L’Italia flessibile: economia, costi sociali e diritti di cittadinanza
Sommario

Premessa di Augusto Graziani

Introduzione

  1. Riccardo Fiorentini: Vincolo valutario e traiettorie di sviluppo
  2. Andrea Fumagalli: Flessibilità o precarizzazione del lavoro? Estendere le tutele e le garanzie (di lavoro e di reddito) fa bene alla salute di tutti
  3. Laura Chies: Attenuazione delle regole e ricerca del bene comune? Alternative credibili alla flessibilità come strumento di sviluppo occupazionale
  4. Stefano Palombarini: Riforme istituzionali, tutela del lavoro e conflitto sociale
  5. Marco Rangone: Rischio e responsabilità dell'azione economica. La ricerca della flessibilità come processo di creazione intenzionale di costi sociali
  6. Paolo Ramazzotti: Economia vincolata o democrazia ostacolata? Strategie d’impresa, saperi e libertà
  7. Marco Almagisti, Gianni Riccamboni: Diritti di cittadinanza e qualità della democrazia
 

 

Introduzione§

La pubblicazione del Libro Bianco sul Mercato del Lavoro ha suscitato una gran vivacità di commenti. La decisione con la quale si sosteneva la necessità di liberalizzare fino in fondo il mercato del lavoro in Italia ha dato luogo a sentimenti contrastanti nella pubblicistica nonché nei sindacati. Il fatto è che il mercato del lavoro è il luogo ove più forte si manifesta un dilemma, quello di conciliare la presunta efficienza dei mercati con principi extra-economici di equità e giustizia sociale.

La centralità assegnata a questo dilemma porta molti commentatori a interpretare le vicende economiche nei termini seguenti. Se la crescita economica è sostenuta, esistono risorse sufficienti per compensare gli effetti dell’operare di un mercato il cui funzionamento non sia efficiente. In queste circostanze non si presenta la necessità di scegliere. Viceversa, quando l’economia ristagna e, magari, la concorrenza internazionale risulta vivace, i vincoli alla crescita si fanno stringenti e il conflitto fra i due obiettivi si manifesta per intero. A questo punto la scelta è, per certi versi, obbligata: ostacolare la crescita, infatti, precluderebbe la realizzazione di qualsiasi altro obiettivo.

Alla luce di questa chiave di lettura, si potrebbe tracciare una mappa del dibattito politico in termini dell’enfasi che viene data ai due corni del dilemma. Ad un estremo vi sarebbero i rigorosi – i lungimiranti – i quali ritengono necessario intraprendere politiche antipopolari pur di favorire una ripresa della crescita e realizzare condizioni più favorevoli per il futuro. All’altro estremo figurerebbero i sognatori – nonché conservatori – i quali si ostinano a difendere diritti sociali incompatibili con i vincoli fissati dai mercati. In mezzo figurerebbero i moderati, coloro i quali, pur consapevoli della necessità di intervenire sul funzionamento del mercato del lavoro, ritengono opportune misure che riducano i costi sociali associati a tali interventi.

I lavori qui raccolti partono tutti dal presupposto che la chiave di lettura appena descritta sia fuorviante se non del tutto sbagliata. Lo fanno sulla base di due premesse di fondo, distinguibili a livello concettuale ma pur sempre legate fra loro. La prima è che non ha senso pensare a come intervenire sul sistema produttivo se non comprendendolo in termini di un processi storico in atto. Diversamente da quanto sostiene il pensiero dominante, l’economia non ha regole valide una volta per tutte, i mutamenti di volta in volta osservabili non sono epifenomeni. Il primo obiettivo che ci si propone, quindi, è di collocare ed interpretare le politiche di flessibilizzazione del mercato del lavoro in un contesto di trasformazioni economiche ed istituzionali che, pur nell’ambito di un’economia mondiale, riguardano il sistema economico e politico italiano. In questa prospettiva i primi tre saggi ripercorrono la recente storia economico-istituzionale dell’Italia. Riccardo Fiorentini si sofferma sul modo in cui si è perseguita la competitività e sui problemi di lungo periodo che tale strategia comporta. Andrea Fumagalli affronta i mutamenti verificatisi nel mercato del lavoro per effetto della strategia di deregolamentazione e delle trasformazioni introdotte nell’organizzazione del lavoro. Stefano Palombarini, infine, colloca lo scontro sulle tutele sociali all’interno del processo di transizione politico-istituzionale iniziato nel ’92.

La seconda premessa è che non è possibile individuare regole economiche disgiunte da un contesto istituzionale. Contrariamente a quanto vorrebbe il pensiero dominante, le misure da prendere non possono venire individuate sulla base della difformità che si osserva fra lo stato di cose esistenti e un mondo ideale prefigurato nei manuali di economia. Il problema, semmai, è di capire il profondo intreccio che esiste fra sistema sociale e sistema economico, non anteponendo il secondo al primo. Si collocano in questo ambito il saggio di Marco Rangone e quello di Laura Chies. Il primo argomenta che la flessibilità si configura non come uno strumento per accrescere l’efficienza del sistema economico bensì come una privatizzazione, a carico dei lavoratori, dei costi sociali determinati dalle imprese. Il secondo, sviluppando la riflessione, osserva che la flessibilità impone costi rilevanti anche su queste ultime e si sofferma sulla praticabilità di politiche alternative.

Dovrebbe risultare intuitivo, alla luce di queste premesse, che ha senso parlare di efficienza economica solo in relazione a precisi obiettivi, quindi in relazione alla giustizia sociale che si intende perseguire. D’altra parte, quest’ultima non può venire pensata se non in relazione a criteri etici che ben difficilmente possono essere ricondotti alla sola sfera economica. La distinzione fra queste due dimensioni può essere utile sul piano concettuale, per isolare alcuni aspetti di un problema, ma costituisce una forzatura quando si neghi la loro interdipendenza e si ritenga possibile intervenire sull’una prescindendo dall’altra. Gli ultimi due saggi si propongono di evidenziare questa interdipendenza, soffermandosi sul profondo nesso che esiste fra relazioni economiche, diritti sociali e democrazia. Marco Almagisti e Gianni Riccamboni argomentano che è fuorviante contrapporre i diritti di cittadinanza, elemento qualificante di una democrazia, ai vincoli di competitività attribuiti alla globalizzazione economica. Paolo Ramazzotti indica come i processi di flessibilizzazione rientrino in un processo di crescente autonomizzazione dell’economia i cui effetti, oltre che deleteri per il sistema produttivo, comportano gravi rischi per il processo democratico.

I saggi qui presentati non hanno la pretesa di fornire un quadro esaustivo delle problematiche che la flessibilizzazione del mercato del lavoro introduce nel dibattito economico politico. Vogliono, però, proporre una lettura delle vicende in esame che si allontana notevolmente dalla saggezza convenzionale del pensiero dominante. In primo luogo argomentano che l’attuale tentativo di accrescere la competitività del sistema non passa per una riqualificazione delle imprese e dell’economia nel suo insieme ma per un’azione ridistributiva: i costi sociali di un sistema che non viene regolato sono scaricati sui lavoratori sotto forma di disoccupazione e precarietà. In secondo luogo gli studi suggeriscono che le forti iniquità cui sta dando luogo il processo di flessibilizzazione sono associate a un tendenziale degrado della struttura produttiva italiana: se volessimo rifarci al dilemma descritto sopra, dovremmo dire che si delinea una combinazione di inefficienza e iniquità.

I processi qui delineati danno luogo ad una dispersione delle conoscenze individuali che pregiudica la possibilità di formulare decisioni secondo i principi della democrazia formale. A tale dispersione fa da contrappunto la visione unificante che, della realtà, tende a fornire la logica di mercato. Il risultato è che l’obiettivo del profitto monetario diviene il filo conduttore dei processi cognitivi degli individui. A priori questa potrebbe essere una scelta accettabile. Il fatto è che la crescente autonomizzazione che viene ad avere l’economico rispetto al sociale finisce per pregiudicare quei principi di solidarietà che fino ad oggi hanno fondato la costituzione materiale del paese. La disgregazione del tessuto connettivo della società potrebbe innescare processi assai preoccupanti.

Viene naturale chiedersi a quali proposte di intervento conduca una simile lettura dei processi in atto. La questione viene affrontata in più di uno dei lavori, talvolta con proposte specifiche, talaltra con ipotesi generali. L’elemento che accomuna i lavori è, comunque, che non si tratta di individuare politiche che modifichino al margine una situazione data per acquisita. Si tratta di invertire una tendenza cui concorrono la politica macroeconomica, la politica industriale, le politiche previdenziali e quelle del lavoro, tanto per menzionare le più note.

È facile ritenere che singoli interventi, presi isolatamente, verranno contrastati e, magari, vanificati dalle reazioni di un sistema che, nonostante tutto, ha una sua coerenza interna. È peraltro poco plausibile che il sistema possa trasformarsi integralmente in tempi brevi. Più rilevante sembra la necessità di pensare interventi che concorrano a ostacolare la suddetta tendenza all’autonomizzazione della sfera economica da quella sociale. Proprio per questo il processo da prefigurare non può che essere ad un tempo economico e sociale. Politiche specifiche, negli ambiti summenzionati, devono affiancarsi ad un processo di rimessa in discussione non solo delle cosiddette compatibilità di mercato ma anche di un sistema dei saperi nel quale quel mercato finisce per svolgere la funzione di unico elemento unificante.

Di un simile processo deve far parte una riflessione teorica che superi la separazione fra una logica di mercato a sé stante, magari corretta per tenere conto delle asimmetrie informative, e un contesto storico-istituzionale che, nel migliore dei casi, produce perturbazioni sulle relazioni economiche. Occorre, invece, adoperarsi per una teoria che aiuti a cogliere il nesso che passa fra una democrazia sostanziale – lo strumento per la realizzazione della libertà sulla base delle capacità – e il connesso percorso di ricerca di nuovi confini fra l’economico e il sociale.