Riforme Istituzionali
 
 
Dichiarazioni di voto Ddl di revisione Costituzionale: voto in prima lettura del Senato - 24 marzo 2004
 
Fonte: Senato
SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE CONCERNENTE “MODIFICAZIONI DEGLI ARTICOLI 55, 56, 57, 58, 59, 60, 64, 65, 67, 69, 70, 71, 72, 80, 81, 83, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 104, 114, 116, 117, 126, 127, 135 E 138 DELLA COSTITUZIONE”
 
MARINI (Misto-SDI)   -    KOFLER (Aut)   -    TURRONI (Verdi-U)    -    MORO (LP)    -   TAROLLI (UDC)
 
BORDON (Mar-DL-U)   -   NANIA (AN)    -   ANGIUS (DS-U)    -    SCHIFANI (FI)    -    DEL PENNINO (Misto-PRI)
 
FALOMI (Misto)   -   MALABARBA (Misto-RC)   -   DENTAMARO (Misto-AP-Udeur)    -   MARINO (Misto-Com)
 
FISICHELLA (AN) (in dissenso)     MEDURI (AN) (in dissenso)
 
 
 
 
MARINI (Misto-SDI) 
 
Signor Presidente, onorevoli senatori della maggioranza, il voto che state per esprimere non rappresenta la volontà della maggioranza del popolo italiano. La legge elettorale maggioritaria vi ha dato sì la maggioranza del Parlamento, non siete però i rappresentanti del 50 più uno per cento dei cittadini italiani. 
Voi avete ottenuto nelle ultime elezioni nel maggioritario alla Camera il 45,4 per cento dei voti validi e nel proporzionale il 49 per cento, includendo anche quelle parti politiche che non hanno raggiunto la quota di sbarramento. 
Quindi, rappresentate meno del 30 per cento dei cittadini italiani ed il 30 per cento non scrive le regole che debbono valere per tutti i cittadini. Avete più volte rivendicato l'ispirazione liberale ma avete comportamenti illiberali. Se foste dei veri liberali dovreste approvare le norme di modifica della Costituzione attraverso un'Assemblea costituente, rappresentativa della volontà di tutto il popolo italiano. Noi votiamo contro la legge che state per approvare perché con essa svuotate di contenuti e di garanzia il Senato della Repubblica e assoggettate la Camera al Capo del Governo. 
Il Parlamento si trasformerà in un guscio vuoto ed il potere sarà trasferito tutto nella persona del Primo Ministro. Introducete un presidenzialismo camuffato e concentrate la rappresentanza del popolo nella persona del Capo del Governo. La vostra riforma non può chiamarsi presidenzialismo perché sono assenti i contropoteri tipici di questa forma di governo e non è più il regime parlamentare democratico che avevamo in vigore dal 1947. Siete affascinati dall'idea dei poteri in capo ad un uomo solo e vi inventate una forma di monocratismo del tutto estraneo ai regimi parlamentari europei. Accontentate la Lega con la devoluzione, prevista nell'articolo 33, che è la logica conseguenza di un viscerale antimeridionalismo. 
Tradite, colleghi della maggioranza, i vostri elettori che sono stati tanti nel Mezzogiorno d'Italia e in tal modo favorite in settori fondamentali per la vita quali quella della sanità, della scuola e della sicurezza una ulteriore divaricazione tra Nord e Sud. Negate con l'articolo 33 l'unicità, l'universalità del diritto di cittadinanza; rompete l'unità nazionale con una riforma sbagliata, frutto di patteggiamenti, sulla quale non possiamo che esprimere tutti il nostro dissenso; anzi, colleghi, lo gridiamo, sicuri che sarà il popolo italiano con il referendum, qualora voi avrete la forza di portare a termine questo disegno perverso, a dire "no" ad una riforma sbagliata, che mortifica la democrazia italiana. (Applausi dal Gruppo Misto-SDI). 
 
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KOFLER (Aut)
 
Signor Presidente, signori Sottosegretari, complessivamente il disegno di legge costituzionale presenta alcuni aspetti che inducono ad una valutazione positiva. Purtroppo i lati deboli sono preponderanti; quindi, devo anticipare sin d'ora il voto contrario del Gruppo Per le Autonomie. È da considerare positivamente lo sforzo compiuto di alleggerire in parte l'apparato legislativo, riducendolo di un terzo dei componenti ed eliminando il sistema del bicameralismo perfetto. 
Un punto importante della riforma è l'introduzione nel sistema delle categorie, della competenza esclusiva delle Regioni, in gergo definita devolution. Sanità, scuola, polizia locale sono i settori ivi compresi. Per quanto riguarda in modo specifico le autonomie speciali, apprezziamo particolarmente l'approvazione in Commissione di un emendamento da noi proposto. Esso chiarisce definitivamente che le disposizioni previste dalla legge costituzionale in discussione si applicano alle Regioni a statuto speciale e dalla Province autonome di Trento e di Bolzano, esclusivamente ove prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle di cui esse già dispongono, secondo i rispettivi statuti di autonomia e le relative norme di attuazione. 
La trasformazione del Senato della Repubblica in Senato federale, per certe incombenze integrato dai presidenti delle Regioni e delle Province autonome, è sicuramente un'operazione riuscita solo in parte in quanto si ferma a metà strada. Quarantadue presidenti regionali contro i duecento senatori sicuramente non riusciranno a dare al Consesso una vera matrice federale. La riforma tende a spostare l'asse di potere verso il Presidente del Consiglio, allontanandolo dal Presidente della Repubblica. 
Cinquant’anni di funzionamento della Repubblica non inducono a tale soluzione. Sembra più una modifica dettata dalla situazione politica del momento. È stato introdotto l’interesse nazionale quale ulteriore limite generale alla legislazione regionale. Non essendo l’interesse nazionale meglio definito esso si presta ad interventi di interferenza politica e ad un vero controllo politico da parte del Governo sulla Regione. Altro che federalismo! Riscontriamo una malcelata diffidenza nei confronti delle Regioni. 
Viene eliminata la possibilità di concordare tra Stato e Regioni interessate ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia oltre alle materie attribuite in via generale alla competenza delle Regioni. Questo istituto, introdotto con la riforma del 2001, è un arricchimento del mondo delle autonomie e la sua soppressione, prima che sia stata sperimentata anche una sola volta nella sua applicazione concreta, ci sembra ingiustificata. 
L’introduzione della figura del capo (si intende unico) dell’opposizione, secondo noi non tiene conto della realtà di questo Paese che è lungi dal poter essere inquadrata in un sistema di bipolarismo perfetto. Fatto sta che la nostra attuale posizione politica di equidistanza e quindi di valutazione singola delle misure proposte dal Governo per l’approvazione non trova riscontro alcuno in una formulazione siffatta. Avete introdotto il principio dell’intesa tra Stato e Regioni per le modifiche e per gli statuti speciali, e questo è un passo nella giusta direzione, che apprezziamo. 
Con l’apposizione, però, di un limite temporale di sei mesi è stata vanificata la sostanza della norma; trascorsi sei mesi, il Parlamento può procedere anche prescindendo dall’intesa. Un nostro ordine del giorno, accettato all’ultimo momento, impegna il Governo a definire prima del prossimo passaggio alla Camera le modalità di raggiungimento e di valorizzazione dell’intesa. 
Il testo del disegno di legge attuale lascia intendere che lo Stato non ha intenzione di configurare una vera intesa sostanziale per la modifica degli statuti speciali. Ribadisco, comunque, che nel caso della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol l’intesa è comunque obbligatoria, in quanto lo statuto si basa sull’accordo internazionale di Parigi a tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina. 
Queste valutazioni ci portano ad esprimere, come Gruppo per le Autonomie, un voto nettamente contrario al disegno di legge costituzionale sulle riforme istituzionali. (Applausi della senatrice Thaler Ausserhofer e del senatore Ripamonti)
 
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TURRONI (Verdi-U)
 
Domando di parlare per dichiarazione di voto. 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà. (I senatori Falomi e Fabris chiedono di intervenire)
Colleghi, vi prego; come ho detto do la parola al senatore Turroni per svolgere solo la dichiarazione di voto. Altre questioni potranno essere discusse al termine di questa fase procedurale. 

FALOMI (Misto). Non potete fare come vi pare. 

PRESIDENTE. Senatore Falomi, la richiamo all’ordine. (Commenti dei senatori Fabris, Falomi, Turroni e della senatrice Dentamaro). Senatore Turroni, la prego di intervenire. (Commenti dei senatori Falomi, Fabris e della senatrice Dentamaro). Senatori Fabris e Falomi, vi prego. 

FALOMI (Misto). È una vergogna! 

PRESIDENTE. Non permetto interruzioni in sede di dichiarazione di voto, così come deciso con il suo Capogruppo. Senatore Falomi, le ricordo che lei ha un Capogruppo. (Commenti dei senatori Falomi, Fabris, Turroni e della senatrice Dentamaro). Senatore Turroni, la prego. Prego il Capogruppo del Gruppo Misto di intervenire per interporre i suoi buoni uffici e ottemperare alle sue responsabilità. (Commenti dei senatori Falomi, Fabris e della senatrice Dentamaro). Colleghi, non mi costringete ad interrompere i lavori; ciò determinerebbe anche l’interruzione del collegamento televisivo. Senatore Turroni, la prego di iniziare la sua dichiarazione di voto. (Il senatore Falomi si imbavaglia). La prego nuovamente di iniziare il suo intervento, senatore Turroni. 

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, se lei mi garantisce la possibilità di parlare e di essere ascoltato, intervengo. 

PRESIDENTE. Chieda aiuto anche ai suoi colleghi, per cortesia. 

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, quello è un suo compito non è il mio. (Commenti del senatore Fabris e della senatrice Dentamaro)

PRESIDENTE. La richiamo di nuovo. 
Senatore Fabris, lei ha un Capogruppo e la questione la può risolvere con lui. 
Senatore Turroni, la richiamo: prenda la parola, per favore. 

FALOMI (Misto). In Senato vige un Regolamento, che non è un palinsesto televisivo. 

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, io non posso far altro che dire che i miei colleghi che stanno protestando hanno ragione. Presidente, mi consenta di dirlo all'inizio del mio intervento, che è una dichiarazione di voto… (Forte brusìo in Aula)… Signor Presidente, come faccio a continuare? 

VALDUCCI, sottosegretario di Stato per le attività produttive. Sei un idiota! 

PRESIDENTE. Lei prosegua, senatore Turroni. 

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, lei deve garantirmi il diritto di esprimere la mia parola in quest'Aula, e quindi ricomincio da capo il mio intervento. 
Questa è la dichiarazione di voto del Gruppo dei Verdi, che intendono chiedere preliminarmente scusa ai Padri costituenti… 

VENTUCCI, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Scemo! 

TURRONI (Verdi-U). …in un momento in cui la maggioranza sta facendo scempio della Carta costituzionale. È, quella attuale, una Costituzione che è costata il sangue di valorosi combattenti per la libertà, l'uguaglianza, la democrazia, e che ora è stracciata e calpestata. Una Costituzione che ha garantito pace, benessere, coesione sociale, democrazia, rispetto fra le parti, nonostante abbia visto la luce in un periodo di forte tensione ideale ed ideologica. Eppure quei Costituenti seppero raggiungere sempre dei compromessi alti, che hanno dato vita ad un testo costituzionale che ha consentito grosse conquiste sociali e civili al nostro popolo. 
La riforma dell'ordinamento della Repubblica si è caratterizzata sempre di più come un'opera di controriforma della maggioranza e del Governo, confermando i presagi della vigilia estiva, quando i quattro, autodefinitisi, saggi davano vita alla bozza governativa di Lorenzago. 
Nei rapporti tra organi costituzionali che il testo prefigura vi è qualcosa di più profondo e radicale di un cambiamento alla forma di Governo; vi è il mutamento di quei rapporti che hanno deciso la determinazione di una alterazione degli equilibri di tale portata da incidere sulla stessa forma dello Stato. Si è affermata un'interpretazione del principio maggioritario, inteso come illimitato ed insofferente di ogni vincolo, incompatibile con la concezione di democrazia accolta dal costituzionalismo occidentale, che al contrario prevede robusti argini e contrappesi al potere della maggioranza. 
L'esito finale della riforma sembra essere proprio la fuoriuscita dallo Stato di diritto democratico, con il conseguente annichilimento non solo della democrazia, della quale rimane una parvenza svuotata di contenuto, ma dello stesso costituzionalismo come scienza capace di sottoporre il potere a regole, dal momento che l'obiettivo della riforma è esattamente quello di liberare il potere dai limiti e dai controlli. Si sono presi pezzi diversi da alcune forme di governo, tutte compatibili con lo Stato di diritto democratico, costruendo un ibrido che conduce fuori da ogni forma di Stato contemporanea. La smania di omologazione ai modelli stranieri più celebrati ha prodotto sforzi di imitazione che hanno paradossalmente condotto a modelli unici, a pasticci unici. 
Si configura la democrazia plebiscitaria, fondata sul potere personale e non, come la democrazia maggioritaria, radicata in un sistema di partiti che riacquistino una funzione costituzionale di strumenti attraverso cui i cittadini concorrano con metodo democratico a determinare la politica nazionale, secondo il dettato dell'articolo 49 della Costituzione. Si configura un modello di premierato assoluto che, lungi dall'essere un semplice rafforzamento della figura del Primo Ministro, delinea l'approdo ad una populistica ricerca di decisionalità e di capi, nella quale il Parlamento è intralcio alla laboriosità del Premier, o del Presidente del Consiglio, come vogliamo chiamarlo noi. 
Il Presidente del Consiglio ha una concezione proprietaria della politica. Lo stesso Parlamento deve ubbidirgli e deve appartenergli. Il disegno, infatti, non si limita ad un rafforzamento dei poteri del Primo Ministro, ma contempla la perdita della cultura dei contrappesi (siano essi la Corte costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura, l'autonomia stessa della magistratura o il Presidente della Repubblica), tale da condurre ad una centralità dell'Esecutivo, o meglio, del suo capo, posto fuori di ogni controllo. 
In un sistema che contempla un rapporto fiduciario implicito o presunto, dal momento che il Governo è tenuto a illustrare il programma senza un necessario voto preventivo di fiducia, il Presidente della Repubblica assume… (Scambio di apostrofi tra i senatori Bordon e Fabris). Signor Presidente, mi scusi… (Richiami del Presidente)

PRESIDENTE. Per favore, fate svolgere con un po’ di tranquillità l’intervento al senatore Turroni. 

TURRONI (Verdi-U). Il Presidente della Repubblica assume l'inedita veste di notaio, emanando il decreto che ratifica lo scioglimento della Camera dei deputati, potere attribuito in via esclusiva al Presidente del Consiglio, ora ribattezzato, in ossequio alla lingua inglese, Premier
Ma voglio ricordare che in Gran Bretagna il leader dipende dalla sua maggioranza, che può decidere eventualmente di sostituirlo, come avvenne ai tempi della Thatcher con Major (lo abbiamo detto più volte in quest’Aula); in questo caso, invece, il rafforzamento della posizione giuridica e dei poteri del Primo Ministro sembra, in realtà, tale da collocarlo in una condizione di primus non solo rispetto agli altri Ministri (non più considerati pares), ma anche nei confronti del Parlamento, dell'opposizione e di quella parte pur minoritaria della stessa maggioranza capace di distinguere ancora tra stabilità ed efficienza. 
La stessa terminologia utilizzata conduce a queste conclusioni. L'articolo 95, infatti, oltre a prevedere il nuovo potere in capo al Primo Ministro di nominare e revocare i Ministri, senza neppure passare per la proposta del Presidente della Repubblica, stabilisce che lo stesso Primo Ministro determini (e non più diriga solamente) la politica generale del Governo. Ciò implica lo spostamento da un ambito collegiale ad uno monocratico del momento formativo dell'indirizzo politico. 
Coloro che esaltano la concezione dello scioglimento come "deterrente preventivo", poi, non tengono in alcun conto il dinamismo del sistema politico che, al contrario, vorrebbero fermamente ancorato al momento del voto e lì definitivamente fissato. Si tornerebbe ad una concezione tipica dell'assolutismo monarchico, per la quale il popolo deve limitarsi ad eleggere, lasciando al libero arbitrio dei suoi eletti le scelte successive: una concezione che determinò la famosa critica di Rousseau del popolo (inglese, in quel caso) libero per un solo giorno, quello delle elezioni. 
Si modifica l'assetto della Corte costituzionale. Proprio quest’ultima risulta trasfigurata dalla proposta di mutare la sua composizione nel senso che i suoi componenti sarebbero a maggioranza di nomina politica e quindi dipendenti dalla stessa maggioranza di Governo. Non solo si penalizzano ancora di più le minoranze, ma si travolge il ruolo stesso della Corte costituzionale, con la sua politicizzazione; la proposta, dietro l’alibi del federalismo, tenta di nascondere il vero intento che l’ispira: controllare il giudice delle leggi e dei conflitti costituzionali attraverso l’aumento dei membri legati alla politica e mettere le mani sulla Corte, come avete voluto mettere le mani sull’intero Stato. 
La progettata ridefinizione delle competenze regionali mette poi a repentaglio la fondamentale unità del Servizio sanitario nazionale e la altrettanto fondamentale unità culturale della nostra scuola, nonché l'autonomia di gestione degli istituti scolastici e l'unitarietà dei diritti civili e sociali sull'intero territorio nazionale. La cosiddetta devolution, imposta dal ricatto leghista, minaccia l’unità dello Stato e l’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini. 
Se a tutto ciò si aggiunge una riforma del bicameralismo farraginosa, confusa e destinata a generare ancora più conflitti di attribuzione rispetto alla situazione attuale e che continuerà a vedere i Presidenti delle Camere divisi fra loro da interpretazioni dubbie e, contemporaneamente, una riforma del Senato in senso federale (che di federale ha solo il nome) e l'assoluta carenza di garanzie democratiche per l’opposizione (come è chiamato il complesso delle attribuzioni riconosciute a chi non è legato al Governo da rapporto fiduciario), appena evocate all'ultimo comma dell'articolo 64 e assolutamente inadeguate, il quadro è completo e giustifica e impone ai Verdi un voto contrario. 
L’Italia, gli stessi Padri costituenti, i cittadini tutti non meritano una controriforma della Carta costituzionale tanto negativa e pericolosa, tale da minare alle fondamenta la nostra Repubblica. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, Mar-DL-U e DS-U)

 
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MORO (LP)
 
Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, i numeri di questo disegno di legge costituzionale parlano da soli su quale sia stato l'impegno di questa maggioranza e di questo Governo per portare a termine il provvedimento che caratterizzerà questa legislatura. 
Solo i senatori Bordon ed Angius non si sono accorti del tempo che è passato. Essi hanno ritenuto di denunciare, in una conferenza stampa di alcuni giorni fa, il silenzio e l'indifferenza sull'esame delle riforme, giungendo fino a dichiarare che per questo provvedimento al Gruppo della Margherita sono stati concessi solo 57 minuti, compresa la dichiarazione di voto finale. 
Credo che ci sia un limite alla decenza ed al rispetto della verità e della giusta informazione (Applausi dai Gruppi LP, FI, UDC e AN), che il centro-sinistra ha superato con la bravura di consumati ciarlatani. Per ristabilire la verità e dare una corretta informazione è giusto si sappia che a questo disegno di legge la 1a Commissione ha dedicato ben 32 sedute da ottobre 2003 a gennaio 2004 e che, da gennaio ad oggi, l'Assemblea vi ha dedicato ben 35 sedute, con oltre 100 ore di discussione. Un vero e proprio record, signor Presidente, e non credo si possa ancora sostenere di aver avuto un dibattito limitato e compresso. 
Sempre per ristabilire un minimo di corretta informazione, va sottolineato che la riforma del Titolo V, fatta nella passata legislatura, ha ricevuto attenzioni assai più limitate: 10 sedute di Commissione e 16 d'Aula. Non accettiamo, dunque, accuse di aver voluto strozzare il dibattito e la discussione! 
Al di là delle polemiche quotidiane e degli effetti devastanti che secondo il centro-sinistra questa legge provocherà sul territorio, non abbiamo assistito ad un confronto sui temi, ma a sterili ripetizioni di ritornelli su tematiche prive di contenuto pratico, con esposizioni tecniche del tutto svincolate dalla realtà in cui siamo chiamati ad operare. Il centro-sinistra ha utilizzato la riforma costituzionale come palestra di studio e di prospettazioni che nulla hanno a che vedere con la riforma che stiamo per votare. 
In definitiva abbiamo assistito ad un dibattito sulla difesa dello status quo, con disquisizioni molto sottili e utili solo a quanti, in futuro, vorranno conoscere gli atti parlamentari o per lasciare, come spesso sento dire in Aula, traccia sui resoconti parlamentari, "perché resti a verbale", naturalmente rivisti e corretti. Molti oratori si sono preoccupati di lasciare la loro traccia per future biografie visto che già da ora intendono passare alla storia! 
Ma torniamo al tema oggetto della dichiarazione di voto. Per la Lega sarebbe stato molto più facile portare a termine il disegno di legge di riforma dell'articolo 117, giunto al Senato per la terza lettura. La spinta federalista di quel provvedimento ha avuto il merito di porre in evidenza la fondamentale necessità di trasferire poteri e responsabilità effettive in un contesto di equilibrio territoriale tra Nord e Sud, tra le diverse realtà del nostro ordinamento. 
Questi princìpi hanno avuto una prima, timida e comunque incompleta attuazione con l'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, con la quale è stato dato avvio al potenziamento ed alla valorizzazione del ruolo delle autonomie locali e regionali. 
Tuttavia, il desiderio dell'allora maggioranza di concludere rapidamente l'esame del testo costrinse a restringere drasticamente i tempi della discussione, trascurando così la inadeguatezza complessiva della riforma e, per altro verso, i gravi problemi sottesi alle diverse soluzioni adottate, determinando interventi di natura integrativa da parte della Corte costituzionale che nella storia della giurisprudenza trovano ben pochi precedenti. 
I problemi dell'attuazione della riforma costituzionale voluta nella passata legislatura, che ha di fatto paralizzato l’attività riformatrice, unitamente alla volontà di questa maggioranza di dar corso alle riforme quale attuazione del programma elettorale, hanno determinato la scelta di porre mano a ben 35 articoli della Costituzione. 
II progetto di riforma interviene sia per correggere alcune evidenti lacune di quella precedente, sia per compiere un ulteriore passo in avanti verso l'attuazione di un pieno ed effettivo federalismo. Certo, la Lega avrebbe voluto norme molto più avanzate rispetto a quelle che alla fine hanno potuto trovare accoglimento e condivisione da parte di tutta la coalizione, ma siamo dell'idea che quanto stiamo per approvare costituisca un primo importante avvio di questo processo, dovendosi prevedere ulteriori passaggi per la effettiva realizzazione di un "processo federale". 
Al riguardo, penso sia ormai condiviso da tutti il fatto che nel nostro Paese occorra avere una visione "processuale" del federalismo, cioè progressiva, nel senso che non possa considerarsi un dato statico da raggiungere una volta per tutte mediante un miracolistico intervento del legislatore costituzionale, per cui sarebbe sufficiente scrivere una norma per risolvere un problema; piuttosto, e più realisticamente, la devoluzione di funzioni dal centro alla periferia potrà essere tanto più efficace quanto più sarà continua, prolungata nel tempo e progressiva. Del resto non potevamo sottrarci a questo importante adempimento visto che la Casa della Libertà era stata costruita con il preciso intendimento di fare le riforme. 
Conoscendo l'atteggiamento della sinistra, che in più occasioni ha sempre ostacolato qualsiasi progetto riformatore, la Lega non ha inteso dar seguito a tutte le provocazioni giunte da più parti nel chiaro intento di dar luogo ad atteggiamenti che avrebbero potuto determinare la sospensione del lavori e rallentare l'iter del provvedimento. Troppo facile sarebbe stato per ciascuno di noi intervenire per respingere al mittente tutte le varie obiezioni che ci sono state sollevate, confutando dati e dichiarazioni volutamente falsi e talvolta offensivi, ma il costo da pagare era la paralisi dei lavori: per questo abbiamo preferito il silenzio al posto della sterile polemica che il centro-sinistra ha ingaggiato per quasi tutto l'iter di questo disegno di legge. 
Per chi ci ascolta deve essere chiaro che l'unica volontà espressa dall'opposizione è stata quella di ostacolare questo provvedimento. La parola d'ordine è quella che "le riforme non s'hanno da fare", "non possiamo dare a questa maggioranza ed alla Lega, in particolare, la paternità di un cambiamento epocale della Costituzione: è un affronto che non ci possiamo permettere e la Lega di Bossi non dovrà fregiarsi del merito di aver voluto ed attuato una riforma di tal fatta!". Questo in sintesi il succo dell’opposizione. 
Certo, ci sono state tensioni anche all'interno della coalizione, non possiamo negarlo. Con pazienza e volontà di raggiungere gli obiettivi , con molti sacrifici anche da parte nostra, abbiamo voluto smussare gli ostacoli mantenendo fermi i princìpi e discutendo sui dettagli. Devo dare atto al relatore, senatore D'Onofrio, di aver dato prova di grande volontà di perseguire gli obiettivi posti e di aver avuto, sia pure con i toni e gli atteggiamenti che gli sono propri, la capacità di condurre il ragionamento sul giusto binario. (Applausi dai Gruppi FI, LP, UDC e AN)
I risultati di questo importante lavoro sono rappresentati essenzialmente: dalla fine del bicameralismo perfetto; dalla riduzione significativa del numero dei parlamentari; dalla introduzione del Senato federale, che costituisce sicuramente l'elemento fondamentale della riforma ove la rappresentanza è intimamente legata al territorio; dalla definizione dei ruoli di ciascuna Camera; dalla determinazione dei poteri del Presidente della Repubblica, di quelli del Capo del Governo, nonché delle regole per la stabilità degli Esecutivi; dalla riforma della Corte costituzionale. Infine, ma non ultimo, abbiamo riaffermato la devoluzione nelle materie della sanità, della polizia locale e della scuola. Un lavoro immane e la volontà di portarlo a termine ha fatto superare i tanti ostacoli che si sono presentati man mano che l'opera andava avanti. 
Nella dichiarazione di voto sulla devoluzione, oramai più di un anno fa, avevo fatto cenno ai demagoghi ed ai ciarlatani. Anche in questa occasione c'è una vera ammucchiata di questi soggetti che, dentro e fuori il Palazzo, si stanno opponendo all'introduzione nel nostro ordinamento del federalismo. Avevo affermato che il significato di questa battaglia politica era il superamento del regionalismo e l'approdo al federalismo con l'esemplificazione dell'immagine di un cane tenuto a catena corta, quello che doveva muoversi all'interno del regionalismo, e di un cane libero di muoversi all'interno del recinto del federalismo. Questo provvedimento allarga quel recinto e ne definisce meglio i confini in modo che quel cane, non più tenuto a catena corta, sarà libero di agire senza la preoccupazione di invadere territori di altri. 
Dissi ancora che tra un cane a catena corta, che la sinistra ed il sistema di potere centralista vuole mantenere, ed un cane libero nel recinto federalista, non avevamo dubbi su quale fosse la situazione migliore. Ancora oggi quella affermazione viene confermata, anzi accresciuta con le ulteriori ed importanti modifiche apportate. 
La forzata assenza del Ministro delle riforme nel momento conclusivo ha accresciuto in tutti noi la volontà di proseguire in questa strada che sapevamo in salita e la volontà di concludere il lavoro nei termini che lo stesso ministro Bossi aveva indicato. (Applausi dai Gruppi LP, FI, UDC e del senatore Consolo). Siamo stati di parola ed abbiamo mantenuto le promesse fatte: miglior regalo non potevamo fare a chi in questa battaglia è stato sempre in prima linea e il cui risultato finale e il voto favorevole che il Gruppo della Lega convintamene annuncia a conclusione di questa vicenda parlamentare, che sicuramente passerà alla storia, intende dedicare. 
Al ministro Bossi vada il nostro pensiero con l'augurio di un pronto ristabilimento… (Applausi dai Gruppi LP, FI, UDC, AN, Mar-DL-U e DS-U) certi che l'approvazione di questo provvedimento costituirà sicuramente motivo per riprendere il cammino delle riforme con rinnovato ed accresciuto vigore. (Applausi dai Gruppi LP, FI, UDC e AN)
 
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TAROLLI (UDC)
 
Signor Presidente, onorevoli colleghi, c’è un interrogativo preliminare a cui va data una risposta: era veramente necessario ed è proprio utile riformare la nostra Carta costituzionale? Serve proprio impegnare il Parlamento per mesi e mesi su una tematica che, spesso, è colta come distante dai bisogni più immediati dei nostri concittadini? La nostra risposta è che è proprio necessario. Rispetto al 1947 l’Italia è profondamente mutata: si sono rafforzati i diritti, sono mutate le attese e le sfide a cui siamo chiamati. Nel tempo, a questo cambiamento si è risposto per i Comuni con l’elezione diretta del sindaco, per le Regioni, con l’elezione diretta dei governatori e infine, nella legislatura passata, con la modifica del Titolo V della Costituzione. 
Noi dell’UDC, questa maggioranza, in una logica di continuità del cambiamento, vogliamo andare più in là, senza colpi di mano ma con risolutezza. 
Sul piano internazionale dobbiamo relazionarci al nuovo ruolo che l’Europa e le sue istituzioni hanno assunto e che in tante parti interviene proprio nell’ambito dela competenza nazionale. 
È cresciuta la competizione internazionale e questa competizione richiede delle istituzioni ed un sistema istituzionale in grado di reggere il confronto con gli altri Paesi nostri competitori. Pensiamo alle ricadute che ha nel nostro Paese, come negli altri, l’Organizzazione mondiale del commercio: le sue decisioni, se pensiamo alla luce, all’acqua, al gas e ai prodotti alimentari, entrano direttamente nelle nostre famiglie. 
Abbiamo bisogno quindi di istituzioni aggiornate che sappiano mettersi in relazione con questi nuovi problemi e questa esigenza non è uno sfizio della Casa delle libertà. Se non lo facessimo noi lo avrebbe fatto il centro-sinistra, considerate anche le crepe e le insufficienze della riforma del Titolo V che è stata approvata nella scorsa legislatura. 
Il cambiamento, quindi, si rende necessario, ma voglio sia chiaro non per l’inadeguatezza intrinseca della nostra Carta costituzionale, ma per il semplice fatto che il contesto politico, sociale, economico e culturale del nostro Paese richiede istituzioni che rispondano in modo più compiuto all’esigenza della governabilità e della stabilità, valori che in una società complessa e frammentata come la nostra assumono un’importanza ed un ruolo diverso e più impegnativo rispetto al passato. 
Ci è stato rinfacciato che la Casa delle libertà sta approvando questa riforma sotto lo schiaffo della Lega. Abbiamo avuto modo di riconfermare, nel corso del dibattito, che in questo Senato ci sono uomini liberi, uomini responsabili che, in coscienza e in autonomia, credono alla necessità della riforma, credono alla necessità del cambiamento e lo credono da uomini liberi. 
È una fiducia che accomuna la Lega con l’UDC, la Lega con Forza Italia e Forza Italia con AN; è una convinzione che appartiene a tutti i partiti della Casa delle Libertà. (Applausi dai Gruppi UDC, FI e AN). 
La verità è che voi dell’opposizione, colleghi e amici dell’Ulivo, non credevate alla volontà riformatrice della Casa delle Libertà. Prima avete cercato di limitarvi ad un ostruzionismo velato, poi avete gridato al ricatto della Lega, poi vi siete resi conto che questa maggioranza decideva con risolutezza e allora avete cominciato a confrontarvi con serietà. 
Avete sbagliato clamorosamente nelle vostre valutazioni ed è per questo che non siete credibili nel Paese. 
Mi rivolgo ai colleghi con i quali ho interloquito anche nella discussione, al collega Bassanini, al collega Villone ed al collega presidente Mancino: avete perso un importante occasione per concorrere con la Casa della Libertà a realizzare regole comuni. 
Si è detto che per riformare la Costituzione ci voleva la Costituente. Mi permetto di ricordare che in questi ultimi vent’anni abbiamo avuto tre Bicamerali. Sono state scritte montagne di libri, quello che c’era da scrivere e da sviscerare è stato scritto e sviscerato. Tutte le questioni sono ormai state affrontate, approfondite e chiarite. C’era e c’è solo bisogno di decidere e di scegliere cosa fare ed è quello che questa maggioranza ha fatto. 
L’UDC ha assicurato, noi riteniamo, un importante contributo alla costruzione di questo progetto. Gli interventi del collega Eufemi, che è stato impegnato e battagliero, dei colleghi Ronconi, Compagna e Maffioli hanno fornito apporti decisivi nel contribuire a determinare la nuova configurazione che verrà ad assumere il Senato federale. 
Così come è risultato determinante il contributo dell’UDC a salvaguardare la peculiarietà delle Regioni e delle Province autonome dotate di speciali statuti. A loro tutela è stato costituzionalizzato l’obbligo della negoziazione con il Parlamento ed il Governo. Da un istituto solo formale come quello del "sentito il parere", introdotto dall’Ulivo, la Casa delle Libertà è passato a quello della "previa intesa", seppur a termine; un rispetto per le autonomie speciali e la loro storia che interesserà oltre 9 milioni di cittadini italiani e che avrà senz’altro bisogno di ulteriori passi in avanti. 
Ma un contributo straordinario, me lo consentirà, signor Presidente, l’UDC lo ha assicurato con il suo presidente D’Onofrio. (Applausi dai Gruppi UDC, FI, AN e LP)
Egli si è sobbarcato il gravoso compito di relatore. A lui spetta il merito di aver preso per mano una riforma e di aver contribuito, con i suoi colleghi, a plasmarla ed a renderla, pur nel suo carattere assolutamente innovativo, coerente e legata da un filo conduttore. La sua è stata una straordinaria testimonianza di come la cultura cattolico-liberale e la tradizione democratico-cristiana possa essere di aiuto al nostro lavoro parlamentare ed al nostro Paese e possa ancora ambire ad un ruolo significativo e incidente nel sistema politico italiano. Di questo gliene diamo atto. (Applausi dai Gruppi UDC, FI, AN e LP)
Diamo vita ad una profonda riforma che rende inquieti e dubbiosi anche uomini del nostro schieramento. Pensiamo a come viene declinato il valore e il principio della sovranità. Da una sovranità che appartiene al popolo siamo passati ad una sovranità che appartiene al popolo ed alla Repubblica, che è costituita non solo più dallo Stato, ma anche dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni e dalle Città metropolitane. Con il testo che ci accingiamo a votare la sovranità si esprime attraverso una pluralità dei soggetti. Al popolo, che si esprime unitariamente attraverso la Repubblica, apparterrà la titolarità della sovranità. Ai soggetti che compongono la Repubblica apparterrà invece l’esercizio della titolarità della sovranità. C’è quindi un punto ideale nuovo fra il popolo e la Repubblica. La Repubblica non sarà più solo lo Stato ma un soggetto unitario e complesso. Lo Stato non sarà più sinonimo di Repubblica. 
Quindi, un deciso superamento di una sovranità gestita in esclusiva dai partiti. La sovranità viene lasciata alla mediazione dei partiti, ma viene sottratta al loro strapotere ed interpretata e gestita da vari soggetti istituzionali che sono stati responsabilizzati. 
Questo impianto è stato declinato in maniera nuova e innovativa, dove l'unitarietà della nazione si persevera e si garantisce con una nuova sintesi. Dentro questo impianto si dà attuazione in modo diverso e nuovo ai valori della stabilità, della governabilità, della partecipazione e dell'attenzione forte e convinta nei confronti del Mezzogiorno che rimane una risorsa importantissima per il nostro Paese. 
Per rendere la governabilità più forte e sottrarla alla discrezionalità dei partiti si è rafforzato il ruolo del Presidente del Consiglio; per rendere la stabilità un bene protetto viene affermato il principio dell'antiribaltonismo. Il principio e il valore della partecipazione vengono assicurati da una Camera che vota la fiducia e da un Senato federale che assume un ruolo importante perché sarà ad un tempo, mediante l'elezione diretta dei suoi membri, Senato delle garanzie e Senato deliberante. 
Il collegamento con il territorio viene perseguito attraverso un Senato federale nazionale a base regionale. Su questo aspetto abbiamo discusso per settimane in quest'Aula dialogando con i colleghi dell'opposizione, che ringrazio, e il testo che approviamo trova un nostro consenso convinto. 
Il corpo elettorale si pronuncerà contestualmente eleggendo consiglieri regionali che si occuperanno di questioni regionali ed eleggeranno anche i senatori che rappresenteranno a livello nazionale le istanze regionali. I senatori saranno in raccordo con il territorio regionale ma si occuperanno di questioni nazionali e di accordi internazionali. 
Dobbiamo con ciò ritenere tutto definitivo e tutto certo? Francamente no! Signor Presidente. tanti sono ancora gli aspetti critici che vanno meglio esplicitati e corretti. Noi siamo convinti che alla Camera occorrerà meglio definire la questione del numero dei parlamentari, la questione delle cause che possono determinare il ricorso alle elezioni anticipate, il tema del conflitto di interessi ed altre criticità ancora. 
Voglio concludere, signor Presidente, con un cenno di ottimismo. Se un ordinamento costituzionale è sano in se stesso, riesce esso stesso a rigenerare e determinare equilibri nuovi. Penso alla Francia del 1958: rispetto alla IV Repubblica, la V Repubblica ha dimostrato di poter funzionare. L'ordinamento di questo Paese ha raggiunto una sua efficienza, c'è stata un'evoluzione anche culturale. Le paure e i rischi dell'antiparlamentarismo e del presidenzialismo sono stati tutti metabolizzati. Mitterrand, che duramente aveva contestato la riforma negli anni successivi, si è trovato a suo agio dentro quella riforma. 
È con questo spirito che voglio richiamare l'attenzione dei colleghi: apriamoci al nuovo, a costruire un nuovo assetto della Repubblica italiana con uno spirito aperto, con lo stesso spirito con cui il Gruppo dell'UDC si appresta a votare favorevolmente. (Applausi dai Gruppi UDC e FI. Congratulazioni.)
 
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BORDON (Mar-DL-U) 
 
Signor Presidente, desidero sia immediatamente chiara una cosa, e mi rivolgo ai colleghi della maggioranza: avete fallito. (Commenti dai banchi della maggioranza). Si, avete capito bene, avete fallito. Nel tentativo di riformare in senso più moderno, più efficiente, più funzionale la nostra Carta costituzionale, avete miseramente e drammaticamente fallito. 
Ognuno di noi, infatti, ogni giorno, è continuamente alle prese con i fenomeni più generali di malfunzionamento. Ognuno di noi, ogni giorno si trova ad inseguire e qualche volta a combattere come Don Chisciotte contro i mulini a vento, contro l'invadenza di un apparato mal funzionante, burocratico, contro i tanti lacci e lacciuoli che ammorbano la vita pubblica e istituzionale del nostro Paese. 
Grazie ai precedenti Governi di centro-sinistra e grazie all'Europa abbiamo dovuto darci regole e comportamenti che ci permettessero di stare nel novero delle Nazioni più progredite dal punto di vista del risanamento dei bilanci pubblici e più in generale della vita pubblica ed economica. 
Oggi, purtroppo, ripeto, per colpa vostra anche questi elementi di risanamento e di consapevolezza sono messi in discussione dal diffondersi della cultura dell'illegalità - che oggi pensate di estendere anche al campo del calcio - dalla irresponsabile politica delle tre carte e dai condoni generalizzati, i quali non solo creano un vero e proprio deserto di etica e di moralità ma trasferiscono sulle future generazioni debiti sempre più insopportabili. 
E sempre di più - lo dico, ed ecco perché avete fallito - tutto ciò entra in contraddizione con il bisogno di cambiamento di questo Paese, di un Paese che ha bisogno di regole nuove, di istituzioni moderne, di una transizione finalmente completata. 
È per questo - lo ripeto - che è ancora più drammatico il vostro fallimento perché esso è doppio: non attiene soltanto alla sgangherata aggressione che avete messo in campo nei confronti della nostra Carta costituzionale ma attiene anche alla vostra incapacità - lo ripeto - incapacità di corrispondere per davvero sul versante essenziale dell'innovazione e del cambiamento. 
Alcuni di noi, Presidente, hanno sempre sostenuto che le riforme sono pane e companatico, se ben fatte, che sono cioè qualcosa che incide positivamente sulla vita quotidiana dei nostri concittadini ma voi, lo ripeto, avete fallito perché una cosa deve essere ben chiara: non avete raggiunto alcuno degli obiettivi che vi eravate riproposti, tanto mai quello federalista. Semmai state complicando ulteriormente ogni questione ed ogni problema. 
È grave - lo dicevamo prima; lo hanno detto tanti di coloro che sono intervenuti - quello che sta avvenendo in Aula; è grave per il metodo e per il merito. È evidente che se questa logica diventasse norma questa provocherebbe una condizione di transitorietà e di provvisorietà. 
Provate voi ad immaginare una sorta di Costituzione chewing gum nelle mani di una maggioranza o, peggio, visto che nel sistema maggioritario è normalità, di una minoranza seppure particolarmente numerosa. Questo evidentemente sarebbe un atto che minerebbe le radici, le capacità di un Paese di essere credibile. Voi sapete che il problema dell'Italia per tanti anni è stato quello della sua incapacità di dare un quadro di riferimento stabile, specie sulla scena internazionale. Provate allora ad immaginare un Paese in cui non sono mai certe le figure istituzionali perché, magari ogni cinque o, perché no, ogni tre anni, cambiano il loro ruolo, il loro compito. Ma quale credibilità può avere? 
E quale credibilità possono avere gli operatori, i mercati quando le regole, quelle fondamentali, mutano ad ogni stormir di fronda? 
È un atto, dunque, il vostro irresponsabile, compiuto come è evidente, per soggiacere ad un ricatto di una delle forze politiche che formano la maggioranza, cioè la Lega, come si evince ancora ieri o oggi dalle dichiarazioni del ministro Maroni, che diceva testualmente: "Se malauguratamente domani il federalismo, cioè oggi, non dovesse passare, domenica la Lega uscirà dal Governo". 
Considerato che questa è tutt'altro che una riforma federalista, mi attendo dalla Lega, domenica, un atto di coerenza. Sì, signori; questa è tutt'altro che una riforma federalista; del resto a confermarlo sono coloro che dovrebbero esserne i primi beneficiari, cioè i Presidenti delle Regioni. Ho con me il testo delle loro dichiarazioni che vi risparmio. Ne leggo una per tutte: "lanciamo un appello chiaro. Ciò che sta uscendo nel confronto del Senato è per noi molto negativo..." 
Per di più, come ha ricordato il presidente Domenico Fisichella, anche lui oggi se ho capito bene privato del diritto della tribuna televisiva, "questo sghimbescio costituzionale codifica un principio di disordine, foriero di innumerevoli vertenze e perciò di indebolimento complessivo dell'Italia". 
Del resto, era stato lo stesso Presidente del Senato - me lo permetterà - di cui non si ricordano altre particolari dichiarazioni critiche nei confronti del Governo e della maggioranza, che nella lettera inviata al presidente Amato aveva espresso le seguenti considerazioni: "più trasparenza delle decisioni e più responsabilità politica di fronte agli elettori - ecco gli obiettivi, temo - proseguiva il Presidente del Senato - che il testo in discussione alla 1a Commissione del Senato non raggiunga nessuno dei due obiettivi; anzi aggravi problemi che si intendono risolvere". 
Il testo che "esce" dall’Aula è - se possibile - ancora più sconclusionato e da esso, mi scuso per il termine, ci si ritrae anche solo per una questione di estetica istituzionale. Quello che sta avvenendo al Senato, infatti, è colossale. Si tratta del tentativo, mai così devastante, di modificare qualità e quantità di 35 articoli della Costituzione. E il fatto che in questa fase non vi sia in gioco la prima parte non tragga in inganno: quando la demolizione (sì, la demolizione) della seconda parte sarà cosa fatta (e noi faremo di tutto perché così non sia) la prima, come potete capire, apparirà del tutto estranea e i suoi valori fondamentali saranno inutili orpelli di cui disfarsi più rapidamente possibile. 
Alcune di queste norme, infatti, devitalizzano i poteri attribuiti al Presidente della Repubblica. Alcune di queste norme cercano di mettere sotto tutela politica (voi, proprio voi) la stessa Corte costituzionale. Alcune di queste norme non solo non costruiscono alcun approccio seriamente federale, ma con la cosiddetta devoluzione destruttureranno l’unità nazionale, trasferendo i poteri in materia di sanità, di istruzione e persino di polizia alle diverse Regioni. 
In un’Italia in cui il sistema scolastico e sanitario già presenta caratteristiche assai poco commendevoli si vuole dare vita (pensate!) a 20 sistemi scolastici e sanitari diversi, e alla faccia della necessità della lotta al terrorismo, vale a dire della necessità di coordinare le politiche anche a livello europeo, addirittura alle fantomatiche polizie regionali. 
Lo Stato italiano frammentato sarà controllato da un solo potere: quello del Capo del Governo; un Capo che domina la scena, con i cittadini trasformati in una platea obbligatoriamente plaudente. Pensate, tra il 1946 e il 1947 un’Assemblea costituente di 556 componenti lavorò per un anno e mezzo per arrivare ad approvare la Costituzione italiana. Tra loro c’era il meglio della cultura umanistica, scientifica e politica. 
Permettetemi di ricordare alcuni di quei nomi: da Piero Calamandrei a Guido Calogero, da Gaetano Martino a Emilio Russo, da Ugo La Malfa ad Arturo Labriola, a Giuseppe Saragat, da Giuseppe Dossetti ad Aldo Moro, da Benedetto Croce a Luigi Einaudi, da Giuseppe Di Vittorio a Palmiro Togliatti, da Concetto Marchesi a Rodolfo Morandi, da Enrico Mattei a Cesare Merzagora, da Ferruccio Parri a Sandro Pertini, a Leo Valiani, a Meuccio Ruini; ho ricordato solo alcuni di quei nomi che sotto la Presidenza di Terracini (presidente del consiglio era Alcide De Gasperi) scrissero la nostra Carta fondamentale. Lo ricordo, se possibile, per far capire, per così dire, plasticamente la distanza abissale che ci separa da allora. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U)
È forse questa distanza che rischia di rendere il tutto incredibile e che fa pensare a molti che si sia di fronte soltanto ad una sceneggiata: è il prezzo da pagare alla Lega (lo dite anche voi qualche volta qui nel Transatlantico), per la campagna elettorale; ma domani, una volta passata la tornata elettorale, tutto finirà in un cassetto o in un cestino. Mi permetto di dissentire. Certo, è possibile che questo avvenga specie se - come io penso e si preannuncia - la Casa delle Libertà riceverà una lezione elettorale. Ma lo sfregio intanto esiste e resiste. 
Ecco perché - e mi avvio a concludere - noi stiamo reagendo duramente. Lo facciamo qui, come Gruppi parlamentari di opposizione al Senato; lo faremo alla Camera dei deputati; lo faremo nel Paese; lo faremo, se sarà necessario, con il referendum e a questo chiamiamo tutti coloro che nel Paese avvertono la medesima preoccupazione ed lo stesso pericolo. Infatti, cari amici, non vorremmo che una maggioranza e un Governo a pezzi facessero a pezzi la nostra Italia. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U. Molte congratulazioni)
 
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NANIA (AN) 
 
Signor Presidente, onorevoli senatori, onorevole Ministro, come abbiamo sentito poco fa nel 1948 in Italia c’era una Costituzione, che poteva piacere o no, ma che aveva avuto tanti padri costituenti alcuni dei quali li abbiamo sentiti poco fa nominare dal collega Bordon. Insomma, molte cose buone c’erano: tra queste, per esempio, il primo comma dell’articolo 117 sull’interesse nazionale. 
Questo articolo della Costituzione del 1948 (quella che c’era una volta) dice che la Regione emana nelle materie di sua competenza delle norme, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale. (Mostra un libro con la copertina rossa). Come si vede, nella Costituzione che c’era, questa di colore rosso, era previsto l’interesse nazionale. Non c’era soltanto questo, nella Costituzione del 1948. C’era anche un regionalismo paritario e unitario, applicato allo stesso modo a tutte e 20 le Regioni: tutte e 20 le Regioni, infatti, si occupavano nello stesso tempo delle medesime cose. 
Anche allora c'era la Lombardia, che forse se ne occupava meglio, e la Sicilia, che forse se ne occupava peggio; ma la Costituzione del '48 conteneva molte buone cose. Qualche cosa mancava a quella Costituzione di una volta: era la scelta diretta di chi governava. Nella Costituzione del 1948 non era previsto che i cittadini scegliessero e giudicassero con il loro voto chi governava, come avviene per i sindaci, come avviene per i presidenti delle Province, come avviene - attenzione - grazie ad una legge del centro-sinistra e votata anche dal centro-destra per i governatori delle Regioni: elezione diretta del sindaco, con clausola di rigidità; insieme stanno e insieme se ne vanno a casa se c'è una mozione di sfiducia. 
Ebbene, questa era la Costituzione del 1948. Dopodiché è entrata in vigore grazie al centro-sinistra, nel 2001, un'altra Costituzione, è la Costituzione che c'è, è la Costituzione sulla quale noi adesso stiamo lavorando. Che cosa fa questa Costituzione? Questa Costituzione, che è quella riformata dall'Ulivo, che è quella in vigore, che non è più quella del 1948, all'articolo 117 non ha più la tutela dell'interesse nazionale. Infatti la riforma dell'Ulivo e del centro-sinistra ha cancellato, ha espulso, ha massacrato, ha tolto dalla Costituzione italiana l'interesse nazionale. 
Non solo non c'è più l'interesse nazionale, ma in questa stessa riforma del Titolo V voluta dall'Ulivo - e lo posso certificare sulla mia parola; io stesso ho avuto degli incontri molto attenti con rappresentanti di ambienti che si trovano al vertice di questo Stato - c'è un altro articolo, il 116, terzo comma, che io mi ostinavo a definire "a geometria variabile" o "a doppia velocità" (perché, come tutti sappiamo, quando parlano gli scienziati del centro-sinistra i termini sono sempre politicamente corretti). Ebbene no, questo consulente giuridico mi ha detto: ma che dice, senatore? È la secessione mascherata. L'articolo 116, terzo comma, contiene la secessione mascherata. 
Ebbene, noi non sappiamo se la nostra proposta di riforma andrà avanti, se la nostra proposta di riforma passerà, se la nostra proposta di riforma otterrà il consenso prima dell'Aula e poi dei cittadini, ma la nostra è ancora una proposta di riforma. Fra un anno - chissà - entrerà in vigore. È contenuta in questo volumetto: non è qualcosa che esiste, è qualcosa che noi speriamo domani entri in vigore. E cosa diciamo con questa Costituzione che speriamo fra qualche anno entri in vigore con il voto dei cittadini italiani? Diciamo in primo luogo che bisogna fare un federalismo unitario e paritario, cioè diciamo con la nostra proposta che bisogna tornare alla Costituzione del 1948 che c'era, che parlava sì di regionalismo e non di federalismo, ma che stabiliva un regionalismo paritario e unitario. 
Recependo il messaggio del Presidente della Repubblica, che non vuole Regioni si serie A e Regioni di serie B, noi diciamo che il federalismo che si fa deve essere un'opportunità per tutto il Paese, per tutta l'Italia e che pertanto con la riforma dell'Ulivo, che prevede un federalismo a richiesta della Regione interessata (e voi capite che la Regione interessata non può che essere che la Regione che ha i soldini: la Lombardia, il Veneto, la Toscana, l'Emilia-Romagna, mentre le Regioni non interessate non possono che essere le Regioni del Sud, che non hanno i soldini), le Regioni interessate beccano e ottengono, cittadini italiani che mi ascoltate, mentre le Regioni non interessate (che sono quelle che non hanno i soldini) con l'articolo 116, terzo comma, che noi con questo volumetto pensiamo di abolire, non possono fare alcun federalismo rafforzato, vero e autentico. 
Questa norma della secessione mascherata, così definita, noi l'abbiamo cancellata. Non solo, ma abbiamo reintrodotto nella Costituzione italiana quello che il centro-sinistra aveva tolto, ossia l'interesse nazionale. Mi viene veramente una grande curiosità quando sento parlare della circostanza che spacchiamo l'unità del Paese. Amici miei, italiani che mi ascoltate, il ragionamento è semplicissimo. 
Fino ad oggi nessuno, né il Governo, né tanto meno la Corte costituzionale, può dire che una norma delle Regioni viola l’interesse nazionale. Poi può anche darsi che Bordon o qualche altro rappresentante degli scienziati della Sinistra valga più nelle sue affermazioni di quello che dice la Corte. Io mi limito a leggere la sentenza n. 370/2003 della Corte costituzionale, la quale dice: "A giudizio della Corte, non è invocabile neanche la sussistenza di un interesse nazionale, categoria giuridica estranea al disegno costituzionale vigente. Non è la proposta della Casa delle Libertà, che noi contiamo di approvare fra un anno e che introduce l’interesse nazionale, ma è la Costituzione dell’Ulivo che ha cancellato l’interesse nazionale. 
Certo, capisco che vogliate far credere che noi agiamo sotto ricatto della Lega… 

MANZIONE (Mar-DL-U). Nooo… 

NANIA (AN). …e capisco che la Lega faccia il suo mestiere e lasci intendere che le riforme si fanno grazie a lei, ma il punto centrale sapete qual è? Che quando questa riforma entrerà in vigore, se una Regione con la norma che approva viola l’interesse nazionale, il Governo ha a chi rivolgersi per farlo tutelare. (Applausi dal Gruppo AN). Quando si è votato in quest’Aula poco fa l’articolo 34 della Costituzione, che inserisce la tutela dell’interesse nazionale, dov’eri, senatore Angius? Dov’eri, senatore Bordon? Dove eravate, rappresentanti del centro-sinistra? Fino all’articolo 33, che parla della devoluzione, eravate qui in Aula, ma quando si è votato l’articolo 34, che introduce nella nostra Costituzione l’interesse nazionale, siete scappati via! (Applausi dai Gruppi FI, AN, LP e UDC). Probabilmente perché al partito di Rifondazione comunista o ai Comunisti italiani la tutela dell’interesse nazionale non interessa e quindi c’era il rischio che potessero volare altri ceffoni umanitari. 
Colleghi senatori, arriviamo ad un punto centrale. Con questa riforma non abbiamo dato un potere in più di quello che voi avete dato, a meno che, di fronte agli italiani, non osiate sostenere che l’organizzazione scolastica di questa riforma è più dell’istruzione che voi avete riconosciuto come potere alle Regioni; a meno che non osiate dire, non di fronte a noi (peraltro, ci insultate continuamente), ma di fronte agli italiani, che l’organizzazione sanitaria di questa riforma è più della tutela della salute che voi avete riconosciuto alle Regioni. 
Ci abbiamo provato e ci stiamo provando, e non abbiamo neppure il dono dell’originalità, perché abbiamo proposto il premierato, ma era la vostra proposta rispetto alla nostra che era il semipresidenzialismo; con contatti riservati (coloro che ci ascoltano lo debbono sapere), ambienti riformisti del centro-sinistra ci hanno detto: facciamo il premierato che possiamo trovare un accordo, e noi, per l’interesse del Paese, abbiamo messo da parte il semipresidenzialismo e lavorato sul premierato. Ma poi avete fatto marcia indietro, perché fate propaganda e dite menzogne, menzogne e ancora menzogne, menzogne che più menzogne non si può, caro senatore Bordon, neppure con il candeggio! (Applausi dai Gruppi FI, AN e UDC)
Poi, abbiamo portato avanti l’interesse nazionale. Nella proposta della Bicamerale si sostiene l’interesse nazionale (sottolineo che sto parlando della Bicamerale): essa infatti dice che spetta allo Stato la tutela di preminenti e imprescindibili interessi nazionali; ma poi, nel 2001, avete cancellato questa espressione. 
Abbiamo proposto anche Roma Capitale e l’onorevole presidente della Regione Lazio, Storace, che noi ringraziamo per questa proposta, mi ha fatto pervenire la proposta di Rutelli e di tutte le Regioni italiane del 1998, in cui c’è scritto appunto che si porta avanti la proposta dell’inserimento dell’autonomia normativa per la Regione Lazio. È una proposta del centro-sinistra. 

BATTISTI (Mar-DL-U). Bugie. 

NANIA (AN). Abbiamo inserito in questa riforma la scelta di tre giudici della Corte costituzionale da parte delle Regioni e anche questa è una proposta del centro-sinistra. Abbiamo inserito lo statuto delle opposizioni; voi con la vostra riforma non lo avete fatto (per la verità, questa era una proposta di Alleanza Nazionale durante i lavori della Bicamerale). Insomma, abbiamo inserito in questo disegno di legge un pacchetto di riforme che sono in difesa degli interessi del Paese. 
Chi deciderà su questo? Come si conviene in una democrazia, quando c’è un contenzioso così forte e così radicale, decideranno i cittadini. Un momento però, perché se per caso avessimo accettato la vostra idea di fare l’inciucio insieme, come dite voi, se fosse rimasta in vigore la norma di cui all’articolo 138, terzo comma, della Costituzione non ci sarebbe stato voto dei cittadini, in quanto, come voi sapete, la Costituzione del 1948 prevede che quanto maggiore è l’intesa tra i partiti tanto minore è lo spazio di libertà dei cittadini. E pensando - perché ci eravamo illusi - che intendevate non tutelare le opposizioni, ma il popolo italiano e gli interessi degli italiani, ci siamo detti: se troviamo un accordo che facciamo? I cittadini non votano. 
Altro che richiesta vostra di referendum! Non conoscete neppure la proposta che abbiamo fatto, perché nel nostro pacchetto di riforme abbiamo scritto che i cittadini comunque dovranno decidere, anche se in quest’Aula o alla Camera deliberassimo con il 100 per cento dei voti. (Applausi dal Gruppo AN e del senatore Travaglia)
Concludendo, colleghi avversari politici, noi lavoriamo anche per voi, perché sappiamo che le cose che abbiamo portato avanti fanno parte del vostro patrimonio. Siete pentiti e le volete negare. Noi non vi possiamo correre dietro, ma siamo consapevoli che la cultura riformista di questo Paese non si distingue tra destra e sinistra, bensì tra riformatori che stanno nel centro-destra e riformatori che stanno nel centro-sinistra. 
La vostra proposta non ha padri che la rivendicano. Ma la cosa più caratteristica, più italiana, direi più di sinistra (anche questa è un fatto nuovo, da scienziati), è che non ha neppure madri. Una volta si diceva "mater semper certa est, pater numquam". La riforma dell’Ulivo, che ha cancellato l’interesse nazionale, non ha né padre né madre. Bassanini non c’era, Mancino era il Presidente del Senato, D’Alema ha detto che era sbagliata, Fassino ha ammesso che si può cambiare: insomma, una riforma che non è rivendicata da nessuno. 
La nostra è una riforma che rivendichiamo con responsabilità di fronte a voi, di fronte al Senato, di fronte al Paese. Voi non avete neppure il coraggio di dire che la riforma che ha cancellato l’interesse nazionale è figlia vostra. È una vostra riforma, l’avete voluta voi a danno dell’Italia, a danno del Paese. (Applausi dai Gruppi AN, UDC, FI e LP e del senatore Carrara)

 
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ANGIUS (DS-U). 
 
Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi voteremo contro questa legge che modifica quaranta articoli della Costituzione. Un Governo e una maggioranza la impongono al Paese; hanno la maggioranza in quest’Aula, ma sono minoranza nel Paese. 

NOCCO (FI). Non è vero! 

ANGIUS (DS-U). E’ una minoranza che prevarica una maggioranza. Impongono una sorta di dittatura della loro maggioranza parlamentare. 
È una legge che mette in discussione beni condivisi e un patrimonio comune, che mette in discussione la stessa identità storica, politica e culturale del nostro Paese, che incrina il senso di appartenenza ad una comunità nazionale, altera un equilibrato assetto democratico, costruito da tutte le forze democratiche del nostro Paese dopo una lotta di liberazione contro il fascismo, dà poteri ancora più forti al Capo del Governo, togliendoli al Presidente della Repubblica e colpendo il ruolo del Parlamento. 
Appena votato l’articolo 33 siamo usciti dall’Aula stamattina: un atto inusuale, impegnativo, grave, ma motivato. Motivato dal fatto che noi non accettiamo in alcun modo che nella Costituzione repubblicana si prefiguri la rottura dell’unità nazionale. Questo è il contenuto essenziale e centrale di questa legge, una legge che rompe l’unità nazionale. 
L’Italia ha bisogno di istituzioni più moderne, più europee, ha bisogno di una democrazia più ricca e partecipata, di una guida che garantisca, in una drammatica crisi internazionale prodotta dal dilagare del terrorismo, in particolare dopo le stragi di Madrid, un ruolo e una funzione positiva attiva per la costruzione della pace. 
L’Italia ha bisogno di questo, ma questo l’Italia non ce l’ha. Non ha un Governo all’altezza dei compiti che dovrebbe assolvere; c’è stato qui in quest’Aula, in Senato, un lungo dibattito su questa legge, inutile; abbiamo proposto centinaia di emendamenti, respinti; abbiamo denunciato i rischi di questa riforma, invano. Avete ignorato gli appelli dei Presidenti delle Regioni, anche di quelli del centro-destra. Il Governo e la maggioranza avevano deciso tutto, come se la Costituzione repubblicana fosse cosa loro, come se la Costituzione repubblicana fosse una loro proprietà esclusiva. 
Eppure, tutte le opposizioni unite - sottolineo unite - avevano avanzato insieme proposte precise sulla forma di Governo, sul Senato federale, sul federalismo, sulle garanzie; le abbiamo pensate, elaborate e proposte prima in Commissione e poi in Aula, niente, respinto tutto. Avevamo pensato il Senato come una Camera federale delle Regioni e delle autonomie, non come una Camera morta che in occasione della discussione del bilancio dello Stato si trasforma in una specie di suk arabo dove le Regioni mercanteggiano e spartiscono il bilancio dello Stato. 
Voi avete proposto la devolution, noi eravamo favorevoli ad un federalismo, ma solidale. Pensavamo al Mezzogiorno, alle Regioni e alle popolazioni più deboli, un federalismo cioè fondato sulla solidarietà, non sull’egoismo, sulla coesione e non sull’antagonismo. 
Con questa legge si tolgono poteri al Presidente della Repubblica, poteri di garanzia e di equilibrio, e si danno al Presidente del Consiglio, il potere di decidere tutto, compreso lo scioglimento delle Camere. Si danno poteri esclusivi alle Regioni e si tolgono allo Stato sulla scuola, sulla sanità e la polizia, un’Italia disunita, spezzata, rotta. Si altera la composizione della Corte costituzionale, non meno politica ma più politica, addomesticata ai poteri del Governo e della maggioranza. 
Noi volevamo un confronto vero, eravamo aperti e disponibili, ma abbiamo visto orecchie sorde e porte chiuse. Per paura? No. Per convincimenti vostri assoluti ancor meno, semplicemente per un calcolo politico preciso, freddo. 
L’Italia è allo sbando, senza una guida, senza una classe dirigente all’altezza del compito, un Paese incerto, preoccupato del suo futuro. 
Quando infatti si arriva a fare della riforma di quaranta articoli della Costituzione, della riscrittura di intere sue parti, della ridefinizione, anzi, della radicale modifica dell’assetto istituzionale di una grande democrazia come la nostra, della redistribuzione dei poteri, di tutto ciò si fa il centro, il perno di un accordo esclusivo di Governo e la ragione del consenso di un partito come la Lega Nord che non ha neanche il 4 per cento dei voti dell’elettorato italiano, allora tutto ciò significa che l’Italia non ha una classe dirigente all’altezza del compito. 
Quando un Governo si regge guardando l’orologio, perché se entro le 15 di oggi - guardando l’orologio - non si approva questa legge, un partito, la Lega Nord abbandona il Governo stesso, si apre una crisi di Governo e tutto crolla, ciò significa che non soltanto il Governo, non soltanto il Parlamento ma tutta l’Italia subisce il ricatto di una forza politica e questo ricatto è avallato da Forza Italia, da Alleanza Nazionale e dall’UDC. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U e Aut). Ecco perché non siete una classe dirigente all’altezza del vostro compito. Siete una maggioranza a pezzi che fa a pezzi l’Italia. 
A Forza Italia infatti interessavano i poteri del Presidente del Consiglio; alla Lega Nord interessava la devolution, spezzare cioè l’unitarietà dello Stato. Con questa legge si sono presi una cosa e l’altra e ad Alleanza Nazionale e all’UDC non hanno lasciato niente, gli hanno solo chiesto, anzi imposto, di votare questa legge. 
Quando si dice "ma sì, approviamo queste norme, tanto poi le cambierà la Camera", si fa, come senatori, una pessima figura, si abdica al proprio ruolo. 
La Camera, secondo taluni di voi, stabilirà cioè che cosa deve essere il futuro Senato: davvero una bella prova! 
Approvare una modifica così rilevante della nostra Costituzione con il retropensiero o la recondita intenzione che poi tanto non se ne farà nulla non è una grande prova di forza e ancor meno lo è di saggezza e di responsabilità; al contrario, è la prova di una vostra totale irresponsabilità. 
In questi ultimi due giorni avete dato la prova della vostra inadeguatezza, ma anche del modo attraverso il quale tutelate i vostri interessi politici e non solo politici. Alla Camera ieri avete approvato una legge che tutela gli interessi di Mediaset, di cui mi sembra di ricordare chi sia il proprietario; infatti, oggi il presidente di Mediaset afferma che con quella legge l’azienda che presiede guadagnerà da 1 a 2 miliardi di euro in più. Al Senato oggi approvate una legge che non sta in piedi e che ha come effetto sicuro di rompere l’unità nazionale per obbedire alla Lega Nord. Domani, però, voi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, della Lega Nord, dell’UDC e del Governo vi troverete davanti ad uno sciopero generale di milioni di cittadini che vogliono difendere il diritto alla pensione, i loro salari e gli stipendi: così governate l’Italia e l’Italia non si fida di voi! (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U, Misto-Com e Misto-SDI)
I bilanci delle squadre di calcio sono considerati da voi più importanti dei bilanci delle famiglie italiane. Si pensa da parte del Governo a provvedimenti utili per tagliare i folli debiti delle società di calcio ma per tagliare il carovita non trovate neanche un’ora di tempo per fare una riunione con i sindacati e con tutte le forze sociali del nostro Paese: tacete, silenzio completo! (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U, Misto-Com e Misto-SDI)
Un Governo che, di fronte alle paure e alle tragedie del terrorismo internazionale, alle incertezze di una situazione economica che vede l’Italia avviata al declino, alla preoccupazione delle famiglie italiane per il crescente costo della vita e per il futuro dei loro figli, in Parlamento e qui in Senato non spende una parola che sia una. Veniamo costretti, invece, a discutere e a votare leggi che servono agli interessi particolaristici del Presidente del Consiglio, o leggi che servono a placare i furori della Lega Nord. 
Se poi si aggiunge che le nostre città stanno per essere invase da manifesti in cui il Presidente del Consiglio racconta vere e proprie balle a tutti gli italiani su ciò che il Governo avrebbe realizzato per cercare di essere eletto in un Parlamento europeo nel quale per legge, dato che è Capo del Governo, non potrà mai mettere piede, questo soltanto dà l’idea dell’irresponsabilità e della davvero scarsa serietà con cui è guidato il nostro povero Paese. Povera Italia, altro che Forza Italia! (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U, Misto-Com e Misto-SDI)
I problemi autentici degli italiani sono irrisolti e da voi neanche lontanamente sfiorati. Siete una maggioranza a pezzi che fa a pezzi l’Italia. 
Andiamo al referendum, decideranno gli italiani. (Commenti dal Gruppo FI). Noi, cari colleghi abbiamo l’Italia nel cuore, voi no! (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U, Misto-Com e Misto-SDI. Commenti dai Gruppi FI, AN, UDC e LP)

 
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SCHIFANI (FI). 
 
Signor Presidente, la maggioranza, definita a pezzi dal collega Angius, voterà unita e compatta, mi dispiace per il collega, questo disegno di legge di riforma costituzionale, che ha impegnato ben trentasei sedute di quest’Aula per centodieci ore di dibattito (Applausi dai Gruppi FI, UDC, AN e LP)
Ciò a conferma di come vi sia stato all’interno di questo ramo del Parlamento un lungo confronto ed approfondimento su un tema così importante. 
Con tale riforma vogliamo modernizzare quel Paese, cosa che l’Ulivo in sette scellerati anni di Governo non è riuscito a fare. Vogliamo un sistema legislativo più efficiente, con la rottura di quel bicameralismo perfetto che a volte si è rivelato inefficiente e a volte eccessivamente lungo nei momenti decisionali. Vogliamo un riparto di competenza più funzionale e moderno tra Camera e Senato. Vogliamo una riduzione dei parlamentari, che ci chiede il Paese anche per moralizzare l’immagine della politica del nostro Paese. Vogliamo un Premier non sostituibile dal Palazzo. 
Ci rendiamo perfettamente conto che all’Ulivo stia stretta questa riforma perché con essa garantiremo governabilità al Paese da parte di chi è stato voluto dagli elettori e non, come vorrebbe l’Ulivo, da parte di chi vuole il Palazzo con i suoi trasformismi e cambi di Governo. (Applausi dai Gruppi FI, UDC, AN e LP)
Vogliamo un completamento della riforma del Titolo V secondo un impianto del quale si parla in Bicamerale da tanti anni tra la maggioranza e l’opposizione. Ci spiace che questa opposizione, pur di dire un no politico e pregiudiziale alle nostre proposte, stia rinnegando, accecata dall’odio antiberlusconiano, anni e anni di affermazioni e di condivisioni di istituti per il semplice piacere di dire un no a tutto campo a questo Governo e a questa maggioranza. 
Signor Presidente, quando si immolano i valori della coerenza e della trasparenza dinanzi al dio minore dell’opportunismo politico a pagare le spese non è soltanto chi lo fa ma anche la piena credibilità di un’intera classe politica che si rende complice di questo trasformismo. 
Quando faremo la campagna per il referendum, che chiederemo anche noi, anche se come ben diceva il collega Nania il referendum è inevitabile, andremo in giro spiegando al Paese cosa dicevano in Bicamerale fino a qualche anno fa i colleghi Bassanini, Villone e Salvi, cosa dicevano quando erano al Governo e cosa dicono ora quando sono all’opposizione; idee variabili a seconda non soltanto del clima politico ma della collocazione di maggioranza o di opposizione che si ricopre nel momento. 
No, non ci stiamo; lo diremo al Paese cosa dicevate prima e quali sono state sempre le vostre idee e perché le avete cambiate. È un no politico a tutto campo che purtroppo avvelena il Paese che invece reclama una pacifica convivenza politica, seppur nel rispetto delle differenti sensibilità. 
Noi ci siamo confrontati con questa opposizione; abbiamo fatto aperture e delle riunioni ufficiali e non ufficiali. Abbiamo concesso e abbiamo dato nel tentativo e nella speranza di trovare un’intesa seria ed organica. Abbiamo introdotto le norme che prevedono lo statuto delle opposizioni e quelle che prevedono garanzie sui quorum dei voti parlamentari per approvare i Regolamenti di Camera e Senato, a dimostrazione della nostra seria e profonda buona volontà di addivenire all’accordo con l’opposizione. 
Ci è stato addirittura contestato che con questa riforma noi volevamo spaccare il Paese; una riforma nell’ambito della quale saremmo schiavi del ricatto di un partito della maggioranza. Potete dirlo e ridirlo fino alla nausea, ma non illudetevi di convincere gli italiani: questa riforma faceva parte del nostro programma elettorale voluto dagli italiani che ci hanno votato e ci sentiamo vincolati ai nostri accordi perché noi siamo persone serie, rispettiamo gli impegni e non accettiamo ricatti da nessuno. (Applausi dai Gruppi FI, UDC, AN e LP e del senatore Carrara)
Siete voi che avete provato a spaccare il Paese, come dice spesso un mio collega della maggioranza, il senatore Nania. 
L’articolo 116, ultimo comma, della Costituzione lo avete approvato voi. Sapete cosa prevede? Che la Camera, a maggioranza assoluta, con l’intesa delle Regioni, può dare alle stesse poteri particolari e specifici e di maggior accelerazione dell’autonomia. Avete creato voi i presupposti della rottura del Paese, non noi. Noi vi stiamo ponendo rimedio e questo ve lo dovrete ricordare sempre, quando fate affermazioni false, infondate e menzognere. (Applausi dai Gruppi FI, UDC, AN e del senatore Carrara)
Avete contestato le modalità di costituzione del nuovo Senato. Mettetevi d’accordo, cari colleghi. Noi abbiamo aderito ad una proposta dei presidenti delle Regioni. L’elezione del nuovo Senato federale, che è un pezzo fondamentale del nuovo federalismo e che assicurerà un sistema più efficiente del momento decisionale delle istituzioni, avvicinando i processi decisionali tra i cittadini e le istituzioni, avverrà contestualmente alle elezioni regionali. 
Lo chiedevano i Presidenti delle Regioni, abbiamo discusso a lungo, abbiamo accettato questo modello, voi lo avete contestato, dimenticandovi però che purtroppo la gattina frettolosa fa i gattini cechi. Avete dimenticato di rovistare tra le vostre proposte, perché se lo aveste fatto avreste trovato un disegno di legge a firma di 70 senatori dell'opposizione che prevedeva questo modello di Costituzione del Senato. Quantomeno, allora, ci saremmo aspettati delle scuse su questo vostro atteggiamento di chiusura sul nuovo modello del Senato che voi condividevate, che avete condiviso in questa legislatura, presentando addirittura un disegno di legge che prevedeva questa modalità elettorale. L'avete fatta grossa e credo che un momento di ripensamento ce lo saremmo aspettato ed è dovuto. 
Avete sostenuto che con questa riforma avremmo creato delle sanità di serie A e di serie B cercando di terrorizzare i cittadini; avete sostenuto che con questa riforma vi saranno programmi differenziati nell'istruzione d'obbligo, tentando ulteriormente di terrorizzare i cittadini. Non è così e allora è giusto ricordare in quest'Aula come si tratti soltanto, nella logica del progetto federale che stiamo approvando, che le Regioni avranno competenza esclusiva soltanto in modelli organizzativi della sanità, perché rimane allo Stato secondo la nostra Costituzione la tutela per l'applicazione dei principi essenziali della salute e dei beni sociali. Nello stesso tempo rimane nella competenza dello Stato il principio fondamentale dell'istruzione e quindi sarà lo Stato ad occuparsi di essa. 
Avete citato un pericolo di dittatura della maggioranza o del Premier, dimenticando - anche qui evidentemente la vostra memoria è corta - cosa diceva il collega Salvi, vostro autorevole esponente quando era relatore nella Bicamerale sulla forma di Governo. Il collega Salvi, con la condivisione della Bicamerale, parlava di poteri di scioglimento del Parlamento da parte del Premier per evitare che venisse mandato a casa da altre maggioranze, per evitare che si realizzasse quello che avete fatto con il Governo Prodi a favore di D’Alema. Lo sosteneva, lo avete sempre sostenuto fino a cambiare idea appena è stata la Casa delle Libertà a rimettere mano al progetto di riforma costituzionale. 
Nello stesso tempo abbiamo ascoltato in quest'Aula poc'anzi dal collega Angius e ieri da un ex Presidente della Repubblica che ama consultarsi con i girotondini, che abbiamo indebolito il nuovo Presidente della Repubblica. Colleghi, leggete le norme, leggete gli articoli perché se troverete la figura del futuro Presidente della Repubblica delineata in questa riforma potrete constatare che al Presidente della Repubblica sono stati conferiti più poteri addirittura rispetto al passato, come la potestà di nomina dei Presidenti delle autorità amministrative indipendenti, la capacità e la possibilità di designare addirittura direttamente il Vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. 
Non ha un potere, e di questo ne siamo orgogliosi, non ha quel potere che ha consentito all'ex Presidente della Repubblica che ha parlato qui di avallare il peggiore dei trasformismi politici che hanno consentito ribaltoni e il tradimento della volontà degli italiani. (Applausi dai Gruppi FI, LP, UDC e AN). Non ha quel potere e ne siamo fieri ed orgogliosi! 
Non sarà, come è stato definito in maniera pittoresca dall'ex Capo dello Stato un … (I senatori di AN espongono cartelli recanti le scritte "Ritorna l'interesse nazionale", "Nasce la nuova Italia")
 
PRESIDENTE. Togliete quei cartelli immediatamente o sospendo la seduta. Chiedo agli assistenti parlamentari di togliere quei cartelli. È incredibile! È inaccettabile! (Gli assistenti parlamentari tolgono i cartelli ai senatori di AN)
Senatore Schifani, prosegua il suo intervento. 
 
SCHIFANI (FI). Grazie, signor Presidente. Il nuovo Presidente della Repubblica non sarà come è stato definito dall'ex Capo dello Stato che ha parlato in quest'Aula un uomo in canottiera, un ufficiale di Stato civile in canottiera. (Brusìo in Aula. Richiami del Presidente). Sarà un uomo in abito blu che avrà il limite del rispetto soltanto nei confronti dei cittadini italiani e di questo credo che il futuro e l'attuale Capo dello Stato ne saranno sempre orgogliosi. 
Signor Presidente, abbiamo smascherato un tentativo che è giusto che chi ci ascolta conosca. Voi vivete nel pericolo della futura ingovernabilità del Paese qualora doveste mettere assieme una maggioranza elettorale dai no global alla Margherita. 
Sapete che realizzando questo pacchetto elettorale non potrete garantire una governabilità al Paese. 
Allora, vi siete battuti in questo passaggio di riforme per far approvare una norma, a firma di esponenti di un partito che non è quello di Prodi, che potesse garantire il ribaltone e la sostituzione del Premier e della maggioranza. Questo emendamento, a firma dei colleghi dei Democratici di Sinistra, signor Presidente, che noi abbiamo bocciato sventando questo tentativo, prevede, cari colleghi, che in occasione di sfiducia del Premier voluto dagli stessi elettori, lo si può sostituire da parte del Parlamento, il quale può anche cambiare maggioranza in ragione di un terzo, con un altro soggetto. 
Quindi, via Prodi perché verrà fatto fuori dai no global; avanti il D'Alema di turno. Noi abbiamo sventato questo tentativo; mettetevi d’accordo; chi ha lavorato per risolvere i futuri vostri ribaltoni se doveste candidare Prodi tra DS e Margherita. E non è un caso che questo emendamento è firmato soltanto dai Democratici di sinistra e da nessun esponente della Margherita. Cercate di guardarvi bene le spalle perché già cominciate a pugnalarvi tra di voi. (Applausi dal Gruppo FI)
Infine, signor Presidente, in Aula vi è una sedia, oggi rimasta vuota, di un Ministro che ha lavorato assiduamente per un progetto nel quale crede; una persona alla quale la Casa delle Libertà, ma sono fiducioso e certo che anche i colleghi di opposizione sicuramente si assoceranno, rivolgo questo augurio: pur assente, è come se fosse qui tra noi il Ministro per le riforme istituzionali al quale mandiamo un grande ringraziamento per l'impegno profuso nei lavori del Parlamento e per la cui guarigione ci auguriamo che questo voto possa essere di grande auspicio. (Si levano in piedi i senatori dei Gruppi FI, LP, UDC e AN ed i rappresentanti del Governo in un lungo e prolungato applauso)
 
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DEL PENNINO (Misto-PRI) 
 
Signor Presidente, dopo la reiezione di tutti gli emendamenti che ho presentato a nome dei Repubblicani, non posso certo dare un voto positivo sul disegno di legge di riforma della seconda parte della Costituzione. Esprimerò quindi un voto di astensione per manifestare il nostro dissenso, augurandomi che il testo possa essere corretto nei successivi passaggi parlamentari. 
Il tempo a disposizione non mi consente di soffermarmi su tutti gli aspetti che giudichiamo incongruenti, contenuti nel testo al nostro esame. Mi limiterò a sottolineare un errore rappresentato dalla decisione di mantenere l'istituto della legislazione concorrente introdotto dalla maggioranza dell'Ulivo nella passata legislatura. Riteniamo, infatti, che esso rappresenti l'elemento che ha determinato e determinerà il maggior conflitto di attribuzioni e la maggiore confusione tra Stato e Regioni. L'aver fatto poi della legislazione concorrente il punto cardine per la distinzione delle competenze tra Camera e Senato aggrava l'errata scelta con la riforma del Titolo V e rischia di moltiplicare le occasioni di contrasto tra Stato e Regioni. Apriamo così la strada ad uno pseudofederalismo prodromico di ulteriori conflitti e non rafforziamo certo la vita delle istituzioni. 
 
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CRINO' (Misto-NPSI) 
 
Signor Presidente, intendo consegnare agli Uffici il testo della mia dichiarazione di voto per essere allegata al Resoconto della seduta odierna. 

PRESIDENTE. Ne prendiamo atto. 

 
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FALOMI (Misto). 
 
Lei, Presidente Pera, ha la responsabilità - e me ne dispiace - di aver impedito ai rappresentanti al Senato dei Gruppi Udeur, Comunisti Italiani, Rifondazione Comunista e Lista Di Pietro-Occhetto, di fare ciò che invece è stato consentito a tutti gli altri Gruppi dell'opposizione; quello di poter far conoscere attraverso la diretta televisiva, come è accaduto per tutti gli altri, le loro posizioni sulla controriforma della Costituzione ai cittadini in ascolto. È un fatto per noi grave, di ulteriore compressione dei diritti dei parlamentari. 
Con il compimento oggi al Senato del suo primo passo, si è aperto il cammino del più grave attacco alla nostra Costituzione che mai sia stato tentato nella storia della Repubblica. L’Italia rischia di perdere i requisiti minimi di una democrazia, per assomigliare sempre più a quei regimi pseudodemocratici e plebiscitari sorti dalle ceneri del socialismo reale. 
Viene spezzato ogni vincolo di fiducia tra Governo e Parlamento e al tempo stesso la vita o la morte del Parlamento vengono poste nelle mani di un Presidente del Consiglio dotato di poteri enormi e sconvolgenti a cui praticamente nulla fa da contrappeso. L’idea di un uomo solo al comando, con poteri senza precedenti, con una magistratura messa sotto controllo politico, con una informazione sempre meno pluralista, con una legge Gasparri che toglie ogni vero limite Antitrust alle concentrazioni in poche mani dei mezzi di comunicazione di massa e in assenza di una seria legge sul conflitto di interessi, con un Presidente della Repubblica ridotto (come giustamente ha sottolineato il presidente Scalfaro), al ruolo di un modesto ufficiale di Stato civile configura un progetto neo autoritario, grave e pericoloso. Un progetto che riprende e sviluppa il piano di rinascita nazionale della P2 di Licio Gelli di cui Silvio Berlusconi, tessera n. 1.816, è stato socio di loggia. 
Ci troviamo di fronte ad una vera e propria emergenza democratica, che richiede una mobilitazione ampia e straordinaria di tutte le forze politiche e democratiche. Una mobilitazione non solo nelle Aule del Parlamento, ma anche nel Paese, assieme alle forze sociali, culturali, a tutti coloro che devono essere messi in guardia dal grave attacco che oggi viene consumato nei confronti della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, DS-U e Mar-DL-U)
 
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MALABARBA (Misto-RC). 
 
Signor Presidente, non interverrò sulla riforma o meglio contro la riforma costituzionale: chiedo di allegare ai resoconti della seduta odierna l’intervento che avevo preparato. 
Sono amareggiato per questa situazione e per il suo declino, signor Presidente. L’impossibilità per Rifondazione Comunista di parlare al Paese attraverso la diretta televisiva rappresenta la goccia che fa traboccare il vaso e costituisce un colpo gravissimo alla democrazia. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-U e della senatrice Thaler Ausserhofer). Ma tutto si tiene. Uno dei Capigruppo della maggioranza si permette di insultare la mia forza politica, raccontando falsità, e a me non è consentito né di intervenire né di replicare. Rifondazione Comunista che ha contrastato, come è noto, la riforma del Titolo V della Costituzione decisa nella scorsa legislatura, perché minacciava l’unità e la solidarietà sociale del Paese, viene tacciata dal senatore Nania di divergere dall’Ulivo, perché disinteressata e contraria alla unità nazionale. Il senatore Nania dovrebbe scusarsi. I senatori Nania e Schifani, che passano gran parte del loro tempo a ricordare puntualmente le posizioni di ognuno dei presenti nel corso degli ultimi 20 anni si permettono di dire queste volgarità, certi di non avere repliche da parte dei diretti interessati. 
Di fronte a questo vulnus che toglie la parola ad una forza politica nazionale come Rifondazione Comunista, ma anche ad altri colleghi, non ho sentito alzarsi molte voci per protestare: né della maggioranza, né delle principali forze dell’opposizione. (Applausi dal Gruppo Verdi-U). Invito con molto calore e con grande franchezza tutti quanti a riflettere se quello di oggi può essere considerato il dibattito che si dovrebbe svolgere sulle riforme istituzionali: se tutte le forze sono poste in pari condizione e dignità per fornire il loro contributo. Credo di no. Chiedo al Presidente di allegare ai Resoconti della seduta odierna il testo dell’intervento che avrei voluto fare, magari, davanti al Paese, come hanno fatto gli altri. (Applausi dai Gruppi DS-U, Verdi-U e Mar-DL-U)
 
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DENTAMARO (Misto-AP-Udeur). 
 
Signor Presidente, non la ringrazio per averci messo il bavaglio televisivo. Spero che ci consentirà lo stesso surplus di tempo che ha concesso o tollerato (non so, decida lei) al senatore Schifani, capogruppo di Forza Italia. 
State approvando, sotto le mentite spoglie di una riforma costituzionale, quello che non esito a definire un attentato alla Costituzione. La Carta fondante della nostra convivenza civile si apre con un'affermazione solenne, nella quale ogni parola esprime un preciso significato politico-costituzionale. (Forte brusìo in Aula. Richiami del Presidente). "L'Italia è una Repubblica democratica": così si identifica il DNA dell'ordinamento che ha retto finora il Paese, rendendo possibile costruire, dalle macerie della guerra, la sesta potenza economica mondiale. Questo DNA voi state snaturando. Con la devolution l'Italia non sarà più una. L'unità non è un valore astratto, non esiste se non si invera nel riconoscimento e nella garanzia della coesione sociale e dell'uguaglianza di tutti i cittadini. 
La devolution è l'esatto opposto: realizza la disuguaglianza tra cittadini di Regioni diverse sui diritti che rappresentano il cuore delle garanzie sociali e lo specchio stesso della dignità della persona. Salute, istruzione, sicurezza: infrangere l'unità dell'ordinamento su questi diritti, significa negare l'unità della Repubblica. L'Italia non è più una, e tanto meno indivisibile, come vuole l'articolo 5; è divisa in venti Italie diverse e disuguali. Le disuguaglianze di oggi tra Regioni sviluppate e depresse, tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri vengono sancite ed aggravate stracciando l'articolo 3. 
Insieme all'unità, è azzerato il carattere democratico della Repubblica; le disposizioni sulla forma di Governo configurano un modello che mantiene un Parlamento come simulacro, ma non esprime più alcun principio di democrazia rappresentativa, un Capo dello Stato privo di poteri effettivi di garanzia, un Capo del Governo ad elezione diretta, che non avrà di fronte alcun controllo o contrappeso. Un monarca eletto con potere di vita o morte sui Ministri e sulla maggioranza parlamentare, se solo disporrà di un manipolo di pretoriani, che con lui saranno padroni assoluti del Paese. 
Se la Camera dei deputati è ridotta ad un esercito di soldatini sotto l'eterno ricatto "vota o vai a casa", del Senato si è fatto scempio, lo si è ridotto ad un ibrido in quanto a natura e funzione politica e ad un intralcio quanto al ruolo nel sistema normativo. A risentirne saranno i cittadini, per i quali un procedimento legislativo più chiaro, e quindi più giusto, rimane un miraggio lontano. 
I dirigenti padani saranno orgogliosi del comportamento della maggioranza, prona al ricatto della Lega Nord. Non un sussulto di dignità si è levato dai banchi di Alleanza Nazionale… (Proteste dei Gruppi AN e FI)

PRESIDENTE. Colleghi, ritengo questo un comportamento inaccettabile. Fate parlare la senatrice Dentamaro! (Vive proteste dal Gruppo Verdi-U)

DENTAMARO (Misto-AP-Udeur). Non un sussulto di dignità si è levato dai banchi di Alleanza Nazionale in difesa dell'unità repubblicana, non dalle fila dell'UDC contro l'annientamento dei princìpi elementari della democrazia rappresentativa. 
Il dissenso è zittito, anche il distinguo è zittito. Approverete questo testo oggi, ma il cammino – per fortuna – è ancora lungo e irto di ostacoli. Noi di Alleanza Popolare-UDEUR voteremo no e continueremo a batterci affinché l'Italia consegnataci dai Padri costituenti resti una e democratica! (Applausi dai Gruppi Misto-AP-UDEUR, Misto-SDI, DS-U, Mar-DL-U e Verdi-U)

 
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CARRARA (Misto-MTL). 
 
Signor Presidente, esprimo un voto convintamente favorevole al disegno di legge n. 2544 e le chiedo di poter depositare agli atti parlamentari il mio intervento. (Applausi dai Gruppi FI, LP, UDC e AN)
 
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MARINO (Misto-Com). 
 
Signor Presidente, i Comunisti Italiani diranno un no forte e deciso a queste controriforme costituzionali. Lo smantellamento del Servizio sanitario nazionale per passare ad un servizio sanitario regionalizzato, inevitabilmente differenziato nelle diverse aree del Paese, costituisce un gravissimo passo indietro rispetto alla conquista comune di un sistema sanitario unico ed accessibile a tutti i cittadini. 
Di gravità eccezionale è altresì la rottura dell’unitarietà del sistema nazionale di istruzione che si realizzerà con questa controriforma. Tutto ciò renderà più profonde le distanze e le diseguaglianze economiche e sociali e determinerà ingiustizie insopportabili. 
Quello che è avvenuto con la devoluzione imposta dalla Lega è un fatto eversivo che scardina i principi fondamentali della Repubblica, sconvolge l’impianto costituzionale, rompe la coesione nazionale. 
Con il rafforzamento abnorme dei poteri del Presidente del Consiglio dei ministri, il Parlamento viene svuotato di prerogative fondamentali che sono il risultato di un lungo percorso storico della democrazia. Finisce la forma del governo parlamentare e si passa a una forma di democrazia paternalistica, quella del Premier, che diviene dominus del Parlamento, che lo condiziona pesantemente sino al ricatto del suo scioglimento. È saltato così quel sistema di pesi e contrappesi, quell’equilibrio di poteri e garanzie voluto dal Costituente. 
Di qui il voto contrario dei Comunisti italiani, che si batteranno per abrogare lo scempio avvenuto della Carta costituzionale. (Applausi dai Gruppi Misto-Com, DS-U e Verdi-U)
 
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FISICHELLA (AN). 
 
Signor Presidente, una coalizione di centro-destra pensosa dell'interesse nazionale avrebbe dovuto cancellare, fin dall'inizio di questa XIV legislatura, la riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, approvata dal centro-sinistra nella precedente legislatura, come premessa per avviare successivamente una pacata riflessione operativa sulle parti della nostra Carta fondamentale meritevoli di correzione. Così non è stato, e anzi si sono impostati, e oggi vengono ad una prima approvazione, interventi modificativi della Costituzione che giudico straordinariamente pericolosi per l'avvenire della nazione. 
Il tempo non consente di entrare nel merito, come ho cercato di fare in altri momenti. Mi limito perciò ad alcune considerazioni politiche di carattere generale. 
In primo luogo, intendo sottolineare che è destinata ad aumentare in maniera esponenziale, come del resto in parte sta già avvenendo, la conflittualità interistituzionale, che sarà endemica per molti anni, perché nessuno può ragionevolmente immaginare che si possa realizzare una transizione dall'assetto unitario dello Stato all'assetto federale senza tensioni, incertezze, spinte e controspinte volte ad acquisire o mantenere posizioni e spazi di competenza. 
L'Italia, dunque, sarà più debole per molti anni al proprio interno, e correlativamente sullo scenario internazionale, ove peraltro si profilano con ogni evidenza sfide di portata epocale. (Commenti dal Gruppo LP)
Mi limito a tre aspetti. Un'Italia divisa e conflittuale al proprio interno, incerta sotto tutti i profili istituzionali, è condannata ad una posizione di terza fila nel concerto europeo, proprio mentre l'Unione Europea affronta appuntamenti di grande rilievo e quindi più che mai sarebbe necessario un ruolo dell'Italia capace di operare come sistema, coerente al proprio interno e perciò in grado di iniziativa incisiva e credibile. 
In secondo luogo, vi è la sfida connessa agli squilibri demografici del pianeta, e ai conseguenti flussi migratori. Ciò comporta l'esigenza del rafforzamento dell'identità culturale e civile della nazione, mentre questa riforma accentua e legittima spinte alla dissoluzione del tessuto storico, mette gli italiani gli uni contro gli altri, disarticola la capacità delle istituzioni di rappresentare il punto di riferimento unitario della coscienza collettiva. 
In terzo luogo, vi è la sfida del terrorismo internazionale, che esige una straordinaria capacità di risposta sul piano della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico, professionalità maturate nel tempo, coordinamento inflessibile a livello centrale. 
In queste condizioni, la riforma di cui discutiamo parcellizza le forze dell’ordine e della sicurezza, rende incerte e precarie le competenze delle polizie, inventa polizie locali e polizie regionali dai profili indeterminati e velleitari, in un quadro nel quale Parlamento, Governo, Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, tutto viene destabilizzato con indiscriminata virulenza eversiva come se il terrorismo, gli squilibri demografici e i flussi migratori, le trasformazioni dell’Unione Europea fossero lì in attesa che noi risolviamo le nostre risse provinciali, risse solo vogliose di vendicarsi di una storia unitaria decisamente più grande e più nobile dei profili intellettuali e civili di una classe politica di "uomini nuovi" inopinatamente comparsi dal nulla. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U, Misto-Com e Aut. Proteste dal Gruppo LP)

CHINCARINI (LP). Dimettiti! 

BOLDI (LP). Presidente, tempo! 

PRESIDENTE. Senatore Fisichella, la prego di concludere. 

FISICHELLA (AN). Sto terminando, signor Presidente. 

Come ho ribadito anche qualche giorno fa, non ho nulla contro le autonomie locali, anzi. Ma questa riforma rappresenta "la sconfitta maggiore che potesse toccare agli ideali di autonomia locale e di riduzione dei compiti del governo centrale". 

CHINCARINI (LP). Dimettiti! 

FISICHELLA (AN). "È una disgrazia per gli ideali di autonomia affidare alle regioni, alle comunità e alle province compiti che non siano nettamente definiti e non siano loro propri. Agli ideali di autonomia locale nessuna peggiore sciagura può accadere dell’approvazione di un sistema necessariamente fecondo di discordie, di impoverimento, ed alla fine di lotta aperta tra le diverse parti componenti la nazione italiana". 
Queste parole, signor Presidente, non sono mie. Sono di Luigi Einaudi. Mi confortano, e le dedico ai tanti liberali di recente reclutamento, nel momento in cui annuncio il mio voto contrario al provvedimento in esame. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U, Misto-Com, Misto-SDI, Misto-AP-Udeur e Misto-RC. Congratulazioni)

BAIO DOSSI (Mar-DL-U). Bravo! 

 
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MEDURI (AN). 
 
Signor Presidente, onorevoli colleghi, non mi è facile pronunciare questo intervento in dissenso, tra l’altro in un tempo così ristretto come è quello che mi è stato assegnato. 
Voglio prioritariamente dare atto ai generosi sforzi compiuti dal collega presidente di Gruppo Domenico Nania e dal relatore, senatore Francesco D’Onofrio, per rendere meno amara una pillola che comunque a me è difficile ingoiare. (Le senatrici Boldi e Alberti Casellati discutono animatamente)
Infatti, onorevole Presidente, per me ingoiare questa pillola significherebbe per molti versi abiurare a moltissime delle cose nelle quali ho fortemente e fermamente creduto dagli anni, ahimè lontani, della mia perduta giovinezza. 
Mi diventa ancora più difficile se penso che questa riforma è stata voluta, ma soprattutto dovrà essere gestita, insieme ad un Gruppo politico che non mi dà alcun affidamento sul piano del reale interesse nazionale che comunque è previsto come prioritario in questa riforma, ma sarà sempre sottoposto ai ricatti di chi ancora oggi ha scritto che domenica sarebbe uscito dal Governo se non fosse stata approvata entro oggi una riforma che dovrà essere gestita anche da chi, Ministro della Repubblica, che ha giurato all’ombra di una bandiera tricolore la propria fedeltà alla Repubblica, ha invece preferito, nei giorni scorsi, saltellare davanti al Senato additando come italiano chiunque non avesse saltellato insieme a lui. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-U)
Signor Presidente, a me è capitato, il 17 marzo, quello che tanti anni fa in Sant’Ambrogio di Milano è capitato a Giuseppe Giusti: piovuto in mezzo a quella marmaglia, non lo nego, di aver provato il senso di ribrezzo che lei, signor Presidente, non prova in grazia dell’impiego. 
Io non posso pensare che questa riforma e lo Stato della devoluzione sia da affidare ad un Ministro che ha nel cuore il sogno di bruciare il tricolore, perché all’ombra di quel tricolore, dalla Crimea a Pastrengo, a Nasiriya, attraverso Bir el Gobi, El Alamein, attraverso la guerra partigiana, se volete, e i ragazzi di Salò, milioni di giovani sono morti per onorarlo. Oggi un Ministro della Repubblica, che dovrebbe gestire questa riforma, invece vuole bruciarlo e pensa a Roma come ladrona e non come a Roma pensa chiunque e che pensava anche chi pronunciò la frase, signor Presidente, che campeggia alle sue spalle. Io penso che il collega Castelli, che per altri versi ho sempre stimato, non abbia avuto il tempo, nella sua presenza in quest’Aula da senatore, di leggere quella frase, perché Roma è quella, signor Presidente. Ci sarà anche qualche ladrone a Roma, ma Roma è la città eterna, è la capitale del mondo. 
Con la città di Roma si ricorda sempre la grandezza e l’universalità della Chiesa, la grandezza e l’universalità del diritto. Questa è l’Italia che noi stimiamo, che noi vogliamo unita ed io non posso condividere con la Lega e con il ministro Castelli una riforma che è assolutamente pericolosa. 
Per questi motivi, esprimo un voto contrario. 
 
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PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Cossiga che mi ha fatto pervenire il testo scritto dell’intervento che avrebbe reso, che sarà allegato al Resoconto della seduta odierna. 
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