il manifesto - 15/03/2003
Art. 18, si vota il 15 giugno
Il governo dice no all'«election day»: alle urne dopo le
amministrative. Patta: «Adesso la Cgil indichi il sì»
Il governo ha deciso la data: non sarà «election day».
Il referendum per l'estensione dell'articolo 18 si svolgerà in un
giorno diverso dalle amministrative, il prossimo 15 giugno (la data viene
proposta al presidente della Repubblica, dunque tecnicamente non è
ancora definitiva). Uno dei primi a commentare la notizia è stato
il ministro del welfare Maroni, che invece aveva proposto al consiglio
dei ministri di accoppiare la data delle amministrative: «Avevo proposto
l'election day per raggiungere il quorum e sgombrare finalmente il campo
da questo macigno (l'articolo 18, ndr), altrimenti il risultato
è che non si raggiunge il quorum e vanno a votare solamente quelli
che votano sì». Maroni ha chiamato tutte le forze del centrodestra
all'impegno per il no, aggiungendo di aver aderito al comitato costituito
appositamente dall'economista Renato Brunetta. E lo stesso invito è
venuto da Savino Pezzotta, segretario generale Cisl, che ieri si è
decisamente espresso per il no: «Dobbiamo fare in modo che il referendum
sull'articolo 18 fallisca - ha detto - Noi difenderemo il patto per l'Italia
e certamente non voteremo sì». Alle dichiarazioni del ministro
del welfare ha risposto il segretario generale Cgil Guglielmo Epifani:
«Maroni fa affermazioni di grande novità e pericolose. Ha
detto che il referendum è l'opportunità di cancellare l'articolo
18, e questo è grave per i diritti dei lavoratori». «Se
il governo portando avanti la delega toglierà l'articolo 18, il
sindacato ricorrerà allo strumento del referendum per ripristinare
questo diritto», ha continuato Epifani, ribadendo le proprie perplessità
rispetto al referendum di primavera: nel caso del referendum abrogativo,
«il voto è quello che deve essere, cioè uno strumento
di difesa», mentre il referendum del 15 giugno «diverrebbe
uno strumento per affermare e non di difesa. E un sindacato afferma le
sue posizioni con le riforme, non con le derive plebiscitarie». L'
estensione del diritti, ha aggiunto, è importante, «come l'
ampliamento degli ammortizzatori sociali di cui tanti lavoratori licenziati
oggi non usufruiscono. Abbiamo come punto di riferimento le nostre proposte
di riforma e i cinque milioni di firme raccolti. Come per tutte le grandi
riforme, l'orizzonte non può che essere di medio-lungo periodo».
E se hanno aderito al sì anche i professori del «Laboratorio per la democrazia» di Firenze (quelli di Pancho Pardi e Paul Ginzsborg, per intenderci), dal fronte del comitato promotore si esprime Gian Paolo Patta, della minoranza Cgil: «La scelta di non accorpare le date di referendum ed elezioni è indicativo del fatto che il governo ha paura che vincano i sì. Certo, l'elettorato dopo i due turni delle amministrative rischia di essere stressato, ma ormai si moltiplicano le adesioni e abbiamo fiducia: da diverse camere del lavoro della Cgil ai movimenti, mentre il tour di Billè per il "No day" è stato un flop in molte città. Per non tener conto dei sondaggi: l'ultimo di Datamedia indica che il 70% degli elettori voterebbe sì». «Adesso è fondamentale concentrarsi sulla vittoria del sì - continua Patta - e nonostante le gravi dichiarazioni di Pezzotta e di parte dei Ds contro il referendum, è importante che i partiti non facciano muro contro: d'altra parte, se Forza Italia o An non si pronunciano per il no, è perché non hanno su questo punto il consenso delle loro basi. E ora tocca alla Cgil: lunedì la segreteria fisserà la data del direttivo che deciderà sulla posizione. Penso che dovrà pronunciarsi per il sì, anche perché, se non si raggiungesse il quorum e vincessero i no, i suoi stessi referendum sulle deleghe non avrebbero la forza per vincere».