non conosce sovrano.
Quello che sta avvenendo è colossale:
si tratta del tentativo, mai così devastante, di modificare qualità
e quantità di oltre 50 articoli della nostra Costituzione con lo
svuotamento dei poteri del Presidente della Repubblica, con la svendita
del Senato, con l'umiliazione più in generale del Parlamento, con
la politicizzazione della Corte costituzionale e con un Premier sospeso
tra una condizione di onnipotenza e il ricatto di parti marginali della
sua maggioranza o di un infernale guazzabuglio di ingorghi legislativi
e contenziosi costituzionali.
Nel progetto c'è una totale sottovalutazione
dell'importanza per la democrazia dei "checks and balances", dei controlli
e dei bilanciamenti, delle garanzie che costituiscono il legato di James
Madison, il fondatore pratico della moderna democrazia liberale, che viene
dimenticato del tutto.
Non tragga in inganno poi il fatto che
in questa fase non sia in gioco la prima parte della Costituzione, quella
che contiene i principi fondamentali. Quando la demolizione della seconda
parte sarà cosa fatta, la prima parte apparirà del tutto
estranea ed i suoi valori fondamentali saranno inutili orpelli di cui disfarsi
il più rapidamente possibile.
Colleghi della maggioranza, tra gli elementi
più gravi di questa vicenda c'è l'uso spregiudicato del termine
«federale»: ne distorcete e ne umiliate il carattere, e non
solo perché, come insegna la storia, le federazioni nascono come
processo ascendente che tende a mettere assieme in una unità sovraordinata
quanto è già diviso statualmente, ma anche perché
nella nostra tradizione risorgimentale il federalismo è patrimonio
di quei patrioti che miravano ad un Paese unitario, ad una unitaria e variegata
Europa federale.
Quel federalismo che per gran parte la
dottrina e la cultura riconoscono è il federalismo per aggregazione
che ha costituito l'esperienza di importanti realtà come Stati Uniti,
Germania e Svizzera. A quello, voi volete sostituire un "federalismo per
disaggregazione" che contraddice la radice e la faticosa costruzione di
un Paese unitario e lo stesso pensiero federalista risorgimentale. E per
di più con l'introduzione di forme davvero singolari di un contraddittorio
neocentralismo.
All'unità del Paese, a questo senso
di più vasta appartenenza comune - pur nella creativa ed amata varietà:
di città, territori, tradizioni, dialetti e costumi diversi - si
vuol contrapporre un nazionalismo locale pronto ad alzare ponti levatoi
che sottendono non l'Italia moderna, ma quella delle vecchie baronie, dei
vecchi feudatari.
Come ha ricordato in uno scatto di ribellione
intellettuale Claudio Magris, il Paese natale vissuto e amato liberamente
non è un'endogamia asfittica né una sfilata folcloristica.
Dante diceva che l'Arno gli aveva insegnato
ad amare fortemente Firenze, ma anche a sentire che la nostra Patria è
il mondo, come per i pesci il mare. La sicilianità di Verga come
la veneticità di Goldoni sono inscindibili dalla loro grandezza
ma non interessano un veneto meno di un siciliano o un siciliano meno di
un veneto. E forse non è un caso che oggi gli autori teatrali più
tradotti al mondo siano il napoletano Eduardo ed il lombardo Fo. Le peculiarità
locali compongono, costituiscono l'unità del Paese.
Già ieri sono riecheggiate in quest'Aula
le parole di Piero Calamandrei: «quel patrimonio storico che attingeva
nel sangue della storia resistenziale e dalle pagine del nostro glorioso
Risorgimento». Oggi dunque voi cercate di cancellarle. Siete come
quegli eserciti in fuga che non pensano ad altro che ad avvelenare i pozzi,
facendo riemergere dalla penombra della storia ciò che scriveva
Metternich all'inglese Palmerston: «L'Italia non è altro che
un'espressione geografica e non la troverete che sulla carta».
Signor Presidente, signori del Governo,
molti di noi appartengono al movimento referendario, a quella stagione
che, seppure con qualche sussulto e con qualche contraddizione, aveva la
grande ambizione di costruire nel nostro Paese una moderna democrazia compiuta
secondo il sistema dell'alternanza tra maggioranze, con Governi stabili
scelti sin dal momento del voto in modo chiaro e trasparente dai nostri
concittadini. Una moderna democrazia dell'alternanza che superasse ritardi
ed incrostazioni, che permettesse di affermare una piena democrazia governante
e nello stesso tempo creasse le condizioni perché l'opposizione
vedesse riconosciuto il suo ruolo fondamentale di controllo, di ispezione,
di proposta in una naturale ed ambiziosa prospettiva di diventare essa
medesima futura forza di governo.
Pensavamo che il rinnovamento istituzionale
e politico fosse una condizione indispensabile per liberare il nostro Paese
da ritardi, incrostazioni, lacciuoli, retroguardie parassitarie ed in ciò
vedevamo anche la necessità di riscrivere, nella più alta
condivisione, quelle parti che ancora andavano completate e innovate per
porre fine a questa infinita ma, non inutile transizione.
In ciò sta l'ulteriore grave colpa
per quanto avete fatto e - si può dire - per quanto non siete stati
in grado di fare: l'esito deludente di un iter che si doveva intendere
riformatore e che invece è semplicemente demolitore. Del resto,
la riforma elettorale che avete presentato in parallelo al voto finale
sulla riforma costituzionale è il suggello che dimostra come, in
luogo del completamento della transizione, avete scelto un salto nel caos
istituzionale ed elettorale, nella frammentazione selvaggia, nella instabilità
e nella ingovernabilità, addirittura preparata ed auspicata.
Ecco perché dico che l'altro danno
grave che oggi state compiendo è quello di riportare indietro le
lancette della possibilità del rinnovamento: se qualcuno è
scottato dall'acqua calda, infatti, anche quella fredda fa paura.
Onorevoli colleghi della maggioranza,
non basterà tutta l'acqua del Po per assolvervi dal tentativo di
disfare l'Italia e per questo fino all'ultimo voglio sperare che non prevarranno
coloro che, come li definì il presidente Fisichella, «sono
solo vogliosi di vendicarsi di una storia unitaria, decisamente più
grande e più nobile dei profili intellettuali e civili di una classe
politica di uomini nuovi inopinatamente comparsi dal nulla».
Pertanto, fino all'ultimo voglio sperare
che chi proviene dalle vicende di forze politiche che hanno costruito questa
Repubblica, prima di compiere il gesto di un voto così drasticamente
confermativo, si interroghi e dica: "No, io non ci sto!" Anche perché
nessuno potrà dire altrimenti: "Io non c'ero, io non c'entro. Fu
colpa di una disciplina di maggioranza".
Circa 700 anni fa, affermando il suo attaccamento
alla religione cattolica ed il suo profondo dolore nel vedere Roma e la
Sede pontificia abbandonate e deserte e il diffondersi della piaga delle
eresie, in una epistola rivolta ai 24 cardinali radunati in Francia a Carpentras,
Dante scriveva: «L'attuale miseria trafisse di dolore gli altri italiani
e li confuse con la vergogna. Chi potrebbe dubitare che siate voi a dovervi
vergognare e dolere, voi che allora foste la causa della sua inaudita eclisse?».
Onorevoli senatori della maggioranza, di questa eventuale eclisse della
nostra Costituzione, se la porterete fino in fondo, voi tutti sarete responsabili!
Quello che sta avvenendo oggi segnerà
per molto tempo la storia parlamentare italiana, con uno sfregio che somiglia
a quello che nei Paesi fondamentalisti viene fatto per deturpare e punire
le donne che non si coprono il volto con il burqa: si colpisce l'identità
e la qualità della nostra Costituzione.
Con il nostro voto contrario non si raggiungerà
il tetto dei due terzi che la Costituzione prevede perché una legge
di riforma costituzionale possa entrare immediatamente in vigore. Ci sarà
dunque il referendum, come proprio oggi ha ribadito il presidente Scalfaro.
E non vi è persona di buonsenso che non sappia come finirà,
cioè con una netta, forte e clamorosa bocciatura di questo pericoloso
insulto costituzionale.
Lo sapete anche voi, ma ciò nonostante,
sotto il ricatto della Lega, di una fantomatica Repubblica Padana, di cui
oggi si celebrano i fasti celtici, state prendendo in ostaggio l'Italia
sperando, con la Lega, di guadagnare qualche misero vantaggio elettorale.
E se anche, come vi ripeto e vi confermo,
il referendum restituirà al volto della Costituzione le sue belle
fattezze, nessuno potrà dimenticare quello che intanto in quest'Aula
è avvenuto.
Fa bene la Lega a vantarsene! Con una
pattuglia di fantomatici padani è riuscita a conquistare e ad espugnare
la fortezza dell'unità nazionale. Ed è significativo che
oggi, nella tribuna presidenziale sieda proprio Umberto Bossi, che oggi
può guardare con soddisfazione quanti passi in avanti abbia fatto
la sua idea della secessione. È il suo trionfo!
Ma mi domando, colleghi di altri partiti
della maggioranza, voi di Forza Italia, voi di Alleanza Nazionale, voi
dell'UDC, se questo trionfo sia per davvero anche il vostro. Se esso non
assomigli, invece, a quelle forche caudine per le quali i romani furono
costretti a passare.
Ma, vedete, proprio quella storia, la
nostra bella unitaria storia antica, ci ricorda che se oggi questa sembra
essere la vittoria di Bossi, domani questa stessa data sarà ricordata
come la vostra vittoria di Pirro, perché saremo noi, assieme ai
cittadini italiani, a reimpugnare il tricolore del nostro Paese nel segno
dell'unità nazionale! (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-Un,
Aut, Misto-SDI-US e del senatore Amato).
NANIA (AN).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NANIA (AN). Signor Presidente, la grande
riforma di oggi non è figlia del nulla. La grande riforma, costruita
sul presidenzialismo e il federalismo, sull'elezione diretta di chi governa,
sulla norma antiribaltone, sulla reintroduzione dell'interesse nazionale
e su un sistema istituzionale che sta vicino al cuore dei cittadini, non
nasce dal nulla, non l'ha imposta nessuno, né noi, né altri.
Nasce dal contratto che la Casa delle Libertà ha stipulato con gli
italiani prima del 2001.
Abbiamo detto agli italiani: se ci voterete,
noi faremo questa grande riforma e gli italiani ci hanno affidato questo
compito. Agiamo qui, nel Parlamento italiano, su mandato degli italiani.
Ecco perché la grande riforma portata
avanti dalla Casa delle Libertà costituisce la riforma di una coalizione
che unisce la storia del Paese: stiamo insieme, nella Casa delle Libertà,
laici, liberali, riformisti, federalisti, cattolici, nazionali e popolari.
La storia dell'Italia, la storia secolare dell'Italia, è nella Casa
delle Libertà. È da questo grande passaggio che continua
il percorso riformatore e costituente italiano.
La nostra è una Costituzione, come
tutti sanno, lunga, molto lunga: è composta di 139 articoli, ma
soprattutto è composta di una I Parte e di una II Parte. È
sempre avvenuto, nella storia del processo riformatore italiano, anche
quando questo processo è stato portato avanti dal centro-sinistra,
che le riforme abbiano interessato la Parte II della Costituzione, che
è la parte organizzativa, poiché la nostra Costituzione,
come è ovvio, non può essere riformata - e non è riformabile
- nella I Parte, quella che riguarda i princìpi fondamentali.
Tutte le Commissioni bicamerali, la Commissione
Bozzi, la Commissione De Mita-Iotti, la Commissione D'Alema, la stessa
riforma dell'Ulivo del 2001, che ha disarticolato lo Stato, hanno sempre
riguardato la II Parte della Costituzione, il cui titolo è il seguente:
«Ordinamento della Repubblica».
La I Parte, quella fondamentale, mai nessuno,
nella storia della Repubblica, si è sognato di toccarla. Questo
è il dato di partenza: gli italiani debbono sapere che la riforma
di cui ci stiamo occupando riguarda la parte organizzativa della Costituzione
italiana.
Nel corso dei lavori della Bicamerale
presieduta dall'onorevole D'Alema, ci siamo occupati di riformare la Corte
costituzionale e il centro-sinistra ha proposto di inserire tre giudici
nominati dalle Regioni, ci siamo occupati di riformare l'elezione diretta
di chi governa e il centro-sinistra ha proposto il Premierato, ci siamo
occupati di riformare il bicameralismo (due Camere, il Senato e la Camera
dei deputati, che fanno le stesse cose e non concludono niente) e il centro-sinistra
ha proposto il Senato federale.
In questo Paese di grande cultura e di
grandi tradizioni, c'è un centro-sinistra che è arrivato
alla conclusione che quando una proposta la fa il centro-destra non è
buona e quando la fa il centro-sinistra è buona.
Tanto per capirci, italiani che mi ascoltate,
è come se all'improvviso il centro-sinistra proponesse al Paese
di introdurre il semipresidenzialismo alla francese, con l'elezione diretta
del Presidente della Repubblica, e noi, che abbiamo una lunga storia a
favore di questa posizione, replicassimo: «No, non si fa più,
perché lo state dicendo voi e quindi non è una buona idea».
Questa è la cultura costituzionale e istituzionale del centro-sinistra.
(Applausi dai Gruppi AN e FI)
C'è di più: se governa il
centro-sinistra, può fare le riforme che vuole. Nella scorsa legislatura,
addirittura, il Senato è stato umiliato, perché la riforma
è stata presentata alla Camera, si è discussa solo in quella
sede e, siccome si doveva procedere di corsa poiché, per ragioni
politiche, volevano cambiare e hanno cambiato la Costituzione (le ragioni
politiche erano quelle di bloccare l'accordo della Lega con la Casa delle
libertà), il testo è stato approvato dal Senato così
com'è uscito dalla Camera.
TONINI (DS-U). Dalla Bicamerale è
uscito!
NANIA (AN). In Senato non si è
potuto parlare. Nessuno è potuto intervenire per modificare il testo
approvato alla Camera. (Applausi dei senatori Greco e Falcier). Al Senato
tutti «zitti e mosca», come si diceva una volta. Tutti voi
avete approvato il testo proposto dalla Camera per far presto, perché
bisognava votare, bisognava dire agli italiani che si era fatto qualcosa,
ed è andata com'è andata.
Se governate voi, potete fare le riforme;
se governiamo noi del centro-destra, siccome voi siete grandi scienziati
e il Padre Eterno quando ha distribuito l'intelligenza vi ha fatto sedere
tutti in prima fila, mentre noi siamo sempre nell'ultima, le riforme non
le possiamo fare; o meglio, le riforme, se governiamo noi, le possiamo
fare insieme. Ma, siccome voi insieme con noi non le volete fare, le riforme
non si debbono fare.
Quindi, o governate voi e le fate come
volete, anche da soli, o governiamo noi, vi preghiamo di farle insieme,
ma non siete d'accordo: la conclusione è che stabilite voi quello
che si deve fare, sia quando governate, sia quando non governate.
Domanda finale: ma la le riforme servono
o no al Paese? I cittadini italiani vogliono vedere di nuovo il ribaltone
del 1994? Vogliono, ad esempio, vedere di nuovo - campa cavallo, che l'erba
cresce! - un Prodi che vince nel 1996 e che poi viene sfrattato da D'Alema
perché fa l'accordo con Marini e l'Udeur? (Applausi dai Gruppi AN,
UDC, FI e del senatore Zanoletti).
Gli italiani, cosa vogliono? Vogliono
che il loro voto sia tradito dagli inciuci di Palazzo? Vogliono i ribaltoni?
Questa è la domanda fondamentale. Se gli italiani vogliono norme
chiare e lineari e, soprattutto, se non vogliono che sia tradito il loro
voto, noi proponiamo agli italiani la grande riforma del cambiamento, che
può fare della nostra una democrazia non superiore, ma come le altre,
ossia una democrazia che funziona bene.
Da qui siamo partiti nella costruzione
del nostro processo riformatore. Abbiamo cominciato con il correggere i
guasti causati dal centro-sinistra perché, nella fretta di approvare
una riforma da sventagliare per bloccare la Lega, ha realizzato un principio
molto importante - gli italiani lo debbono sapere - che si chiama rovesciamento
(anche il nome è indicativo) dell'articolo 117. L'articolo 117 è
molto importante: è l'articolo con il quale i vecchi Padri Costituenti
- presidente Scalfaro, lei dovrebbe ricordarlo - stabilirono che lo Stato
aveva tutte le competenze e che alcune "cosette" venivano date alle Regioni.
Che cos'è la devoluzione della
quale si parla tanto? Pensiamo all'espressione «devolvere in beneficenza»:
chi devolve in beneficenza? Soltanto chi ha può dare. Ebbene, lo
Stato, che aveva tantissimo, secondo la nostra Costituzione italiana del
1948 - quella antifascista - ha dato alcune "cosette" alle Regioni e ha
anche stabilito «attenzione, voi Regioni in queste cosette, quando
decidete, non potete violare l'interesse nazionale».
Dov'era il presidente Scalfaro nel 2001,
quando il centro-sinistra rovesciò questo principio? (Applausi dai
Gruppi FI, AN, UDC e LP). Il centro-sinistra - italiani che ci ascoltate
- ha capovolto questo principio: non più lo Stato ha tutto e le
Regioni alcune cose, ma le Regioni tutto e lo Stato alcune cose. E le ha
elencate, quelle dello Stato, la riforma dell'Ulivo: lo Stato ha a), b),
c), d), e), f), g), h), i), l), m); punto: solo quello e niente più,
tutto il resto è delle Regioni.
Domando (perché non risponde il
collega Angius?): oggi, con quella riforma (la nostra ancora non è
in vigore), la sanità a chi appartiene? I concorsi per il manager
ASL di Bologna chi li fa, Berlusconi o Errani? (Applausi dal Gruppo UDC).
Il concorso per la Polizia municipale di Napoli chi lo fa, Bassolino o
Berlusconi?
L'esempio più evidente sotto gli
occhi degli italiani è che non soltanto hanno fatto quella riforma,
ma hanno abolito il Ministero della sanità. Il ministro della salute
Storace (che - lo sappiano gli italiani - a causa della loro riforma non
si può più chiamare ministro della sanità), oggi,
sulla RU486, la cosiddetta pillola abortiva, registra che il Piemonte fa
la sperimentazione (perché, presidente Scalfaro, l'Ulivo ha dato
alle Regioni anche la ricerca scientifica, non lo sa, questo?), la Regione
di destra non la fa perché è contro l'aborto, la Regione
del centro-sinistra, della Margherita, dice «ni»; il Ministro
può solo intervenire per controllare se la salute è messa
in discussione dalla sperimentazione. (Commenti del senatore Crema).
Presidente Angius, oggi la sanità
a chi appartiene? La polizia municipale a chi appartiene? L'organizzazione
scolastica a chi appartiene? Lo chieda ad Errani, che fa costantemente
ricorsi contro la politica unitaria del ministro Moratti! (Applausi dai
Gruppi FI, AN, UDC e dai banchi del Governo).
Attenzione, si dice, ma se è così,
se la sanità, la scuola e la polizia locale sono delle Regioni,
perché avete fatto la devoluzione? È presto detto, anche
questo gli italiani devono sapere. Il centro-sinistra è originale
e non si è più accontentato di alcune materie riservate allo
Stato e tutto il resto alla Regione. Voi, con la grande capacità
creativa dei grandi scienziati del centro-sinistra, avete inventato la
legislazione concorrente. (Commenti del senatore Rotondo). Che cos'è
questo terzo genus? È, come dire, una legislazione fifty fifty,
un po' dello Stato e un po' delle Regioni: non si capisce, cioè,
su alcuni temi dove decide lo Stato e dove decidono le Regioni.
Qui casca l'asino (Commenti dal Gruppo
DS-U) e qui interviene la devoluzione della Casa delle Libertà.
Bisogna dare atto al ministro Bossi - lo ricordo perfettamente - che rispetto
alla riforma del centro-sinistra che dà tutto alle Regioni - il
che poi, a stringere, vuol dire nulla - è preferibile una riforma
che dica esattamente, come si conviene in una democrazia calda, autentica,
partecipata, che sente l'alito dei cittadini, cosa è dello Stato
e cosa è delle Regioni.
CREMA (Misto-SDI-US). Noi siamo federalisti,
non tu!
NANIA (AN). La devoluzione - lo dico per
gli studiosi - è esattamente questo: non che la sanità è
delle Regioni, ma l'assistenza e l'organizzazione sanitaria, che è
un minus rispetto al genere…
MORANDO (DS-U). Bravo, spiegalo a quelli
della Lega che non lo hanno ancora capito.
NANIA (AN). …non la scuola è delle
Regioni, ma l'organizzazione scolastica e anche di più: guarda guarda,
nei programmi scolastici, c'è anche la cura dei dialetti; ho sentito
un collega del centro-sinistra dirsi preoccupato del problema dei dialetti,
come fossero qualcosa che non appartiene alla nostra storia e alla nostra
cultura.
Sono messinese e risento dell'inflessione
messinese, sono siciliano e mi capita con orgoglio di parlare siciliano,
ma so che la lingua italiana è il risultato della sofferenza del
dialetto siciliano, di quello toscano e di quello lombardo. I dialetti
sono le nostre radici. (Applausi del senatore Antonio Battaglia). Perché
non vi siete preoccupati, quando avete fatto la vostra riforma, della circostanza
che avete inserito all'articolo 116 della Costituzione - nonno mio, che
sei andato a combattere per i confini della Patria, che ti dicevano essere
sacri, e sei andato a scoprire quella Costituzione; non c'era la Lega,
era la vostra Costituzione - accanto all'espressione «Trentino-Alto
Adige» quella «Südtirol» e accanto a quella della
«Valle d'Aosta» l'espressione «Vallée d'Aoste»?
Andate a leggere la Costituzione austriaca, tedesca, francese per vedere
se in quelle Costituzioni vi è un'espressione italiana! (Prolungati
commenti dai banchi dell'opposizione).
PRESIDENTE. Colleghi, per favore!
PAGANO (DS-U). Per piacere, parla in siciliano!
PRESIDENTE. Senatrice Pagano, faccia opera
di moderazione.
NANIA (AN). Abbiamo riparato ai guasti.
Intendiamo coprire un vuoto e concludo come ho iniziato: questa riforma
è fatta su mandato degli italiani. Un solo interesse da difendere,
quello degli italiani.
Questa riforma conclude il suo iter con
il pensiero rivolto agli italiani, perché saranno gli italiani a
decidere e a dire si o no, ma - attenzione - saranno gli italiani in base
al fatto che abbiamo proposto con forza, con grande significato, che agli
italiani spetti sempre l'ultima parola. Su questa Costituzione, se per
caso il centro-sinistra avesse votato insieme a noi - anche questo gli
italiani debbono sapere - non si sarebbe potuto tenere un referendum.
Se nel Palazzo ci fossimo messi d'accordo,
se il centro-destra si fosse messo d'accordo con il centro-sinistra, si
sarebbe superata la soglia dei due terzi e gli italiani non avrebbero potuto
votare. Con la nostra riforma, abbiamo introdotto l'interesse nazionale…
(Commenti dai banchi dell'opposizione), aggiustato i guasti del vostro
federalismo secessionista, dato agli elettori il potere di scegliere chi
governa, ma soprattutto abbiamo dato agli italiani il grande potere di
decidere.
Il nostro voto, mentre lo formuleremo,
è rivolto tutto e per intero al popolo italiano. (Applausi dai Gruppi
AN, FI, UDC e LP. Molte congratulazioni).
ANGIUS (DS-U).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANGIUS (DS-U). Noi consideriamo questo
provvedimento, signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente
del Consiglio, un danno per l'Italia e per questa ragione voteremo contro
una legge che modifica 53 articoli della Costituzione repubblicana e l'intero
ordinamento dello Stato. Si divide l'Italia in ciò che la dovrebbe
unire: la sua Carta costituzionale.
Ci è stato insegnato che la Costituzione
di un Paese, di uno Stato, ne stabilisce le ragioni del suo essere, ne
motiva la sua esistenza. In essa si riconosce un popolo, una Nazione. Da
oggi nel nostro Paese non è più così. Siamo divisi
e dunque siamo più deboli. Questo è il danno per l'Italia
e il referendum popolare, che promuoveremo un minuto dopo l'approvazione
di questa legge, vi metterà un rimedio.
Oggi c'è qui l'onorevole Bossi.
Mi rivolgo a lui: intanto le faccio il nostro e mio personale affettuoso
augurio di buona salute. Siamo contenti che lei sia qui con noi oggi. (Generali
applausi). Considero questa legge una vittoria politica di Bossi. Mi consenta
però di dirle anche che considero questa legge una sconfitta per
l'Italia.
Si approva la Costituzione italiana; voi
la approvate, colleghi della Lega, ottenete ciò che volevate e volete.
Vi sfido: perché non sventolate la bandiera italiana? Sventolatela,
quella bandiera che è il simbolo di questo nostro Paese. (Commenti
del Gruppo AN). Non lo farete perché dell'unità d'Italia
e dell'Italia non vi importa nulla, non vi importa della sua unità,
del suo prestigio e forse neanche della sua esistenza.
La questione, signor Presidente, alla
fin fine è tutta qui. Questa pagina nera del Parlamento la scrivono
una maggioranza ed un Governo che hanno accettato, dall'inizio della legislatura,
il ricatto politico della Lega.
O si cambia la Costituzione come vogliamo
noi - ha detto la Lega Nord - o non stiamo né nel Governo, né
nella maggioranza. Tutto nasce da qui: o la dissolution o niente. Forza
Italia, Alleanza Nazionale e l'UDC hanno subìto, hanno accettato,
poi ci hanno messo del loro: Forza Italia, con il Premierato che toglie
potere al Capo dello Stato e al Parlamento; Alleanza Nazionale, con la
foglia di fico del cosiddetto interresse nazionale; l'UDC, alla fine, con
la legge elettorale proporzionale.
Il cerchio si chiude: uno scambio, un
mercato durato del resto tutta la legislatura con le leggi vergogna e con
le leggi finanziare taroccate, compresa l'ultima, quella di 27 miliardi
di euro che gli italiani pagheranno sborsando i soldi dalle loro tasche.
Abbiamo affrontato in questi mesi con
spirito aperto il confronto parlamentare. Siamo una minoranza, dunque destinata
ad essere sconfitta con il voto. Abbiamo sempre avanzato le nostre proposte,
certo anche le nostre critiche, ma formulando i nostri dissensi abbiamo
anche offerto proposte che sono state tutte respinte.
A un certo momento le opposizioni, compattamente,
hanno formulato una proposta organica di riforma della Costituzione che
recepiva alcune delle vostre proposte, ma anche in questo caso c'è
stato il silenzio: anche quelle sono state respinte, cestinate.
Non so francamente che cosa avremmo potuto
fare di più. Siete andati avanti da soli. Grandissima parte della
cultura giuridica e costituzionale del nostro Paese vi ha chiesto a più
riprese di fermarvi. Non c'è stato verso.
Ma la Costituzione di un grande Paese
non è mai proprietà di una parte, non lo può essere
per sua stessa natura. E questa legge, che altera la Costituzione, è
vostra, è solo vostra! Giratela come volete, ma questo non è
mai accaduto in nessuna democrazia moderna; persino in Iraq si è
trovato il compromesso tra sciiti, sunniti e curdi. I veri fondamentalisti,
signor Presidente del Senato, sono qui in Italia, non in Iraq. (Commenti
dai Gruppi UDC, FI e AN. Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un,
Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI-US e Misto-Pop-Udeur).
Questa legge indebolisce l'Italia, innanzitutto
perché la divide sulla Carta costituzionale, sugli assetti istituzionali.
È una legge che accentuerà la conflittualità tra le
istituzioni, una legge che spacca l'Italia. In secondo luogo perché
l'Italia conterà meno, molto meno, per esempio nell'Europa che si
sta costruendo. Sarà più divisa.
Avremmo dovuto invece porci l'obiettivo
di un'Italia più unita, più forte, più coesa, in modo
da essere protagonista in Europa. E' una legge cieca che non affronta,
rifiuta, non si misura con i problemi inediti e nuovi che le grandi democrazie
del mondo stanno affrontando, non solo quello della lotta al terrorismo,
che di per sé presuppone un Paese più unito più coeso,
che sta insieme, che si tiene insieme, ma anche problemi di notevoli dimensioni,
che il genere umano non ha mai conosciuto. Mi riferisco a quello della
migrazione, che è al tempo stesso emigrazione ed immigrazione, che
riguarda gli equilibri democratici, le identità culturali e storiche
di grandi Paesi democratici.
Con questo ci stiamo misurando e ci si
sta misurando nelle banlieue di Parigi o in tante città dell'Europa.
Si tratta di qualcosa che riguarda il modo di pensare di un Paese, la concezione
dello Stato, la visione della società, la coscienza collettiva di
un Paese. Queste sono le sfide delle democrazia moderne. Questo è
anche un problema delle nostre istituzioni.
L'altro giorno mi hanno colpito le parole
del presidente francese Chirac, un uomo di destra, a proposito delle violenze
nelle banlieue di Parigi. Un discorso duro, contro la violenza, contro
quei giovani di diverso colore della pelle, di lontane origini. Il Presidente
francese ha rivendicato, giustamente, la mano ferma, una repressione dura,
ma poi ha aggiunto: «siete figli della Francia. E se tanti figli
della Francia agiscono così, dobbiamo chiederci perché».
Vuol dire che c'è qualcosa che
riguarda l'identità - ha usato questa parola - della Francia. Ha
parlato di identità per sottolineare che costoro non si riconoscono,
non si identificano, non ha detto che si tratta di pericolosi meticci che
incrinano la purezza dell'identità francese. Quel Presidente sarà
di destra, ma è un liberale aperto e intelligente. (Applausi dai
Gruppi Mar-DL-U, DS-U e Misto-Com).
Chi vince le elezioni ha diritto a governare,
ma non può fare tutto. Ci sono limiti invalicabili sanciti dalla
Costituzione repubblicana e posti alla stessa sovranità popolare.
Chi gode della sovranità popolare ha il dovere di rispettarne i
limiti, che nella nostra Costituzione sono chiaramente sanciti. Ripeto,
la sovranità del popolo ha certamente dei limiti, perché
la nostra Carta costituzionale non consente a nessuno che essa possa trasformarsi
in una dittatura del proletariato, ma neanche nella dittatura di un uomo
solo, di un Premier. Ecco perché la nostra democrazia è regolata.
Ecco perché ci troviamo di fronte a questo enorme problema.
Conosco le vostre obiezioni, le ho ascoltate.
La vostra obiezione fondamentale è una: voi avete fatto lo stesso
nella precedente legislatura. Vi ho già risposto nella dichiarazione
di voto da me svolta quando abbiamo esaminato nuovamente questa riforma.
Penso che si sia sbagliato. Vi rispondo schiettamente, quindi. Credo tuttavia
che quella modifica del Titolo V della Costituzione, all'epoca approvata
da noi a maggioranza, fosse piccola cosa confronto alla questione che voi
modificate. Questo è il mio parere. (Commenti dai banchi della maggioranza).
È stato comunque un errore. Ma
se è stato un errore, il vostro è un errore ancora più
grande. Personalmente resto convinto che le riforme costituzionali, quelle
elettorali e le modifiche dei Regolamenti parlamentari debbano essere sempre
decise insieme. Le regole si decidono insieme e quando si sbaglia si sbaglia.
Quando si decide da soli si sbaglia sia quando si è al Governo sia
quando si è all'opposizione. Non si può cambiare tanto profondamente
una Costituzione impedendo il confronto su di essa. Non si può fare
di una riforma profonda della Costituzione un patto, un accordo politico
che tiene insieme un Governo ed una maggioranza, quali che essi siano.
Noi non vogliamo conservare questa Costituzione,
o meglio la vogliamo conservare - lo hanno già detto altri colleghi,
anche della maggioranza - nei suoi princìpi fondamentali, ma rendendola
più viva, correggendola e non stravolgendola, integrandola e non
demolendola, arricchendola e non immiserendola.
Molti poteri si danno al Presidente del
Consiglio e si tolgono al Presidente della Repubblica e al Parlamento.
Vengono colpite le funzioni di garanzia della Corte costituzionale e del
Consiglio superiore della magistratura, maggiormente controllate dal potere
politico. Si alterano gli equilibri democratici di questo Paese. Non è
soltanto una nostra preoccupazione. Si cancella il Parlamento, ridotto
ad una camera di assenzienti. Comanda solo uno: il Capo del Governo che
determina le leggi e se la sua maggioranza non accetta le sue determinazioni
va a casa e il Parlamento viene sciolto. Non trovate che vi sia qualcosa
di abnorme! Si separa il ruolo delle Camere, ma l'approvazione della legge
diventa più farraginosa. Tanti passaggi in più, competenza
di una Camera e poi dell'altra, competenza di entrambe per alcune materie.
Il Senato, ad esempio, viene ridotto ad
una specie di camera morta perché non dà la fiducia al Governo
- così è scritto nella vostra riforma - ma può impedire
l'approvazione del bilancio, che è l'atto più importante
che quel medesimo Governo deve compiere.
Per quanto concerne poi il federalismo,
la cosiddetta devoluzione che io chiamo dissoluzione, vi sono poche righe,
ma bastano e avanzano. Non giriamoci attorno. Il Sistema sanitario nazionale
è gestito dalle Regioni in ogni sua forma e si spezzerà in
venti sistemi regionali sanitari ognuno dei quali potrà essere diverso
dall'altro. Il diritto alla salute potrà essere così diseguale:
in Veneto in un modo, in Puglia in un altro; in Calabria in un modo, nel
Lazio in un altro ancora e così via.
Il sistema scolastico nazionale, gestito
dalle Regioni in ogni sua forma, si spezzerà in venti sistemi scolastici.
Il diritto al sapere potrà essere diseguale. I nostri figli potranno
apprendere storie diverse. Ma la cultura nazionale, l'identità nazionale
(lo dico ai colleghi di Alleanza Nazionale) non si spezza così.
No, non è federalismo, è
un'altra cosa, è dissoluzione. Il diritto alla salute, il diritto
alla scuola devono essere uguali per tutti, si viola l'articolo 3 della
Costituzione oggi in vigore! Diritti uguali per tutti, diritti sociali
uguali per tutti, alla salute e alla scuola! (Applausi dai Gruppi DS-U,
Mar-DL-U, Verdi-Un e Misto-Com).
Non cambiate: c'è un centralismo
vero nelle vostre politiche concrete, il centralismo delle politiche economiche
e di bilancio, delle politiche ambientali. (Richiami del Presidente). Mi
avvio a concludere, signor Presidente.
Perché non nominate mai il federalismo
fiscale? Lo chiedo ad alcuni colleghi qui presenti della maggioranza. Nella
precedente legislatura, signor Presidente del Senato, ci fu, sul federalismo
fiscale (lo sanno bene i Presidenti attuali delle Commissioni bilancio
e finanze), un accordo scritto, una conclusione alla quale giungemmo comunemente,
unitariamente. Nella vostra riforma il federalismo fiscale non è
nominato, un aspetto positivo sul quale potevamo essere d'accordo.
Concludo, signor Presidente. Vedete, anche
quello che è accaduto in questi giorni svela le vostre bugie, le
vostre contraddizioni: da una parte, la propaganda della devolution (della
dissolution), dall'altra, la necessità di far quadrare i conti del
Paese. La sentenza dell'altro giorno della Consulta, in fondo, anche la
finanziaria appena approvata dimostrano che siete federalisti per scherzo;
avete fatto il gioco delle tre carte: il buco l'avete fatto nei bilanci
dello Stato, i costi li trasferite ai Comuni e alle Regioni e li fate pagare
ai cittadini. Un capolavoro di federalismo.
Perché, colleghi della Lega, su
questo tacete? Perché la Lega tace sul centralismo del Governo di
cui fa parte? Tace perché, alla battaglia aperta che un tempo conduceva,
preferisce, onorevole Bossi, le poltrone sicure del potere di Roma. Questo
è davvero inaccettabile. (Richiami del Presidente). Ho finito, signor
Presidente.
Siamo già in campagna elettorale,
lo sappiamo bene, Governo e maggioranza probabilmente sanno di perdere
le elezioni, contengono le perdite. (Commenti ironici dai banchi della
maggioranza). Anziché fare i bilanci di questa legislatura fallimentare,
continuano, io penso, a lanciare promesse; lo ha fatto il leader del Governo:
l'ultima era la casa per tutti, l'altro giorno (Commenti dai banchi della
maggioranza), poi è diventata la casa per gli sfrattati, che è
un grande problema. Ma non è, signor Presidente del Consiglio, che
ha pensato allo sfratto che l'attende il 10 aprile da Palazzo Chigi? (Applausi
dal Gruppo DS-U. Commenti ironici dai banchi della maggioranza). Ho l'impressione
di sì.
Ringrazio tutti i colleghi del mio Gruppo
per l'impegno in questo lavoro negli ultimi giorni. Certo, è un
danno per il Paese, ma è anche un'occasione mancata e me ne rammarico.
Resta però in noi l'irriducibile convincimento e l'assoluta determinazione
che nel nostro Paese non prevarranno né l'offesa, né, ancora
meno, la lesione al patrimonio che ci è più caro e a cui
non rinunceremo mai: questo nostro Paese, con questa sua Costituzione nutrita
di giustizia e di libertà. (Vivi applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U,
Verdi-Un, Misto-SDI-US, Misto-Pop-Udeur, Misto-Com e dei senatori Scalfaro
e Amato. Molte congratulazioni).
SCHIFANI (FI).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCHIFANI (FI). Signor Presidente, vorrei
assicurare al collega Angius che gli italiani già hanno notificato
che prorogheranno di altri cinque anni il contratto di locazione al Premier.
(Applausi dal Gruppo FI).
Signor Presidente, onorevoli colleghi,
credo che con il voto di oggi non perda l'Italia, ma vincano tutti quegli
italiani onesti che credono e vogliono il miglioramento e la velocizzazione
dei processi decisionali delle istituzioni; che vogliono che le leggi si
facciano più in fretta; che vogliono che i Governi votati e iPremier
voluti dagli elettori non vengano sostituiti da altre maggioranze e da
altri uomini; che vogliono sostanzialmente un sistema Italia modernizzato
e vogliono la riduzione dei costi della politica, come ci accingiamo a
fare con questo voto di grande responsabilità attraverso il quale
riduciamo il numero dei parlamentari. (Applausi dal Gruppo FI).
Il collega Nania ha accennato all'esigenza
di intervenire sugli errori della riforma costituzionale del Titolo V portata
avanti dalla precedente maggioranza alla vigilia delle elezioni, perché
potesse sbandierare quell'idea di federalismo che è stata sempre
un vessillo dell'intera Casa delle Libertà e non soltanto di un
partito di essa. Abbiamo quindi cercato di mettervi mano rimediando agli
errori. Paradossalmente in alcuni punti l'abbiamo resa meno federale e
meno regionalista, laddove abbiamo deciso di riportare tra le competenze
dello Stato alcune materie che voi sciaguratamente avevate attribuito alle
Regioni, come i trasporti e l'energia.
Abbiamo individuato l'esigenza di mantenere
fermo un principio sacrosanto in capo allo Stato, quello del diritto alla
salute. In questa riforma costituzionale (lo dico agli italiani che ci
stanno ascoltando in una diretta televisiva voluta dall'opposizione; dopo
aver ascoltato il collega Angius me ne spiego il motivo, perché
attraverso la diretta televisiva si può parlare per slogan senza
entrare nei particolari, anche se io mi sforzerò nel tempo assegnatomi
di farlo) manteniamo fermo il diritto alla salute, il diritto sacrosanto
degli italiani di avere una sanità valida, idonea, esigente, per
tutti coloro che ne hanno bisogno.
Avremo un'istruzione unitaria - collega
Angius, l'articolo 3 viene rispettato -, avremo dei programmi unitari,
che si differenzieranno soltanto sulle materie localistiche. Non credo
che sia un delitto di lesa maestà, collega Angius, il fatto che
i ragazzi della Lombardia, così come i ragazzi della Sicilia, possano
conoscere meglio la storia della loro Regione.
Nello stesso tempo vogliamo una migliore
organizzazione della sicurezza. Qui abbiamo riesumato una vostra espressione,
un modello di organizzazione della polizia locale, amministrativa e regionale,
ripreso dalla riforma Bassanini, esimio esponente quest'ultimo del centro-sinistra.
Il 56 per cento degli italiani, intervistato
dal CENSIS, è favorevole alla regionalizzazione della sanità.
Gli italiani vogliono una sanità più regionale e più
vicina alle loro esigenze, vogliono che i concorsi per primari o l'individuazione
di un modulo ospedaliero vengano fatti secondo le esigenze localistiche
e non dal Ministro della salute. Colleghi dell'opposizione, voi che contestate
questa riforma perché paventate il pericolo che la sanità
venga messa sotto i piedi, con la riforma Bassanini avevate cancellato
quel Ministro e quel Ministero. C'è voluto un decreto del Presidente
del Consiglio per reintrodurre quel Ministero e ora, in maniera devo dire
abbastanza interessata, ma non convincente, lamentate il fatto che la sanità
venga spaccata in due, spaccando in due il Paese.
Non è affatto così. Questo
Governo ha aumentato il Fondo sanitario nazionale da 65 a 93 miliardi di
euro; questi sono numeri, colleghi dell'opposizione, non sono soltanto
tabelle. Questa è l'attenzione che il Governo ha rivolto in questi
cinque anni alla sanità e alla salute dei cittadini italiani. (Applausi
dal Gruppo FI).
Abbiamo detto no alla dissoluzione. Lo
diciamo noi, colleghi, perché nella vostra riforma del Titolo V
avevate introdotto un principio terribile, secondo il quale, se una Regione
governata da una maggioranza di centro-destra o di centro-sinistra decideva
di rivendicare, nei confronti di un Governo amico, più poteri, più
competenze, poteva farlo e il Governo amico gliele dava. Questo era federalismo
o piuttosto la dissoluzione di un Paese in relazione all'appartenenza politica?
Avevate concepito questo; noi ci siamo fatti carico di cancellare il pericolo
di provocare realmente la dissoluzione del Paese in funzione soltanto di
previsioni, di scelte, di appartenenze politiche.
Abbiamo poi introdotto un principio essenziale,
secondo il quale il Governo, lo Stato, vigila affinché le Regioni
non possano legiferare contro la Costituzione, non possano violare i dettami
costituzionali. C'è quindi un vigile attento, cioè lo Stato,
il Governo, che fa in modo che le Regioni non vadano oltre le loro competenze.
Non ci avevate pensato, nella vostra riforma del Titolo V, ma ora queste
decisioni le stiamo prendendo noi.
Vi abbiamo chiesto più volte collaborazione,
colleghi, vi abbiamo chiesto più volte incontri di vario genere,
riservati ed ufficiali, per trovare punti di intesa, ma voi avete rinnegato
ciò che pensavate del bicameralismo, dell'elezione diretta del Premier
e della riduzione dei parlamentari. Avete cioè rinnegato le vostre
proposte, che risultano scritte agli atti della Bicamerale. Esprimete un
«no» politico pregiudiziale, esasperando il mancato confronto
tra le forze politiche.
Nel proporre di ridurre i tempi di approvazione
delle leggi, ci rifacciamo ad un modello già esistente in Germania,
in Spagna, in Francia e in Austria. È un modello di bicameralismo
che condividevate nella Commissione bicamerale e che condividete nei vostri
testi di riforma depositati in Senato e alla Camera. Ecco perché
ci chiediamo e vi chiediamo perché oggi dite «no» a
voi stessi, a quello che sostenevate fino a qualche fa, soltanto per una
questione squisitamente politica.
Abbiamo deciso di ridurre i costi della
politica. Riduciamo il numero dei parlamentari del 20 per cento, signor
Presidente e colleghi. Con grande responsabilità e coraggio, facciamo
questa scelta. Purtroppo, dobbiamo lamentare che noi del centro-destra,
da soli (visto che voi non votate questa riforma), ci stiamo assumendo
questa responsabilità.
Quando state al Governo, voi fate ben
altro. Mi spiace dover ricordare che nel Lazio, dove governate, avete aumentato
gli assessori da 12 a 16 e le commissioni da 14 a 24. (Applausi dai Gruppi
FI, UDC e del senatore Lauro).
NOCCO (FI). Bravo!
SCHIFANI (FI). In Calabria avete nominato
tre nuovi Sottosegretari alla Presidenza e avete istituito quattro nuove
commissioni speciali. In Campania avete istituito ben 12 commissioni speciali.
(Applausi dai Gruppi FI, UDC e del senatore Lauro).
IZZO (FI). Bravo!
SCHIFANI (FI). Per non parlare poi dell'introduzione
in Campania di un corso, che ha impegnato 1.300.000 euro, per aspiranti
veline: non ho parole, signor Presidente! (Ilarità. Applausi dai
Gruppi FI, UDC e AN).
Vogliamo un Premier voluto dai cittadini,
che governi e che non possa essere mandato a casa come avete fatto con
Prodi, sostituendo addirittura un pezzo di maggioranza. Lo abbiamo scritto
in questo testo che modifica la Costituzione, su cui chiederemo agli italiani
di votare a favore.
Abbiamo ripetuto e trascritto vostre proposte,
che erano state avanzate dal collega Salvi in Commissione bicamerale. Un
Premier voluto dagli italiani non può essere mandato a casa da maggioranze
diverse; se rischia di perdere la maggioranza, egli stesso scioglie il
Parlamento e si torna a votare. Non è un dittatore.
Su questa nostra proposta, che ritenevamo
avreste pienamente condiviso, avete sollevato una grandissima protesta,
sostenendo che l'Italia verrebbe sottoposta alla dittatura del Premier.
Ci siamo allora fatti carico di questo aspetto e abbiamo introdotto nella
nostra proposta un'idea dello stimatissimo collega Amato, secondo la quale,
attraverso la sfiducia costruttiva, un Premier può essere sostituito
dalla sua stessa maggioranza. Pertanto, collega Angius, non è più
vero, come lei afferma, che può succedere che un Premier si svegli
la mattina e decida di mandare tutti a casa, perché abbiamo recepito
una vostra proposta contenuta nella bozza Amato.
Con l'emendamento 20.100, presentato dagli
stimatissimi colleghi Bassanini, Villone e Passigli, avete proposto una
norma pro ribaltone, che consente cioè alla maggioranza di cambiare
il Premier attraverso la sostituzione di un pezzo della maggioranza con
un pezzo dell'opposizione. È sostanzialmente ciò che avete
fatto con Prodi! (Applausi dai Gruppi FI, UDC e dai banchi del Governo).
Ma mi rendo conto del motivo per cui questo emendamento è firmato
dai diessini e non da altri colleghi della Margherita: nel caso in cui
doveste, malauguratamente per il Paese, vincere le elezioni (e non vincerete),
con questa norma sareste già pronti a fare subito fuori Prodi, perché
sapete che egli non può governare il Paese. (Applausi dai Gruppi
FI, UDC, AN, del senatore Lauro e dai banchi del Governo).
Avete parlato di un Presidente della Repubblica
privo di poteri. In realtà la nostra proposta gli conferisce il
potere - che attualmente non ha - di nominare i presidenti delle Authority
di garanzia e il Vice presidente del Consiglio superiore della magistratura.
Certo, non potrà avallare cambi di maggioranza, ma questo in funzione
della norma che introduciamo sull'elezione diretta del Premier.
Oggi, l'attuale Costituzione non consente
al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere in presenza di maggioranze
diverse da quelle volute dagli italiani. Questo noi vogliamo evitare: di
trovarci davanti un Presidente della Repubblica immobilizzato nello sciogliere
le Camere se si dovesse trovare davanti una maggioranza parlamentare diversa
da quella espressa dagli italiani, ma che formalmente si presenta per il
voto. (Applausi dal Gruppo FI).
Ma cosa ne pensano, gli esimi costituzionalisti
della sinistra? Signor Presidente, colleghi, c'è un certo tal professor
Augusto Barbera, persona che io conosco poco, ma che stimo molto, che è
stato ed è professore ordinario di diritto pubblico a Bologna, eletto
per cinque volte deputato nel PCI e nei DS, nel 1976 componente della Commissione
affari costituzionali e della Commissione parlamentare per le questioni
regionali, e nel 1992 delle Commissioni affari costituzionali e Bicamerale
per le riforme istituzionali. Credo che abbia un curriculum di tutto rispetto.
Ebbene, è quella che io definisco
la voce della verità. In un'intervista rilasciata al quotidiano
«Il Sole-24 ORE» dice: «Il testo della CDL è attento
alle esigenze unitarie e si muove nella prospettiva di un regionalismo
forte. È paradossale, ma bisogna riconoscere che è toccato
a un ministro leghista come Roberto Calderoli rimediare ai pericoli per
l'unità nazionale del federalismo sgangherato del Titolo V dell'Ulivo».
Lo dite voi! (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e LP).
«Corriere della Sera» del
26 marzo 2005: "Il federalismo della CDL non spacca in due l'Italia". Domanda:
«E i poteri del Presidente della Repubblica?» Risposta: «Non
credo che vengano umiliati».
Intervista recentissima, di ieri: «Macché
attentato all'unità nazionale, saremo più centralisti».
Domanda: «Chi grida alla dittatura può dunque stare tranquillo?»
Risposta: «Tranquillissimo, anche se sono discorsi da far cadere
le braccia: sia Schröder che Blair hanno sciolto anticipatamente i
loro Parlamenti e a sinistra nessuno li ha certo paragonati a Mussolini».
(Applausi dal Gruppo FI).
Cosa farete, colleghi, nei confronti del
professor Barbera? Pensate di fare quello che state facendo ai dirigenti
diessini di Venezia, che hanno deciso di appoggiare Cacciari? (Applausi
dai Gruppi FI e UDC).
Colleghi, abbiamo introdotto, in questa
riforma, una garanzia per le opposizioni: i Regolamenti parlamentari potranno
essere cambiati soltanto con una maggioranza qualificata dei tre quinti;
la Presidenza delle Commissioni di garanzia alle opposizioni; l'elezione
dei Presidenti delle Camere, se pure alla quarta votazione, non potrà
sfuggire all'obbligo della maggioranza assoluta dei componenti delle Camere,
norma non attualmente esistente nei nostri Regolamenti. Attenzione massima
dunque ai diritti dell'opposizione, nella consapevolezza che si può
essere maggioranza e opposizione nella logica dell'alternanza.
E allora, colleghi, credo che quando si
sacrifica davanti all'altare dell'opportunismo la coerenza, chi fa questo
sacrificio non offende solo se stesso ma anche la parte politica cui appartiene.
Ebbene, voi lo state facendo e ce ne dispiace, perché noi utilizzeremo
il referendum in campagna elettorale per spiegare al Paese quello che stiamo
facendo e quello che c'è di positivo in questa riforma, che tende
a modernizzare lo stesso Paese.
Un saluto, un augurio ed un abbraccio
sentito a Umberto Bossi. Io lo avevo salutato il 25 marzo del 2004. (Prolungati
applausi dai Gruppi FI, AN, UDC, LP e dai banchi del Governo). Avevo manifestato
espressioni di augurio per una sua guarigione nel mio intervento di dichiarazione
di voto sulla riforma costituzionale il 25 marzo 2004. Siamo oggi felici
che quegli auguri siano stati fruttiferi per la sua guarigione. Assicuriamo
all'onorevole Bossi che questo nostro voto è e sarà realmente
rispettoso della Costituzione.
Vedete colleghi, e concludo signor Presidente,
ho davanti il tabulato delle votazioni della seduta della Camera dei deputati
del 28 febbraio 2001. In quella occasione, quella maggioranza con quattro
voti di maggioranza soltanto (la maggioranza prevista era di 312 voti ed
i voti furono 316) ebbe ad approvare la riforma del Titolo V.
Colleghi, voi avete rispettato formalmente
la Costituzione, ma non l'etica della politica, perché avete avuto
bisogno di ben 19 voti di parlamentari eletti nel centro-destra che erano
passati nel centro-sinistra. Quello è un voto che, formalmente corretto,
è eticamente scorretto: avete utilizzato una maggioranza illegittima
per cambiare la Costituzione! (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC, LP, dai
banchi del Governo e del senatore Lauro).
Noi non lo faremo, non lo stiamo facendo.
I tabulati del nostro voto, così come i tabulati della Camera, rimarranno
segnati e affidati alla storia e la storia sarà segnata anche dal
voto dei cittadini italiani, che diranno sì a questa storica riforma.
(Vivi applausi dai Gruppi FI, AN, UDC, LP, dai banchi del Governo e del
senatore Lauro. Molte congratulazioni).
Ripresa della discussione del disegno
di legge costituzionale n. 2544-D (ore 19,13)
PRESIDENTE. Riprendiamo le dichiarazioni
di voto finale.
FISICHELLA
(AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal
mio Gruppo.
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la
parola. (Commenti dai Gruppi AN, UDC e FI).
PAGANO (DS-U). E la democrazia dove è
finita?
FISICHELLA (AN). Signor Presidente del
Senato, signor Presidente del Consiglio dei ministri, colleghi, nella passata
legislatura ho contrastato la riforma del Titolo V della Costituzione voluta
dal centro-sinistra ed ho cercato di spiegare le ragioni di tale mio orientamento
e del voto negativo che ne è conseguito. Anche nella presente legislatura,
e in continuità di atteggiamento, ho contrastato la riforma costituzionale
promossa, questa volta, dal centro-destra, votando contro. Confermo adesso
tale voto contrario perché non mi pare che il quadro sia migliorato.
Non è necessario ripetere cose
già dette; un solo punto voglio richiamare. Mi sono fermamente opposto
alla cancellazione della nozione di interesse nazionale attuata dal centro-sinistra
nella passata legislatura. Sarei stato pronto a salutare, come un fatto
positivo, il recupero del concetto di interesse nazionale intervenuto nel
disegno di legge costituzionale che il Senato si accinge oggi a votare
in via definitiva.
Purtroppo la collocazione della recuperata
nozione di interesse nazionale non consente valutazioni apprezzative. La
questione, infatti, è sottoposta al Parlamento in seduta comune
e basta considerare, per non dire altro, la nuova articolazione del Senato
federale per cogliere le difficoltà di un'efficace e obiettiva valutazione
dell'interesse nazionale.
Detto questo, e in ragione di una scelta
che annuncerò presto, per me molto difficile, debbo aggiungere qualche
altra parola, ed il senso di queste poche parole è il seguente.
C'è una storia nazionale nella quale io mi riconosco che non contempla
il federalismo; c'è un storia familiare e personale che non contempla
il federalismo.
Non ripercorrerò le vicende di
quanti nella mia famiglia, dal Risorgimento ad oggi, hanno patito le repressioni
borboniche, servito la patria in uniforme, conseguito medaglie al valor
militare, subito l'internamento nei campi di concentramento nazisti, militato
come parlamentari del vecchio Movimento Sociale italiano. Hanno fatto il
loro dovere e questo dovere non contemplava il federalismo.
Aggiungo che credo di aver fatto qualcosa
per la nascita e lo sviluppo di Alleanza Nazionale, al cui interno, peraltro,
mi sono costantemente impegnato perché fosse evitato l'esito federalista.
Oggi siamo all'epilogo; ne prende serenamente atto, senza malanimo verso
nessuno. Lascio Alleanza Nazionale.
Le mie dimissioni decorreranno dal momento
dell'approvazione di questa riforma costituzionale, cioè tra pochi
minuti. Su di essa il mio voto è contrario, come ho già detto.
(Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Misto-SDI-US e dei senatori Grillo,
Castagnetti e Pagliarulo).
ROLLANDIN (Aut).
Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la
parola.
ROLLANDIN (Aut). Signor Presidente, signor
Presidente del Consiglio, colleghi, prendo la parola come senatore della
Vallée d'Aoste, Regione bilingue. Francamente, so di non poter pretendere
che il collega messinese Nania conosca il francese, però pensavo
fosse lecito aspettarsi che pronunciasse Vallée d'Aoste in modo
corretto.
Nell'intervento in discussione generale
avevo chiesto chiarimenti in merito alla applicabilità alle Regioni
a Statuto speciale delle norme dell'articolo 45 riferite all'interesse
nazionale. Da interventi di colleghi e da precedenti affermazioni del ministro
Calderoli e del presidente Pastore sembrava dedursi che le Regioni a Statuto
speciale fossero escluse.
Nella replica del Ministro e del relatore
non c'è stato alcun riferimento al tema. Da ciò ne deduco
che vale l'interpretazione letterale del testo, con la conseguente possibilità
di impugnativa delle leggi regionali da parte del Governo, senza che le
Regioni possano far ricorso alla Corte costituzionale per una pronuncia
ufficiale. Questo costituisce un rischio reale di innescare un conflitto
tutto politico sul tema cardine dell'autonomia delle Regioni a Statuto
differenziato: la potestà legislativa esclusiva e concorrente. Il
tutto rappresenta una potenziale violazione dei dettati dell'articolo 114
della Costituzione, che sancisce la pari dignità tra Stato e Regioni.
Per questa considerazione, che si aggiunge
ai rilievi già evidenziati, in particolare in merito alla soluzione
prospettata per l'intesa tra Stato e Regioni per le modifiche degli Statuti
speciali, che rende inconsistente il potere contrattuale delle Regioni,
pur condividendo i contenuti della cosiddetta devolution di cui al decimo
comma dell'articolo 39, voterò contro il disegno di legge, che propone
radicali cambiamenti che non posso condividere. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U,
DS-U, Misto-Com, Verdi-Un e dei senatori Betta e Michelini).
BETTA (Aut).
Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la
parola.
BETTA (Aut). Signor Presidente, signor
Presidente del Consiglio, colleghi, alla modifica della Costituzione promossa
da Bossi, quando venne presentata in prima lettura al Senato, come Gruppo
delle Autonomie avevamo detto «sì», perché ampliava
le competenze delle Regioni a Statuto ordinario, rafforzando così
il sistema delle autonomie regionali e locali.
Insieme al collega Michelini, invece,
voterò - e mi dispiace - «no» a questa modifica per
molte ragioni.
La legge Bossi è stata ridimensionata
al punto da renderla inconsistente. Basta pensare che la competenza in
materia di polizia è stata declassata da ordine pubblico ad esercizio
burocratico per l'uso pubblico di locali ed impianti proprio della polizia
amministrativa.
Alle Regioni sono state sottratte competenze
molto importanti loro assegnate con la legge costituzionale del 2001. Ricordo
ai colleghi che su quella legge un referendum c'è già stato
e il popolo sovrano si era espresso meno di quattro anni fa; oggi con questa
decisione il Senato cambia anche quella espressione di voto.
Al Governo è stato conferito il
potere di chiedere al Parlamento di annullare le leggi regionali per ragioni
di merito all'ombra del principio dell'interesse nazionale.
Le Regioni a Statuto speciale possono
modificare i loro Statuti, concordando le proposte con il Parlamento per
un periodo massimo di tre mesi, dopodiché devono accettare o respingere
le proposte fatte dal Parlamento; per respingerle, i Consigli regionali
devono esprimersi con la maggioranza dei due terzi dei consiglieri assegnati.
Essi non votano per accettarle ma solo per respingerle, cosicché
la modifica statutaria finisce per costituire una imposizione dello Stato
alla comunità regionale.
Vi sono, poi, le ragioni di carattere
generale. Il Parlamento cambia il suo ruolo, peggiorandolo, a mio giudizio,
sia perché viene suddiviso in due Camere disuguali, con un percorso
confuso per quanto riguarda l'approvazione delle leggi, sia perché
può essere sciolto a richiesta del Presidente del Consiglio dei
ministri.
In questo modo l'interlocutore delle Regioni
non sarà, come dovrebbe essere in uno Stato federale, il Senato
federale della Repubblica, ma il Governo che, rafforzato nei suoi poteri,
continuerà, come è avvenuto fino ad oggi ad essere l'interlocutore
vero delle Regioni. Infine vengono meno le garanzie del Presidente della
Repubblica, che è indebolito, e viene compromessa l'autorevolezza
della Consulta.
Mi pare vi siano molti motivi per dire
«no». Infine, voglio esprimere la mia contrarietà anche
perché questa è una riforma sbagliata; è soprattutto
una riforma della maggioranza e non penso che serva dire: lo avete fatto
anche voi. Credo che la maggioranza debba assumersi le sue responsabilità
ora, senza ricercare le colpe delle vecchie maggioranze del passato.
Penso che sia una brutta pagina e mi auguro
che il Parlamento ed il Senato non veda più decisioni prese in questo
modo sulle regole fondamentali. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un,
Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI-US e Misto-Pop-Udeur).
PRESIDENTE. Siamo all'epilogo, colleghi.
Prima di giungervi, desidero anch'io, a titolo personale associarmi al
saluto ed all'augurio cordiale all'onorevole Bossi qui presente oggi. (Generali
applausi). Cari auguri a lei, onorevole Bossi.
Prima di passare alla votazione finale,
ricordo che, ai sensi dell'articolo 124, comma 1, del Regolamento, il disegno
di legge sarà approvato in seconda deliberazione, e in via definitiva,
se otterrà il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti
del Senato.