Riforme Istituzionali
 
 Leggi del Diritto Pubblico e Costituzionale: Approfondimenti

 
Nota di aggiornamento: per quanto pubblicato poche ore prima la pubblicazione delle motivazioni alla sentenza sull'Italicum, l'approfondimento non necessità di particolari correzioni.
Ciò vale anche per la parte dedicata alla questione relativa le due diverse legislazioni per l'elezione delle due Camere, tanto più vista la formula con la quale i Giudici hanno concluso su questo specifico aspetto: la Costituzione NON IMPONE MA ESIGE DI NON OSTACOLARE.
"In tale contesto, la Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee."

Anche se all'apparenza criptico, in questo passaggio i Giudici dicono nulla di più di quanto già si sapeva.
1) Si conferma che non sta scritto da nessuna parte che le leggi per le due Camere debbano essere l'una specchio dell'altra.
2) Il non dover ostacolare la formazione di maggioranza parlamentari omogenee non significa anche, però, che quanto non ostacolato possa poi avverarsi concretamente. Si sarebbe altrimenti scritto "debbono realizzare" al posto di "non devono ostacolare".

È ovvio, ad esempio, che non avrebbero senso due diversi modi di assegnazione del premio di maggioranza: in una Camera alla sola lista; nell'altra, invece, ad una coalizione di liste. In una Camera tutti contro tutti, nell'altra, invece, amanti appassionati. Saremmo di fronte all'irragionevolezza allo stato puro.
Ma è altresì altrettanto ovvio, però, come più avanti argomentato nell'approfondimento, che la mera introduzione di un premio di maggioranza identico per entrambe le Camere non potrebbe, di per sé, garantire la costituzione di maggioranze omogenee, ma, anzi, potrebbe addirittura realizzare l'esatto contrario.


Legge elettorale: due sentenze della Consulta, e dopo?

 
Franco Ragusa

09/02/2017

Come se la Corte Costituzionale non si fosse mai pronunciata, sul Porcellum prima, sull'Italicum in questi giorni, si sta di nuovo assistendo ad un dibattito sulla legge elettorale che lascia francamente disorientati.
Un gran fiorire di proposte che in buona parte tentano di eludere il nocciolo vero della questione, cioè la natura iper maggioritaria che era propria delle due leggi in questione.
È dal 2008 che la Consulta pone l'accento su questo aspetto, segnalando più volte al legislatore gli aspetti problematici di "una legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi".
In altre parole, cercando di sintetizzare quanto in seguito contenuto nella sentenza contro il Porcellum, vi è un limite, tenuto conto del sistema parlamentare quale è quello disegnato dalla Costituzione (il Parlamento svolge delicate funzioni che non sono il solo rapporto di fiducia con il Governo), oltre il quale non è consentito correggere in senso maggioritario la corrispondenza tra i voti espressi ed i seggi assegnati.
Qual è questo limite?
Relativamente all'Italicum, pur avendo bocciato il ballottaggio che avrebbe aggirato il meccanismo della necessaria soglia, i Giudici hanno ritenuto accettabile che la lista prevalente possa godere di un premio in seggi del 14% laddove la stessa, però, abbia anche raggiunto la soglia minima del 40% dei voti.
È poco? È tanto?
Tenuto conto che con il 40% una singola forza politica potrebbe con un colpo solo conquistare la maggioranza parlamentare e quindi anche il Governo, cioè sostanziale e totale assenza di separazione dei poteri, il controllore che coincide al 100% con il controllato, si lascia alla sensibilità democratica di ognuno di noi il giudizio circa i pericoli che una tale deformazione della rappresentanza, a vantaggio di una sola forza politica, potrebbe comportare.

Ma tornando alle proposte ora in campo, è il caso di verificare se e quanto alcune di queste possano discostarsi dai limiti indicati dalla Consulta; e se e quanto alcune correzioni costituiscano realmente una soluzione per i problemi all'ordine del giorno.


Il sempre redivivo Mattarellum

Alta o bassa che sia la soglia di voti indicata, ci si aspetta che le forze politiche tengano nel giusto conto quanto indicato dai Giudici costituzionali, e cioè l'esigenza di garantire un accettabile livello di corrispondenza, sotto il profilo della tenuta costituzionale, tra i voti espressi e i seggi distribuiti.
E invece no!
Tant'è che ad ondate c'è chi torna a riproporre il Mattarellum.
Ma se è incostituzionale assegnare il 54% dei seggi a chi non è in grado di arrivare al 40% dei voti, come e perché potrebbe essere lecito assegnarne addirittura di più con consensi anche inferiori?
In ipotesi, infatti, attraverso i propri candidati uninominali collegati, una lista potrebbe prevalere in tutti i collegi. In altre parole, con un voto più degli altri intorno al 30-35%, potrebbe essere possibile ottenere il 75% dei seggi. Ma anche a vincerli tutti al 50% o al 55% saremmo in ogni caso di fronte, viste le altre funzioni svolte dal Parlamento (vedi ad esempio le votazioni a maggioranza qualificata per l'elezione dei membri di altri Organi costituzionali), ad un premio reale in seggi intollerabile. Non a caso, ad esempio, la vecchia legge del Senato era sì fondata sui collegi uninominali, ma per vincere in questi collegi in prima battuta era necessario ottenere non meno del 65% dei voti. Vi era cioè una soglia atta ad impedire che una lista potesse ottenere numeri da “maggioranza qualificata” al Senato con un risultato di voti complessivo “non qualificato”.
Certo, che una lista vinca in tutti i seggi appare improbabile. Ma anche con il Porcellum appariva improbabile che si potesse ottenere il premio di maggioranza con risultati intorno al 30% dei voti, ma poi nel 2013 è successo! Così come, del resto, anche con il Mattarellum qualcosa di simile era già avvenuto.
Con un numero di voti inferiore al 40% e nonostante la penalizzazione dello scorporo per la quota proporzionale, nel 1994 le due coalizioni di Cdx, facenti capo a Berlusconi, riuscirono ad ottenere il 58% dei seggi della Camera.


Il problema della diversa legge per il Senato

Altra questione all'ordine del giorno, l'introduzione dello stesso premio di maggioranza anche per l'elezione del Senato. Questo, si dice, per armonizzare i due sistemi di elezione, così da non determinare risultati difformi ai fini della governabilità.
Questo in un contesto nel quale nessuna delle forze politiche maggiori abbia posto al centro dell'attenzione la necessità di aumentare la soglia minima di voti ai fini dell'assegnazione del premio di maggioranza; anzi, è già iniziata la campagna elettorale con obiettivo il 40% dei voti.
In ogni caso, potrebbe questo premio anche al Senato garantire omogeneità di risultati tra le due Camere?
Evidentemente no!
Vi sono differenze sostanziali tra le due Camere che di fatto lo impediscono, e sono i risultati passati a dirlo.
Per vincoli costituzionali, al Senato vota un diverso corpo elettorale, con esclusione dei giovani sino a 25 anni meno un giorno; il Senato è inoltre eletto su base regionale, con forte prevalenza, quindi, delle formazioni localmente radicate tipo la Lega.
Un risultato nazionale di un tipo alla Camera potrebbe pertanto essere ribaltato a seguito di queste due variabili anche applicando il proporzionale puro, figuriamoci con la logica del premio di maggioranza. Questo sia mantenendo l'assegnazione del premio Regione per Regione, e sia che si decida di assegnarlo sulla base del risultato a livello nazionale (ma quanto potrebbe essere costituzionale una simile previsione, stante che per dettato costituzionale il Senato viene eletto su base regionale?).
Con l'esperienza del Porcellum possiamo infatti ricavare ben due casi di scuola che sono l'uno il contrario dell'altro.
Nel 2006, fu soltanto grazie alla lotteria dei premi Regione per Regione e l'apporto dei Senatori eletti all'estero che il Csx riuscì ad avere un'esigua maggioranza anche al Senato, in quanto fu il Cdx, a livello nazionale, ad ottenere molti più voti. Fosse quindi valsa la regola del premio calcolato a livello nazionale, avremmo sicuramente avuto due maggioranze diverse tra le due Camere.
Diversamente, nel 2013 fu invece proprio la lotteria dei premi Regione per Regione ad impedire al Csx di ottenere la maggioranza dei seggi.
Quale sistema pertanto adottare per assicurare l'omogeneità certa dei risultati?
Facciamocene una ragione, non c'è!
Così come in nessun sistema democratico al mondo esiste una legge elettorale in grado di assicurare al 100% un vincitore sicuro in grado di mettere in un'unica mano sia il potere legislativo che il potere esecutivo (neanche negli USA, visto che Presidente e Congresso vengono eletti separatamente e, quindi, potrebbero non coincidere sotto il profilo dell'appartenenza politica), nessun premio potrebbe oggi assicurare che questo possa invece avvenire in Italia.
E meno male!


Collegi uninominali o capilista e preferenze?

Se si rimane disorientati nel vedere come i temi sopra trattati, nonostante le sentenze e nonostante quanto sperimentato con le esperienze passate, di volta in volta si ripropongano come se nulla fosse,  come rimanere di fronte alla discussione sul come restituire agli elettori il diritto di scegliere i parlamentari?
Pur mantenendo un impianto di distribuzione dei seggi di tipo proporzionale con premio, di queste ore la proposta Cuperlo per l'uso dei collegi uninominali al posto dei capilista bloccati e le preferenze.
Così, si dice, tutti i candidati saranno votati “personalmente” dall'elettore.
Premesso che per quanto riguarderebbe le forze maggiori, tanto più nel caso di ottenimento del premio di maggioranza, soltanto un terzo di questi parlamentari sarebbero nominati, mentre i restanti lo sarebbero con le preferenze, qual è la logica per la quale un candidato in un collegio uninominale non sarebbe un candidato bloccato al pari di un capolista bloccato?
Se c'è un premio di governabilità in seggi che si conquista soltanto con un risultato di lista (del 10% secco nella proposta Cuperlo, assegnabile anche senza il raggiungimento di una soglia minima), quale candidato uninominale sceglie l'elettore che vuole favorire una determinata lista ed ambire al premio?
Se il candidato nel proprio collegio non gli piace vota forse un candidato collegato ad un'altra lista?
Nella sostanza, sotto il profilo della scelta degli elettori, la differenza tra la proposta di legge Cuperlo e la legge residuata dall'Italicum è che la seconda è meglio della prima: sia nell'una che nell'altra c'è un nome calato dall'alto; ma mentre in una ci sono poi le preferenze dopo il nome calato dall'alto, nell'altra no, solo altri nomi calati dall'alto.


Premio di coalizione, di lista o di listone?

Il premio alla sola Lista per evitare coalizioni elettorali destinate a sciogliersi il giorno dopo le elezioni; nonché impedire ai piccoli partiti di poter esercitare un potere di ricatto.
Questo, nella sostanza, quanto oggi sostenuto dal Movimento 5 Stelle e da buona parte del PD.
Tesi sostenute già prima di loro dai fautori del referendum Guzzetta del 2009, iniziativa referendaria che per l'appunto si prefiggeva di cancellare il premio per le coalizioni di liste.
Come si ricorderà, quel referendum si concluse con una tra le più basse percentuali di partecipazione nella storia dei referendum in Italia e con soltanto 8 milioni di Sì.
Un forte segnale di rifiuto nei confronti di chi voleva consegnare il Parlamento ad una singola lista, certamente più coesa,  ma anche scarsamente rappresentativa.
Con l'Italicum corretto dalla Consulta, si dirà, questa preoccupazione dovrebbe venir meno, visto che il premio alla Lista può scattare solo dal 40% dei voti.
Premesso che stiamo sempre parlando di una minoranza promossa a maggioranza, e che questa minoranza sia politicamente più inossidabile rispetto ad una coalizione non costituisce certo motivo di sollievo per il restante 60% degli elettori, chi e cosa potrebbe impedire il costituirsi di listoni elettorali?
Del resto, questo era proprio quanto succedeva con il Mattarellum: il candidato nei collegio uninominale era uno solo per tutte le forze politiche componenti la coalizione.
Quali i problemi di quel meccanismo già sperimentato?
Il mercato delle vacche per la distribuzione dei seggi sicuri.
In altre parole, gli equilibri interni alla coalizione venivano decisi non attraverso il voto degli elettori, bensì dagli accordi delle segreterie. Motivo per il quale la presenza dei capilista bloccati difficilmente verrà messa in discussione, in quanto attuale forma di controllo di questi equilibri.
Stante, pertanto, la possibilità di determinare un buon numero di eletti da parte delle segreterie attraverso i capilista bloccati, quale meccanismo potrebbe essere preferibile sotto il profilo dell'interesse dell'elettore?
Meglio un listone dove sarà il braccio di ferro tra le segreterie a decidere gli equilibri interni alla coalizione, o meglio una coalizione di liste dove sarà l'elettore, potendo scegliere quale lista privilegiare, a determinare gli equilibri interni alla coalizione?

C'è infine da sfatare il luogo comune circa il potere di ricatto esercitato dai piccoli partiti.
In tempi di Porcellum chi e cosa imponeva alle formazioni maggiori di raccogliere intorno a sé  i partiti minori?
Assolutamente nulla, se non la possibilità di ottenere facilmente il premio di maggioranza.
Ma se la stessa domanda la facciamo per quanto riguarda le formazioni minori, scopriamo che a causa delle soglie di sbarramento differenziate (alte se si concorreva da soli, minime se all'interno di una coalizione), queste sì che erano costrette ad allearsi con i partiti maggiori. Dopo di che era la composizione delle liste bloccate a fare il resto, con i partiti maggiori a farla da padroni.
Se si vuole quindi evitare il più possibile che possano formarsi coalizioni elettorali “accozzaglia” con il solo scopo di ottenere il premio di maggioranza per alcuni, o di superare gli sbarramenti per altri, sarà sufficiente ridurre l'elemento di ricatto determinato dalle soglie di sbarramento; dopo di che, se ne può essere certi, il rischio di coalizioni “accozzaglia” si ridurrà naturalmente.


Capilista bloccati e pluricandidature

Dopo anni di 100% di nominati, con il Matterellum prima e il Porcellum dopo, al solo tentare di ragionare sull'argomento si rischia di essere tacciati come complici della Casta.
Che il sistema della preferenza unica alla fin fine si sia dimostrato il male minore, è appunto confermato dalla pessima qualità della classe politica emersa grazie alle due ultime leggi elettorali.
Ma anche con le preferenze non è tutto oro quello che luccica.
Quante possibilità di essere eletti potrebbero ad esempio avere un costituzionalista o un bravo ma sconosciuto economista?
Zero virgola!
Sì, va bene, ma 100 capilista sembrano un po' tanti per permettere alle forze politiche di mostrarsi virtuose.
Ma infatti sta proprio qui la questione, l'alto numero delle circoscrizioni elettorali introdotte dall'Italicum.
Piccoli cosiddetti collegi plurinominali, dove è evidente che in buona parte di questi saranno eletti solo i capilista bloccati, rendendo di fatto inutile la possibilità di esprimere la preferenza per altri candidati.
Ma se si tornasse a circoscrizioni più ampie e quindi un numero di molto inferiore di capilista bloccati, si ridurrebbero automaticamente tutti i problemi: meno potere di controllo da parte dei capibastone, non potendo più disporre di 100 fedelissimi e del potere di vita di morte a seconda di come si viene candidati; per i partiti virtuosi vi sarebbe spazio per garantire degli eletti di spessore altrimenti ineleggibili; ed anche nel caso di listoni, si ridurrebbe di molto il mercato delle vacche per l'assegnazione dei posti sicuri.
Questa modifica non dovrebbe peraltro subire censure da parte della Corte Costituzionale, in quanto l'indicazione di liste corte si rendeva necessaria nell'ipotesi che queste fossero costituite da tutti nominati, cioè senza la possibilità per l'elettore di esprimere preferenze.

Per quanto invece riguarda le candidature plurinominali, sul punto c'è da evidenziare un atteggiamento a dir poco schizofrenico: da un lato, infatti, siamo tutti preoccupati per l'alto numero di nominati derivanti dai 100 capilista bloccati; dall'altro lato, però, inveiamo contro un meccanismo in grado di attenuare i difetti del primo.
Se un capolista si presenta in più collegi, dato che alla fine potrà essere eletto solo in uno, automaticamente aumenta il numero degli eletti attraverso le preferenze.
Sempre pensando alla possibilità che esistano partiti virtuosi, interessati cioè ad arricchire il Parlamento di eletti di pregio altrimenti non eleggibili (il costituzionalista o l'economista di cui sopra), sarebbe un problema se anziché 100 capilista bloccati, questi diventino solo 10 o 30 perché candidati in più collegi?
Ma anche nel caso di partiti meno virtuosi, meglio 100 capilista bloccati o solo 10 o 50 (l'apparato che si garantisce l'elezione) in quanto candidati in più collegi?

Per concludere su questi due aspetti, la vera battaglia da fare non è cadere nelle sirene del facile populismo, bensì trovare i meccanismi che possano da un lato ridurre i fenomeni di malcostume politico, dall'altro garantire che la politica seria non venga penalizzata del tutto.
Riduzione dei capilista bloccati, pertanto, riducendo il numero delle circoscrizioni elettorali e mantenendo, nell'ambito di questa forte riduzione di capilista bloccati, anche le multi candidature. 

 
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