Speciale Referendum elettorale
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23/02/99

Rassegna stampa - Il martello referendario e l'incudine di Giuliano Amato 

Il manifesto - 23/02/99

Il martello referendario e l'incudine di Giuliano Amato

Ersilia Salvato (Vicepresidente del senato)

Confesso di essermi appassionata poco alla contesa sulla data più indicata per fissare l'ennesimo referendum elettorale: il colpevole e reiterato abuso di un istituto così importante di democrazia diretta, oltre che il tentativo difficilmente apprezzabile di cancellare quel poco che resta del sistema proporzionale, mi fanno sentire talmente distante dai promotori della contesa da avermi convinto dell'opportunità di disertare le urne. 18 aprile o 9 maggio, a quel punto, poco cambia, eccetto forse che nella mente di chi intende brandire la sicura vittoria dei sì (quorum permettendo) per agitarla come una durlindana nella disfida per la presidenza della repubblica.

 Ben più interessante, viceversa, il dibattito che si è aperto attorno alle caratteristiche della nuova legge elettorale che si renderà necessaria, in caso di vittoria dei sì, dopo la celebrazione del referendum. Premesso che la storia dovrebbe aver insegnato che cancellando sic et simpliciter la proporzionale non si aumenta la governabilità del sistema, ma se ne diminuisce la rappresentatività, consentendo a chiunque di farsi il proprio gruppo politico negli interstizi del maggioritario senza sottoporsi al giudizio degli elettori, credo tuttavia che attardarsi - ora, per il futuro si vedrà - su una battaglia persa in partenza sia autolesionista, non meno di quanto lo fu da parte nostra, a suo tempo, difendere il proporzionale puro fino alla morte, finendo così per perdere anche l'ultimo treno per quella riforma in stile tedesco che tutti - adesso che è troppo tardi - riteniamo il migliore dei mondi possibili. Il terreno dello scontro, purtroppo, non siamo noi a determinarlo, ed è con le proposte date che dobbiamo fare i conti; a partire da quella che fino a ieri sembrava aver messo d'accordo le principali componenti del centro-sinistra.

 Sostiene Giuliano Amato, intervistato da Repubblica, che intenzione del suo disegno di legge è sì rafforzare il legame di coalizione, ma mantenendo un sistema fortemente imperniato sul ruolo dei partiti. Giacché viceversa - avverte - se l'obiettivo è aggregare una sinistra senza partiti "si apre un dissenso profondo, perché in gioco è la democrazia... Se c'è in ballo un disegno di eliminazione dei partiti, siamo al prologo di un'agonia democratica alla quale ci dobbiamo opporre con tutte le nostre forze... Al di là dei partiti, o senza i partiti, c'è solo il plebiscitarismo". Parole sante. Che tuttavia, spiace dirlo, non trovano riscontro alcuno nei disegni di legge che recano la sua firma per le elezioni di camera e senato.

 Il combinato disposto di un doppio turno solo eventuale, da svolgersi nel caso in cui nessun concorrente raggiunga il 50% dei voti validamente espressi nel primo turno, dell'accesso al secondo turno limitato ai due candidati più votati, insieme con la possibilità di esprimere le proprie preferenze per le singole forze politiche nel solo riparto consolatorio destinato al diritto di tribuna e scontandone il conseguente divieto ad esprimersi nella contesa principale, quella relativa al collegio uninominale e che concorre alla determinazione della maggioranza di governo, tutto ciò se una conseguenza certa ce l'ha è proprio quella di cancellare de facto qualsiasi funzione politica dei partiti. Non a caso, le stesse modalità di voto previste concedono alla visibilità dei partiti la sola presenza dei rispettivi simboli - in funzione puramente decorativa - accanto a quello di coalizione. A quel punto, riconosciamolo, molto più coerente è la proposta politica ed elettorale di Prodi, che infatti suggerisce di indicare sulla scheda il solo simbolo di coalizione e si propone di costituire una formazione politica capace di assorbire tutte le componenti politiche e culturali del centro-sinistra. Risultato, con un sistema siffatto - che più che un doppio turno è in realtà un duplice turno unico - non c'è alcuna verifica della reale rappresentanza dei partiti. I quali definiranno programmi e candidature sulla base di rapporti di forza presunti (useremo le amministrative, o le europee, come un mega-sondaggio?) o, peggio, sulla base delle reciproche capacità di ricatto.

 Assieme alla quota proporzionale, cancellata per non incorrere in conflitti con il quesito referendario, verrebbero così abbandonate anche tutte le funzioni a cui essa assolve: la verifica della rappresentatività dei partiti, e la garanzia della presenza in parlamento delle forze minori.

 A questa seconda esigenza, si obietterà, risponde l'istituzione dei 23 seggi "speciali" destinati al cosiddetto diritto di tribuna. Cosa vera solo in parte, tuttavia, essendo pari a poco più del 3% dei seggi la quota complessivamente attribuita alle forze che concorrono al di fuori delle coalizioni: un po' poco davvero, ad onta di quell'"apporto al dibattito democratico e alla crescita civile e politica del paese" che la relazione ai ddl governativi definisce "insostituibile".

 Più che per salvaguardare l'esistenza dei partiti, dunque, la legge Amato sembra concepita per tenere artificialmente insieme due esigenze tra loro confligenti: il doppio turno (per quanto ridotto a un simulacro) e gli equilibri interni alle coalizioni tra partiti grandi, piccoli e microscopici. Tutti salvi in nome dell'apporto che potranno dare allo schieramento, ma tutti annullati nella loro funzione fondamentale di soggetti della rappresentanza e luoghi di elaborazione politica. A quel punto, la "sinistra senza partiti" sarà cosa fatta: con buona pace dei nobili auspici del professor Amato.

 Se all'ordine del giorno poniamo il rilancio di una democrazia di cui i partiti siano cemento e strumento di partecipazione, se pensiamo che la sinistra non possa perdersi nell'alleanza, pure necessaria, con forze di diversa ispirazione culturale e politica, occorre ricongiungere il progetto politico a quello istituzionale, evidentemente su basi diverse da quelle proposte dal governo.


Il manifesto - 23/02/99

Bertinotti: contro la riforma con ogni mezzo

Andrea Colombo

Contro questa legge elettorale useremo ogni arma, incluse quelle estranee alla tradizione del movimento operaio e del nostro partito". Fausto Bertinotti non specifica ulteriormente la minaccia: si guasterebbe la sorpresa. Annuncia solo le prime mosse. Il Prc ripresenterà in parlamento la "legge truffa" battuta dalla sinistra nel '53, dopo una battaglia in parlamento e fuori che fece epoca. "E' un gesto provocatorio - spiega il segretario del Prc - ma fatto sul serio. Quella legge è davvero molto più democratica di quanto propone oggi Amato, che si potrebbe definire 'legge supertruffa. Non è colpa nostra se quella che nel '53 era una legge antidemocratica si è trasformata adesso, a paragone delle attuali proposte, nel contrario". La seconda azione in programma è un colloquio ufficiale con il presidente della repubblica, già richiesto,per segnalare le pesanti ombre di incostituzionalità che gravano sulla legge Amato.

 E' una dichiarazione di guerra totale quella di Fausto Bertinotti. Impossibile dargli torto. Nel progettino Amato un paio di voci sono buttate lì apposta per cancellare la fastidiosa presenza di una forza in competizione a sinistra dell'attuale maggioranza. "Vogliono eliminare i rivali più scomodi", commentano i rifondatori. Nel mirino non c'è il doppio turno caro a D'Alema e neppure l'eliminazione della quota proporzionale, che il referendum renderà inevitabile. Quel che il Prc non può ingoiare è il doppio binario, quella norma che impedirebbe a chi concorre nella quota proporzionale di competere anche nel maggioritario, tagliando così con un colpo netto le ambizioni di chi osasse sfidare la Quercia per l'egemonia sulla sinistra. "Tanto varrebbe - commenta un Bertinotti mai così irritato - emanare un decreto legge che assicura a questo governo di restare in carica per altri 10 o 15 anni".

La "mancia" proporzionale

I dubbi di incostituzionalità sono sorretti dalle analisi dei costituzionalisti, assicura il segretario prima di riprendere la requisitoria: "Con questa legge i voti dei cittadini non saranno più uguali, perché una parte non concorrerà alla scelta del governo. Inoltre la Amato raddoppia la formula maggioritaria aggiungendo un premio di maggioranza. Infine, grazie al ballottaggio solo tra i meglio piazzati, vuole obbligare tutti a coalizzarsi per forza. Così i partiti si moltiplicheranno ancora. Ce ne saranno 50, con programmi anche diversissimi ma costretti a stare insieme per paura di perdere".

 Conclusione: il Prc non accetterà "la mancia" della gara proporzionale. Correrà comunque nel maggioirtario, con propri candidati in tutti i collegi. "Tanto questi - sbotterà sintetico Franco Giordano dopo la conferenza stampa - capiscono solo i rapporti di forza".

 L'arma è in realtà meno affilata di quel che può sembrare. Con la formula Amato i voti di Rifondazione sono già dati per persi, dal momento che chi vota per le liste proporzionali perde il diritto di dire la sua nel maggioritario. Tuttavia la presenza di candidati comunisti in ogni collegio potrebbe aumentare il richiamo presso il corpo elettorale, soprattutto dove il centro sinistra presenterà figure che con la sinistra non hanno nulla a che spartire, magari provenienti dalle file dei nemici storici della sinistra. Inoltre con le liste del Prc verrebbe modificata la stima delle percentuali nel maggioritario, a tutto danno del centro sinistra. Vero è che il prezzo per Rifondazione sarebbe alto. Con il proporzionale l'elezione di una manciata di deputati sarebbe assicurata. L'azione di disturbo nel maggioritario potrebbe invece spopolare del tutto i banchi del Prc. Rifondazione conta però sui parlamentari europei per avere comunque una tribuna, e in ogni caso spera, soprattutto se i risultati nel test delle europee saranno buoni, di costringere l'ex Ulivo alla desistenza. Ma soprattutto, il Prc ha poco da perdere. La legge Amato lo lascerebbe in vita solo apparente, chiuso in un recinto e senza più alcuna possibilità di raggiungere gli scopi per cui è nato, a partire dalla ricostruzione del nesso tra politica parlamentare e politica sociale.

Un presidente del 21 aprile

Quella di Bertinotti è dunque una mossa disperata, dettata anche dalla precipitazione dei rapporti a sinistra, ulteriormente peggiorati in seguito alla vicenda Telecom. "Sono i ds e solo i ds quelli - commenterà più tardi il leader del Prc - che s'impuntano sul sistema elettorale. Con gli altri partiti della maggioranza si può discutere. Noi siamo pronti a trattare su tutto, purché non contenga il virus anticostituzionale della attuale proposta".

 Certo, essendo questo lo stato delle cose, è ben difficile che trovi ascolto la proposta del Prc sull'elezione del presidente della repubblica. Rifondazione vuole che a nominarlo sia la maggioranza del 21 aprile. E' ostile all'idea di un capo dello stato concordato con il Polo ("Sarebbe per forza una figura sbiadita") e pertanto anche alla candidatura del presidente del senato Nicola Mancino, nata proprio sotto il segno dell'intesa con il Polo.



 
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