Referendum elettorale: delle
buone ragioni per un'astensione motivata.
Referendum elettorale e lesione dei diritti fondamentali.
Il primo dato che emerge dalle intenzioni dichiarate dei favorevoli
al "referendum Segni" (assegnazione del 25% dei seggi ai "migliori perdenti
secondi arrivati nei collegi uninominali" e non più attraverso la
ripartizione proporzionale), è l'ostinata convinzione che la trasformazione
istituzionale debba proseguire accentuando ulteriormente il processo di
semplificazione bipolare del quadro politico italiano; processo che non
si ferma alla sola legge elettorale, ma che già ora si pone come
premessa per l'introduzione della forma di governo presidenziale.
Il tutto senza neanche tentare di dare uno sguardo all'indietro, ai
guasti prodottisi in questi ultimi anni proprio a seguito dell'introduzione
del maggioritario. Una scarsa attitudine all'autocritica che nasconde malamente
il desiderio di ridurre la complicata dialettica sociale ai soli interessi
dei soggetti politici in grado di rappresentare "non" l'espressione dell'intera
società, ma soltanto quel ristretto numero di cittadini che fa riferimento
alle sole formazioni maggioritarie in grado di competere per il governo
del paese. Una sorta di confronto democratico, quindi, privato di tutte
le voci che in questa semplificazione degli schieramenti politici potrebbero
non trovare alcuna risposta e che i meccanismi elettorali maggioritari
escluderebbero da qualsiasi possibilità di avere adeguata rappresentanza.
Si tratta, evidentemente, di un processo che svuota di contenuti l'esercizio
del diritto di voto; non più eguale e di fatto soggetto a
limitazioni; praticamente il contrario di quanto previsto dall'art.
48 della Costituzione.
Un'esclusione della rappresentanza finalizzata ad impedire a larghi
settori della società l'esercizio del diritto di poter "concorrere
a determinare ... la politica nazionale", come è invece previsto
dall'art. 49 della Costituzione.
Un processo di trasformazione istituzionale, quindi, dai connotati
fortemente antidemocratici e al quale si vorrebbe conferire legittimità
chiamando i cittadini ad esprimersi su questioni rispetto alle quali qualsiasi
maggioranza parlamentare avrebbe enormi difficoltà per operare una
così sfacciata lesione dei diritti fondamentali delle minoranze.
Il ricorso alla "volontà popolare" per aggirare le garanzie e i
vincoli costituzionali.
A tutto questo va data una risposta forte, che non può essere
l'accettazione del metodo di confronto imposto, ma che anzi deve porsi
l'obiettivo di non riconoscere alcuna legittimità ad un processo
di trasformazione che trae fondamento dalla distorsione delle garanzie
costituzionali poste a tutela dei diritti di tutti e non soltanto di alcuni.
Referendum elettorale: una delega in bianco a chi?
Altro dato che emerge con forza andando ad esaminare nel merito la proposta
referendaria, è la constatazione di come la legge che da questo
referendum verrà prodotta non sia in grado di soddisfare le aspirazioni
di gran parte dei sostenitori del Sì.
Da Veltroni a Fini, da Di Pietro a Segni, tra doppi turni, turno unico
e presidenzialismo, l'unico elemento unificante è costituito dal
desiderio di abrogare del tutto il sistema proporzionale. E per arrivare
a ciò si è per l'appunto deciso di avanzare una proposta
referendaria che produrrà una legge elettorale dagli esiti "bizzarri";
così bizzarri che già in molti, fra gli stessi sostenitori
del referendum, si sono affrettati a dire che andrà in ogni caso
cambiata.
È allora evidente che l'obiettivo di questa nuova campagna referendaria
non è in alcun modo legato a dei risultati legislativi concreti,
quanto piuttosto diretto ad ottenere una sorta di mandato a legiferare
per cambiare l'attuale legge.
Sta tutta qua la furbizia di determinate proposte abrogative. Si vota
per una legge di risulta, ma poi, una volta votato, tutti a sostenere che
la volontà espressa con il voto era ben altra. Paradossalmente,
nel caso del referendum in questione, i primi a contestare il risultato
referendario saranno i referendari stessi. La proposta abrogativa avanzata,
infatti, è dichiaratamente strumentale ed è servita per aggirare
le garanzie costituzionali che sinora avevano impedito lo svolgimento
di altre richieste di referendum elettorali.
Si può già prevedere che assisteremo all'ennesimo balletto
di lamenti, chiaramente in nome del popolo tradito, laddove il Parlamento,
a seguito dei risultati referendari, non dovesse riuscire ad approvare
una legge, diversa da quella votata con il referendum, in grado di soddisfare
i desideri dei vari "salvatori della patria".
In altre parole, l'importante è che i cittadini si esprimano
per qualcosa (soprattutto se c'è da decidere di qualcosa dai contenuti
fortemente antidemocratici, scaricando così sugli elettori la responsabilità
di tale scelta: contenti e gabbati!) e a tutto il resto ci penseranno loro,
forti del "mandato" ricevuto.
Un meccanismo di delega a tutto vantaggio delle oligarchie: una vera
e propria truffa rivolta, in primo luogo, proprio verso coloro che voteranno
Sì senza che, però, possano avere delle certezze sul
reale contenuto del Sì da loro espresso.
Si deve allora con forza rifiutare la logica che i diritti democratici
più elementari possano essere messi in discussione a colpi di maggioranza,
tanto più se tutto questo avviene attraverso un contorto meccanismo
di legittimazione che chiede alla "volontà popolare" una cosa per
realizzarne altre, che fa votare per una legge che non funziona per poi
essere "costretti" a doverne varare un'altra forti del mandato popolare
ricevuto. Un mandato che, chiaramente, come dimostrano le divisioni all'interno
del variegato schieramento favorevole al referendum, non si sa né
dove inizia e né dove potrebbe finire.
Perché essere costretti a difendere l'indifendibile?
Infine, in margine, un'ultima riflessione sull'oggetto di discussione
che con il referendum si vorrebbe debba essere al centro dell'attenzione.
Da parte di coloro che in vario modo sostengono il rifiuto del sistema
maggioritario, ritenendo prioritarie le questioni della rappresentanza
alle ragioni della "governabilità a tutti i costi", c'è un
oggettivo imbarazzo nel trovarsi di fatto a difendere l'attuale legge elettorale
a tutti gli effetti maggioritaria.
Certo, se passasse il referendum si finirebbe dalla padella alla brace;
ciò non toglie che anche nella padella non si sta granché
bene.
Anche con l'attuale legge, infatti, si stanno sviluppando le tendenze
tipiche dei sistemi maggioritari. Tempo un'altra tornata elettorale ed
il ruolo delle espressioni politiche che non si riconosceranno nell'appiattimento
delle posizioni bipolari maggioritarie sarà quanto mai marginale;
la tendenza alla scarsa partecipazione al voto, inoltre, è già
evidente (86,8% nel 1992; 86,1 nel 1994, prima elezione con il maggioritario;
82,9% nel 1996)
Che senso ha, allora, contrapporsi sul merito, sulle "non soluzioni"
del referendum proposto relativamente alle modifiche che verrebbero apportate
all'attuale legge elettorale, quando è la logica maggioritaria ciò
che dovrebbe essere messo in discussione?
Che senso ha, cioè, farsi ingabbiare in un confronto che contrappone
due facce della medesima medaglia?
Si tratta allora di riprendere le fila del discorso, ponendo come momento
prioritario la definizione del reale oggetto del contendere: maggioritario
sì; maggioritario no.
In tal senso, non è accettando la logica del voto sul contenuto
del referendum "Segni", un punto di vista maggioritario che si propone
di mutare l'attuale legge elettorale maggioritaria, che si può pensare
di raggiungere tale obiettivo.