Speciale Referendum elettorale
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Rassegna stampa - Contro gli oligarchi dell'uninominale (* più firme)


il manifesto - 06/02/99

I toni accesi che hanno preceduto il pronunciamento della Corte costituzionale hanno solo anticipato l'offensiva propagandistica con cui si proverà a convincere gli italiani a cancellare, per via referendaria, i residui di proporzionalismo sopravvissuti nell'attuale sistema elettorale nazionale.

 Eppure è risaputo come l'attuale esasperata frammentazione della rappresentanza parlamentare non sia un effetto della quota proporzionale, che, oltre ad essere ristretta, prevede una soglia di sbarramento del 4 per cento, ma sia dovuta alle norme che presiedono al finanziamento pubblico dei partiti e, ancor più, proprio alla quota uninominale. Infatti - com'era prevedibile, in un paese politicamente multiforme qual per tradizione è l'Italia - la logica del sistema bipolare, e in particolare la lotta all'ultimo voto, e all'ultimo seggio, tra due schieramenti contrapposti, costringe l'uno e l'altro ad accogliere nel proprio seno, in cambio di sostanziose assegnazioni di seggi "sicuri", ogni etichetta, ogni cordata, ogni lobby che vanti un qualche seguito elettorale, così in definitiva producendo paradossali effetti di sovrarappresentazione a beneficio di forze politiche per nulla radicate nella società italiana e che subito dopo le elezioni dimenticano il bipolarismo per praticare la più "proporzionalistica" cura del proprio particolare.

 L'uninominale ha però anche smentito l'altra sua fondamentale promessa: quella di restituire ai cittadini il potere sia di decidere del governo del paese, scavalcando estenuanti e poco limpide negoziazioni tra i partiti, sia di selezionare essi stessi i propri rappresentanti. Che cosa significa scegliere il governo quando la maggioranza degli italiani si esprime in un modo e la maggioranza parlamentare è invece essenzialmente il prodotto del metodo di traduzione dei voti in seggi? Va bene che così si usa anche in un'antichissima democrazia come quella britannica. Ma che così si usi Oltremanica non costituisce di per sé un certificato di democraticità: tanto più che in Inghilterra da tempo il regime elettorale è in discussione e che oggi l'attuale partito di governo già nel suo programma elettorale si è ripromesso di correggerlo. E', insomma, legittimo dimenticare che quella dell'Ulivo del 1996 fu una vittoria dell'ingegneria elettorale assai più che della politica?

 Al contempo, altro che più libera e più autonoma scelta dei rappresentanti da parte dei rappresentati! Mai come oggi la selezione del personale parlamentare è opera di un ristrettissimo circolo di leaders e notabili. Profittando del fatto che gli elettorali sono costretti a scegliere solo fra due opzioni - e solo tra due: le altre sono condannate alla marginalità - leaders di partiti senza iscritti, notabili accreditati dai media e rappresentanti dei "poteri forti" stabiliscono essi quali candidati sottoporre al vaglio degli elettori secondo logiche di gran lunga più centralistiche e verticistiche di quelle dominanti nei momenti più bui della cosiddetta Prima Repubblica. Il risultato è che il canale privilegiato di accesso alla guida del paese, e alle massime assemblee rappresentative, non è più la "grigia trafila del professionismo di partito", bensì l'attribuzione di collegi "sicuri" a un neo-notabilato di professione, filtrato da accordi assolutamente privati e occulti.

L'abolizione della quota proporzionale, su cui gli italiani saranno presto chiamati a decidere, in realtà persegue, e conseguirà, due altri obiettivi. Il primo è quello di spazzar via dalla scena politica chiunque rifiuti di sottomettersi alla prospettiva del bipolarismo. Chi vi si sottoporrà verrà ampiamente compensato con chances di accesso al governo e al sottogoverno, mentre alle forze politiche che riterranno di non schierarsi né sull'uno né sull'altro fronte non sarà dato scampo. Né avranno diritto ad esser rappresentati i loro elettori. Salvo elargire pietosamente ad entrambi l'ipocrita foglia di fico del "diritto di tribuna". Non ha naturalmente alcun senso stupirsi per il crescente assenteismo elettorale e magari imputarlo alle consultazioni troppo frequenti o al bipolarismo ancora incompiuto. Costretti a scegliere fra due piatti egualmente sgraditi, una quota di elettori già preferisce il digiuno e forma ormai il più numeroso, pur se sommerso, partito nazionale.

 Il secondo obiettivo di chi vuol abolire ogni residuo di proporzionale è cancellare dall'orizzonte politico la stessa idea di partito. In un regime elettorale in cui si sceglie fra due sole alternative, le elezioni oggi le vince chi è più abile nell'utilizzare gli strumenti della propaganda televisiva. Contano gli umori del momento, conta qualche azzeccata mossa ad effetto, conta moltissimo il caso. Per giunta, data la tenace persistenza degli orientamenti politici nel nostro paese, solo in un numero esiguo di circoscrizioni l'elettore sceglie effettivamente l'eletto, dato che l'esito della competizione è con largo anticipo prevedibile. Quante volte un candidato è preferito dagli elettori per i suoi meriti e requisiti personali, come sostengono i fans dell'uninominale anziché per la sua affiliazione a uno degli schieramenti che si fronteggiano? Ciò riduce i partiti a imprese politiche al servizio di un leader in precedenza acclamato dal suo seguito virtuale. Che motivo c'è quindi che la politica sostenga il costo - e l'ardua fatica - di associare i cittadini tra loro, di sollecitarli a elaborare domande, interessi, valori condivisi, di alimentare identità collettive? Magari, in cambio, qualcuno proporrà di introdurre le "primarie". Dimenticando come in un'altra grande palestra di democrazia, gli Stati uniti, malgrado le primarie, solo i più ricchi sono in grado di aspirare a un seggio parlamentare, mentre la conferma degli uscenti è una regola con limitatissime eccezioni: nelle ultime cinque tornate elettorali circa il 90 per cento degli eletti lo erano già stati nella legislatura precedente, il che vuol dire che il ricambio parlamentare avviene per morte, oppure per abdicazione.

 L'uninominale non cura la frammentazione sfrenata del sistema dei partiti. Non fa scegliere agli elettori né il governo né i loro rappresentanti. Distorce sovente le preferenze della maggioranza, magari trasformando una minoranza di voti in una maggioranza di governo. Perpetra in buona sostanza un esproprio senza indennizzo di quella sovranità che dichiara di voler restituire ai suoi titolari.

Non sarà l'uninominale il rischio più grave che corre la democrazia italiana. Ma è purtuttavia un rischio non da poco. Proprio per queste ragioni, a dispetto di un senso comune artatamente fabbricato, i sottoscrittori di questo appello ritengono, quanto meno a titolo di testimonianza, di riproporre un sistema elettorale di tipo proporzionale. La proporzionale ha non marginali inconvenienti, già ampiamente manifestati nel nostro passato recente e che sarebbe opportuno non replicare. Ma gli inconvenienti della proporzionale sono emendabili. Gli eccessi di frammentazione partitica possono essere evitati mediante una soglia di sbarramento e la riduzione del numero dei parlamentari. La costituzione di maggioranze di governo non effimere può essere incoraggiata prevedendo un premio di maggioranza e magari rendendo variabile il numero dei componenti delle Camere.

 A conti fatti, l'uninominale non è meglio: neanche, come dimostra ormai una ricca letteratura scientifica, dal punto di vista della qualità delle politiche poste in essere dai governi fondati su di essa, a confronto con quelle dei governi "proporzionalisti". E se, infine, c'è da scegliere tra un modello di democrazia che riconosca il ruolo delle culture politiche come identità protette da una dignità e una memoria, e un modello che, risolta la rappresentanza nella audience, si fonda sul solleticamento indifferente e ondivago, quando non perverso, di tutto ciò che può incrementarla, noi siamo per il primo.

*Alfredo Salsano, Alfio Mastropaolo, Marco Revelli, Rossana Rossanda, Valentino Parlato, Riccardo Barenghi, Mario Dogliani, Alfonso Di Giovine, Marco Deriu, Pier Paolo Poggio, Cesare Bermani, Augusto Graziani, Maurizio Pallante, Gian Mario Bravo, Silvano Belligni, Guido Ortona, Domenico Jervolino, Lia Fubini, Giulio Poli, Aldo Bonomi, Clara Gallini, Aldo Tortorella, Massimo Morisi, Ugo Spagnoli, Luigi Bonanate, Rosario Minna, Alberto Conte, Giuseppe Di Lello, Cesco Chinello, Mariella Berra, Pierluigi Sullo, Paolo Romeo, Silvia Caianiello, Enzo Recupero, Lidia Pino, Giuseppe Sergi, Ettore Colombo, Mimmo Rizzuti, Adriana Timoteo, Pier Michele Strappini, Luciano Stella, Antonio Pioletti, Mimma Grillo, Ettore Palazzolo, Mario Alcaro, Sergio Facchin, Sergio Garavini, Domenico Gallo, Andrea Morniroli, Giovanni De Luna, Francesco Scacciati, Alessandro Casiccia, Elia Bosco, Raffaele Radicioni, Massimo Luciani, Salvatore Casillo, Enrico Rebeggiani, Francesco Amoretti, Guido D'Agostino, Gianfranco La Grassa, Ottorino Cappelli.
 


 

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