In difesa dei valori
della Costituzione
In ogni democrazia le istituzioni
sono lo strumento fondamentale per garantire i principali valori costituzionali:
libertà, partecipazione, pluralismo, equilibrio dei poteri.
Per questo le istituzioni sono
di tutti: non possono essere modificate in base a contingenze politiche
o diventare oggetto di patteggiamenti strumentali di una parte politica.
Ogni progetto di riforma istituzionale deve salvaguardare questi valori
e promuovere la lungimiranza delle scelte che si compiono, prevedendone
le conseguenze di medio e lungo periodo.
Sono principi basilari che non
bisognerebbe neppure ricordare, poiché fanno parte del DNA originario
di ogni democrazia.
L’attuale maggioranza, però,
li ha ripetutamente e consapevolmente calpestati. Le istituzioni sono sempre
più in conflitto tra loro e piegate a fini egoistici. A questo si
aggiunge una riforma costituzionale incoerente che lacera il paese e contrappone
i territori con la cosiddetta devolution. L’interesse nazionale viene affermato
solo formalmente, ma manca qualunque meccanismo che ne renda effettiva
la tutela.
Una riforma, insomma, che non nasce
da un patto costituzionale tra tutte le rappresentanze politiche, come
è nella tradizione delle democrazie, ma da un accordo tra le sole
componenti della maggioranza. Il risultato sarebbe un sistema contraddittorio
che produrrebbe il caos istituzionale.
Ci siamo opposti in Parlamento
a questa riforma e chiederemo a tutti i cittadini di pronunciarsi contro
di essa mediante il referendum costituzionale. Ci opponiamo però
non solo al merito della riforma: anche il metodo di realizzazione l’ha
trasformata in una delle tante leggi ad personam, unico risultato di cinque
anni di governo.
Ci impegniamo innanzitutto ad assicurare
e rispettare la stabilità e la supremazia dei valori fondamentali
della Costituzione che sono alla base di una democrazia rappresentativa
che sia trasparente, solidale, efficace, in grado di guardare al futuro.
Noi affermiamo la laicità dello Stato.
Non proponiamo quindi una “grande
riforma costituzionale”, semplicemente perché non ce n’è
bisogno, e perché ogni modifica della Carta Fondamentale deve essere
frutto del coinvolgimento di tutte le parti politiche e sociali.
Vogliamo invece tutelare i valori
e diritti fondamentali e il migliore funzionamento delle istituzioni. Queste
proposte si possono realizzare in larga parte con legge ordinaria, e la
modifica di alcune disposizioni costituzionali solo con riferimento ad
innovazioni specifiche.
Non vogliamo riscrivere la Costituzione
ma tutelarla, anche elevando il quorum necessario per modificarla, così
da scongiurare future riforme a colpi di maggioranza. Puntiamo soprattutto
a svilupparne i valori di fondo, arricchendo la partecipazione dei cittadini,
migliorando la trasparenza dell’azione di governo, assicurando il pluralismo
sociale e istituzionale.
La Costituzione
si cambia insieme
L’attuale maggioranza di governo
ha applicato alle istituzioni una logica “proprietaria”. Proprio in scadenza
di legislatura il governo di Berlusconi ha inflitto due gravi colpi al
sistema costituzionale: il progetto di riforma della legge elettorale e
il disegno di riforma costituzionale.
Sono entrambi progetti elaborati
senza alcun coinvolgimento dell’opposizione, ma anzi contro di essa. La
Costituzione e le istituzioni sono diventate merce di scambio, usata per
tenere insieme una coalizione politica ormai priva di ogni collante ideale
e progetto politico.
La legge costituzionale di riforma
del Titolo V approvata nel 2001, pur con le sue criticità, riprendeva
le proposte elaborate in seno alla Commissione Bicamerale istituita nel
1997 con lo scopo di redigere un progetto di riforma per una parte circoscritta
della Costituzione.
Un progetto su cui maggioranza
e opposizione avevano trovato un largo accordo, venuto meno solo all’ultimo
momento per responsabilità dell’allora leader dell’opposizione e
attuale Presidente del Consiglio : una larga parte delle forze politiche
aveva partecipato alla elaborazione del testo di riforma, approvandolo
nel suo primo passaggio parlamentare, e una larghissima parte delle istituzioni
territoriali, di ogni colore politico, ha fino all’ultimo condiviso l’opportunità
della sua approvazione.
Lo stravolgimento della Costituzione
imposto dal centrodestra è una somma di strumenti di propaganda
che permettono ad ogni forza politica di presentarsi al proprio elettorato
con un cavallo di battaglia senza alcun interesse per i rischi che corrono
le garanzie democratiche e l'universalità dei diritti di cittadinanza,
specialmente nelle aree più esposte del Paese È quindi prioritario
ristabilire il principio della supremazia, certezza e stabilità
della Costituzione.
Crediamo innanzitutto che la Costituzione
sia fonte di legittimazione e limitazione di tutti i poteri, e ci impegniamo
a ristabilirne la supremazia, a presidio delle regole e dei valori fondamentali
della collettività.
A questa tutela uniamo precise garanzie
per il futuro, per evitare che future maggioranze di governo realizzino
riforme costituzionali senza ottenere un ampio consenso in Parlamento e
nella società.
Modificheremo il quorum previsto dall’art.
138 della Costituzione elevando la maggioranza necessaria per l’approvazione,
in seconda lettura, di leggi di revisione costituzionale. Questo garantirà
il raggiungimento di un ampio consenso, evitando per il futuro riforme
costituzionali approvate a colpi di maggioranza evitando ogni confronto
democratico.
Manterremo inoltre la facoltà
di sottoporre a referendum la legge di revisione costituzionale nel caso
in cui lo chiedano un quinto dei componenti di una Camera, o cinque consigli
regionali, o cinquecentomila elettori.
Tale proposta avrà carattere
di priorità, e richiederà un ampio accordo in Parlamento.
Partecipazione,
rappresentanza e governabilità
Un sistema istituzionale democratico
deve garantire, insieme, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica,
l’effettiva rappresentatività delle istituzioni che prendono le
decisioni fondamentali per la vita associata, l’efficacia dell’azione di
governo per la tutela dei diritti dei cittadini e per la realizzazione
del programma sul quale ha ottenuto il consenso e l’adesione della maggioranza
degli elettori.
Il centrodestra non è riuscito
ad assicurare, negli anni in cui è stato al governo, nessuno di
questi tre elementi fondamentali.
La partecipazione dei cittadini
è stata ridotta negli spazi e nei modi; la riforma elettorale potrebbe
finire per premiare la coalizione che prende meno voti, comprimendo il
rapporto tra elettore ed eletto e aumentando l'ingovernabilità nella
prossima legislatura.
Crediamo invece che partecipazione,
rappresentanza e governabilità siano valori fondamentali da preservare
e garantire. Puntiamo ad ampliare ed arricchire le occasioni di partecipazione,
anche rivitalizzando il referendum abrogativo: proponiamo per questo di
aumentare da 500.000 a 750.000 il numero di firme necessarie per indire
un referendum e di ridurre il quorum previsto per la validità della
consultazione alla metà dei voti espressi nelle precedenti elezioni
per la Camera dei Deputati.
Dovremo attivare anche strumenti nuovi
che rispondano alla diffusa esigenza di partecipazione, dimostrata dal
successo delle Primarie dell’Unione. Moltiplicheremo le occasioni di consultazione,
promuovendo la partecipazione dei giovani e favorendo la formazione di
un’opinione pubblica informata.
Incentiveremo e diffonderemo le esperienza
di democrazia partecipata a livello locale, favorendo il dialogo tra le
istituzioni e i soggetti della società civile.
Crediamo che lo strumento fondamentale
per la rappresentanza sia un sistema elettorale che consenta una scelta
chiara e consapevole, e che assicuri insieme la rappresentanza e la governabilità:
due valori che devono coesistere perché la prima senza la seconda
non assicura effettività alla scelta degli elettori e la seconda
senza la prima si trasforma in puro esercizio di comando.
Non seguiremo l’esempio del centrodestra
imponendo un “nostro” sistema elettorale, ma lavoreremo per un sistema
elettorale che assicuri tutti questi valori.
Proponiamo inoltre di introdurre le
necessarie modifiche all'ordinamento vigente per superare l'attuale eccessiva
frammentazione dei sistemi elettorali regionali, che ha l'effetto di disorientare
i cittadini e di non assicurare in modo omogeneo su tutto il territorio
nazionale la coniugazione tra le esigenze democratiche di rappresentanza
e quelle di governabilità.
E' necessario inoltre procedere alla
razionalizzazione delle scadenze elettorali, attraverso l'accorpamento
delle elezioni politiche e amministrative ravvicinate. Questa soluzione,
oltre a far conseguire risparmi non trascurabili, avrebbe anche l'effetto
di ridurre l'incentivo all'astensionismo rappresentato dal fatto che troppo
spesso i cittadini si vedono chiamati alle urne a breve distanza dalle
ultime consultazioni , evitando anche che l'azione di governo ai vari livelli
sia condizionata negativamente da una campagna elettorale continua.
Oltre al sistema elettorale, per assicurare
una connessione tra rappresentanza e governabilità riteniamo indispensabili
alcune misure che rafforzino il Parlamento e rendano, al contempo, più
efficace l’azione di governo:
- l’attribuzione al Primo
Ministro del potere di proporre al Presidente della Repubblica la nomina
e revoca di ministri, viceministri e sottosegretari;
- una migliore regolamentazione
della questione di fiducia, con la previsione di specifici limiti al suo
esercizio;
- la possibilità di sfiduciare il Primo
Ministro solo attraverso una mozione di sfiducia costruttiva, con l’esplicita
indicazione di un candidato successore.
Le garanzie istituzionali
In un sistema parlamentare, maggioranza
ed opposizione hanno ruoli distinti: la prima ha la responsabilità
di governare, la seconda di controllare l’azione di Governo e proporre
politiche alternative.
Per questo una Costituzione democratica
deve definire nettamente i limiti dei poteri del governo e della maggioranza,
per tutelare l’inviolabilità dei diritti e delle libertà
dei cittadini.
Il rafforzamento dell’esecutivo,
che riguarda oggi tutte le democrazie occidentali, richiede un parallelo
rafforzamento delle garanzie costituzionali e del ruolo del Parlamento.
Il centrodestra, in questi anni,
non ha solo svolto un’azione di governo inefficace, ma ha spesso aggirato
o cancellato gli strumenti posti a garanzia delle opposizioni, e quindi
del confronto e del pluralismo.
Il rischio è quello di uno
squilibrio che porti alla "dittatura della maggioranza". Questo rischio
deve essere combattuto riaffermando la necessità di equilibrio tra
i poteri istituzionali attraverso appositi checks and balances.
Tale "dittatura della maggioranza"
sarebbe il naturale risultato della riforma costituzionale presentata dal
centrodestra: essa esautora completamente il Parlamento, e sancisce il
dominio assoluto del Premier su tutti gli altri organi costituzionali.
In questo modo non si adegua il
sistema delle garanzie costituzionali ai mutamenti prodotti dall’introduzione
del maggioritario, ma se ne accentuano addirittura le disfunzioni, sacrificando
i diritti delle minoranze.
Per rafforzare le garanzie istituzionali
eleveremo la maggioranza necessaria per l’approvazione delle leggi di revisione
costituzionale, ammettendo in ogni caso la facoltà di sottoporre
la legge di revisione a referendum.
Prevedremo espressamente che il referendum
si svolga con distinte votazioni se la legge concerne diverse parti della
Costituzione o istituti tra loro distinti.
Eleveremo la maggioranza necessaria
per l’elezione del Presidente della Repubblica, garante imparziale della
Costituzione e rappresentante dell’unità nazionale, e la maggioranza
necessaria per l’elezione dei presidenti delle Camere, in modo da tornare
alla convenzione che prevedeva una larga intesa sulla designazione dei
presidenti, tutelandone il ruolo di garanti imparziali.
Eleveremo anche la maggioranza necessaria
per l’approvazione dei regolamenti alle camere.
Attribuiremo alla Corte costituzionale
la potestà di decidere, in ultima istanza, sulle controversie relative
alla elezione dei membri del Parlamento, sulla cause sopraggiunte di ineleggibilità
e sulla incompatibilità dei parlamentari e sulla incompatibilità
dei membri del Governo Dovremo inoltre assicurare strumenti per tutelare
le minoranze parlamentari, legittimandole a ricorrere alla Corte costituzionale
in caso di violazioni delle norme sul procedimento legislativo.
Alle opposizioni spetterà la
presidenza delle Commissioni parlamentari cui sono attribuiti compiti ispettivi,
di inchiesta, di controllo o di garanzia, disciplinando con legge costituzionale
i limiti già imposti con legge ordinaria al potere di decretazione
d'urgenza del governo.
Intendiamo poi riformare l’art. 79
della Costituzione in materia di amnistia e indulto, per modificare l'attuale
quorum troppo alto e la sua applicazione ad ogni articolo della legge relativa.
Respinta la riforma costituzionale
del centrodestra, proporremo nuove modifiche costituzionale solo dopo la
modifica dell’art. 138 della Costituzione, in modo da avere la certezza
di una larga intesa di tutte le forze rappresentate in Parlamento.
Un nuovo Senato
per Regioni e autonomie
La riforma del Titolo V realizzata
nel 2001 dal governo di centrosinistra ha ristrutturato profondamente lo
Stato in senso autonomistico e pluralistico. La riforma federale, però,
non si è compiuta: il centrodestra non le ha fatto infatti seguire
la predisposizione degli strumenti necessari. Bisogna coinvolgere le autonomie
territoriali nella definizione dell’indirizzo politico nazionale.
Per fare questo è necessario
completare la riforma superando l’attuale bicameralismo paritario, ovvero
istituendo un Senato che sia camera di effettiva rappresentanza delle regioni
e delle autonomie.
Su questo punto la riforma costituzionale
del centrodestra imbroglia e complica le cose, appesantendo il procedimento
legislativo sul piano procedurale e creando un Senato “doppione” della
Camera dei Deputati, che consente l’eleggibilità di candidati sradicati
dal territorio di riferimento e non realizza alcuna concreta rappresentanza
degli enti locali.
Noi intendiamo invece realizzare un
efficace bicameralismo differenziato, attraverso un Senato che sia luogo
di effettiva rappresentanza delle autonomie territoriali, titolare di competenze
legislative differenziate rispetto alla Camera dei Deputati.
Crediamo che i senatori debbano essere
effettivi rappresentanti degli interessi del proprio territorio. Il numero
dei senatori sarà ridotto a 150.
Migliorare la riforma
del Titolo V
L’azione del centrodestra sul federalismo
è stata contraddittoria: da un lato la propagandata ed imposta devolution,
dall’altro l’affossamento della riforma del 2001. Quest’ultima è
infatti rimasta inattuata nonostante la pressante richiesta da parte delle
Regioni e dei Comuni.
Lo Stato ha continuato a legiferare
a tutto campo, come se la riforma del 2001 non esistesse, ma senza svolgere
i compiti che davvero gli spettavano. I meccanismi di finanziamento, così
come i livelli delle prestazioni dei diritti sociali e civili, non hanno
avuto alcuna definizione.
Accanto a questa colpevole inerzia
si è assistito a comportamenti di un centralismo soffocante ed invadente.
Il governo ha posto tagli e vincoli alle risorse delle autonomie, negato
il dialogo tra livelli territoriali, impugnato con frequenza le leggi regionali,
spesso contro le regioni governate dal centrosinistra.
Per costruire un sistema che assicuri
una Repubblica unitaria e pluralista servono un importante investimento
politico e organizzativo ed un forte impegno a semplificare duplicazioni
e sovrapposizioni.
Saranno necessarie anche alcune
correzioni ed integrazioni alla riforma approvata nel 2001, per una chiara
attribuzione di funzioni normative e amministrative e di risorse finanziarie.
Agiremo su due livelli:
- interventi normativi
costituzionali, ordinari e di modifica dei regolamenti parlamentari;
- piani d’azione amministrativi,
per l’adattamento degli apparati pubblici.
Intendiamo così giungere, entro
la legislatura, ad un sistema istituzionale autenticamente pluralista.
Come interventi di legge costituzionale
proponiamo:
- una migliore definizione
delle materie di esclusiva competenza statale, che ricomprenda la disciplina
dei rapporti di lavoro, la tutela e la sicurezza del lavoro, fatta salva
la competenza delle Regioni in tema di mercato del lavoro e formazione
professionale, l’ordinamento delle professioni e delle comunicazioni, le
norme generali sulle grandi reti di trasporto e navigazione, il trasporto
e la distribuzione dell’energia nonché una strategia nazionale per
il turismo;
- la previsione di una
clausola generale che consenta al Parlamento di intervenire con legge per
tutelare l'interesse della Repubblica anche in materie di competenza regionale
quando siano in gioco superiori interessi della collettività, quando
si debba garantire l’unità giuridica o economica del Paese o garantire
l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio dei diritti costituzionali;
- un Senato che sia espressione
delle autonomie territoriali.
Come interventi di legge ordinaria
proponiamo:
- l’adozione delle leggi
di individuazione dei principi fondamentali;
- la definizione dei
livelli delle prestazioni per l’omogenea garanzia dei diritti sociali e
civili su tutto il territorio nazionale;
- il perfezionamento
del sistema delle Conferenze attraverso il potenziamento del ruolo della
Conferenza unificata, per superare l’attuale logica binaria;
- l’adeguamento del modello
organizzativo dell’amministrazione centrale, eliminando apparati che duplicano
funzioni regionalizzate.
Per i regolamenti parlamentari proponiamo
invece una modica che miri all’integrazione della Commissione per le questioni
regionali prevedendo la partecipazione di Regioni ed enti locali, nelle
more dell’istituzione del Senato federale.
Come interventi di azione amministrativa
proponiamo:
- l’introduzione di meccanismi
di conciliazione tra i vari livelli di governo;
- lo sviluppo della funzione
di monitoraggio delle politiche e l’implementazione dei grandi sistemi
informativi, incentivando la nascita dei sistemi regionali - il completamento
della riconversione dell’amministrazione centrale che invece di ridursi
è cresciuta.
La tutela delle minoranze
linguistiche e delle autonomie
speciali
In continuità con quanto attuato
con i precedenti governi di centrosinistra si riconferma una attenzione
particolare per le minoranze linguistiche e per le autonomie speciali,
favorendone una evoluzione in senso dinamico. La specialità assicurata
dagli statuti di autonomia, deve poter essere garantita nella forma pattizia
anche nella fase di una loro modifica o adeguamento alle riforme costituzionali
nazionali e all'evoluzione della legislazione europea.
Attuare il federalismo fiscale
Per realizzare il federalismo fiscale
serve una finanza pubblica equilibrata, che riconosca agli enti locali
sufficienti risorse ed autonomia, preveda la responsabilità finanziaria
rispetto ai saldi di gestione e supporti la solidarietà con meccanismi
di perequazione.
Questo è il quadro di principi
fissato dal centrosinistra nella riforma del 2001, e rimasto lettera morta
sotto il centrodestra.
Il governo Berlusconi ha tagliato
unilateralmente le risorse di Regioni e Comuni con leggi finanziarie di
impostazione centralistica.
Il centrodestra ha così
paralizzato lo strumento più importante per l’attuazione del federalismo:
l’art. 119 della Costituzione, obbligando sindaci ed amministratori regionali
e locali a scegliere quali servizi ridurre o chiudere. In questo modo le
vittime sono i cittadini, che si vedono tagliare i servizi a causa dell’incapacità
del governo nazionale di tenere la rotta sugli andamenti dei conti pubblici.
La naturale conseguenza di questo
comportamento è l’impossibilità di correggere i comportamenti
di enti locali che producono aumenti di spesa: ciascuno finisce per trovare
nell’incapacità altrui la giustificazione alla propria incapacità
di adottare misure virtuose.
Non è però una questione
solo quantitativa. Si tratta di un blocco che ha accresciuto gli squilibri
strutturali nel Paese, laddove invece è necessaria una forte azione
di coesione, indispensabile per realizzare l’uguaglianza tra i cittadini.
Per superare questo stallo proponiamo,
nel medio lungo termine, di:
- assicurare una reale
partecipazione interistituzionale ai momenti decisionali sulle regole di
finanza pubblica. Questo sarà garantito dal coinvolgimento del Senato
federale al procedimento legislativo riguardante la finanza pubblica nazionale
e le singole leggi di bilancio.
Inoltre le Regioni e le autonomie
parteciperanno sia alla fase di predisposizione delle leggi di bilancio
sia in fase di approvazione parlamentare, integrando la Commissione parlamentare
per le questioni regionali;
- attuare l’ampliamento
delle forme di partecipazione alla predisposizione dei provvedimenti di
bilancio: più strumenti di confronto con le parti sociali, più
trasparenza e rilievo alle decisioni sull’allocazione delle risorse finanziarie;
- imporre il rispetto
di un patto interno sui saldi di bilancio, per evitare che il federalismo
fiscale porti ad un incremento del debito pubblico. A partire dal patto
si cercherà un riequilibrio delle risorse basato su standard e indicatori
oggettivi dei costi dei servizi e delle prestazioni e su strumenti premianti
dei comportamenti virtuosi;
- raggiungere il bilanciamento
tra autonomia, flessibilità e responsabilità: gli amministratori
locali godranno di autonomia nelle scelte di indirizzo e di flessibilità
nelle scelte di gestione, ma saranno vincolati al patto interno per i saldi
complessivi di bilancio;
- garantire una maggiore
certezza sulle risorse disponibili per ogni livello di governo. Solo in
questo modo si può infatti ottenere una maggiore trasparenza nella
programmazione delle attività delle amministrazioni locali;
- completare i trasferimenti
di risorse e personale a Regione ed enti locali ed attuare una reale riduzione
dell’apparato statale;
- attribuire alle Regioni
e agli enti locali tributi propri e quote di partecipazione al gettito
dei tributi erariali: in questo modo disporranno dell’integrale funzionamento
delle funzioni loro attribuite. Regioni ed enti locali potranno inoltre
modificare le aliquote e le condizioni di esenzione od agevolazione per
questi tributi;
- attivare gli strumenti
di perequazione tra territori ed i finanziamenti di obiettivi straordinari
di sviluppo;
- creare un robusto ed
efficace sistema informativo sulla finanza pubblica nazionale;
- escludere che i vincoli
di destinazione sulle risorse ordinarie siano determinati unilateralmente
dal governo centrale.
Risolvere il conflitto
d’interessi
Da quando Berlusconi è entrato
in politica il conflitto di interessi ha costantemente segnato la vita
pubblica italiana. Ogni settore dell’iniziativa di Governo è stato
viziato dal conflitto di interessi: dall’informazione alle assicurazioni,
dalle opere pubbliche alle società sportive. Un opaco intreccio
tra politica e affari.
Anche gli osservatori internazionali
hanno segnalato, a più riprese, questa grave anomalia della democrazia
italiana. Il governo ha risposto con una legge-simulacro sul conflitto
di interessi che concretamente non modifica nulla, lasciando che il conflitto
di interessi venga affrontato con le estemporanee uscite di Berlusconi
dal Consiglio dei Ministri al momento dell’ennesimo voto su questioni di
suo personale interesse.
Attribuendo poi le funzioni sul
conflitto d’interesse all’Autorità antitrust, questa è stata
gravata di compiti estranei. Le stesse nomine dei suoi membri ne sono state
condizione: al criterio della competenza e professionalità si è
sostituito quello della contiguità con questo o quel personaggio
del centrodestra.
Dobbiamo quindi colmare una profonda
lacuna, adeguando l’ordinamento italiano a quello di altre grandi democrazie
occidentali, attraverso un modello di provata efficacia e di sicuro equilibrio
che mira a prevenire l’insorgere di conflitti di interessi tra gli incarichi
istituzionali (sia nazionali che locali) e l’esercizio diretto di attività
professionali o imprenditoriali o il possesso di attività patrimoniali
che possano confliggere con le funzioni di governo. Gli strumenti che utilizzeremo
sono: la revisione del regime delle incompatibilità; l’istituzione
di un’apposita autorità garante; l’obbligo di conferire le attività
patrimoniali a un blind trust.
L’incompatibilità deve essere
totale per i membri del governo nazionale, di quelli regionali e delle
città con più di 100 mila abitanti. Questi, nel corso del
proprio mandato, potranno svolgere esclusivamente le funzioni legate alla
carica, con il diritto di essere collocati in aspettativa da altri incarichi.
Tutti i titolari di cariche pubbliche,
inoltre, non potranno ricoprire per interposta persona attività
imprenditoriali in imprese o società private, o a prevalente partecipazione
pubblica, oppure che abbiano rapporti di concessione con pubbliche amministrazioni,
con esclusione delle attività non profit e delle attività
di modesta entità. Non potranno neppure svolgere funzioni o incarichi,
a qualsiasi titolo e comunque denominati, compresi gli incarichi arbitrali
di qualsiasi natura, per tali enti ed imprese. Sarà fonte di conflitto
di interessi il possesso, diretto o per interposta persona, di partecipazioni
rilevanti in alcuni specifici settori economici nei quali tale possesso
determina di norma e quasi inevitabilmente un condizionamento del libero
svolgimento della funzione pubblica.
I beni e le attività non rilevanti
ai fini delle incompatibilità e quelli derivanti dalla liquidazione
di beni e attività rilevanti dovranno essere conferiti a una gestione
fiduciaria “cieca” (blind trust) che provvederà ad amministrarli
con l’obbligo di rendiconto alla fine del mandato politico del titolare,
ma con il divieto di fornirgli in corso di mandato qualsiasi informazione
sulle operazioni effettuate e sul suo asset patrimoniale. Non risolveranno
il conflitto di interessi, invece, le cessioni al coniuge o ai parenti
e affini entro il secondo grado o a persona interposta allo scopo di eludere
l’obbligo.
I titolari di cariche pubbliche avranno
l’obbligo di dichiarare le proprie attività e la propria condizione
patrimoniale - nonché quelle dei familiari e degli affini entro
il 4° grado e dei conviventi delle quali siano a conoscenza – che possano
causare il sorgere di un conflitto di interessi.
La proposta dell’Unione prevede inoltre
l’istituzione di una apposita Autorità garante con il compito di
individuare le attività degli interessati suscettibili di generare
un conflitto di interessi e, laddove necessario, il potere di intervenire
efficacemente per prevenire o sanare tale conflitto, con un insieme flessibile
e articolato di strumenti adottati caso per caso in relazione alla natura
delle attività dell’interessato. Tale Autorità dovrà
godere del requisito di indipendenza, garantita mediante la designazione
dei suoi membri da parte delle massime autorità istituzionali.
Le Autorità indipendenti
Nel passaggio dell’ordinamento
istituzionale italiano da un modello monistico e gerarchico ad un sistema
policentrico e multiorganizzativo, un ruolo importante è stato giocato
dalle Autorità amministrative indipendenti. Queste Authorities,
presenti in molti Paesi europei, sono nate nel corso degli ultimi venti
anni per garantire un’efficace tutela in particolari settori, nei quali
si richiede un delicato contemperamento tra diritti e interessi costituzionalmente
protetti. Per questo tali organismi devono essere neutrali sia rispetto
alla maggioranza politica pro tempore sia rispetto ai portatori di interessi
economici settoriali.
Le Authorities sono responsabili
di un delicato equilibrio, che garantisce l’esercizio di diritti e libertà,
tra le quali la libertà di iniziativa economica privata, sottraendoli
al condizionamento di interessi economici rilevanti e a quelli della maggioranza
politica di cui è espressione il governo. Gli utenti – e in particolare
le fasce più deboli – ne sono così tutelati.
- per l’efficacia
del ruolo e delle funzioni, occorre assicurare una maggiore capacità
di vigilanza su questioni che incidono direttamente e significativamente
sulla vita dei cittadini e del paese (si pensi al caso Parmalat per la
Consob, a quello delle assicurazioni per l’Isvap e l’Antitrust);
- per la chiarezza
organizzativa occorre fare fronte ad una disciplina che, essendosi formata
in momenti diversi, rende difficile individuare un modello generale ed
unitario.
Il governo di centrodestra ha poi
creato altri problemi, piegando il funzionamento delle istituzioni al soddisfacimento
di interessi personali. Basti pensare all’attribuzione all’Autorità
antitrust delle funzioni di controllo sul conflitto di interessi: una distorsione
che ha finito per incidere significativamente sulla scelta dei commissari:
in questo momento nell’Antitrust italiana non siede nessun economista.
La finanziaria per il 2006 sferra
alle Authorities un altro colpo, privandole di certezza sui propri finanziamenti
(condizione primaria di indipendenza e autonomia), ed obbligandole ad autofinanziarsi
attraverso gli stessi settori sorvegliati, generando così un fortissimo
rischio di cattura.
Intendiamo anzitutto ribadire e sottolineare
la perdurante validità del modello delle Authorities, attraverso
interventi normativi di riordino e razionalizzazione e definendo un insieme
di regole flessibili ma unitarie per le autorità amministrative
indipendenti.
Per quanto riguarda la razionalizzazione
delle competenze delle Authorities, proponiamo:
- la razionalizzazione
e semplificazione del sistema delle Authorities preposte al controllo dei
mercati finanziari, riducendo gli adempimenti a carico degli operatori
e gli oneri per il bilancio dello Stato, con il rafforzamento della Consob;
- la valutazione del
riordino di Autorità esistenti, con l’istituzione di una unica Autorità
con competenza su tutte le grandi reti;
- l’attribuzione all’Autorità
garante per la concorrenza ed il mercato anche della competenza in materia
di concorrenza nei confronti delle aziende e degli istituti di credito.
Circa il modello organizzativo, proponiamo
l’adozione di una legge generale sulle Authorities, che disciplini sia
alcuni aspetti strutturali e organizzativi generali – in quanto finalizzati
a garantire i caratteri comuni di terzietà e neutralità –
sia le attribuzioni di alcune autorità singolarmente considerate.
A questo scopo la legge dovrà
disciplinare la composizione e le modalità di investitura delle
autorità indipendenti, oltre che il regime delle garanzie e delle
incompatibilità dei componenti.
La legge dovrà perseguire due
obiettivi fondamentali:
- il carattere dell’indipendenza;
- il collegamento tra
le Authorities e il Parlamento e il Governo tramite “circuiti comunicativi”
e propositivi tra le Authorities e le istituzioni rappresentative, che
saranno messe a conoscenza delle attività svolte delle prime, senza
tuttavia comprimerne l’autonomia.
Prevediamo infatti l’istituzione di
un’apposita commissione bicamerale per i rapporti con le Authorities e
l’obbligo, per le autorità stesse, di presentare annualmente al
Parlamento una relazione sull’attività svolta. La commissione si
dovrebbe esprimere, con parere vincolante espresso a maggioranza qualificata,
sulle nomine degli organi, formalmente conferite con decreto del Presidente
della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta
del Presidente del Consiglio dei ministri.
La proposta richiede l’adozione di
una legge ordinaria, sulla quale sollecitare il confronto con tutte le
opposizioni in Parlamento.
Ridurre i costi della politica
Il tema dei costi della politica
è centrale per sia per un sistema politico funzionante e legittimato.
Il problema non è “se” la politica costa, ma “quanto” e attraverso
quali modi: i costi devono essere trasparenti e controllabili e la collettività
deve conoscerli con chiarezza.
I costi trasparenti sono anche
un ostacolo alla corruzione: ai costi occulti corrispondono spesso rendimenti
occulti, che pesano su tutta la collettività e falsano il gioco
democratico.
Bisogna innanzitutto combattere
la corruzione, fenomeno ancora vivo, come prova il 42° posto che l’Italia
ha ottenuto nel 2004 nella classifica di Transparency International, l’autorevole
ONG indipendente che si batte contro i fenomeni di corruzione.
Spesso poi i costi della politica
ribaltati sulle amministrazioni e sulle istituzioni. Oggi questo fenomeno
è particolarmente grave ed evidente: gruppi e interessi particolari
si appropriano di strutture che invece devono essere al servizio di tutti.
La politica non può e non deve finanziarsi a spese dell’amministrazione
pubblica.
Il governo di centrodestra, in
questi anni, ha saccheggiato l’amministrazione: pur condannando nella retorica
i costi eccessivi degli apparati pubblici, non ha esitato nell’utilizzo
delle spese di rappresentanza, delle spese per consulenza, delle spese
per viaggi. Nell’autunno 2005 la Corte dei Conti ha lanciato l’allarme:
le spese per consulenze hanno raggiunto il mezzo punto di PIL, un record
assoluto.
I danni causati dal governo Berlusconi
richiederanno anni per essere riassorbiti:
- prescrizione dei
reati di corruzione contro la pubblica amministrazione con la legge ex
Cirielli;
- aumento di 103 direttori
generali (a dispetto della drastica riduzione del numero dei ministeri
realizzato dal centrosinistra);
- una spesa di circa
195 milioni di euro per le segreterie dei ministri.
Il solo Ministero dell’Economia
e delle Finanze vanta un apparato a supporto del vertice politico di quasi
450 persone. Altre azioni del centrodestra stanno screditando la politica:
come l’assunzione dei segretari dei ministri, fatta con la legge finanziaria
2006. E’ un privilegio inaccettabile se paragonato al blocco dei concorsi
pubblici che vige da quattro anni e che impedisce l’accesso agli uffici
pubblici ai giovani non disposti al clientelismo.
E’ un problema dell’intero sistema
istituzionale italiano: anche il centrosinistra, alla guida di tante regioni
e di tanti comuni, ha la responsabilità di affermare un forte principio
di trasparenza e di riduzione dei costi della politica. Ne va della legittimazione
e della credibilità della politica.Il problema è ampio, e
non basteranno le proposte demagogiche del centrodestra, come il taglio
del 10 per cento allo stipendio dei parlamentari. Lo stipendio è
infatti un aspetto importante e simbolico, ma è solo una goccia
nel mare degli aumenti delle indennità, dei gettoni di presenza,
del moltiplicarsi di commissioni consiliari, degli incarichi professionali
e delle consulenze e delle tante altre forme di utilizzo del denaro pubblico
non al servizio dei cittadini, ma al servizio di apparati e gruppi.
Bisogna ridurre e controllare i
costi della politica e costruire al tempo stesso un chiaro e coerente sistema
di finanziamento della politica. Un equilibrato sistema di finanziamento
consente spazi di partecipazione non selezionando esclusivamente in base
alle opportunità economiche di partenza.
Lo scenario politico non può
essere dominato solo da chi ha risorse sufficienti per “incartare” le città
con i manifesti giganti o acquistare spazi su giornali e televisioni. E’
essenziale rendere trasparenti e conoscibili le fonti di finanziamento,
specialmente quelle private, per consentire all’opinione pubblica di percepire
se una forza politica sia espressione di un elettorato radicato o di un
settore economico e sociale.
Le ricette populistiche e contingenti
non servono. Quello che serve è un impegno vero, quello di una politica
che prenda in carico questo grande sforzo di risanamento.
Proponiamo diversi strumenti per sanare
questa condizione.
Il primo strumento è un codice
di condotta, strumento per rispettare e attuare i seguenti principi:
- riduzione del 50% dell’organico
degli uffici di diretta collaborazione delle amministrazioni centrali;
- effettiva distinzione
tra funzioni politiche e funzioni amministrative, con l’impossibilità
per il personale “chiamato” dal Ministro su base fiduciaria di essere posto
a dirigere uffici amministrativi;
- riaffermazione del
principio costituzionale per cui si accede ai pubblici uffici solo per
concorso;
- riduzione dei benefici
impropri e dei privilegi per le posizioni dirigenziali di vertice, ripristinando
il principio di onnicomprensività della retribuzione e revisione
degli stipendi di livello più alto;
- affermazione piena
del principio di trasparenza, attraverso la pubblicazione on line dei curricula
dei dirigenti, degli stipendi superiori a 200.000 euro l’anno, degli incarichi
extra, delle consulenze;
- contrasto della tendenza
alla professionalizzazione della politica e alla ipertrofia del personale
politico che si manifesta con l’esplosione del numero di consiglieri, assessori,
delegati del sindaco o del presidente della Regione;
- applicazione rigorosa
del principio di necessità e competenza per l’attribuzione di consulenze
da parte delle pubbliche amministrazioni.
L’altro tema che vogliamo affrontare
è quello del finanziamento delle forze politiche. Puntiamo ad un
sistema trasparente, bilanci le fonti del finanziamento pubblico e quello
privato e stabilisca un efficace meccanismo di controllo e informazione
sulle spese dei partiti, delle attività politiche e delle campagne
elettorali.
Per le campagne elettorali intendiamo
realizzare una piena applicazione della legge attuale, che contiene le
misure necessarie a garantire la trasparenza. Queste misure devono però
essere effettivamente applicate e il loro rispetto dev’essere controllato:
il che sinora non si è mai fatto.
Interverremo anche sulle indennità
dei parlamentari e delle altre autorità o cariche pubbliche (componenti
di authorities, enti pubblici, management di società a totale partecipazione
pubblica), con misure di riduzione e con tetti non valicabili. E’ un tema
importante e non solo simbolico, da affrontare con responsabilità,
chiarezza e determinazione. Si tratta di misure prioritarie, che richiederanno
però un ampia intesa delle forze parlamentari.