Le vie della pace incrociano il 18 aprile
Le vicende drammatiche della guerra e delle disastrose conseguenze
che essa ha generato, hanno -
giustamente - oscurato, dal punto di vista mediatico, lo scontro politico
in atto sul Referendum elettorale.
Può sembrare futile continuare a discutere, farsi carico della
fatica di controbattere punto per punto alla
semina di illusioni e menzogne, che i referendari portano avanti con
uno zelo degno di miglior causa e
verrebbe voglia di lasciar perdere. E tuttavia, mai come in questo
momento, un conflitto
politico-referendario è stato così gravido di conseguenze
politiche di lungo respiro, non solo sotto il profilo
interno, ma anche sotto quello internazionale. C’è un filo rosso
che collega le vicende della guerra a quelle
della democrazia in Italia.
Al di là di ogni motivazione e di ogni polemica contingente,
la guerra in corso rappresenta il banco di
prova di un nuovo ordine internazionale, che pretende di superare definitivamente
l’ordine prefigurato
dalla Carta delle Nazioni Unite, fondato sul bando della guerra e sull’eguaglianza
delle nazioni grandi e
piccole. L’ordine annunziato dall’evento del 24 marzo 1999 cancella
il bando della guerra e consegna lo
"ius ad bellum" nelle mani di una nuova Santa Alleanza, che assume
le prerogative di una sovranità
assoluta, superiore alla sovranità relativa di tutte le altre
nazioni del mondo, mentre all’ONU viene
trasformata nella Caritas dell’ordinamento internazionale. In questo
modo fra i lampi delle esplosioni e le
tenebre di una politica che riscopre le bombe, questo secolo si avvia
alla fine ritornando al suo inizio al
primo novecento. Questo processo politico di riscrittura dell’ordine
internazionale viene da lontano, è
iniziato nel 1989 ed il suo primo banco di prova è stato la
guerra del Golfo nel 1991.
La costituzione italiana non è stata partorita nel vuoto, essa
rappresentava una articolazione nazionale
dell’ordine internazionale annunziato dalla Carta delle Nazioni Unite
e, come quello, traeva origine dalla
resistenza e, più ancora, dalle dure lezioni della storia emerse
dalla tragedia della II guerra mondiale.
Nel momento in cui è iniziato questo processo politico di demolizione
dell’ordine del 1945 è iniziata anche
la crisi della costituzione italiana, già preannunziata dalla
lunga agonia e poi dalla dissoluzione dei partiti a
base popolare. E’ iniziato così un movimento di controriforma
che ha aggredito i requisiti peculiari della
democrazia italiana. I tentativi di riduzione della democrazia attraverso
la strada di una revisione formale
della costituzione, per mezzo delle varie commissioni bicamerali, si
sono rivelati tutti fallimentari.
L’attacco più insidioso è venuto attraverso il movimento
referendario che ha aggredito la legge elettorale
proporzionale, formalmente non protetta dalla costituzione, ma di fatto
strumento imprescindibile per
mantenere in piedi l’impianto democratico, pluralista e partecipatorio
dell’ordinamento costituzionale. Il 18
aprile del 1993, con il primo referendum e con la successiva introduzione
di un sistema elettorale
prevalentemente maggioritario si è aperta la prima falla nella
costituzione reale del paese. Adesso i
referendari cercano di completare l’opera rimasta parzialmente incompiuta.
Non è per caso che nel quesito
elettorale si propone per 167 volte la cancellazione della parola "liste".
Il referendum non è un attacco
contro i partiti ma contro ogni legame sociale che i cittadini trovano
per concorrere a determinare la
politica nazionale. Cancellato ogni riferimento a gruppi organizzati,
ad identità, a valori condivisi, si
verifica l’atomizzazione dei cittadini. Ognuno rimane solo dinanzi
al potere. E’ la solitudine del cittadino
che serve al potere e che indebolisce tutti i principi fondamentali
sanciti dalla prima parte della
costituzione. Proprio tutti, compreso il ripudio della guerra, bene
supremo della Repubblica, che non può
godere di buona salute, se vengono sterilizzate le dinamiche politiche
attraverso cui questo valore, come
gli altri, vive nella costituzione materiale. Nell’ordinamento politico
la risposta al pericolo e poi allo scoppio
della guerra è stata debole, perchè la rappresentanza
politica è stata indebolita dalla logica di epurazione ed
omologazione del maggioritario. Nel Parlamento italiano vi sono quattro
partiti (due della maggioranza e
due dell’opposizione) che con sfumature e con motivazioni differenti
si oppongono alla guerra. Gli elettori
che volessero punire i partiti che si sono arresi alla guerra e promuovere
quelli che ancora vi resistono, già
adesso, con questo sistema elettorale farebbero fatica ad attuare questa
scelta. Con il sistema elettorale
che uscirebbe fuori dal referendum, tre di questi quattro partiti sono
destinati a scomparire ed il quarto
verrebbe fortemente ridimensionato.
Quando i referendari accennano alle vicende della guerra per dimostrare
la bontà del sistema maggioritario
che produrrà maggioranze omogenee, liberandoci dallo spettacolo
- per loro miserevole - di voci in
dissenso all’interno della maggioranza di governo, ci forniscono la
dimostrazione in vitro del filo rosso che
lega il referendum alla guerra e dei nessi fra l’appassimento della
democrazia, frutto inevitabile del
maggioritario, e la perdita di beni di valore inestimabile, quali il
diritto alla pace. e ad un ordinamento
internazionale fondato sulla giustizia e la collaborazione pacifica
fra le Nazioni, anziché sulla forza. Coloro
che in questo momento si stanno mobilitando per la pace, debbono rendersi
conto quanto sia pericolosa la
strada politico-istituzionale proposta dai referendari. In un sistema
in cui le due coalizioni, di fronte al
problema della guerra si sono trasformate in un partito unico, ed esprimono
un pensiero unico, proporre
un sistema politico che esclude le minoranze, che scaccia dal Palazzo
le voci di dissenso, che strangola il
pluralismo, significa impedire che gli elettori possano concorrere
a determinare la politica nazionale con
riferimento ad un bene (la pace per l’appunto) che costituisce il valore
supremo per la vita di una
collettività organizzata, poiché da quel bene dipende
la libertà, la felicità e l’esistenza stessa delle
Nazioni.Per questo nei pochi giorni che ancora ci separano dal 18 aprile
dovremo intensificare la
mobilitazione e la lotta per respingere la proposta referendaria, convinti
che si tratta di un capitolo della
lotta per la democrazia e quindi per la pace.
Domenico Gallo