Riforme istituzionali:
Schede informative sui referendum |
Dei sei quesiti referendari proposti dai Radicali per realizzare una
“giustizia giusta”, la Corte Costituzionale ne ha dichiarati ammissibili
soltanto tre: il primo relativo alle modalità di elezione dei componenti
togati del CSM, il secondo relativo alla separazione delle carriere ed
il terzo relativo agli incarichi extragiudiziali. I radicali non sono riusciti
a conseguire l’obiettivo massimo di demolire la giurisdizione, però
si sono assicurati l’obiettivo minimo (se i referendum saranno approvati)
di indebolire, burocratizzare e immiserire il corpo dei magistrati.
Per quanto riguarda il Consiglio superiore della magistratura, questo
attualmente viene eletto con un sistema proporzionale a liste concorrenti,
in cinque collegi territoriali, più un collegio nazionale per l'elezione
dei rappresentanti della Corte di Cassazione. La proposta abrogatrice
mira ad eliminare la competizione per le liste contrapposte, con la conseguenza
che all'interno di ogni collegio esisterebbero solo candidati singoli e
verrebbero eletti coloro che riportano più voti. Lo scopo di questo
referendum è quello di colpire l’associazionismo giudiziario e la
sua articolazione in gruppi culturalmente differenziati (le correnti).
I proponenti rimpiangono il vecchio sistema elettorale maggioritario quando
nel Consiglio entravano soltanto magistrati che condividevano lo stesso
indirizzo politico-culturale, omogeneo a quello delle forze politiche di
governo, di modo che non si verificavano frizioni fra politica e magistratura.
Il fatto che, col passare del tempo, il Consiglio Superiore della Magistratura
sia diventato un organo più forte nel tutelare l’esercizio indipendente
della funzione giudiziaria, in conformità con la sua funzione costituzionale,
è stato – giustamente – imputato al ruolo delle correnti, cioè
alla crescita culturale della magistratura nel suo complesso determinata
dalla dialettica politico-culturale (e quindi non meramente corporativa)
sviluppatasi in senso all’Associazione Nazionale dei Magistrati. Colpire
l’associazionismo è conseguentemente un passaggio obbligato per
ridimensionare il ruolo politico di garanzia dell’indipendenza che la Costituzione
ha affidato al Consiglio Superiore della Magistratura.
In tema di separazione delle carriere, il quesito referendario si propone
l'abrogazione delle norme dell'ordinamento giudiziario che consentono ai
magistrati di passare dalla funzione requirente a quella giudicante e viceversa.
In linea di principio non vi sono argomenti da cui si possa desumere che
il sistema della carriera unica sia preferibile a quello della separazione
delle carriere o viceversa. Di fatto ciò dipende dall’esperienza
storica concreta. Nel sistema giudiziario italiano, specialmente dopo l’entrata
in vigore del nuovo codice di procedura penale, che ha notevolmente rafforzato
il ruolo del Pubblico Ministero nel processo penale, la separazione delle
carriere avrebbe proprio l’effetto opposto a quello invocato dai proponenti:
renderebbe il Pubblico Ministero più corporativo e lo allontanerebbe
dalla cultura della giurisdizione. Ciò renderebbe più scadente
la funzione giurisdizionale nel suo complesso. In questo modo coloro che
invocano più garanzie si darebbero la zappa sui piedi. In realtà
l’unico motivo – rigorosamente taciuto – che giustifica questo referendum
è che la separazione delle carriere è lo snodo tecnico indispensabile
per separare le sorti del Pubblico Ministero da quelle del giudice e consentire
quel controllo politico del Pubblico Ministero a cui aspirano molte più
forze politiche di quante lo dichiarino.
Il terzo referendum si propone, di abolire le norme che consentono
ai magistrati, previa autorizzazione del Csm, di assumere incarichi che
comportano lo svolgimento di attività diverse da questa giudiziaria.
In realtà la polemica contro gli incarichi extragiudiziari, specialmente
sotto il profilo degli arbitrati, è stata da sempre uno dei cavalli
di battaglia di Magistratura democratica che ne ha denunziato il pericolo
di condizionamento dell’indipendente esercizio della funzione giurisdizionale.
Questa battaglia ha fatto breccia in un CSM “politicizzato” per la presenza
delle correnti, con la conseguenza che, per effetto di atti di normazione
interna (le famose circolari del CSM), attualmente, salvo gli arbitrati
obbligatori previsti dalla legge, tutti gli incarichi lucrosi (ma non solo
quelli) sono vietati ai magistrati. Il problema pertanto non esiste più.
La pretesa di vietare per legge, attraverso il referendum, la possibilità
per i magistrati di assumere incarichi extragiudiziari non è
un atto che va nella direzione di assicurare una maggiore indipendenza
reale dei magistrati, al contrario, essa non può avere alcun altro
scopo e nessun altro effetto che non sia quello di concorrere all’impoverimento
culturale del corpo dei magistrati nel suo complesso. A questo corpo di
funzionari pubblici verrebbero vietate anche attività che hanno
una forte ricaduta in termini di formazione culturale e professionale come
l’insegnamento, l’assistenza ai Giudici presso la Corte costituzionale,
gli incarichi presso il Ministero della Giustizia e presso gli organi di
Giurisdizione internazionale.
I referendum sulla “giustizia giusta” in realtà cavalcano il
diffuso malumore popolare per il malfunzionamento della giustizia
e si propongono di indirizzarlo verso un obiettivo politico che nulla a
che vedere con il miglioramento del servizio giustizia. Si propongono di
colpire i magistrati ed il loro organo di autogoverno non per spirito punitivo
contro i giudici, ma per ridimensionare la giurisdizione nel suo complesso,
riducendo la giurisprudenza ad una meccanica esercitazione di codice da
parte di un corpo di ragionieri delle leggi, isolati dalle dinamiche politico-culturali
della società in cui vivono e indifferenti ai valori della giurisdizione.
Tre quesiti, ma un unico scopo: costruire un giudice miserabile.
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