Speciale Referendum elettorale
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11/04/99
Domenico Gallo - Comitato per la verità sul referendum elettorale

Le vie della pace incrociano il 18 aprile
 
Le vicende drammatiche della guerra e delle disastrose conseguenze che essa ha generato, hanno -
giustamente - oscurato, dal punto di vista mediatico, lo scontro politico in atto sul Referendum elettorale.
Può sembrare futile continuare a discutere, farsi carico della fatica di controbattere punto per punto alla
semina di illusioni e menzogne, che i referendari portano avanti con uno zelo degno di miglior causa e
verrebbe voglia di lasciar perdere. E tuttavia, mai come in questo momento, un conflitto
politico-referendario è stato così gravido di conseguenze politiche di lungo respiro, non solo sotto il profilo
interno, ma anche sotto quello internazionale. C’è un filo rosso che collega le vicende della guerra a quelle
della democrazia in Italia.

Al di là di ogni motivazione e di ogni polemica contingente, la guerra in corso rappresenta il banco di
prova di un nuovo ordine internazionale, che pretende di superare definitivamente l’ordine prefigurato
dalla Carta delle Nazioni Unite, fondato sul bando della guerra e sull’eguaglianza delle nazioni grandi e
piccole. L’ordine annunziato dall’evento del 24 marzo 1999 cancella il bando della guerra e consegna lo
"ius ad bellum" nelle mani di una nuova Santa Alleanza, che assume le prerogative di una sovranità
assoluta, superiore alla sovranità relativa di tutte le altre nazioni del mondo, mentre all’ONU viene
trasformata nella Caritas dell’ordinamento internazionale. In questo modo fra i lampi delle esplosioni e le
tenebre di una politica che riscopre le bombe, questo secolo si avvia alla fine ritornando al suo inizio al
primo novecento. Questo processo politico di riscrittura dell’ordine internazionale viene da lontano, è
iniziato nel 1989 ed il suo primo banco di prova è stato la guerra del Golfo nel 1991.

La costituzione italiana non è stata partorita nel vuoto, essa rappresentava una articolazione nazionale
dell’ordine internazionale annunziato dalla Carta delle Nazioni Unite e, come quello, traeva origine dalla
resistenza e, più ancora, dalle dure lezioni della storia emerse dalla tragedia della II guerra mondiale.

Nel momento in cui è iniziato questo processo politico di demolizione dell’ordine del 1945 è iniziata anche
la crisi della costituzione italiana, già preannunziata dalla lunga agonia e poi dalla dissoluzione dei partiti a
base popolare. E’ iniziato così un movimento di controriforma che ha aggredito i requisiti peculiari della
democrazia italiana. I tentativi di riduzione della democrazia attraverso la strada di una revisione formale
della costituzione, per mezzo delle varie commissioni bicamerali, si sono rivelati tutti fallimentari.
L’attacco più insidioso è venuto attraverso il movimento referendario che ha aggredito la legge elettorale
proporzionale, formalmente non protetta dalla costituzione, ma di fatto strumento imprescindibile per
mantenere in piedi l’impianto democratico, pluralista e partecipatorio dell’ordinamento costituzionale. Il 18
aprile del 1993, con il primo referendum e con la successiva introduzione di un sistema elettorale
prevalentemente maggioritario si è aperta la prima falla nella costituzione reale del paese. Adesso i
referendari cercano di completare l’opera rimasta parzialmente incompiuta. Non è per caso che nel quesito
elettorale si propone per 167 volte la cancellazione della parola "liste". Il referendum non è un attacco
contro i partiti ma contro ogni legame sociale che i cittadini trovano per concorrere a determinare la
politica nazionale. Cancellato ogni riferimento a gruppi organizzati, ad identità, a valori condivisi, si
verifica l’atomizzazione dei cittadini. Ognuno rimane solo dinanzi al potere. E’ la solitudine del cittadino
che serve al potere e che indebolisce tutti i principi fondamentali sanciti dalla prima parte della
costituzione. Proprio tutti, compreso il ripudio della guerra, bene supremo della Repubblica, che non può
godere di buona salute, se vengono sterilizzate le dinamiche politiche attraverso cui questo valore, come
gli altri, vive nella costituzione materiale. Nell’ordinamento politico la risposta al pericolo e poi allo scoppio
della guerra è stata debole, perchè la rappresentanza politica è stata indebolita dalla logica di epurazione ed
omologazione del maggioritario. Nel Parlamento italiano vi sono quattro partiti (due della maggioranza e
due dell’opposizione) che con sfumature e con motivazioni differenti si oppongono alla guerra. Gli elettori
che volessero punire i partiti che si sono arresi alla guerra e promuovere quelli che ancora vi resistono, già
adesso, con questo sistema elettorale farebbero fatica ad attuare questa scelta. Con il sistema elettorale
che uscirebbe fuori dal referendum, tre di questi quattro partiti sono destinati a scomparire ed il quarto
verrebbe fortemente ridimensionato.

Quando i referendari accennano alle vicende della guerra per dimostrare la bontà del sistema maggioritario
che produrrà maggioranze omogenee, liberandoci dallo spettacolo - per loro miserevole - di voci in
dissenso all’interno della maggioranza di governo, ci forniscono la dimostrazione in vitro del filo rosso che
lega il referendum alla guerra e dei nessi fra l’appassimento della democrazia, frutto inevitabile del
maggioritario, e la perdita di beni di valore inestimabile, quali il diritto alla pace. e ad un ordinamento
internazionale fondato sulla giustizia e la collaborazione pacifica fra le Nazioni, anziché sulla forza. Coloro
che in questo momento si stanno mobilitando per la pace, debbono rendersi conto quanto sia pericolosa la
strada politico-istituzionale proposta dai referendari. In un sistema in cui le due coalizioni, di fronte al
problema della guerra si sono trasformate in un partito unico, ed esprimono un pensiero unico, proporre
un sistema politico che esclude le minoranze, che scaccia dal Palazzo le voci di dissenso, che strangola il
pluralismo, significa impedire che gli elettori possano concorrere a determinare la politica nazionale con
riferimento ad un bene (la pace per l’appunto) che costituisce il valore supremo per la vita di una
collettività organizzata, poiché da quel bene dipende la libertà, la felicità e l’esistenza stessa delle
Nazioni.Per questo nei pochi giorni che ancora ci separano dal 18 aprile dovremo intensificare la
mobilitazione e la lotta per respingere la proposta referendaria, convinti che si tratta di un capitolo della
lotta per la democrazia e quindi per la pace.

Domenico Gallo


 

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