Speciale Referendum elettorale
http://www.malcolmx.it/riforme/referendum

22/03/99
Franco Ragusa

Luoghi comuni e false aspettative (Re: Quale sistema elettorale?)
 

Egregio signor Dore,
al centro delle sue argomentazioni vi è la convinzione che con il maggioritario l'eletto sia più vicino all'elettore; con il proporzionale, invece, vi sarebbe maggior potere di controllo da parte delle segreterie politiche, al di fuori e contro il volere degli elettori.
Che questo rapporto anomalo che lei denuncia si sia verificato è fuor di dubbio. Ma è veramente dipeso dal sistema elettorale? E veramente il sistema maggioritario può essere in grado di invertire questa tendenza o, piuttosto, c'è il pericolo opposto, quello cioè di aggravare il problema che si vorrebbe risolvere?
Come vede, evito di affrontare la questione dal lato ideale; mi limito soltanto a prendere in esame il problema, le sue possibili cause e le possibili soluzioni, e questo indipendentemente dalla questione se sia lecito o no anteporre la funzionalità dei meccanismi decisionali di governo alle esigenze di garanzia per la rappresentatività.

   Prima questione: con il maggioritario l'elettore vota per il candidato o per un programma di governo?
Le confesso che faccio una fatica enorme per comprendere quella che a mio avviso è una contraddizione insanabile.
I sostenitori del maggioritario, infatti, sostengono due tesi che non possono coesistere: si vota secondo una logica bipolare (che premetto trovo inquietante) e, al tempo stesso, non si sa bene come, questa logica bipolare può essere espressa indipendentemente dai partiti o le coalizioni, e quindi si vota l'uomo. Come dire che l'elettore vota per un programma di governo senza che però vi sia alcun vincolo in ordine ai candidati che questo programma dovrebbero portare avanti. Ma per quanti sforzi faccia, a me sembra che una condizione escluda l'altra, tanto più che con il sistema maggioritario l'elettore è pressato dall'esigenza di dover esprimere un voto utile, un voto, cioè, che non vada sprecato, in quanto non sono ammessi recuperi di alcun tipo per i candidati che non vincono nel proprio collegio.
Se a ciò aggiungiamo che oltre che scegliere se votare o no un determinato programma di governo, con il maggioritario l'elettore si trova spesso nella triste condizione di dover votare per impedire che vinca un determinato programma di governo considerato pericoloso dal proprio punto di vista (la situazione tipica italiana), la costrizione al voto utile raggiunge i suoi massimi.
L'esperienza delle due tornate elettorali con il sistema maggioritario, del resto, conferma sino in fondo l'impossibilità che vi è stata, per gli elettori, di influire, sia pur minimamente, nella scelta delle candidature; ma peggio ancora, l'impossibilità, per gli elettori, di poter prendere in considerazione dei candidati alternativi in quanto la logica maggioritaria del voto utile imponeva ed impone, in primo luogo, la sconfitta degli avversari politici.
In altre parole, il potere di controllo sui propri elettori da parte delle segreterie dei partiti anziché ridursi si è amplificato. L'elettore è infatti costretto a dover accettare il candidato imposto... pena la vittoria degli avversari politici. E i molti parlamentari che non rappresentano neanche se stessi, eletti nella quota maggioritaria proprio in virtù degli accordi per il maggioritario, non sono che la conferma di tutto questo.

   Seconda questione: quale logica dell'alternanza?
L'altro mito propagandato con forza dai sostenitori del maggioritario è il cosiddetto "principio dell'alternanza".
Che c'azzecca?, viene voglia di commentare secondo lo stile di uno dei più attivi sostenitori del referendum del 18 aprile.
O meglio, cosa s'intende per "alternanza"?
È evidente che ci troviamo di fronte ad una semplificazione dei problemi che non tiene conto delle spinte ideali e dei diversi interessi contrapposti che esigono diverse soluzioni a seconda dell'interesse che s'intende tutelare.
E con quale criterio, allora, si può pensare che l'elettore eventualmente deluso da una determinata coalizione di governo possa poi votare chi determinate scelte comunque non le fa, chi determinati interessi non ha in ogni caso intenzione di tutelare, l'altra parte, perché “che bello, c'è l'alternanza!”, è un mistero ancora tutto da scoprire.
Piuttosto, proprio per cercare di determinare quanto più possibile la corrispondenza tra i programmi di governo ed i programmi passati al vaglio degli elettori, bisognerebbe creare le condizioni che permettano, attraverso l'espressione del voto, di mandare a casa quei dirigenti politici che non si fossero mostrati in grado di praticare le soluzioni indicate – o meglio, subite ed accettate – dai propri elettori, senza però dover per questo danneggiare la coalizione di provenienza. In mancanza di ciò, infatti, non si realizza nessun principio, né quello della responsabilità e né quello dell'alternanza, in quanto, in una logica bipolare, è più facile accettare di turarsi il naso piuttosto che veder prevalere lo schieramento opposto.
Ed è da questo “atteggiamento elettorale”, praticamente dovuto, che scaturisce un meccanismo paradossale. Qualsiasi accordo necessario per vincere, infatti, potrà facilmente essere fatto digerire ai propri elettori; accordi che, inevitabilmente, premieranno in modo eccessivo le richieste (i ricatti veri!) delle formazioni (quando non anche il semplice pulviscolo che non rappresenta neanche se stesso) di centro.

   Per concludere, se il problema è quello di escogitare una legge elettorale che impedisca la degenerazione della politica, che impedisca la degenerazione del sistema dei partiti, la scelta maggioritaria rappresenta allora la peggiore delle soluzioni. O meglio, non soltanto non è una soluzione, ma addirittura costituisce un peggioramento dal quale potrebbe divenire impossibile tornare indietro.
Mi permetto, infine, una critica al modello americano e inglese sulla base dei fatti. Anche qui, molti luoghi comuni e delle false convinzioni.
Per quanto riguarda l'Inghilterra, come giustamente viene definito il modello, siamo di fronte ad un governo del Premier, con i deputati che sono soggetti alla più severa disciplina di partito, pena la non ricandidatura: altro che rapporto diretto elettore-eletto!
Anche per gli Stati Uniti l'idea che i partiti siano meno invadenti che altrove non sembra trovare conforto nella realtà di tutti i giorni. Le frequenti tornate elettorali (presidenziali ogni 4 anni; elezioni parziali del Senato ogni due anni ed elezione della Camera sempre ogni due anni) da sole danno l'idea di macchine elettorali in perenne attività. Per non parlare delle spese elettorali, ormai sull'ordine delle decine di miliardi per candidato; e questo tanto per rimanere in tema di rapporti franchi e leali con gli elettori del proprio collegio ... fatti a suon di miliardi e di lobby che li elargiscono.


 

Indice "Speciale referendum"