Luoghi comuni e false aspettative (Re: Quale sistema
elettorale?)
Egregio signor Dore,
al centro delle sue argomentazioni vi è la convinzione che con
il maggioritario l'eletto sia più vicino all'elettore; con il proporzionale,
invece, vi sarebbe maggior potere di controllo da parte delle segreterie
politiche, al di fuori e contro il volere degli elettori.
Che questo rapporto anomalo che lei denuncia si sia verificato è
fuor di dubbio. Ma è veramente dipeso dal sistema elettorale? E
veramente il sistema maggioritario può essere in grado di invertire
questa tendenza o, piuttosto, c'è il pericolo opposto, quello cioè
di aggravare il problema che si vorrebbe risolvere?
Come vede, evito di affrontare la questione dal lato ideale; mi limito
soltanto a prendere in esame il problema, le sue possibili cause e le possibili
soluzioni, e questo indipendentemente dalla questione se sia lecito o no
anteporre la funzionalità dei meccanismi decisionali di governo
alle esigenze di garanzia per la rappresentatività.
Prima questione: con il maggioritario l'elettore
vota per il candidato o per un programma di governo?
Le confesso che faccio una fatica enorme per comprendere quella che
a mio avviso è una contraddizione insanabile.
I sostenitori del maggioritario, infatti, sostengono due tesi che non
possono coesistere: si vota secondo una logica bipolare (che premetto trovo
inquietante) e, al tempo stesso, non si sa bene come, questa logica bipolare
può essere espressa indipendentemente dai partiti o le coalizioni,
e quindi si vota l'uomo. Come dire che l'elettore vota per un programma
di governo senza che però vi sia alcun vincolo in ordine ai candidati
che questo programma dovrebbero portare avanti. Ma per quanti sforzi faccia,
a me sembra che una condizione escluda l'altra, tanto più che con
il sistema maggioritario l'elettore è pressato dall'esigenza di
dover esprimere un voto utile, un voto, cioè, che non vada sprecato,
in quanto non sono ammessi recuperi di alcun tipo per i candidati che non
vincono nel proprio collegio.
Se a ciò aggiungiamo che oltre che scegliere se votare o no
un determinato programma di governo, con il maggioritario l'elettore si
trova spesso nella triste condizione di dover votare per impedire che vinca
un determinato programma di governo considerato pericoloso dal proprio
punto di vista (la situazione tipica italiana), la costrizione al voto
utile raggiunge i suoi massimi.
L'esperienza delle due tornate elettorali con il sistema maggioritario,
del resto, conferma sino in fondo l'impossibilità che vi è
stata, per gli elettori, di influire, sia pur minimamente, nella scelta
delle candidature; ma peggio ancora, l'impossibilità, per gli elettori,
di poter prendere in considerazione dei candidati alternativi in quanto
la logica maggioritaria del voto utile imponeva ed impone, in primo luogo,
la sconfitta degli avversari politici.
In altre parole, il potere di controllo sui propri elettori da parte
delle segreterie dei partiti anziché ridursi si è amplificato.
L'elettore è infatti costretto a dover accettare il candidato imposto...
pena la vittoria degli avversari politici. E i molti parlamentari che non
rappresentano neanche se stessi, eletti nella quota maggioritaria proprio
in virtù degli accordi per il maggioritario, non sono che la conferma
di tutto questo.
Seconda questione: quale logica dell'alternanza?
L'altro mito propagandato con forza dai sostenitori del maggioritario
è il cosiddetto "principio dell'alternanza".
Che c'azzecca?, viene voglia di commentare secondo lo stile di uno
dei più attivi sostenitori del referendum del 18 aprile.
O meglio, cosa s'intende per "alternanza"?
È evidente che ci troviamo di fronte ad una semplificazione
dei problemi che non tiene conto delle spinte ideali e dei diversi interessi
contrapposti che esigono diverse soluzioni a seconda dell'interesse che
s'intende tutelare.
E con quale criterio, allora, si può pensare che l'elettore
eventualmente deluso da una determinata coalizione di governo possa poi
votare chi determinate scelte comunque non le fa, chi determinati interessi
non ha in ogni caso intenzione di tutelare, l'altra parte, perché
“che bello, c'è l'alternanza!”, è un mistero ancora tutto
da scoprire.
Piuttosto, proprio per cercare di determinare quanto più possibile
la corrispondenza tra i programmi di governo ed i programmi passati al
vaglio degli elettori, bisognerebbe creare le condizioni che permettano,
attraverso l'espressione del voto, di mandare a casa quei dirigenti politici
che non si fossero mostrati in grado di praticare le soluzioni indicate
– o meglio, subite ed accettate – dai propri elettori, senza però
dover per questo danneggiare la coalizione di provenienza. In mancanza
di ciò, infatti, non si realizza nessun principio, né quello
della responsabilità e né quello dell'alternanza, in quanto,
in una logica bipolare, è più facile accettare di turarsi
il naso piuttosto che veder prevalere lo schieramento opposto.
Ed è da questo “atteggiamento elettorale”, praticamente dovuto,
che scaturisce un meccanismo paradossale. Qualsiasi accordo necessario
per vincere, infatti, potrà facilmente essere fatto digerire ai
propri elettori; accordi che, inevitabilmente, premieranno in modo eccessivo
le richieste (i ricatti veri!) delle formazioni (quando non anche il semplice
pulviscolo che non rappresenta neanche se stesso) di centro.
Per concludere, se il problema è quello di escogitare
una legge elettorale che impedisca la degenerazione della politica, che
impedisca la degenerazione del sistema dei partiti, la scelta maggioritaria
rappresenta allora la peggiore delle soluzioni. O meglio, non soltanto
non è una soluzione, ma addirittura costituisce un peggioramento
dal quale potrebbe divenire impossibile tornare indietro.
Mi permetto, infine, una critica al modello americano e inglese sulla
base dei fatti. Anche qui, molti luoghi comuni e delle false convinzioni.
Per quanto riguarda l'Inghilterra, come giustamente viene definito
il modello, siamo di fronte ad un governo del Premier, con i deputati che
sono soggetti alla più severa disciplina di partito, pena la non
ricandidatura: altro che rapporto diretto elettore-eletto!
Anche per gli Stati Uniti l'idea che i partiti siano meno invadenti
che altrove non sembra trovare conforto nella realtà di tutti i
giorni. Le frequenti tornate elettorali (presidenziali ogni 4 anni; elezioni
parziali del Senato ogni due anni ed elezione della Camera sempre ogni
due anni) da sole danno l'idea di macchine elettorali in perenne attività.
Per non parlare delle spese elettorali, ormai sull'ordine delle decine
di miliardi per candidato; e questo tanto per rimanere in tema di rapporti
franchi e leali con gli elettori del proprio collegio ... fatti a suon
di miliardi e di lobby che li elargiscono.