Speciale Referendum elettorale
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26/01/99
Rassegna stampa - Referendum da fare in ogni caso: da Sartori a Segni, opinioni a confronto


Giovanni Sartori    (Corriere della Sera - 26/01/99)

Un sistema che vieti le ammucchiate

IL REFERENDUM 
PERO' NON BASTA

Con ogni probabilità il referendum si farà. Dopo il via libera della Corte costituzionale oramai può essere bloccato soltanto da una nuova legge elettorale approvata in tempo dal Parlamento. Il ministro per le Riforme Giuliano Amato sta ancora provando a produrla. Ma senza idee nuove. Ripropone il già proposto «doppio turno eventuale». Una ennesima bruttura (come dirò) che merita di finire, come tutte le altre che l'hanno preceduta, nel cestino della carta straccia. È bene, dunque, che il referendum avvenga. Perché è bene azzerare tutto e così ripartire da zero.

Si eccepirà: da zero no, perché dal referendum uscirà una legge elettorale autoapplicativa, già pronta per l'uso. Ma - insisto - si deve ugualmente ripartire da zero perché si deve ripartire da questa domanda: se restiamo a una legge «fotocopia» del referendum, restiamo con una buona legge? La risposta è: assolutamente no.

L'unico difetto del Mattarellum, del sistema che andremo ad abrogare, non è soltanto di essere in parte (per un quarto) un sistema proporzionale; è anche di essere (per tre quarti) un sistema maggioritario a un turno. Pertanto un referendum che cancella soltanto la quota proporzionale del Mattarellum ci lascia con un sistema interamente maggioritario a un solo turno. Avremmo così eliminato un difettino per ingigantire un difettone. A che pro? Un milione a chi me lo sa spiegare e giustificare. Pago bene perché il nodo della questione è lì.

Partiamo da questa constatazione. Finché abbiamo votato, per circa 45 anni, con la proporzionale i nostri partiti rilevanti erano circa sei; ma da quando votiamo con il Mattarellum i partiti con voce in capitolo sono raddoppiati, sono diventati una dozzina. Come mai? Siccome il Mattarellum è proporzionale solo in parte, la colpa di questa proliferazione di nuovi partitini può essere soltanto del meccanismo maggioritario. Come effettivamente è. Questo punto penetra con difficoltà perché sembra contro-intuitivo. Non si è sempre detto che il maggioritario riduce il numero dei partiti? Ma se così si è sempre detto, allora si è sempre detto male. La tesi corretta è che quando un sistema è già bipartitico, allora il maggioritario secco (all'inglese) lo mantiene tale; ma che quando un sistema è già di frammentazione partitica (come in Italia), allora il maggioritario secco alimenta la frammentazione. Come passo a dimostrare.

Il principio dei sistemi maggioritari è che il voto avviene in collegi uninominali in ciascuno dei quali il vincitore - il candidato più votato - prende tutto, e cioè conquista il seggio. In Italia alle elezioni del 1996 nella grandissima maggioranza dei collegi (l'86 per cento) per vincere il seggio è bastato il 40 per cento dei voti. Il che equivale a dire che per non perdere occorre arrivare a quel livello. E siccome anche i nostri maggiori partiti si trovano in zona 20 per cento, per raddoppiare, per arrivare al 40, devono fabbricare ammucchiate. Queste ammucchiate le possiamo nobilitare come «poli»; ma la realtà è che nel 1996 l'Ulivo è stato più di ogni altra cosa una cordata. E se andremo a rivotare con l'uninominale secco torno a scommettere il già promesso milione che una simile ammucchiata di «arrembaggisti» dovrà essere riammucchiata.

Veniamo ora al segreto di Pulcinella, alla domanda: una ammucchiata elettorale come si fa? Esemplifico a sinistra anche se il problema è identico a destra o per la destra. Si fa così. Ciascun cespuglio e partitino va da Veltroni e gli dice: amatissimo maestro e donno, sai bene che senza di me al 40 per cento non arrivi, e quindi che senza di me andrai a perdere. Pertanto sei costretto ad imbarcarmi, e il mio prezzo sarà quello indicato dai sondaggi a me più favorevoli.

Così sui 630 seggi in palio il 3, 5, 7, 10 per cento finisce per andare, in regalia forzosa, ai partitini. E questo è il meccanismo ricattatorio che li moltiplica e mantiene in vita.

Importa sottolineare che il mercato delle vacche che sono andato descrivendo non si traduce soltanto in un sistema altamente disfunzionale di paralisi politica. Si traduce anche in un sistema di abuso partitocratico a danno della libertà di scelta dell'elettore. Quando i partiti vanno al voto in ammucchiata, l'elettore si ritrova, nel suo collegio, al cospetto di un candidato scelto per lui dalle ammucchiate in contesa. Così un simpatizzante di Dini rischia di imbattersi in un candidato cossuttiano e, analogamente, un liberale Forzista rischia di imbattersi in un candidato ex fascista. + necessario che sia così? No, non è necessario. È soltanto una stortura imposta da un sistema elettorale nocivo e distorcente.

Concludo. Tutti i sistemi elettorali escogitati e proposti dal ministro Amato postulano ammucchiate, e quindi vanno respinti alla stessa stregua del Mattarellum e del «patto della crostata» stipulato ai tempi della Bicamerale. Il sistema elettorale che serva al Paese (perché atto a ridurre la frammentazione e per ciò stesso a favorire la governabilità) può soltanto essere, nell'ambito del maggioritarismo, un sistema a doppio turno di collegio nel quale i partiti si presentano al primo turno nella loro identità. Lo spartiacque è questo: ammucchiate o no. Purtroppo Amato è ancora dalla parte delle ammucchiate. I referendari debbono essere dalla parte contraria, dalla parte di un maggioritario senza ammucchiate. Ma perciò si debbono schierare per il doppio turno. Altrimenti continueremo ad avere elezioni truffaldine che vanificano l'intento referendario.


Corriere della Sera - 26/01/99

LA REAZIONE DEI REFERENDARI

Petruccioli: sbaglia, è il «mattarellum» che premia chi non ha voti

ROMA - A Claudio Petruccioli, senatore dei Democratici di sinistra, non va proprio giù l'uscita di Massimo D'Alema sul referendum.

Il presidente del Consiglio dichiara forte e chiaro che dalla consultazione referendaria scaturirebbe una legge elettorale imperfetta che potrebbe produrre un effetto paradossale: far vincere alla coalizione perdente più seggi di quanti non ne guadagnerebbe quella che vince con l'uninominale. Per Petruccioli, che per il referendum si è battuto, «paradossale» è il fatto che «chi ha sostenuto la legge elettorale in vigore per la Camera non si sia mai reso conto che dal punto di vista matematico contiene un rischio molto più alto di far vincere i perdenti».

La dimostrazione di questo, spiega il presidente della commissione Lavori pubblici e Comunicazioni del Senato, è nei risultati elettorali del '96: «L'Ulivo allora con la quota maggioritaria conquistò alla Camera una maggioranza netta che però venne ridimensionata dalla quota proporzionale. Invece al Senato, dove non c'è il doppio voto e un quarto degli eletti viene recuperato tra i migliori esclusi, il centrosinistra aveva una maggioranza di gran lunga più solida anche senza Rifondazione comunista».

Se si andasse a votare dopo la vittoria del sì al referendum, dunque, i rischi di vedere capovolto il risultato del maggioritario sarebbero inferiori a quelli attuali. Continua Petruccioli: «E mi piacereb-be tantissi-mo che un esperto di statistica facesse un calcolo delle probabilità parago-nando i due sistemi».

Oltre a definire «inconsistenti e capziosi» gli argomenti di D'Alema, Petruccioli solleva una questione di opportunità: «Un presidente del Consiglio è un libero cittadino, certo, e può esprimere tutti i pareri che vuole. Però il ruolo che copre non dovrebbe consentirgli di schierarsi alla vigilia di una campagna elettorale referendaria. D'Alema invece ha espresso chiara ostilità alla richiesta formulata nel referendum».

E sull'invito del capo del governo a varare una legge elettorale comunque, prima o dopo il referendum? «La facciano, se hanno tempo e voglia. Se ci riescono. Ma deve andare in direzione del referendum. Perché D'Alema non assume l'iniziativa? Avrebbe tutte le possibilità di presentare una proposta di legge che equipari il numero dei collegi al numero dei seggi. Si dovrebbero ridisegnare tutti i collegi elettorali, è vero, ma ne varrebbe sicuramente la pena. Dato che l'Italia è l'unico Paese dove si vota con due schede, una con il sistema maggioritario e una con il sistema proporzionale».

D. Gor.

LA STAMPA - 26/01/99

Segni: un colpo basso, ma reagiremo

Un presidente del Consiglio malato di partitocrazia", un D'Alema che fa "dichiarazioni assurde". Attacco "incredibile" al referendum, che ha "molti e potenti nemici", e previsioni di "battaglia durissima", che naturalmente non si teme di condurre: quella della "Repubblica dei cittadini" contro "la Repubblica dei partiti". Mario Segni è infuriato, per usare un eufemismo, con Massimo D'Alema. Reo di aver dichiarato che "la legge elettorale che residuerebbe dai referendum non è adeguata allo scopo del bipolarismo", perché, a suo avviso, si finirebbe nel paradosso, ovvero si può dare l'eventualità che chi perde le elezioni si veda assegnare la maggioranza dei seggi in Parlamento.

Segni, ma lei perché è così arrabbiato? Queste cose D'Alema le diceva già come presidente della Bicamerale...
"Sono arrabbiato perché D'Alema dice una sciocchezza, le pare poco? Come può il presidente del Consiglio permettersi una cosa simile su un fatto importante come la legge elettorale? Ma lo sa, lui, cosa sarebbe accaduto nel 1996, se le elezioni del 21 aprile si fossero tenute con la legge che deriva dal referendum? Ben 16 seggi in più all'Ulivo, e 12 al Polo. Conseguenza: il governo Prodi non sarebbe caduto".

Ma l'ipotesi di cui parla D'Alema, ovvero che la legge assegnerebbe il 25 per cento in più ai perdenti, è realistica o semplicemente teorica?
"Guardi, anche negli Stati Uniti è possibile non solo che il presidente venga eletto da una minaranza, ma perfino da una minoranza estrema. Anche in Inghilterra il partito di governo potrebbe avere alle sue spalle una minoranza piuttosto che una maggioranza. Ma non per questo il sistema americano e quello della Gran Bretagna non funzionano. Guardiamo alla realtà: perché si verifichi quello che l'onorevole D'Alema dice essere una possibilità bisognerebbe che una coalizione vincesse nella metà più uno dei collegi, e fosse terza in tutti gli altri. Le pare possibile? In Italia poi! La verità è che il ragionamento di D'Alema è politico".

E per forza: il referendum è un guanto lanciato in faccia ai partiti.
"Appunto. Metà dei partiti della coalizione cui appartiene D'Alema sarebbero spazzati via. Non è poco. Sparirebbero i Popolari, Rifondazione, i Verdi, l'Udr. Non sono in grado di fare previsioni sui Ds".

Ma allora è vero: il vostro obiettivo non è il bipolarismo, ma cancellare i partiti?
"Il dato più importante è un altro: il governo D'Alema ha reintrodotto la logica dei governi nominati, e disfacibili, dalle segreterie di partito. La logica di D'Alema è quella".

Teme qualche trabocchetto, dalle terribili segreterie di partito? Per esempio, si parla dell'eventualità di spostare a giugno un referendum che era previsto per il 18 aprile: in fondo, la data la fissa il Viminale.
"Non voglio nemmeno pensare a colpi bassi di questo tipo. Qui è in gioco l'interesse nazionale: il referendum si deve tenere in un momento in cui la campagna elettorale venga colta nella sua essenzialità. Sono sicuro che il governo si atterrà a considerazioni di carattere generale, non voglio pensare che si abbassi ad atti anti-referendari".

C'è sempre la possibilità di fare una legge elettorale prima del referendum, però.
"Guardi, questo è un Paese che non riesce nemmeno a modificare il meccanismo elettorale per l'Europa, che è tale da consentire la massima disgregazione. Non si riesce nemmeno a realizzare l'elezione diretta del presidente della Regione, che è cosa semplicissima, figurarsi una legge elettorale col referendum alle porte!".

Ma D'Alema ha avvisato che, nel caso, una legge elettorale occorrerà anche dopo il referendum.
"E perché? La legge è perfettamente applicabile, altrimenti la Corte Costituzionale non avrebbe dichiarato ammissibile il referendum. Pensino piuttosto a metter mano alle riforme costituzionali. Per quelle, i referendari non possono aiutare il Paese".

Antonella Rampino
 

LA STAMPA - 26/01/99

Barbera: capiterà una volta su mille

ROFESSOR Barbera, è vero che con il sistema elettorale che esce dal referendum la situazione può peggiorare? D'Alema dice che si finirebbe per far vincere le elezioni a chi in realtà le ha perse...
"Questo argomento è già stato usato dagli avversari del referendum senza trovare ascolto né presso gli elettori, né presso la Consulta".

Ma è possibile che si verifichi quello che D'Alema paventa?
"E' grottesco pensare che 155 seggi vadano tutti quanti alla coalizione perdente".

Grottesco, ma possibile.
"Non può succedere che tutti e 155 i seggi vadano a una sola coalizione: vanno ai migliori perdenti. Dunque, per esempio, in Emilia Romagna andranno al Polo, in Sicilia all'Ulivo".

Questo è un principio di realtà, mentre quella che il premier ha illustrato ieri era un'ipotesi di scuola.
"Che ha la probabilità di verificarsi, statisticamente, una volta ogni mille anni".

E D'Alema parla proprio di quella rarissima volta?
"Il punto è un altro: la legge elettorale che dal referendum deriva ha l'effetto di bipolarizzare il sistema".

Anche D'Alema dice che dobbiamo andare verso il bipolarismo...
"Sì, ma l'effetto in questo caso è che aumentano in voti e in seggi sia il Polo che l'Ulivo, e diminuiscono drasticamente Rifondazione e la Lega: perderebbero 16 seggi ciascuno. Dunque, è chiaro che nelle circoscrizioni in cui vince il Polo ci saranno i migliori perdenti dell'Ulivo. E viceversa. Ma è altrettanto chiaro che si tratta di un sistema elettorale che favorisce le coalizioni e i partiti. Ma non entrambe le cose".

Come dire che perdono comunque i partiti.
"E' questo il punto: il sistema mette in risalto le coalizioni. Perché permette di votare solo per una coalizione, o per un partito non coalizzato. Non permette che esistano, com'è ora, partiti che sono alleati in una coalizione, e concorrenti per la quota proporzionale. Questo è il punto politico al quale D'Alema e Mattarella tentano di sfuggire".

Professore, si sa quando si terrà il referendum? Si è sempre parlato del 18 aprile, ma se i partiti si arrabbiano potrebbero cercare di far slittare la data a giugno. E cioè a presidente della Repubblica eletto, quando si potrebbe anche dare il caso di scioglimento delle Camere e conseguente dilazione del referendum all'anno prossimo...
"Non penso sia possibile. L'ultima data disponibile è il 13 giugno: non credo si possa eleggere il Capo dello Stato e immediatamente sciogliere il Parlamento, si devono tenere le elezioni europee... No, non lo considero uno scenario plausibile".

[ant. ram.]

 

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