Speciale Referendum elettorale
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13/02/99

Rassegna stampa - Da un maggioritario all'altro 

Il manifesto - 11/02/99

La legge della Quercia - Maggioranza vicina all'accordo sul doppio turno

Romano Prodi si presenta a sorpresa all'assemblea del gruppo popolare alla camera e si lancia in una perorazione a favore della sua scelta. In un certo senso è campagna elettorale, o forse campagna acquisti, anche questa. Batte e ribatte sulla necessità di equilibrare il peso della Quercia nella coalizione, pena la batosta elettorale. Rigira il coltello nella ferita dell'alleanza con Mastella, segnata dal trasformismo. Gli risponde Marini, e picchia sul tasto delicato di "una politica fatta di personalismo". Va giù duro anche De Mita, che addita "la mancanza di progetto e cultura" nonché "l'abbondanza di contraddizioni" nel partito di Prodi.

 Il risultato è nullo, e nessuno pensava potesse andare diversamente. La partita in corso nell'ex Ulivo la si gioca su tutt'altri tavoli. E oggi il più caldo è quello sul quale il centro sinistra combatte contro il tempo per raggiungere un accordo sulla legge elettorale prima del referndum. Ieri la maggioranza ha segnato un punto a proprio favore. E' a un passo dall'intesa, e anche se il Polo non ci sta già pensa a una approvazione da parte del solo senato prima del referendum. La prova delle urne non verrebbe evitate, eventualità oggi inconcepibile, ma seccamente depotenziata. Almeno sulla carta, inoltre, i rischi di implosione della maggioranza davanti alla definizione della nuova legge sarebbero ridotti al minimo.

 Il testo definitivo arriverà mercoledì prossimo, ma già ieri, nel comitato ristretto della commissione affari costituzionali del senato, il centro sinistra ha vistato, con qualche dubbio non del tutto marginale, la proposta del relatore Villone. Si tratta di un doppio turno di collegio assai simile alla ipotesi sponsorizzata dalla Quercia, che ne trarrebbe i maggiori vantaggi sia all'interno della maggioranza che nella sfida con il centro destra. Rispetto alla iniziale bozza Amato, la rielaborazione di Villone prevede l'innalzamento della quota necessaria per essere eletti già al primo turno dal 40 al 50%. Altrimenti, i due primi arrivati si sfiderebbero nella seconda prova. Un doppio turno di collegio a pieno titolo, dunque, che rispetto all'ipotesi Amato riduce di molto il peso contrattuale dei soci minori della coalizione. Non a caso proprio sull'innalzamento della soglia si appuntano i dubbi dei cossuttiani, ma anche del Ppi. "L'innalzamento al 50% - afferma sibillino Elia - è un'indicazione con un segno 'più' che potrebbe anche diventare un 'meno'".

 I popolari aspettano inoltre indicazioni più precise sul premio di maggioranza che dovrebbe garantire ai vincitori stabilità per l'intera legislatura e che sarà ricavato dall'attuale quota proporzionale del 25%. Il recupero proporzionale verrà in ogni caso abbassato al 10%, e sarà riservato ai partiti che sceglieranno di non partecipare alla competizione col maggioritario. Gli elettori dovranno dunque scegliere tra la scheda del maggioritario e quella del proporzionale.

 Quest'ultimo ritocco è stato introdotto su richiesta di Forza Italia, che ha accolto con favore la modifica, ma con totale sfavore la proposta nel complesso, così come An. "La doppia scheda è un passo avanti, ma l'innalzamento al 50% equivale a tre passi indietro", dice il senatore forzista Schifani. E il nazional-alleato Urso parla di "legge fatta su misura per la maggioranza". Non gli si può dar torto. Con un elettorato di centro destra diviso in molti collegi del nord tra Polo e Lega, il doppio turno di collegio avvantaggia il centro sinistra sino a renderne, nelle condizioni date, quasi certa la vittoria.

 La scelta di insistere con una legge invisa al Polo, sembra significare che il centro sinistra sta abbandonando le speranze di riprendere il dialogo sulle riforme con Berlusconi,Fini e Casini, ed è una scelta che si rifletterà probabilmente anche sulla designazione del successore di Scalfaro. Solo che non è neppure pensabile una legge elettorale "cotta e mangiata" dalla sola maggioranza. Per procedere sarebbe dunque necessario l'apporto dei voti leghisti. Sarebbe il prologo, ulteriormente confermato da un asse sull'elezione del capo dello stato, a quell'ingresso nella maggioranza del carroccio di cui Bossi e D'Alema hanno già più volte parlato.

 In ogni caso, né l'accordo né il voto del solo senato sulla nuova legge eviterebbero il temuto ingorgo elettorale. Così impazzano più che mai le voci su un possibile anticipo della scadenza del suo mandato da parte di Scalfaro. Ieri il presidente ha ammesso con aria preoccupata l'avvicinarsi dell'"ingorgo istituzionale". Interrogato sulla possibilità di un suo passo per evitarlo, ha risposto a sorrisi enigmatici e ammiccamenti. Come dire che l'ipotesi non è esclusa, ma anche che non c'è ancora alcuna decisione in merito. Scalfaro avrebbe in realtà fatto notare che le sue dimissioni servirebbero a ben poco senza un contestuale accordo sulla legge elettorale in grado di evitare il referendum. Perché sarebbe questo il solo modo di evitare un ingorgo che, come segnala De Mita "è politico non di calendario". E conclude: "A cosa servirebbero dunque le dimissioni di Scalfaro?".

Andrea Colombo

Corriere della Sera - 13/02/99

Bossi: bene, ma prima il referendum
«Il progetto della maggioranza? Ne discuteremo, può essere il male minore». 
«Se la sbrighi
D'Alema. Lui ha lanciato Segni e Di Pietro». «Non entro nella parte di chi dà un alibi per esser poi impallinato»
MILANO - «D'Alema è convinto di perdere il referendum ottanta a venti, io penso di vincerlo ottanta a venti. Per cui insisto: che a decidere sia il popolo».

Onorevole Umberto Bossi, il disegno di legge sulla riforma elettorale varato ieri dalla coalizione di centrosinistra proprio non le piace?

«Ne discuteremo con i risultati dell'urna in mano. Non prima».

Eppure la bozza Amato- Villone sembra tenere ben conto di quello che lei fino a qualche tempo fa andava dicendo: meglio il doppio turno di collegio del maggioritario secco.

«Il governo prosegua per la sua strada, noi per la nostra. Per quanto mi riguarda, occorre votare. Se, come sono convinto, i numeri non dovessero essere così negativi, non si discuterà più di doppio turno di collegio o di maggioritario secco».

Guardi che tutti i sondaggi danno un margine elevatissimo di vittoria ai referendari.

«Non mi preoccupo dei sondaggi. La maggioranza ha un disegno di legge, dunque se lo approvi in Parlamento e si assuma la responsabilità di non dare voce ai cittadini. Io questa responsabilità non me la prendo».

Roberto Maroni, nei giorni scorsi, aveva aperto la possibilità di un dialogo con la maggioranza proprio sulla proposta Amato-Villone.

«Chieda a Roberto Maroni. Io rimango della mia idea».

Lei non si sbilancia sui contenuti del disegno di legge. In linea teorica la Lega avrebbe buone possibilità di passare al secondo turno in molti collegi del Nord.

«Questo non lo nego. Ma per quale motivo devo essere io a togliere le castagne dal fuoco a Massimo D'Alema? E' stato lui a mandare avanti Di Pietro e Segni. Se la sbrighi. Che cosa crede, che io corra nelle piazze a urlare che la Lega condivide la proposta della maggioranza? Per farmi saltare addosso? Mai».

E allora mettiamola in altro modo. Lei non intende trovarsi con le spalle al muro e passare per quello che tenta di affossare il referendum: sbagliato?

«Io per principio sostengo che la parola spetta al popolo e per principio non mi sottraggo alle battaglie. Con estremo realismo aggiungo che chi si espone oggi a dire o a lavorare per evitare il referendum andrà incontro a una secca sconfitta. Non entro in questa parte. Nella parte di chi offre un alibi per poi essere impallinato. Se la maggioranza di governo ha scelto questa via proceda senza chiedermi alcun soccorso».

Lei crede che il referendum sarà evitato?

«Penso di no».

Dopo, comunque, anche la Lega dovrà discutere di legge elettorale.

«Certamente. E mi ispirerò alla Realpolitik».

Ovvero?

«Non sono così stupido da non sapere che è sempre meglio convergere sui mali minori».

Il doppio turno di collegio con i due più votati al ballottaggio?

«Questo lo dice lei».

Risultati alla mano delle ultime elezioni, è quello che più viene incontro alla posizioni della Lega.

«Può essere così. Ma prima il referendum».

Massimo D'Alema ha annunciato un progetto di legge sulla riforma federale della Costituzione. Che cosa ne pensa?

«Meglio di niente. Ma so che se ne è parlato tante volte e sempre è finita in fumo. Aspetto qualche segno di buona volontà, poi valuterò sulla base dei contenuti. Le intenzioni sono sempre belle. Però, stringi stringi, ogni discorso sul federalismo è sempre fallito».

Fabio Cavalera

Il manifesto - 13/02/99

IN NOME DEL GOVERNO

Il più classico dei "vertici di maggioranza" ha prodotto ieri la prima vera controffensiva del trio D'Alema-Marini-Mastella contro l'attacco anti-partiti di Prodi & company. Blindando la sua maggioranza attorno a una legge elettorale super-maggioritaria, D'Alema ha tolto il giocattolo dalle mani dei temuti rivali; allettando allo stesso tempo il Polo con l'apertura di una nuova stagione di "grandi riforme" (propiziata anche, ieri, dall'accordo sulla giustizia) nella quale il presidenzialismo della destra potrebbe sedere a pieno titolo, e con la quale coronerebbe un disegno iniziato con la Bicamerale.

 Il primo risultato era il più urgente. Da ieri il bipolarismo, la semplificazione del sistema politico, la riduzione della rappresentanza a beneficio della governabilità non sono più il potente carburante del treno del competitore; il referendum è depotenziato; la "partitocrazia senza partiti" (per usare la felice espressione di Miriam Mafai) resta, a contrastarla ci saranno dei "referendari senza referendum".

 Una manovra di abile gioco politico, che non è detto che riuscirà e che porta con sé dei danni che potrebbero essere irreparabili. Il primo danno è nell'aver scelto di affrontare, come priorità principale, il terreno imposto dai referendari. Mentre si avviava il treno prodiano, la sinistra veniva tramortita su questioni che dovrebbero essere per lei prioritarie, vitali. Sulla libertà delle donne, sulla laicità della scuola, la sinistra non c'è, c'è un'altra maggioranza. Ma questo non fa problema, il "rilancio" si fa su referendum e legge elettorale. E qui sta il secondo danno: nell'assumere totalmente e acriticamente il contenuto di quel referendum. Se andassimo davvero a votare con la legge abbozzata ieri, ciascuno di noi dovrebbe scegliere se depositare nell'urna un voto per il governo (per i partiti che si sono coalizzati) o per un'opposizione ridotta a testimonianza. Non è una questione che riguarda solo Rifondazione, partito per il quale oggi questo ruolo sembra tagliato su misura: con tale sistema, qualsiasi partito che non si coalizzi sarebbe costretto a stare in un ghetto istituzionale, o a stare fuori dalle istituzioni. Il parlamento - anche nella sua parte "coalizzata" - sarebbe poco più di una stazione di sosta per sellare i cavalli e andare al governo. E se oggi in nome della governabilità - ma in realtà sotto l'egemonia plebiscitaria del referendum - si finisce di tagliare la rappresentanza, non si vede perché domani non si dovrebbe lasciare il passo al supergoverno del Presidente.

Roberta Carlini

 

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