Speciale Referendum elettorale
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20/02/99

Rassegna stampa - 18 aprile: festa nazionale 

Il manifesto - 20/02/99

FESTA NAZIONALE

IDA DOMINIJANNI

Tanto varrebbe promuoverlo a festa nazionale, il 18 aprile. Fu in quella radiosa giornata del '48 che la prima repubblica si tinse per sempre del bianco candore dc. E fu in quella stessa radiosa giornata del '93 che si celebrò la prima puntata dell'ultima Grande Narrazione superstite del secolo: il tormentone per cui bastava (basta) cambiare via referendum la legge elettorale et voilà, saremmo passati (passeremo) d'un balzo nel vivido fulgore della seconda repubblica. Adesso siamo alla seconda puntata, per entrare d'un balzo nelle magnifiche sorti e progressive della democrazia ideale dove dalle primarie in su si eleggono solo premier, leader e notabili e poi ci pensano loro a fare tutto il resto.

 I referendari esultano e sperano che le urne elettorali si riempiano dei sì di cittadini felici e contenti di quant'è bello partecipare. Noi speriamo che restino vuote, o si riempiano dei no di chi ha capito che si sta celebrando un rito che riduce la partecipazione a un quiz.

 E' questo il primo risultato del trasversale partito di Segni, Occhetto, Prodi, Di Pietro & co.: aver trasformato un istituto di democrazia diretta col quale esprimere grandi opzioni di valore in un quiz binario su quesiti tecnici incomprensibili ai più, gestiti da gruppi di pressione, strumentali allo scontro di ceto politico.

 Il secondo risultato è fresco di questi giorni, ed è la legge elettorale che il governo ha partorito "sotto pressione" del referendum, un contorto tentativo fuori tempo massimo di scongiurarne gli effetti simbolici (il plebiscito antiparlamentare) incorporandone gli obiettivi concreti (un bipolarismo forzato e ipermaggioritario). Era meglio pensarci prima e con qualche limpidezza, a intralciare la deriva referendaria: adesso il plebiscito si terrà, e il parlamento dovrà in un modo o nell'altro ratificarlo con una legge. Cornuti e gabbati, come si dice.

 Il terzo risultato supera i precedenti, perché non attacca un'istituzione o una legge ma l'intelligenza. Sta nel tormentone di cui sopra, che ci perseguita, complice l'universo dei media quasi al completo, da una decina d'anni, senza che molte voci si scomodino a metterlo in ridicolo come merita. Esso si può riassumere in tre teoremi, tutti rivelatisi, alla prova dei fatti, sbagliati. Primo, che una crisi di senso - oltre che di rappresentanza, programmi, identità - della politica si potesse (si possa) risolvere cambiando dispositivo elettorale, da proporzionale a uninominal-maggioritario. Secondo, che il maggioritario avrebbe generato (genererà) una limpida bipolarizzazione del sistema politico, in grado di garantire la fine della frammentazione partitica e l'inizio della stabilità di governi e maggioranze. Terzo, che nel cambiamento del sistema elettorale ci fosse (ci sia) la chiave per trasformare la democrazia mediata dai partiti nella democrazia diretta dei cittadini.

 In sei anni di maggioritario già realizzato, non una di queste miracolose ricette ha funzionato. La bipolarizzazione c'è stata ma con coalizioni instabili e mutanti, la frammentazione si è moltiplicata, i due governi nati da una quasi-indicazione popolare sono finiti con due ribaltoni parlamentari. La mediazione partitocratica si è, insieme, impoverita e accentuata. La chimera della democrazia dei cittadini si è dissolta nella disaffezione crescente per una politica sempre più in crisi di senso.

 Ma la Grande Narrazione continua: il problema non è quanto male ha funzionato il nuovo sistema, bensì quel fastidioso 25 per cento proporzionalista che residua del vecchio. E se nel '93 la parola d'ordine della lotta alla partitocrazia faceva leva sulla rivolta contro la corruzione, oggi si svela per quello che è: una guerra fra vecchi partiti sclerotici da una parte e nuovi partiti leaderistici, mediatici e vagamente neoplebiscitari dall'altra.

 Sul piano concreto il referendum del 18 aprile prossimo, in presenza di un parlamento già legiferante, è inutile. Sul piano simbolico è dannoso: blandisce il corpo sociale ottundendone la testa. Speriamo in una ventata di lucidità, se non vogliamo che il 18 aprile diventi la giornata nazionale dell'antipolitica.


 

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