Speciale Referendum elettorale
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15/04/99
Emilio Colombo

Gli argomenti del fronte del No. Ma sono poi così irresistibili?

Diego Novelli, in un articolo apparso nel Sole 24 Ore del 14 aprile 1999, dal titolo "Una scheda-rompicapo e troppa disinformazione", espone le ragioni che dovrebbero indurre gli elettori a votare No (o ad astenersi?) al referendum elettorale del 18 aprile.
Proverò a commentare punto per punto le affermazioni di Novelli, omettendone gli argomenti manifestamente irrilevanti o infondati.

> Perché voterò no? Semplicemente perché non intendo essere imbrogliato,
> poiché il referendum escogitato da alcuni uomini politici in declino
> altro non è che un gigantesco imbroglio. È sufficiente prendere in mano
> il fac-simile (distribuito dal ministero degli Interni) per rendersi conto
> di che cosa si troveranno di fronte domenica, al momento del voto,
> gli elettori italiani: una maxi-scheda con su riportate le 117 frasi della
> legge vigente di cui si chiede l'abrogazione. È stato cronometrato che per
> leggere tutti i quesiti sottoposti al giudizio degli elettori, e riportati
> sulla scheda, sarebbero necessari sedici minuti.

L'imbroglio dunque, secondo Novelli, consisterebbe nell'abrogare 117 porcherie [questo è un mio giudizio] contenute nel Mattarellum. 117 disposizioni che -non dimentichiamolo- rendono non tanto incomprensibile il quesito, ma il sistema elettorale con cui attualmente sono eletti 155 deputati.

I Francesi, nel settembre 1992, si sono pronunciati con un referendum sulla ratifica del trattato di Maastricht, molto più complesso del nostro quesito elettorale. Il Governo francese, per l'occasione, distribuì a tutti gli elettori il testo del quesito, commentato in modo abbastanza imparziale, per consentire una scelta consapevole. Ma nessuno trattò gli elettori da imbecilli a causa della complessità della materia.
 

> Non è una cosa seria a partire dalla scheda e ci domandiamo come abbia
> potuto la Corte costituzionale ammettere una stramberia come questa.

E' scritto nella sentenza n. 13/1999, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1a serie speciale, n. 5, del 3 febbraio 1999.
Ne cito un estratto:

"[Il referendum], infatti, abrogando parzialmente la disciplina stabilita dal legislatore, per ciò che attiene alla ripartizione del 25% dei seggi, non la sostituisce con un'altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo, che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo né direttamente costruire (sentenza n. 36 del 1997), ma utilizza un criterio specificamente esistente (sia pure residuale) e rimasto in via di normale applicazione nella specifica parte di risulta della legge oggetto del referendum (art. 77, numero 3).

In definitiva, caducati, come effetto della proposta abrogazione referendaria, le liste, il voto di lista e la ripartizione del 25% dei seggi secondo il metodo proporzionale collegato alle liste stesse, rimarrebbe, con il contenuto prescrittivo proprio, il criterio per l'attribuzione dei seggi in base alla cifra individuale di ogni candidato, criterio che continuerebbe ad applicarsi con le modalità consentite dal sistema residuo."
 

> Se poi entriamo nel merito l'imbroglio risulta plateale.
> Infatti i sostenitori del "sì" vogliono far credere, ad esempio,
> che con il voto di domenica si è chiamati a scegliere tra
> maggioritario e proporzionale, il che non è vero. Si tratta
> semplicemente di una diversa ripartizione del 25% assegnato
> con il proporzionale, attraverso il ripescaggio dei candidati
> sconfitti nei collegi uninominali. Si potrebbe verificare addirittura
> l'ipotesi che le forze vincenti nell'uninominale si vedano surclassate
> da quelle perdenti attraverso questo perverso marchingegno. Non solo,
> ma i ripescaggi potrebbero essere più di uno nel corso di una legislatura
> (in caso di morte o di dimissioni di un parlamentare) rimettendo in
> discussione ogni volta gli equilibri tra maggioranza e opposizione.

Dicendo ciò, Novelli contesta implicitamente anche la vigente legge elettorale per il Senato della Repubblica, in base alla quale 83 seggi (circa il 25% del totale) sono attribuiti ai migliori perdenti nei collegi uninominali, e dove la surrogazione del senatore può avvenire con un candidato di un partito diverso.
 

> I referendari dicono che con la vittoria dei "sì" si eviteranno
> in futuro i ribaltoni, i passaggi da un gruppo all'altro e soprattutto
> la frantumazione della rappresentanza in Parlamento. Tutto falso.

La migliore garanzia contro i ribaltoni è un sistema elettorale che porti in Parlamento chi ha i voti degli elettori. Con il sistema elettorale di risulta, non ci saranno più liste proporzionali bloccate a garantire l'elezione dei candidati impresentabili. Ricordo, peraltro, che il sistema elettorale progettato a casa Letta nell'ormai lontano giugno 1997, allora contestato soltanto da chi poi ha promosso questo referendum (leghisti a parte), prevedeva l'elezione addirittura del 45% dei deputati in base a liste proporzionali bloccate e con un "premio di maggioranza" copiato direttamente dalle leggi Acerbo del 1923 e cd. truffa del 1953.
 

> Le maggioranze potranno anche dopo il referendum essere ribaltate,
> poiché non esiste vincolo di mandato per i parlamentari (articolo
> 67 della Costituzione), quindi trasferimenti dei singoli e le
> transumanze di interi gruppi si verificheranno secondo la
> "sensibilità" degli eletti.

Il divieto di mandato imperativo è una garanzia della libertà del parlamentare, non una garanzia di irresponsabilità. Ovvero, scaduto il mandato, il parlamentare deve ripresentarsi agli elettori per dimostrare di meritarne ancora il voto. Sennò, a che servirebbero le elezioni periodiche?
 

> Mario Segni, in buona compagnia con Emma Bonino (sponsorizzata
> da una singolare cordata nientemeno che per la Presidenza della
> Repubblica) ha già dichiarato che in caso di vittoria dei "sì"
> il referendum avrà un valore autoapplicativo, cioè, non potrà
> essere successivamente fatta una nuova legge elettorale,
> esattamente il contrario di quanto ha dichiarato in questi giorni
> Walter Veltroni il quale ha sostenuto che la vittoria dei "sì"
> «significherà la volontà degli elettori per il doppio turno».
> La Bonino, in omaggio al ruolo da lei medesima attribuitosi di
> "garante della legge" accettando l'investitura per il Quirinale,
> è giunta ad affermare che il Parlamento «non è più legittimato
> a modificare il testo della legge risultante dal referendum».

E' la Corte costituzionale (cit. sent. 13/99) che ha riconosciuto il carattare autoapplicativo del referendum:

"In realtà il quesito è formulato in modo da poter realizzare l'abrogazione parziale della legge elettorale nei sensi suindicati ed insieme a fare sì che la normativa residua, cioè quella risultante dopo l'eventuale abrogazione, sia immediatamente applicabile, consentendo la rinnovazione in qualsiasi momento dell'organo rappresentativo, condizione indispensabile per i referendum nella materia delle elezioni delle assemblee parlamentari (da ultimo, sentenza n. 26 del 1997)."

Nel 1991, il Parlamento (eletto con la proporzionale e il voto di preferenza multipla), in seguito al referendum che aveva abolito la preferenza multipla, cercò di reintrodurre la preferenza multipla. Nel 1993, abbiamo avuto la legge Mattarella. E' più che legittimo sospettare che i sostenitori del no (o dell'astensione), in caso di successo del referendum, cerchino di pasticciare in parlamento il risultato referendario.
 


 

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