Riforme Istituzionali
 
Dal "programma elettorale dell'Unione" (febbraio 2006)
 
In difesa dei valori
della Costituzione
 
In ogni democrazia le istituzioni sono lo strumento fondamentale per garantire i principali valori costituzionali: libertà, partecipazione, pluralismo, equilibrio dei poteri.
Per questo le istituzioni sono di tutti: non possono essere modificate in base a contingenze politiche o diventare oggetto di patteggiamenti strumentali di una parte politica. Ogni progetto di riforma istituzionale deve salvaguardare questi valori e promuovere la lungimiranza delle scelte che si compiono, prevedendone le conseguenze di medio e lungo periodo.
Sono principi basilari che non bisognerebbe neppure ricordare, poiché fanno parte del DNA originario di ogni democrazia.
L’attuale maggioranza, però, li ha ripetutamente e consapevolmente calpestati. Le istituzioni sono sempre più in conflitto tra loro e piegate a fini egoistici. A questo si aggiunge una riforma costituzionale incoerente che lacera il paese e contrappone i territori con la cosiddetta devolution. L’interesse nazionale viene affermato solo formalmente, ma manca qualunque meccanismo che ne renda effettiva la tutela.
Una riforma, insomma, che non nasce da un patto costituzionale tra tutte le rappresentanze politiche, come è nella tradizione delle democrazie, ma da un accordo tra le sole componenti della maggioranza. Il risultato sarebbe un sistema contraddittorio che produrrebbe il caos istituzionale.
Ci siamo opposti in Parlamento a questa riforma e chiederemo a tutti i cittadini di pronunciarsi contro di essa mediante il referendum costituzionale. Ci opponiamo però non solo al merito della riforma: anche il metodo di realizzazione l’ha trasformata in una delle tante leggi ad personam, unico risultato di cinque anni di governo.
 
Ci impegniamo innanzitutto ad assicurare e rispettare la stabilità e la supremazia dei valori fondamentali della Costituzione che sono alla base di una democrazia rappresentativa che sia trasparente, solidale, efficace, in grado di guardare al futuro. Noi affermiamo la laicità dello Stato.
Non proponiamo quindi una “grande riforma costituzionale”, semplicemente perché non ce n’è bisogno, e perché ogni modifica della Carta Fondamentale deve essere frutto del coinvolgimento di tutte le parti politiche e sociali.
Vogliamo invece tutelare i valori e diritti fondamentali e il migliore funzionamento delle istituzioni. Queste proposte si possono realizzare in larga parte con legge ordinaria, e la modifica di alcune disposizioni costituzionali solo con riferimento ad innovazioni specifiche.
 
Non vogliamo riscrivere la Costituzione ma tutelarla, anche elevando il quorum necessario per modificarla, così da scongiurare future riforme a colpi di maggioranza. Puntiamo soprattutto a svilupparne i valori di fondo, arricchendo la partecipazione dei cittadini, migliorando la trasparenza dell’azione di governo, assicurando il pluralismo sociale e istituzionale.
 
 
La Costituzione
si cambia insieme
 
L’attuale maggioranza di governo ha applicato alle istituzioni una logica “proprietaria”. Proprio in scadenza di legislatura il governo di Berlusconi ha inflitto due gravi colpi al sistema costituzionale: il progetto di riforma della legge elettorale e il disegno di riforma costituzionale.
Sono entrambi progetti elaborati senza alcun coinvolgimento dell’opposizione, ma anzi contro di essa. La Costituzione e le istituzioni sono diventate merce di scambio, usata per tenere insieme una coalizione politica ormai priva di ogni collante ideale e progetto politico.
La legge costituzionale di riforma del Titolo V approvata nel 2001, pur con le sue criticità, riprendeva le proposte elaborate in seno alla Commissione Bicamerale istituita nel 1997 con lo scopo di redigere un progetto di riforma per una parte circoscritta della Costituzione.
 
Un progetto su cui maggioranza e opposizione avevano trovato un largo accordo, venuto meno solo all’ultimo momento per responsabilità dell’allora leader dell’opposizione e attuale Presidente del Consiglio : una larga parte delle forze politiche aveva partecipato alla elaborazione del testo di riforma, approvandolo nel suo primo passaggio parlamentare, e una larghissima parte delle istituzioni territoriali, di ogni colore politico, ha fino all’ultimo condiviso l’opportunità della sua approvazione.
 
Lo stravolgimento della Costituzione imposto dal centrodestra è una somma di strumenti di propaganda che permettono ad ogni forza politica di presentarsi al proprio elettorato con un cavallo di battaglia senza alcun interesse per i rischi che corrono le garanzie democratiche e l'universalità dei diritti di cittadinanza, specialmente nelle aree più esposte del Paese È quindi prioritario ristabilire il principio della supremazia, certezza e stabilità della Costituzione.
 
Crediamo innanzitutto che la Costituzione sia fonte di legittimazione e limitazione di tutti i poteri, e ci impegniamo a ristabilirne la supremazia, a presidio delle regole e dei valori fondamentali della collettività.
 
A questa tutela uniamo precise garanzie per il futuro, per evitare che future maggioranze di governo realizzino riforme costituzionali senza ottenere un ampio consenso in Parlamento e nella società.
 
Modificheremo il quorum previsto dall’art. 138 della Costituzione elevando la maggioranza necessaria per l’approvazione, in seconda lettura, di leggi di revisione costituzionale. Questo garantirà il raggiungimento di un ampio consenso, evitando per il futuro riforme costituzionali approvate a colpi di maggioranza evitando ogni confronto democratico.
Manterremo inoltre la facoltà di sottoporre a referendum la legge di revisione costituzionale nel caso in cui lo chiedano un quinto dei componenti di una Camera, o cinque consigli regionali, o cinquecentomila elettori.
 
Tale proposta avrà carattere di priorità, e richiederà un ampio accordo in Parlamento.
 
 
Partecipazione,
rappresentanza e governabilità
 
Un sistema istituzionale democratico deve garantire, insieme, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, l’effettiva rappresentatività delle istituzioni che prendono le decisioni fondamentali per la vita associata, l’efficacia dell’azione di governo per la tutela dei diritti dei cittadini e per la realizzazione del programma sul quale ha ottenuto il consenso e l’adesione della maggioranza degli elettori.
Il centrodestra non è riuscito ad assicurare, negli anni in cui è stato al governo, nessuno di questi tre elementi fondamentali.
La partecipazione dei cittadini è stata ridotta negli spazi e nei modi; la riforma elettorale potrebbe finire per premiare la coalizione che prende meno voti, comprimendo il rapporto tra elettore ed eletto e aumentando l'ingovernabilità nella prossima legislatura.
 
Crediamo invece che partecipazione, rappresentanza e governabilità siano valori fondamentali da preservare e garantire. Puntiamo ad ampliare ed arricchire le occasioni di partecipazione, anche rivitalizzando il referendum abrogativo: proponiamo per questo di aumentare da 500.000 a 750.000 il numero di firme necessarie per indire un referendum e di ridurre il quorum previsto per la validità della consultazione alla metà dei voti espressi nelle precedenti elezioni per la Camera dei Deputati.
Dovremo attivare anche strumenti nuovi che rispondano alla diffusa esigenza di partecipazione, dimostrata dal successo delle Primarie dell’Unione. Moltiplicheremo le occasioni di consultazione, promuovendo la partecipazione dei giovani e favorendo la formazione di un’opinione pubblica informata.
Incentiveremo e diffonderemo le esperienza di democrazia partecipata a livello locale, favorendo il dialogo tra le istituzioni e i soggetti della società civile.
 
Crediamo che lo strumento fondamentale per la rappresentanza sia un sistema elettorale che consenta una scelta chiara e consapevole, e che assicuri insieme la rappresentanza e la governabilità: due valori che devono coesistere perché la prima senza la seconda non assicura effettività alla scelta degli elettori e la seconda senza la prima si trasforma in puro esercizio di comando.
Non seguiremo l’esempio del centrodestra imponendo un “nostro” sistema elettorale, ma lavoreremo per un sistema elettorale che assicuri tutti questi valori.
Proponiamo inoltre di introdurre le necessarie modifiche all'ordinamento vigente per superare l'attuale eccessiva frammentazione dei sistemi elettorali regionali, che ha l'effetto di disorientare i cittadini e di non assicurare in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale la coniugazione tra le esigenze democratiche di rappresentanza e quelle di governabilità.
 
E' necessario inoltre procedere alla razionalizzazione delle scadenze elettorali, attraverso l'accorpamento delle elezioni politiche e amministrative ravvicinate. Questa soluzione, oltre a far conseguire risparmi non trascurabili, avrebbe anche l'effetto di ridurre l'incentivo all'astensionismo rappresentato dal fatto che troppo spesso i cittadini si vedono chiamati alle urne a breve distanza dalle ultime consultazioni , evitando anche che l'azione di governo ai vari livelli sia condizionata negativamente da una campagna elettorale continua.
 
Oltre al sistema elettorale, per assicurare una connessione tra rappresentanza e governabilità riteniamo indispensabili alcune misure che rafforzino il Parlamento e rendano, al contempo, più efficace l’azione di governo:
   - l’attribuzione al Primo Ministro del potere di proporre al Presidente della Repubblica la nomina e revoca di ministri, viceministri e sottosegretari;
   - una migliore regolamentazione della questione di fiducia, con la previsione di specifici limiti al suo esercizio;
   - la possibilità di sfiduciare il Primo Ministro solo attraverso una mozione di sfiducia costruttiva, con l’esplicita indicazione di un candidato successore.
 
 
Le garanzie istituzionali
 
In un sistema parlamentare, maggioranza ed opposizione hanno ruoli distinti: la prima ha la responsabilità di governare, la seconda di controllare l’azione di Governo e proporre politiche alternative.
Per questo una Costituzione democratica deve definire nettamente i limiti dei poteri del governo e della maggioranza, per tutelare l’inviolabilità dei diritti e delle libertà dei cittadini.
Il rafforzamento dell’esecutivo, che riguarda oggi tutte le democrazie occidentali, richiede un parallelo rafforzamento delle garanzie costituzionali e del ruolo del Parlamento.
Il centrodestra, in questi anni, non ha solo svolto un’azione di governo inefficace, ma ha spesso aggirato o cancellato gli strumenti posti a garanzia delle opposizioni, e quindi del confronto e del pluralismo.
 
Il rischio è quello di uno squilibrio che porti alla "dittatura della maggioranza". Questo rischio deve essere combattuto riaffermando la necessità di equilibrio tra i poteri istituzionali attraverso appositi checks and balances.
Tale "dittatura della maggioranza" sarebbe il naturale risultato della riforma costituzionale presentata dal centrodestra: essa esautora completamente il Parlamento, e sancisce il dominio assoluto del Premier su tutti gli altri organi costituzionali.
In questo modo non si adegua il sistema delle garanzie costituzionali ai mutamenti prodotti dall’introduzione del maggioritario, ma se ne accentuano addirittura le disfunzioni, sacrificando i diritti delle minoranze.
 
Per rafforzare le garanzie istituzionali eleveremo la maggioranza necessaria per l’approvazione delle leggi di revisione costituzionale, ammettendo in ogni caso la facoltà di sottoporre la legge di revisione a referendum.
Prevedremo espressamente che il referendum si svolga con distinte votazioni se la legge concerne diverse parti della Costituzione o istituti tra loro distinti.
Eleveremo la maggioranza necessaria per l’elezione del Presidente della Repubblica, garante imparziale della Costituzione e rappresentante dell’unità nazionale, e la maggioranza necessaria per l’elezione dei presidenti delle Camere, in modo da tornare alla convenzione che prevedeva una larga intesa sulla designazione dei presidenti, tutelandone il ruolo di garanti imparziali.
Eleveremo anche la maggioranza necessaria per l’approvazione dei regolamenti alle camere.
 
Attribuiremo alla Corte costituzionale la potestà di decidere, in ultima istanza, sulle controversie relative alla elezione dei membri del Parlamento, sulla cause sopraggiunte di ineleggibilità e sulla incompatibilità dei parlamentari e sulla incompatibilità dei membri del Governo Dovremo inoltre assicurare strumenti per tutelare le minoranze parlamentari, legittimandole a ricorrere alla Corte costituzionale in caso di violazioni delle norme sul procedimento legislativo.
Alle opposizioni spetterà la presidenza delle Commissioni parlamentari cui sono attribuiti compiti ispettivi, di inchiesta, di controllo o di garanzia, disciplinando con legge costituzionale i limiti già imposti con legge ordinaria al potere di decretazione d'urgenza del governo.
 
Intendiamo poi riformare l’art. 79 della Costituzione in materia di amnistia e indulto, per modificare l'attuale quorum troppo alto e la sua applicazione ad ogni articolo della legge relativa.
 
Respinta la riforma costituzionale del centrodestra, proporremo nuove modifiche costituzionale solo dopo la modifica dell’art. 138 della Costituzione, in modo da avere la certezza di una larga intesa di tutte le forze rappresentate in Parlamento.
 
 
Un nuovo Senato
per Regioni e autonomie
 
La riforma del Titolo V realizzata nel 2001 dal governo di centrosinistra ha ristrutturato profondamente lo Stato in senso autonomistico e pluralistico. La riforma federale, però, non si è compiuta: il centrodestra non le ha fatto infatti seguire la predisposizione degli strumenti necessari. Bisogna coinvolgere le autonomie territoriali nella definizione dell’indirizzo politico nazionale.
Per fare questo è necessario completare la riforma superando l’attuale bicameralismo paritario, ovvero istituendo un Senato che sia camera di effettiva rappresentanza delle regioni e delle autonomie.
 
Su questo punto la riforma costituzionale del centrodestra imbroglia e complica le cose, appesantendo il procedimento legislativo sul piano procedurale e creando un Senato “doppione” della Camera dei Deputati, che consente l’eleggibilità di candidati sradicati dal territorio di riferimento e non realizza alcuna concreta rappresentanza degli enti locali.
 
Noi intendiamo invece realizzare un efficace bicameralismo differenziato, attraverso un Senato che sia luogo di effettiva rappresentanza delle autonomie territoriali, titolare di competenze legislative differenziate rispetto alla Camera dei Deputati.
 
Crediamo che i senatori debbano essere effettivi rappresentanti degli interessi del proprio territorio. Il numero dei senatori sarà ridotto a 150.
 
 
Migliorare la riforma
del Titolo V
 
L’azione del centrodestra sul federalismo è stata contraddittoria: da un lato la propagandata ed imposta devolution, dall’altro l’affossamento della riforma del 2001. Quest’ultima è infatti rimasta inattuata nonostante la pressante richiesta da parte delle Regioni e dei Comuni.
Lo Stato ha continuato a legiferare a tutto campo, come se la riforma del 2001 non esistesse, ma senza svolgere i compiti che davvero gli spettavano. I meccanismi di finanziamento, così come i livelli delle prestazioni dei diritti sociali e civili, non hanno avuto alcuna definizione.
 
Accanto a questa colpevole inerzia si è assistito a comportamenti di un centralismo soffocante ed invadente. Il governo ha posto tagli e vincoli alle risorse delle autonomie, negato il dialogo tra livelli territoriali, impugnato con frequenza le leggi regionali, spesso contro le regioni governate dal centrosinistra.
Per costruire un sistema che assicuri una Repubblica unitaria e pluralista servono un importante investimento politico e organizzativo ed un forte impegno a semplificare duplicazioni e sovrapposizioni.
Saranno necessarie anche alcune correzioni ed integrazioni alla riforma approvata nel 2001, per una chiara attribuzione di funzioni normative e amministrative e di risorse finanziarie.
 
Agiremo su due livelli:
   - interventi normativi costituzionali, ordinari e di modifica dei regolamenti parlamentari;
   - piani d’azione amministrativi, per l’adattamento degli apparati pubblici.
Intendiamo così giungere, entro la legislatura, ad un sistema istituzionale autenticamente pluralista.
 
Come interventi di legge costituzionale proponiamo:
   - una migliore definizione delle materie di esclusiva competenza statale, che ricomprenda la disciplina dei rapporti di lavoro, la tutela e la sicurezza del lavoro, fatta salva la competenza delle Regioni in tema di mercato del lavoro e formazione professionale, l’ordinamento delle professioni e delle comunicazioni, le norme generali sulle grandi reti di trasporto e navigazione, il trasporto e la distribuzione dell’energia nonché una strategia nazionale per il turismo;
   - la previsione di una clausola generale che consenta al Parlamento di intervenire con legge per tutelare l'interesse della Repubblica anche in materie di competenza regionale quando siano in gioco superiori interessi della collettività, quando si debba garantire l’unità giuridica o economica del Paese o garantire l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio dei diritti costituzionali;
   - un Senato che sia espressione delle autonomie territoriali.
 
Come interventi di legge ordinaria proponiamo:
   - l’adozione delle leggi di individuazione dei principi fondamentali;
   - la definizione dei livelli delle prestazioni per l’omogenea garanzia dei diritti sociali e civili su tutto il territorio nazionale;
   - il perfezionamento del sistema delle Conferenze attraverso il potenziamento del ruolo della Conferenza unificata, per superare l’attuale logica binaria;
   - l’adeguamento del modello organizzativo dell’amministrazione centrale, eliminando apparati che duplicano funzioni regionalizzate.
Per i regolamenti parlamentari proponiamo invece una modica che miri all’integrazione della Commissione per le questioni regionali prevedendo la partecipazione di Regioni ed enti locali, nelle more dell’istituzione del Senato federale.
 
Come interventi di azione amministrativa proponiamo:
  - l’introduzione di meccanismi di conciliazione tra i vari livelli di governo;
   - lo sviluppo della funzione di monitoraggio delle politiche e l’implementazione dei grandi sistemi informativi, incentivando la nascita dei sistemi regionali - il completamento della riconversione dell’amministrazione centrale che invece di ridursi è cresciuta.
 
 
La tutela delle minoranze
linguistiche e delle autonomie speciali
 
In continuità con quanto attuato con i precedenti governi di centrosinistra si riconferma una attenzione particolare per le minoranze linguistiche e per le autonomie speciali, favorendone una evoluzione in senso dinamico. La specialità assicurata dagli statuti di autonomia, deve poter essere garantita nella forma pattizia anche nella fase di una loro modifica o adeguamento alle riforme costituzionali nazionali e all'evoluzione della legislazione europea.
 
 
Attuare il federalismo fiscale
 
Per realizzare il federalismo fiscale serve una finanza pubblica equilibrata, che riconosca agli enti locali sufficienti risorse ed autonomia, preveda la responsabilità finanziaria rispetto ai saldi di gestione e supporti la solidarietà con meccanismi di perequazione.
Questo è il quadro di principi fissato dal centrosinistra nella riforma del 2001, e rimasto lettera morta sotto il centrodestra.
Il governo Berlusconi ha tagliato unilateralmente le risorse di Regioni e Comuni con leggi finanziarie di impostazione centralistica.
Il centrodestra ha così paralizzato lo strumento più importante per l’attuazione del federalismo: l’art. 119 della Costituzione, obbligando sindaci ed amministratori regionali e locali a scegliere quali servizi ridurre o chiudere. In questo modo le vittime sono i cittadini, che si vedono tagliare i servizi a causa dell’incapacità del governo nazionale di tenere la rotta sugli andamenti dei conti pubblici.
 
La naturale conseguenza di questo comportamento è l’impossibilità di correggere i comportamenti di enti locali che producono aumenti di spesa: ciascuno finisce per trovare nell’incapacità altrui la giustificazione alla propria incapacità di adottare misure virtuose.
Non è però una questione solo quantitativa. Si tratta di un blocco che ha accresciuto gli squilibri strutturali nel Paese, laddove invece è necessaria una forte azione di coesione, indispensabile per realizzare l’uguaglianza tra i cittadini.
 
Per superare questo stallo proponiamo, nel medio lungo termine, di:
   - assicurare una reale partecipazione interistituzionale ai momenti decisionali sulle regole di finanza pubblica. Questo sarà garantito dal coinvolgimento del Senato federale al procedimento legislativo riguardante la finanza pubblica nazionale e le singole leggi di bilancio.
Inoltre le Regioni e le autonomie parteciperanno sia alla fase di predisposizione delle leggi di bilancio sia in fase di approvazione parlamentare, integrando la Commissione parlamentare per le questioni regionali;
   - attuare l’ampliamento delle forme di partecipazione alla predisposizione dei provvedimenti di bilancio: più strumenti di confronto con le parti sociali, più trasparenza e rilievo alle decisioni sull’allocazione delle risorse finanziarie;
   - imporre il rispetto di un patto interno sui saldi di bilancio, per evitare che il federalismo fiscale porti ad un incremento del debito pubblico. A partire dal patto si cercherà un riequilibrio delle risorse basato su standard e indicatori oggettivi dei costi dei servizi e delle prestazioni e su strumenti premianti dei comportamenti virtuosi;
   - raggiungere il bilanciamento tra autonomia, flessibilità e responsabilità: gli amministratori locali godranno di autonomia nelle scelte di indirizzo e di flessibilità nelle scelte di gestione, ma saranno vincolati al patto interno per i saldi complessivi di bilancio;
   - garantire una maggiore certezza sulle risorse disponibili per ogni livello di governo. Solo in questo modo si può infatti ottenere una maggiore trasparenza nella programmazione delle attività delle amministrazioni locali;
   - completare i trasferimenti di risorse e personale a Regione ed enti locali ed attuare una reale riduzione dell’apparato statale;
   - attribuire alle Regioni e agli enti locali tributi propri e quote di partecipazione al gettito dei tributi erariali: in questo modo disporranno dell’integrale funzionamento delle funzioni loro attribuite. Regioni ed enti locali potranno inoltre modificare le aliquote e le condizioni di esenzione od agevolazione per questi tributi;
   - attivare gli strumenti di perequazione tra territori ed i finanziamenti di obiettivi straordinari di sviluppo;
   - creare un robusto ed efficace sistema informativo sulla finanza pubblica nazionale;
   - escludere che i vincoli di destinazione sulle risorse ordinarie siano determinati unilateralmente dal governo centrale.
 
 
Risolvere il conflitto
d’interessi
 
Da quando Berlusconi è entrato in politica il conflitto di interessi ha costantemente segnato la vita pubblica italiana. Ogni settore dell’iniziativa di Governo è stato viziato dal conflitto di interessi: dall’informazione alle assicurazioni, dalle opere pubbliche alle società sportive. Un opaco intreccio tra politica e affari.
Anche gli osservatori internazionali hanno segnalato, a più riprese, questa grave anomalia della democrazia italiana. Il governo ha risposto con una legge-simulacro sul conflitto di interessi che concretamente non modifica nulla, lasciando che il conflitto di interessi venga affrontato con le estemporanee uscite di Berlusconi dal Consiglio dei Ministri al momento dell’ennesimo voto su questioni di suo personale interesse.
Attribuendo poi le funzioni sul conflitto d’interesse all’Autorità antitrust, questa è stata gravata di compiti estranei. Le stesse nomine dei suoi membri ne sono state condizione: al criterio della competenza e professionalità si è sostituito quello della contiguità con questo o quel personaggio del centrodestra.
 
Dobbiamo quindi colmare una profonda lacuna, adeguando l’ordinamento italiano a quello di altre grandi democrazie occidentali, attraverso un modello di provata efficacia e di sicuro equilibrio che mira a prevenire l’insorgere di conflitti di interessi tra gli incarichi istituzionali (sia nazionali che locali) e l’esercizio diretto di attività professionali o imprenditoriali o il possesso di attività patrimoniali che possano confliggere con le funzioni di governo. Gli strumenti che utilizzeremo sono: la revisione del regime delle incompatibilità; l’istituzione di un’apposita autorità garante; l’obbligo di conferire le attività patrimoniali a un blind trust.
L’incompatibilità deve essere totale per i membri del governo nazionale, di quelli regionali e delle città con più di 100 mila abitanti. Questi, nel corso del proprio mandato, potranno svolgere esclusivamente le funzioni legate alla carica, con il diritto di essere collocati in aspettativa da altri incarichi.
 
Tutti i titolari di cariche pubbliche, inoltre, non potranno ricoprire per interposta persona attività imprenditoriali in imprese o società private, o a prevalente partecipazione pubblica, oppure che abbiano rapporti di concessione con pubbliche amministrazioni, con esclusione delle attività non profit e delle attività di modesta entità. Non potranno neppure svolgere funzioni o incarichi, a qualsiasi titolo e comunque denominati, compresi gli incarichi arbitrali di qualsiasi natura, per tali enti ed imprese. Sarà fonte di conflitto di interessi il possesso, diretto o per interposta persona, di partecipazioni rilevanti in alcuni specifici settori economici nei quali tale possesso determina di norma e quasi inevitabilmente un condizionamento del libero svolgimento della funzione pubblica.
I beni e le attività non rilevanti ai fini delle incompatibilità e quelli derivanti dalla liquidazione di beni e attività rilevanti dovranno essere conferiti a una gestione fiduciaria “cieca” (blind trust) che provvederà ad amministrarli con l’obbligo di rendiconto alla fine del mandato politico del titolare, ma con il divieto di fornirgli in corso di mandato qualsiasi informazione sulle operazioni effettuate e sul suo asset patrimoniale. Non risolveranno il conflitto di interessi, invece, le cessioni al coniuge o ai parenti e affini entro il secondo grado o a persona interposta allo scopo di eludere l’obbligo.
I titolari di cariche pubbliche avranno l’obbligo di dichiarare le proprie attività e la propria condizione patrimoniale - nonché quelle dei familiari e degli affini entro il 4° grado e dei conviventi delle quali siano a conoscenza – che possano causare il sorgere di un conflitto di interessi.
La proposta dell’Unione prevede inoltre l’istituzione di una apposita Autorità garante con il compito di individuare le attività degli interessati suscettibili di generare un conflitto di interessi e, laddove necessario, il potere di intervenire efficacemente per prevenire o sanare tale conflitto, con un insieme flessibile e articolato di strumenti adottati caso per caso in relazione alla natura delle attività dell’interessato. Tale Autorità dovrà godere del requisito di indipendenza, garantita mediante la designazione dei suoi membri da parte delle massime autorità istituzionali.
 
 
Le Autorità indipendenti
 
Nel passaggio dell’ordinamento istituzionale italiano da un modello monistico e gerarchico ad un sistema policentrico e multiorganizzativo, un ruolo importante è stato giocato dalle Autorità amministrative indipendenti. Queste Authorities, presenti in molti Paesi europei, sono nate nel corso degli ultimi venti anni per garantire un’efficace tutela in particolari settori, nei quali si richiede un delicato contemperamento tra diritti e interessi costituzionalmente protetti. Per questo tali organismi devono essere neutrali sia rispetto alla maggioranza politica pro tempore sia rispetto ai portatori di interessi economici settoriali.
Le Authorities sono responsabili di un delicato equilibrio, che garantisce l’esercizio di diritti e libertà, tra le quali la libertà di iniziativa economica privata, sottraendoli al condizionamento di interessi economici rilevanti e a quelli della maggioranza politica di cui è espressione il governo. Gli utenti – e in particolare le fasce più deboli – ne sono così tutelati.
   - per l’efficacia del ruolo e delle funzioni, occorre assicurare una maggiore capacità di vigilanza su questioni che incidono direttamente e significativamente sulla vita dei cittadini e del paese (si pensi al caso Parmalat per la Consob, a quello delle assicurazioni per l’Isvap e l’Antitrust);
   - per la chiarezza organizzativa occorre fare fronte ad una disciplina che, essendosi formata in momenti diversi, rende difficile individuare un modello generale ed unitario.
 
Il governo di centrodestra ha poi creato altri problemi, piegando il funzionamento delle istituzioni al soddisfacimento di interessi personali. Basti pensare all’attribuzione all’Autorità antitrust delle funzioni di controllo sul conflitto di interessi: una distorsione che ha finito per incidere significativamente sulla scelta dei commissari: in questo momento nell’Antitrust italiana non siede nessun economista.
La finanziaria per il 2006 sferra alle Authorities un altro colpo, privandole di certezza sui propri finanziamenti (condizione primaria di indipendenza e autonomia), ed obbligandole ad autofinanziarsi attraverso gli stessi settori sorvegliati, generando così un fortissimo rischio di cattura.
 
Intendiamo anzitutto ribadire e sottolineare la perdurante validità del modello delle Authorities, attraverso interventi normativi di riordino e razionalizzazione e definendo un insieme di regole flessibili ma unitarie per le autorità amministrative indipendenti.
 
Per quanto riguarda la razionalizzazione delle competenze delle Authorities, proponiamo:
   - la razionalizzazione e semplificazione del sistema delle Authorities preposte al controllo dei mercati finanziari, riducendo gli adempimenti a carico degli operatori e gli oneri per il bilancio dello Stato, con il rafforzamento della Consob;
   - la valutazione del riordino di Autorità esistenti, con l’istituzione di una unica Autorità con competenza su tutte le grandi reti;
   - l’attribuzione all’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato anche della competenza in materia di concorrenza nei confronti delle aziende e degli istituti di credito.
 
Circa il modello organizzativo, proponiamo l’adozione di una legge generale sulle Authorities, che disciplini sia alcuni aspetti strutturali e organizzativi generali – in quanto finalizzati a garantire i caratteri comuni di terzietà e neutralità – sia le attribuzioni di alcune autorità singolarmente considerate.
A questo scopo la legge dovrà disciplinare la composizione e le modalità di investitura delle autorità indipendenti, oltre che il regime delle garanzie e delle incompatibilità dei componenti.
La legge dovrà perseguire due obiettivi fondamentali:
   - il carattere dell’indipendenza;
   - il collegamento tra le Authorities e il Parlamento e il Governo tramite “circuiti comunicativi” e propositivi tra le Authorities e le istituzioni rappresentative, che saranno messe a conoscenza delle attività svolte delle prime, senza tuttavia comprimerne l’autonomia.
 
Prevediamo infatti l’istituzione di un’apposita commissione bicamerale per i rapporti con le Authorities e l’obbligo, per le autorità stesse, di presentare annualmente al Parlamento una relazione sull’attività svolta. La commissione si dovrebbe esprimere, con parere vincolante espresso a maggioranza qualificata, sulle nomine degli organi, formalmente conferite con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri.
La proposta richiede l’adozione di una legge ordinaria, sulla quale sollecitare il confronto con tutte le opposizioni in Parlamento.
 
 
Ridurre i costi della politica
 
Il tema dei costi della politica è centrale per sia per un sistema politico funzionante e legittimato. Il problema non è “se” la politica costa, ma “quanto” e attraverso quali modi: i costi devono essere trasparenti e controllabili e la collettività deve conoscerli con chiarezza.
I costi trasparenti sono anche un ostacolo alla corruzione: ai costi occulti corrispondono spesso rendimenti occulti, che pesano su tutta la collettività e falsano il gioco democratico.
Bisogna innanzitutto combattere la corruzione, fenomeno ancora vivo, come prova il 42° posto che l’Italia ha ottenuto nel 2004 nella classifica di Transparency International, l’autorevole ONG indipendente che si batte contro i fenomeni di corruzione.
Spesso poi i costi della politica ribaltati sulle amministrazioni e sulle istituzioni. Oggi questo fenomeno è particolarmente grave ed evidente: gruppi e interessi particolari si appropriano di strutture che invece devono essere al servizio di tutti. La politica non può e non deve finanziarsi a spese dell’amministrazione pubblica.
 
Il governo di centrodestra, in questi anni, ha saccheggiato l’amministrazione: pur condannando nella retorica i costi eccessivi degli apparati pubblici, non ha esitato nell’utilizzo delle spese di rappresentanza, delle spese per consulenza, delle spese per viaggi. Nell’autunno 2005 la Corte dei Conti ha lanciato l’allarme: le spese per consulenze hanno raggiunto il mezzo punto di PIL, un record assoluto.
 
I danni causati dal governo Berlusconi richiederanno anni per essere riassorbiti:
   - prescrizione dei reati di corruzione contro la pubblica amministrazione con la legge ex Cirielli;
   - aumento di 103 direttori generali (a dispetto della drastica riduzione del numero dei ministeri realizzato dal centrosinistra);
   - una spesa di circa 195 milioni di euro per le segreterie dei ministri.
 
Il solo Ministero dell’Economia e delle Finanze vanta un apparato a supporto del vertice politico di quasi 450 persone. Altre azioni del centrodestra stanno screditando la politica: come l’assunzione dei segretari dei ministri, fatta con la legge finanziaria 2006. E’ un privilegio inaccettabile se paragonato al blocco dei concorsi pubblici che vige da quattro anni e che impedisce l’accesso agli uffici pubblici ai giovani non disposti al clientelismo.
E’ un problema dell’intero sistema istituzionale italiano: anche il centrosinistra, alla guida di tante regioni e di tanti comuni, ha la responsabilità di affermare un forte principio di trasparenza e di riduzione dei costi della politica. Ne va della legittimazione e della credibilità della politica.Il problema è ampio, e non basteranno le proposte demagogiche del centrodestra, come il taglio del 10 per cento allo stipendio dei parlamentari. Lo stipendio è infatti un aspetto importante e simbolico, ma è solo una goccia nel mare degli aumenti delle indennità, dei gettoni di presenza, del moltiplicarsi di commissioni consiliari, degli incarichi professionali e delle consulenze e delle tante altre forme di utilizzo del denaro pubblico non al servizio dei cittadini, ma al servizio di apparati e gruppi.
 
Bisogna ridurre e controllare i costi della politica e costruire al tempo stesso un chiaro e coerente sistema di finanziamento della politica. Un equilibrato sistema di finanziamento consente spazi di partecipazione non selezionando esclusivamente in base alle opportunità economiche di partenza.
Lo scenario politico non può essere dominato solo da chi ha risorse sufficienti per “incartare” le città con i manifesti giganti o acquistare spazi su giornali e televisioni. E’ essenziale rendere trasparenti e conoscibili le fonti di finanziamento, specialmente quelle private, per consentire all’opinione pubblica di percepire se una forza politica sia espressione di un elettorato radicato o di un settore economico e sociale.
 
Le ricette populistiche e contingenti non servono. Quello che serve è un impegno vero, quello di una politica che prenda in carico questo grande sforzo di risanamento.
 
Proponiamo diversi strumenti per sanare questa condizione.
Il primo strumento è un codice di condotta, strumento per rispettare e attuare i seguenti principi:
   - riduzione del 50% dell’organico degli uffici di diretta collaborazione delle amministrazioni centrali;
   - effettiva distinzione tra funzioni politiche e funzioni amministrative, con l’impossibilità per il personale “chiamato” dal Ministro su base fiduciaria di essere posto a dirigere uffici amministrativi;
   - riaffermazione del principio costituzionale per cui si accede ai pubblici uffici solo per concorso;
   - riduzione dei benefici impropri e dei privilegi per le posizioni dirigenziali di vertice, ripristinando il principio di onnicomprensività della retribuzione e revisione degli stipendi di livello più alto;
   - affermazione piena del principio di trasparenza, attraverso la pubblicazione on line dei curricula dei dirigenti, degli stipendi superiori a 200.000 euro l’anno, degli incarichi extra, delle consulenze;
   - contrasto della tendenza alla professionalizzazione della politica e alla ipertrofia del personale politico che si manifesta con l’esplosione del numero di consiglieri, assessori, delegati del sindaco o del presidente della Regione;
   - applicazione rigorosa del principio di necessità e competenza per l’attribuzione di consulenze da parte delle pubbliche amministrazioni.
 
L’altro tema che vogliamo affrontare è quello del finanziamento delle forze politiche. Puntiamo ad un sistema trasparente, bilanci le fonti del finanziamento pubblico e quello privato e stabilisca un efficace meccanismo di controllo e informazione sulle spese dei partiti, delle attività politiche e delle campagne elettorali.
 
Per le campagne elettorali intendiamo realizzare una piena applicazione della legge attuale, che contiene le misure necessarie a garantire la trasparenza. Queste misure devono però essere effettivamente applicate e il loro rispetto dev’essere controllato: il che sinora non si è mai fatto.
 
Interverremo anche sulle indennità dei parlamentari e delle altre autorità o cariche pubbliche (componenti di authorities, enti pubblici, management di società a totale partecipazione pubblica), con misure di riduzione e con tetti non valicabili. E’ un tema importante e non solo simbolico, da affrontare con responsabilità, chiarezza e determinazione. Si tratta di misure prioritarie, che richiederanno però un ampia intesa delle forze parlamentari.


 
Indice "leggi del Diritto Pubblico e Costituzionale"