Emilio Colombo nel confutare che si possa porre un problema di legittimità
relativamente ai limiti diretti o indiretti al libero esercizio di voto
spiega, con una breve sintesi, che ... la questione non può essere
posta.
Sinceramente, mi aspettavo qualcosa di più, anche perché
le domande poste erano estremamente chiare e dirette.
Non mi resta che riproporle.
Sarebbe o no intollerabile un referendum che limitasse, che so,
il diritto di voto di una etnia o di una confessione religiosa"?
E per quale motivo si dovrebbe invece tollerare un referendum elettorale
finalizzato a rendere inutile il voto di una larga fetta della società,
anche se minoritaria?
Colombo, dal suo punto di vista, spiega che in materia di rappresentanza
non c'è unanimità di vedute. Per qualcuno è meglio
un sistema e per altri un altro.
Il problema di fondo, però, e se cioè qualche minoranza,
sia essa politica, religiosa o etnica, possa essere o meno danneggiata
da un determinato sistema elettorale e, nel caso lo sia, possa essere ritenuto
lecito penalizzarla, non viene affrontato.
Anzi, l'accusa viene addirittura rimandata al mittente laddove si dovesse
optare per la scelta dell'astensione al referendum. Qui sì, in questo
caso è giusto porre il problema dei possibili vantaggi e svantaggi:
"Non è bizzarro che una minoranza del 10-20% di potenziali
votanti possa, avvalendosi del non-voto fisiologico, rendere inutile il
voto della grande maggioranza dei votanti al referendum?" (Colombo)
Premesso che nell'ipotesi fatta si definisce come "non voto fisiologico"
una percentuale che oscilla tra 30 ed il 40%, il che o è decisamente
troppo come stima, o è indice di un problema enorme di rifiuto a
partecipare che dovrebbe essere affrontato anziché ritenuto fisiologico,
il rilievo è decisamente inconsistente. La domanda può infatti
essere rivoltata nel seguente modo:
"Non è bizzarro che si possa approvare una legge elettorale
con una maggioranza dei votanti inferiore al 50% degli aventi diritto,
e questo sfruttando anche il non-voto fisiologico?"
Colombo, come ben sa (telematicamente parlando, ci conosciamo da anni
:-)), non sono poche le circostanze nelle quali vengono richieste maggioranze
qualificate. E non trova bizzarro che per prendere una decisione su di
un argomento così importante, potrebbe addirittura essere sufficiente
la maggioranza del 25,1% degli aventi diritto?
Se infatti votasse soltanto il 50,1% degli elettori, sarebbe sufficiente
ottenere la maggioranza di questi voti per far approvare il quesito abrogativo.
Ritornando invece alle stime di cui sopra, laddove fossero confermate,
si pone, per l'appunto, un problema di partecipazione.
Per essere chiari, c'é "non-voto fisiologico" e "non-voto fisiologico":
quando la politica interessa la gente partecipa e va a votare e questo
è ridotto al minimo.
Chiediamoci, piuttosto, cosa è avvenuto negli ultimi anni, invece
di temere un non-voto fisiologico determinato, in primo luogo, proprio
dalla volontà politica di eludere le questioni che separano i cittadini
dalla politica: un'enorme confusione relativamente ai temi in discussione
(e con l'attuale sistema dei media e di scarse garanzie di par condicio
la cosa non sorprende più di tanto); e una netta difficoltà
nel rapportarsi a temi predeterminati.
Sono predeterminati i candidati; sono predeterminati
i temi del confronto politico... e poi molto democraticamente ci si dice
di scegliere. Ma scegliere cosa? Perché l'oggetto del contendere
viene sempre scelto dagli stessi, tanto per ricordare un pò di partitocrazia?
Entrando poi nel merito della legge di risulta del referendum, fra i
pregi (a meno di non aver frainteso) Colombo individua il fatto che i voti
inefficaci, quelli dati agli sconfitti nel collegio, possono essere recuperati
e quindi resi "eventualmente" efficaci proprio con il meccanismo del recupero
dei secondi meglio arrivati.
Un primo appunto che viene immediatamente in mente è che questo
recupero "efficace" varrebbe però soltanto per un candidato, il
secondo, e quindi gli altri voti inefficaci rimarrebbero inefficaci, e
magari la somma degli altri voti inefficaci potrebbe di gran lunga essere
maggiore di quelli che potrebbero consentire il recupero.
In altre parole, da un lato non si contesta l'idea che dei voti inefficaci
possano in qualche modo fornire delle indicazioni per la rappresentanza;
ma dall'altro si decide che a trarne vantaggio debbano essere soltanto
alcuni e non tutti.
Si fissa cioè un principio di recupero, ma poi si lascia all'arbitrio
del caso il come questo debba avvenire. E come si sa, il caso in politica
significa soltanto porte oltremodo spalancate per i "meglio attrezzati".
Qual è allora il torto dell'attuale legge elettorale?
Semplice, quello di togliere dei voti, attraverso lo scorporo, alle
liste che hanno conquistato dei seggi con il maggioritario.
Non si tiene però conto che mentre è vero che lo scorporo
penalizza maggiormente le liste che conquistano più collegi nel
maggioritario, è altresì vero che questa penalizzazione avvantaggerà
non un solo partito, ma tutto il ventaglio di forze politiche che hanno
diritto di partecipare alla ripartizione proporzionale. Da qui ne deriva
come sia praticamente impossibile che, da questa frammentazione, possa
verificarsi il caso che con i seggi recuperati con la ripartizione proporzionale
si possa ribaltare il risultato elettorale ottenuto nella quota maggioritaria.
Con il meccanismo di recupero proposto con il referendum, essendo limitato
ai soli secondi, la probabilità di un ribaltamento del risultato
ottenuto nel maggioritario diventano enormi. Per non dire della nuova incognita
costituita dai "candidati fai da te" (i "meglio attrezzati" per intendersi):
il quesito referendario sembra fatto apposta per loro.
Colombo poi ricorda che:
"Al Senato, già ora 1/4 dei seggi sono attribuiti ai candidati
sconfitti nei collegi uninominali, e nessuno accusa tale sistema elettorale
di aver eliminato i partiti, né di essere demenziale o bizzarro.
Applicando il sistema elettorale di risulta ai risultati delle elezioni
del 1996 per il Senato, è facile constatare che sarebbero stati
recuperati quasi tutti i candidati già recuperati con il sistema
vigente. Non è bizzarro?"
Premesso che i sistemi di recupero sono diversi (la ripartizione dei
seggi si fa su base proporzionale tenendo conto dei voti complessivamente
ottenuti dal proprio gruppo politico), mi permetto di rilevare che applicare
una legge a dei dati ottenuti con un altra legge, in una circostanza, cioè,
dove le forze politiche si sono rapportate in un determinato modo tenendo
conto degli effetti della legge vigente, non è il massimo della
correttezza sul piano dell'analisi statistica.
Una simulazione simile, mi risulta, è stata fatta anche per
la Camera.
Ma che senso ha prendere i risultati della Camera, ottenuti con una
legge che non premia le "candidature fai da te", e poi produrre una simulazione
che, per l'appunto, non tiene conto dei risultati che da questo tipo di
candidature potrebbero arrivare?
Con una legge diversa, infatti, i risultati potrebbero essere di gran
lunga diversi, proprio perché le forze politiche, ed anche i singoli,
mutano i loro comportamenti a seconda della legge elettorale che hanno
di fronte.
Né più e né meno di come è avvenuto nelle
due ultime tornate elettorali, dove per non essere schiacciate dagli avversari
le forze politiche sono state costrette, dai meccanismi di conta tipici
del maggioritario, all'unione artificiosa. Ma di questo è bene non
discutere, meglio dare la colpa di tutto alla residua quota proporzionale.
Riguardo invece alla confusione all'interno dei sostenitori del referendum,
Colombo giustamente precisa che, per quanto riguarda i soli promotori,
le posizioni sono chiare... ben tre strade percorribili!!!
"1) non intervenire, e lasciare quindi in vigore il sistema di risulta;
intervenire, nell'ambito del sistema uninominale, per 2) aumentare i collegi
(fino ad adeguarne il numero a quello dei seggi) e, eventualmente, 3) introdurre
un secondo turno di collegio, ma alla francese (ovvero senza trucchi proporzionalistici)."
Insomma, come esempio di chiarezza non c'è male. E cosa voteranno
quindi gli elettori di fronte a tanta chiarezza? Quale sarà la strada
che indicheranno? La 1, la 2 o la 3?
Ma diciamolo chiaramente, quale sarà il mandato per legiferare
che daranno al Parlamento, visto che è implicito che il Parlamento
dovrà rimettere mano alla legge di risulta (da qui al voto sarà
mia cura fare una rassegna stampa puntigliosa in merito alle reali intenzioni
di tutti)?
E considerato che nel Parlamento siedono anche gli "altri" sostenitori
del referendum, quelli che daranno la medesima indicazione di voto ma per
propositi diversi, aggiungendo quindi altra "chiarezza" alla "chiarezza"
delle tre strade, ma veramente pensiamo che votando per questo referendum
i cittadini decideranno per qualcosa di concreto e di consapevole?
Colombo poi contesta che con il quesito in questione si possa parlare di "aggiramento delle garanzie costituzionali": "sia perché, se aggiramento ci fosse stato, esso sarebbe stato realizzato in concorso con la Corte costituzionale (la cui giurisprudenza in materia -come si sa- è peraltro molto restrittiva), sia perché le "garanzie costituzionali" in oggetto tutelano l'esigenza di eleggere tutti i parlamentari, e non -come forse qualcuno può pensare- questo sistema dei partiti."
Sinceramente, lungi da me il pensare che la Corte si sia lasciata andare,
come dire? a facili concessioni.
Quello che infatti sostengo è che la proposta abrogativa non
nasce dall'esigenza di arrivare ad un dato risultato compiuto, la legge
di risulta che non piace neanche ai sostenitori del referendum; bensì
dall'esigenza di dover superare i rilievi di non ammissibilità in
precedenza opposti dalla Consulta.
In tal senso mi sembra quanto mai lecito parlare di "aggiramento delle
garanzie costituzionali"; in generale, una pratica sin troppo facile nel
sistema di garanzie italiano (per queste questioni rimando ad un intervento
di più ampio respiro sui lavori della Bicamerale: Un
risultato scontato).
Fa in ogni caso piacere constatare che Colombo non abbia sostanzialmente
nulla da obiettare riguardo al fatto che l'attuale legge elettorale per
il Senato sia la fotocopia della legge di risulta del referendum del '93.
Il trucco sta allora nella legge elettorale per la Camera, che non
è, invece, l'esatta fotocopia di quella per il Senato:
"La legge Mattarella, introducendo un sistema elettorale uninominale
cd. anglosassone per l'elezione del 75% dei deputati, ha tuttavia ritenuto
di dover mantenere, per l'attribuzione del 25% dei seggi in modo cd. proporzionale,
le liste di partito e la scheda proporzionale. E, appunto, il referendum
disponeva il recupero del 25% dei seggi non attraverso una seconda scheda
e liste bloccate proporzionali, ma attingendo ai risultati di collegio."
(Colombo)
Tutto qui?!
Sotto il profilo delle tendenze, è bene ricordare che nel Senato
lo scorporo dei voti è totale mentre per la Camera è soltanto
parziale. In altre parole, il meccanismo di elezione della Camera è
più maggioritario, complessivamente, di quello del Senato.
Sotto il profilo sostanziale, relativamente alla natura delle candidature,
anche nel Senato è di fatto imperativo appartenere a delle liste
di partito, in quanto il recupero viene fatto tenendo conto della somma
ottenuta da ciascun gruppo politico.
Insomma, la legge della Camera non è che sia poi così
peggiore di quella scelta con il referendum del '93... anzi!
E relativamente allo scandalo che provoca l'idea che si sia penalizzati,
con l'attuale legge, se non si appartiene a delle liste di partito, è
il caso di vedere cosa potrebbe succedere con il meccanismo proposto dal
referendum.
Mentre le realtà politiche minori (dove minori potrebbe significare
dal 5 al 15%) radicate a livello nazionale saranno penalizzate da questo
tipo di recupero che non tiene più conto del totale dei voti conseguiti
dalle singole liste, un Pinco Pallino qualsiasi avrà la possibilità
di presentarsi e, magari, arrivando soltanto secondo conquistare un seggio
in Parlamento. Non oso immaginare cosa succederà nelle aree più
periferiche dove a farla da padroni sono di norma i "meglio attrezzati"
(continuo ad usare l'eufemismo). Insomma, partiti che rappresentano il
7-10% dell'elettorato no; dei Pinco Pallino discutibilmente "meglio attrezzati"
sì. Alla faccia della pulizia della politica!
Conclude infine Colombo:
"Sul metodo antireferendario alla Beretta, infine, non mi esprimo.
Sono peraltro convinto che sarà difficile convincere i cittadini
ad andare al mare "per il loro bene". Che si voti o no il 18 aprile."
Mi permetto di rilevare che la chiamata all'astensione non è
per nulla legata ad uno spirito, in generale, antireferendario.
No! Si tratta di una scelta politica precisa fatta sul merito della
questione in discussione.
Per quello che mi riguarda mi asterrò perché ritengo
che nessuno, anche la maggioranza dei cittadini, può decidere di
privarmi del pieno esercizio del diritto di voto, non potendosi ammettere
che questo possa venire pilotato o reso inutile dai meccanismi delle leggi
elettorali.
Mi asterrò perché è scandaloso vedere la maggioranza
dei parlamentari (si tratta, tra l'altro, del medesimo schieramento
di innovatori del '93, dalla stragrande maggioranza dei politici a tutti
i media) schierarsi a sostegno di un referendum che produrrà una
legge che nessuno di loro ha mai avuto il coraggio di proporre e rispetto
alla quale hanno già dichiarato che interverranno... in altre parole,
ci stanno chiedendo il via libera per fare cosa?
No, nessuno spirito antireferendario. Semplicemente: la difesa, certamente
ostinata, dei più elementari principi di democrazia.