Lavoratori senza diritti di cittadinanza
È giusto o no estendere il diritto al reintegro del lavoratore
licenziato senza giusta causa a tutti i lavoratori, indipendentemente dalle
dimensioni e dalla natura dell'impresa?
A questa domanda, i contrari al referendum rispondono sollevando tutta
una serie di questioni riguardanti il mercato del lavoro, la particolarità
delle piccole imprese, ecc. ecc.
La logica che sottende a questo tipo di approccio è sin troppo
semplice: i diritti di cittadinanza sono una cosa; i diritti dei lavoratori
un'altra. Per cui, è possibile ammettere diversi regimi di trattamento,
sia per i datori di lavoro come per i prestatori d'opera, per la riparazione
del danno eventualmente arrecato da comportamenti illegittimi.
Ma i lavoratori e i datori di lavoro, come i consumatori o i pedoni
sfortunatamente investiti dai pirati della strada, non dovrebbero essere,
prima di tutto, cittadini con eguali diritti e doveri?
No, per i lavoratori delle imprese sino a 15 dipendenti si è
deciso che non è così: il sacrosanto diritto ad essere risarciti,
con gli stessi parametri di misura, per i danni subiti ingiustamente, è
infatti negato soltanto dall'eccezione costituita dai lavoratori delle
piccole imprese che non possono usufruire dell'art. 18.
Per questi, i conti non si fanno sulla base dell'atto illegittimo compiuto
e sullo status del danneggiato, ma sulla base dello status e, soprattutto,
delle convenienze del soggetto che compie l'atto illegittimo.
La sanzione per il danno arrecato è diversa da soggetto a soggetto
e dipende dalle condizioni soggettive del soggetto che procura il medesimo
danno. Ma non solo: è il soggetto che viola le regole che sceglie
la "sanzione" da pagare; e può sceglierla tra il risarcimento totale
del danno, riassunzione, e il niente costituito dalle 2,5-6 mensilità
d'indennizzo da pagare.
E meno male che la legge dovrebbe essere uguale per tutti.