Speciale Referendum elettorale
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16/04/99

Rassegna stampa


Il manifesto - 16/04/99

ASTENSIONE

ERSILIA SALVATO: "UN ATTO ESTREMO DI OBIEZIONE DI COSCIENZA"

"La scomposta campagna dei sostenitori del referendum, che apostrofano con slogan millenaristici la possibilità che non si raggiunga il quorum, mi conferma in una decisione da tempo maturata: domenica non andrò a votare l'ennesimo referendum elettorale". Così ribadisce la vicepresidente (ds) del senato Ersilia Salvato, che già svariate settimane fa aveva pubblicamente annunciato la sua posizione astensionista. "A chi agita il randello referendario contro la partitocrazia, la proporzionale, i ribaltoni e quant'altro, vorrei ricordare - prosegue Salvato - che abbiamo già dato: sono passati solo sei anni e due mezze legislature da quando gli italiani in larghissima maggioranza votarono per un sistema elettorale in gran parte uninominale e maggioritario e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la proliferazione delle sigle e dei gruppi di potere annidatisi nelle pieghe dei collegi uninominali e dei simboli di coalizione, e anche l'azzeramento della democrazia interna ai partiti e alle coalizioni. Purtroppo, di fronte all'apparato propagandistico messo in piedi dai sostenitori del referendum, ha poco senso cercare di spiegare e motivare la truffa che c'è sotto, tanto vale sottrarsi al voto, come atto estremo di obiezione di coscienza all'uso strumentale della democrazia diretta".
 
 

Il manifesto - 16/04/99

L'astensione può sollecitare il parlamento

ALBERTO LEISS, LETIZIA PAOLOZZI*

Apprezzando il dibattito aperto dal manifesto sull'astensione al referendum di domenica, anche noi insistiamo, e non per nostalgia degli anni 80: esiste un'altra possibilità rispetto al sì e al no, l'astensionismo che potremmo definire "attivo". Pieno rispetto, in ogni caso, per le cittadine e i cittadini che decideranno di non partecipare al voto: esistono anche motivazioni straordinarie come quelle dei "Beati costruttori di pace". Ma gli elettori hanno pure la facoltà di recarsi ai seggi elettorali, non sottraendosi così ad una esplicita presa di posizione, e di far registrare il proprio rifiuto a ritirare le schede e a esercitare il diritto di voto. Noi faremo così.

 Con quali motivazioni?Primo: per affermare un principio. E' assai dubbio che sia costituzionalmente corretto e comunque democraticamente opportuno che le leggi elettorali -dove sono in gioco anche i diritti delle minoranze - siano modificate a colpi di maggioranze extraparlamentari. Noi riteniamo -anche se la corte costituzionale è stata di diverso avviso - che siamo di fronte a una forzatura, in via di fatto, del principio che vuole il referendum quale strumento per abrogare una legge che si ritiene sbagliata, e non per disegnarne una nuova.

 Secondo, per una ragione di merito. Il quesito referendario, così come è macchinosamente concepito (dieci pagine rivolte unicamente a prevenire le obiezioni della corte costituzionale), disegna appunto una nuova legge elettorale che elimina la quota proporzionale e mantiene il turno unico. Ciò avviene, secondo i proponenti, con l'obiettivo di ridurre la frammentazione dei partiti e la conseguente ingovernabilità. Ma non è vero che la frammentazioni e l'instabilità siano indotte dalla quota proporzionale. Esse dipendono dall'uso che è stato fatto proprio del sistema uninominale a turno unico, e dalla più generale crisi delle culture e delle appartenenze politiche conseguenti allo sfaldamento del sistema dei partiti della cosiddetta prima repubblica.

 Terzo: rifiutare lo strumento referendario per modificare la legge elettorale non vuol dire che va bene la legge attuale. I sostenitori del Sì si accaniscono retoricamente contro la scelta astensionistica affermando che se mancasse il quorum ogni riforma sarebbe bloccata. E' falso. Forse questo esito si avrebbe se vincesse - eventualità peraltro remota - il "No". Una forte e motivata posizione astensionista può invece unirsi alla sollecitazione verso il Parlamento perché faccia il suo dovere. E perché approvi una legge elettorale migliore, basata sul doppio turno e capace di garantire una rappresentanza equilibrata, senza l'ipoteca di un eventuale consenso popolare a un quesito referendario sbagliato: già la volta precedente la vittoria referendaria ha favorito una cattiva legge, come oggi tutti ammettono.

 Astenersi sul referendum vuol dire anche criticare un'idea della politica che ha dominato questi anni di transizione italiana senza produrre i miglioramenti conclamati. Questa idea si riassume nel proposito di favorire un bipolarismo definito quasi esclusivamente dai meccanismi istituzionali: leggi elettorali e riforme costituzionali per aumentare il potere di decidere da parte degli esecutivi. Ma per decidere che cosa? All'accanimento - peraltro assai poco fruttuoso - per la riforma istituzionale, si è accompagnato un vuoto sul versante dei contenuti e delle pratiche dell'agire politico. Tanto che su molte questioni cruciali -lo vediamo drammaticamente in questi giorni di guerra, ma il discorso potrebbe riguardare i temi della giustizia o le politiche di riforma del welfare - le divisioni tra destra e sinistra, cioè tra i due famosi poli, si confondono e si intersecano trasversalmente in modo assai più complesso di quanto vorrebbe la vulgata della semplificazione bipolare.

 Astenersi sul referendum elettorale acquista quindi anche il valore di un richiamo all'esigenza di una riflessione più radicale sul senso della politica oggi. Un senso che, in ogni caso, non può essere racchiuso nei meccanismi della rappresentanza, la cui crisi profonda è indotta solo marginalmente dai difetti delle leggi elettorali.

 giornalisti de l'Unità
 



 
Il manifesto - 16/04/99

Volano sondaggi. E minacce

Ultimi fuochi prima del voto. O del non voto

Prodi diffida gli alleati del centrosinistra dall'usare un simbolo comune per le elezioni se comuni non sono le posizioni sul 18 aprile e sul "bipolarismo europeo"

- I. D.

S iccome il grande evento referendario, a due giorni dal voto, si è sgonfiato come un palloncino, la voce si fa dura e volano le minacce. La più grossa la spara Romano Prodi per bocca del suo portavoce: l'Ulivo non è un gadget ma un'icona del sacro principio bipolarista, dunque niente simbolo comune dell'Ulivo alle europee se non si condivide la stessa posizione sul referendum. L'avvertimento è ai popolari, che non solo fanno parte del fronte del no al quesito referendario - ormai riconvertito, più o meno esplicitamente, sull'astensione -, ma com'è noto non spenderanno una parola, quale che sia l'esito del referendum, neanche a favore della legge doppioturnista di Amato, che riprenderà il suo cammino in parlamento pochi giorni dopo la consultazione di domenica. "La legge elettorale va scritta insieme all'opposizione - mette infatti le mani avanti Francescchini, il vice di Marini - e neppure dopo il referendum ci si può sognare di imporre all'opposizione una legge che piace solo alla maggioranza". Ed è solo l'antipasto di quello che succederà all'indomani del referendum. E' ormai prevedibile che esso non si risolverà in quel trionfo del sì su cui scommettevano i promotori, asinello in testa, ma, ammesso che il quorum venga raggiunto, in una vittoria del sì ben più tenue delle speranze iniziali. E ben più difficile da gestire, sia sul piano politico sia rispetto alla riforma elettorale in senso stretto. Nella maggioranza, essa non darebbe il vantaggio politico sperato al partito di Prodi e Di Pietro, né alla sintonia "bipolarista" tra questi e Veltroni, rispetto alla sintonia D'Alema-Amato, che puntano sulla mediazione parlamentare per la nuova legge elettorale. Nel Polo farebbe cadere le velleità degli ultras referendari sul carattere "autoapplicativo" - monoturno uninominale - del quesito di domenica. E fra tutte le forze in campo riaprirebbe per forza la bagarre sulla proposta di riforma Amato, sulla quale convergerebbero i doppioturnisti (Ds, Prodi, Di Pietro) e la Lega, ma con la guerriglia di tutti i partiti minori, di Fini e di Berlusconi.

 Con questa opacità e queste trasversalità multiple del quadro di fondo, è ovvio che gli argomenti della campagna referendaria (del sì e anche del no) si siano progressivamente indebolite, rafforzando sempre più le ragioni dell'astensione che si allarga a macchia d'olio facendo a sua volta i proseliti più vari: per ultimo ieri Clemente Mastella, che scopre le virtù del sistema tedesco e riscopre i doveri riformatori del parlamento contro i referendum promossi dall'interno del ceto politico. Con altro passo, per i Verdi Mauro Paissan non ha perso una tribuna referendaria per rivendicare fin dall'inizio il senso politico del non-voto contro i paradossi del 18 aprile, e vari esponenti della sinistra (tra gli altri ieri Alessandro Natta) esplicitano via via la loro scelta astensionista come contestazione della mitologia referendaria. Oggi il comitato per il no chiude a Roma la campagna referendaria, e il diritto d'astensione - di fatto, un incoraggiamento chiaro al non voto - è diventato nel frattempo uno dei suoi argomenti principali, a fronte della campagna minatoria contro il non-voto dei referendari.

 Vota sì Sergio Cofferati, chiude la campagna per il sì, in Emilia, Walter Veltroni, convinto che il successo del referendum resti la sola via per riavviare il meccanismo delle riforme, fare una legge elettorale "coerente", bloccare le velleità di ritorno al proporzionale e "le nostalgie degli anni 80". Intanto continua la guerra dei sondaggi. Renato Mannheimer parla di un 48% di elettori sicuri di andare a votare, ma rammenta che la curva della partecipazione referendaria è costantemente in calo negli ultimi anni. Elio Veltri, invece, non ha dubbi: "Ho due sondaggi buoni. Uno sul referendum: il quorunm c'è. L'altro sull'asinello: siamo al 12%"


Il manifesto - 16/04/99

CONTRO LA GUERRA

 E ora, diserzione elettorale

Certificati del referendum restituiti ai prefetti

I l ragionamento non fa una grinza: restituiamo al mittente (cioè ai prefetti, ai sindaci, ecc.) i certificati elettorali per il referendum del 18 aprile in segno di protesta contro il governo italiano che ci ha sottratto con la guerra uno dei pezzi fondanti la Costituzione. La proposta, lanciata giorni fa dai Beati costruttori di pace, ha ben presto fatto proseliti e già sono arrivate le adesioni all'iniziativa da Pax Christi, dall'Associazione per la pace e l'Associazione obiettori non violenti. La breve lettera/modulo da inviare ai prefetti è già pronta (chi vuole la può stampare e inviare, dopo averla compilata, prendendola da internet www.pacelink.it).

 "Al signor prefetto di... Io sottoscritto... iscritto nelle liste elettorali..., per rispetto verso la nostra Costituzione italiana che si vuole rendere più funzionale con un voto popolare mentre la si offende mortalmente nell'attuazione dell'articolo 11 che ripudia la guerra, preferendo ad esso l'obbedienza a patti con alleati del momento, mi privo della possibilità di votare nel prossimo referendum del 18 aprile restituendo il certificato elettorale. E già non solo le associazioni pacifiste, ma molti cittadini stanno aderendo.

 A Torino, Cristina Doria, Liliana Ellena e Anna Nadotti ci hanno mandato in fax copia del breve messaggio che hanno mandato al sindaco Castella ni: "Mi rifiuto di votare in uno stato in guerra". Le tre firmatarie suggeriscono di inondare i sindaci dei propri comuni di lettere analoghe ("o con qualsiasi altro messaggio la fantasia e il desiderio di riapprorpiarsi dei prori diritti politici suggerisca"). Mancano ancora due giorni alle elezioni: c'è tutto il tempo per mostrare in modo palese la differenza che passa tra la democrazia reale e quella sua grottesca finzione rappresentata da questo referendum.


Indice "Speciale referendum"