Riforme istituzionali: 
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 Referendum elettorale: per assegnare il 25% dei seggi ai "migliori perdenti secondi arrivati nei collegi uninominali" e non più attraverso la ripartizione proporzionale

Questione preliminare sul divieto di ripresentare il medesimo quesito già sottoposto agli elettori e non approvato prima di cinque anni.

Su questa proposta referendaria è bene sottolineare che il corpo elettorale è già stato chiamato a pronunciarsi il 18 aprile dello scorso anno.
Come si ricorderà, contrariamente a tutte le previsioni, oltre il 50% degli elettori non si recò a votare e, secondo quanto stabilito dal comma 4 dell'art. 75 della Costituzione, il referendum fu respinto.
Art. 75 ... La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
 
In seguito a questo risultato e alla ripresentazione del medesimo quesito, si è accesa un'aspra polemica sul significato da dare alla non approvazione a seguito di mancato raggiungimento del quorum. Mentre appariva  infatti pacifico che non vi fosse la possibilità di ripresentare il medesimo quesito prima dello scadere dei cinque anni, come previsto dall'art. 38 della L. 25 maggio 1970 n°352, la Cassazione ha sentenziato che il disposto di questo articolo non si dovesse applicare al caso in esame, in quanto il mancato raggiungimento del quorum è da considerare un "non evento" che "non produce effetti giuridici".
Né più e né meno di quanto avviene in Parlamento, ha spiegato la Cassazione: in assenza del numero legale la seduta viene sospesa e il voto rinviato.
L'interpretazione data è a dir poco bizzarra, in quanto si tratta di due fattispecie completamente diverse.
L'assenza del numero legale nelle aule parlamentari, infatti, non permette lo svolgimento del voto e lo rinvia. Nel referendum si vota in ogni caso! Per di più si vota con la consapevolezza che "la proposta è approvata se..."
Per essere ancora più chiari: se il Parlamento non è in numero legale non si vota; nella
procedura referendaria le operazioni di voto hanno luogo e i cittadini possono decidere di
esprimersi anche attraverso la scelta di non recarsi alle urne, perché si tratta di una scelta
produttiva di effetti giuridici al pari del pronunciamento del NO in ordine alla possibile non approvazione del quesito.
Ci sono cioè due diverse consapevolezze in merito al comportamento da adottare.
Il parlamentare che si assenta dall'aula non può avere certezze riguardo alla bocciatura della legge, per la quale in assenza di numero legale la votazione viene di norma rinviata.
L'elettore che si astiene, invece, sa bene che questo suo comportamento potrebbe determinare la non approvazione del quesito senza ulteriori rinvii. Una volta votato e, per ipotesi, la proposta referendaria non venisse approvata a seguito del mancato raggiungimento del quorum, non esiste alcun automatismo in grado di richiamare al voto il corpo elettorale sulla medesima proposta, come invece di norma avviene in Parlamento laddove non si verifica il "numero legale".

Ma indipendentemente da queste considerazioni, quello che si fa fatica a comprendere è la necessità, sentita dalla Cassazione, di operare forzature interpretative in presenza di norme estremamente chiare e nel totale silenzio riguardo ad una presunta "assenza di risultato della consultazione a seguito del mancato raggiungimento del quorum".
Anche l'art. 38, infatti, parla soltanto di "risultato contrario all'abrogazione", senza con ciò operare delimitazioni o definizioni riguardo al significato da dare al concetto di "risultato contrario all'abrogazione".
L. 25 maggio 1970 n°352, art 38. Nel caso che il risultato del referendum sia contrario all'abrogazione di una legge, o di un atto avente forza di legge, o di singole disposizioni di essi, ne è data notizia e non può proporsi richiesta di referendum per l'abrogazione della medesima legge, o atto avente forza di legge, o delle disposizioni suddette, fermo il disposto dell'articolo 31, prima che siano trascorsi cinque anni.
 
E a cosa si dovrebbe far riferimento per stabilire cosa significhi "risultato contrario" se non a quanto previsto dall'art. 75 della Costituzione?
L'osservanza dell'art. 75 Cost., per l'appunto, non permette di attribuire altri significati ai motivi che determinano la non approvazione del quesito: il quesito o è approvato o non lo è, senza che, parallelamente, venga introdotto un concetto di "non risultato della consultazione" in grado di trasformare l'astensione in un "non evento" che "non produce effetti giuridici".


Legittimità costituzionale della legge elettorale maggioritaria

È sorprendente come non sia stato possibile, sinora, mettere in discussione la legittimità costituzionale della legge di risulta prodotta dal referendum elettorale del '93 per il Senato e della legge poi varata per la Camera.
Come si ricorderà, dopo le elezioni del '94 il vocabolario della politica italiana si è arricchito di nuovi termini e, come per incanto, la Costituzione si è dimostrata inadeguata a reggere le "innovazioni" introdotte dalla nuova legge elettorale di tipo maggioritario.
Motivi, questi, per riflettere sulla legittimità del nuovo meccanismo elettorale?
Niente affatto, il volere di circa 29 milioni di italiani non poteva essere messo in discussione; piuttosto, da tutte le parti è arrivato l'invito ad adeguare la Costituzione al nuovo regime introdotto dal maggioritario.
Adeguamento che ad un certo punto sembrava cosa fatta con l'istituzione della Commissione Bicamerale.
Oggi ci troviamo di fronte ad un nuovo tentativo di peggiorare ulteriormente la legge elettorale, e questo ai fini di eliminare tutte le minoranze politiche che non s'identificano con la semplificazione bipolare.
Ma non solo: se dovesse passare il referendum in questione, la prossima maggioranza parlamentare avrà potere di vita e di morte, non potendo più trovare concreta applicazione le garanzie costituzionali poste a tutela di tutte le minoranze concepite per un regime elettorale di tipo proporzionale.
Basti pensare all'elezione del Presidente della Repubblica che, a Costituzione vigente, grazie al maggioritario potrebbe facilmente essere eletto da coalizioni di governo ben più omogenee che nel passato; e per di più non rappresentative dell'effettiva maggioranza degli elettori. Non più un Presidente espressione di un ampio arco di forze politiche e di un variegato insieme di interessi, quindi, ma la diretta espressione del programma di governo uscito premiato dal meccanismo elettorale. A ciò dobbiamo poi aggiungere che questo "Presidente di parte" a sua volta nomina un terzo dei giudici della Corte Costituzionale e presiede il Consiglio superiore della magistratura.
Come anche non è da trascurare, indipendentemente dalla maggioranza che potrebbe essere richiesta, il potere di nomina parlamentare relativamente a questi due organi: un terzo dei giudici della Corte Costituzionale e del C.S.M.
Per non dire, poi, dell'inutilità delle Commissioni parlamentari in genere, private del tutto della somma delle minoranze escluse dalla rappresentanza dal meccanismo elettorale. Un punto critico dei sistemi bipolari, infatti, è l'azzeramento politico che avviene soprattutto tra le forze di opposizione, permettendo, di norma, soltanto ad una di queste di essere adeguatamente rappresentata.
In altre parole, con il passaggio dal proporzionale al maggioritario e divenuta concreta la possibilità, per il Governo, di poter definire in via pressoché esclusiva la composizione degli organi preposti al controllo della legalità costituzionale: il controllato che di fatto nomina i suoi controllori!

Ma oltre ad aver sconvolto l'assetto degli equilibri istituzionali posti a tutela delle minoranze, l'attuale sistema elettorale ha anche il "pregio" di essere riuscito a svuotare di significato l'espressione della sovranità popolare che si manifesta, principalmente, attraverso il voto.
In barba a quanto affermato nell'art. 49 Cost., dove si afferma che “Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”, l'importante e fondamentale principio "concorrere a determinare" è stato trasformato in una mera adesione, da parte degli elettori, a questo o quel programma di Governo senza che gli sia data la possibilità di una qualche forma d'intervento propositivo attraverso l'espressione di voto (rafforzando, ad esempio, questa o quella formazione all'interno della coalizione di Governo perché portatrice di un qualcosa di diverso).
Un'arbitraria semplificazione dell'espressione di voto che, proprio perché sottrare al corpo elettorale qualsiasi capacità d'intervento correttivo, non può essere considerata in grado di realizzare il principio della corrispondenza effettiva tra l'azione di governo ed i programmi passati al vaglio degli elettori.
È un'illusione credere che gli elettori possano punire una data coalizione di Governo, che non fosse riuscita a risolvere i problemi per la risoluzione dei quali era stata eletta, secondo un principio bipolare che non tiene conto che determinate scelte politiche, determinati contrasti sociali, non possono esprimersi attraverso la logica dell'alternanza.
Con quale criterio, infatti, si può pensare che l'elettore eventualmente deluso del Governo D'Alema, a causa dei continui attacchi portati al sistema pensionistico, possa poi votare l'altra parte, il Polo, perché “che bello, c'è l'alternanza!”, è un mistero ancora tutto da scoprire.
Piuttosto, proprio per cercare di determinare quanto più possibile la corrispondenza tra i programmi di governo ed i programmi passati al vaglio degli elettori, bisognerebbe creare le condizioni che permettano, attraverso l'espressione del voto, di punire quei dirigenti politici che non si fossero mostrati in grado di praticare le soluzioni indicate – o meglio, subite ed accettate – dai propri elettori, senza però dover per questo danneggiare la coalizione di provenienza. In mancanza di ciò, infatti, non si realizza nessun principio, né quello della responsabilità e né quello dell'alternanza, in quanto, in una logica bipolare, è più facile accettare di turarsi il naso, piuttosto che veder prevalere lo schieramento opposto.

La soppressione della residua quota proporzionale, quindi, non potrebbe che peggiorare il rapporto di sudditanza degli elettori nei confronti della classe politica.
L'unica possibilità oggi data agli elettori di poter "comunicare" le proprie preferenze in ordine alle priorità del programma di Governo, è quella di poter votare una singola formazione all'interno dello schieramento, che più si avvicina alle proprie idee, attraverso la quota proporzionale. È soltanto attraverso questa espressione di voto che l'elettore può oggi in qualche modo intervenire sugli equilibri decisi a tavolino secondo un metro di misura che premia oltremodo le formazioni che possono passare da uno schieramento all'altro.
Non tutte le forze politiche, infatti, hanno le stesse possibilità d'influenza all'interno delle rispettive coalizioni; anzi, alcune di esse, pur se più significative in termini di consenso elettorale, non ne hanno proprio.
È triste dover constatare che quanto più una forza politica è dotata di qualità trasformistiche, potendosi indistintamente schierare da una parte come dall'altra, tanto più conta nei confronti di chi, con onestà, persegue coerentemente le proprie idee.
Una coalizione al 45%, infatti, che sa di scontrarsi con un'altra coalizione al 40%, potrebbe benissimo permettersi il lusso di perdere una forza politica che rappresenti il 4% dell'elettorato e vincere lo stesso le elezioni, a patto che... a patto che quel 4% non passi dall'altra parte.
Ed è per questa logica che un partito intorno al 7%, come Rifondazione, laddove fosse abolita del tutto la quota proporzionale, potrebbe rischiare di sparire dal panorama politico parlamentare. Al contrario, partiti come la Lega, i tanti Patti Segni o cespuglietti vari del centro (che il più delle volte si moltiplicano proprio in prossimità delle elezioni), avendo la possibilità di tenere inchiodati i partiti maggiori a degli accordi elettorali dell'ultima ora, possono facilmente imporre l'elezione di numerosi candidati ed ambire a dei posti di Governo.
Paradossalmente, con il maggioritario si è data più forza proprio a quei partiti che prima, con il proporzionale, potevano sì imporre delle condizioni a chi cercava di formare dei Governi di coalizione, ma soltanto dopo aver conseguito un risultato elettorale minimo e comunque soltanto nel caso si fossero rivelati dei “numeri necessari”.
Oggi s'impongono già da prima, nella fase della scelta dei candidati da far eleggere: oggi bisogna addirittura garantirgli l'elezione!
E il messaggio che arriva agli elettori è sin troppo chiaro: o vi prendete questa minestra, o vi buttate dalla finestra!
Alla faccia del principio costituzionale sancito nell'art. 49 che afferma esattamente il contrario: concorrere a determinare.

 

 
 
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