La Stampa - 25 aprile
Avanza il partito del non voto
Dagli industriali ai riformisti, seguendo 2 sondaggi
ROMA - La strategia è stata suggerita da due sondaggi riservati.
Commissionati un paio di settimane fa all’Abacus e a Datamedia, arrivano
a conclusioni simili. Primo: è molto, molto probabile che il referendum
sull’estensione dell’articolo 18 alle imprese con meno di quindici dipendenti
non raggiunga il quorum. Secondo: se il quorum venisse raggiunto, se cioè
andasse a votare più del 50 per cento degli italiani, i “sì”
stravincerebbero. Terzo: con un elettore su due che ancora non sa neanche
dell’esistenza della consultazione popolare, mobilitare l’opinione pubblica
favorevole al “no” sarebbe estremamente difficile. Ai vertici delle associazioni
imprenditoriali, Confindustria e Confartigianato in testa, è bastata
un’occhiata a grafici e tabelle per rendersi conto che stando così
le cose andare al muro contro muro sarebbe un errore. E che invece occorra
puntare al non raggiungimento del quorum, con una campagna soft. «Non
mettersi l’elmetto in testa e non pestare la coda al cane che, per ora,
dorme», sintetizzano nei corridoi di viale dell’Astronomia. Perché
radicalizzare lo scontro avrebbe l’effetto di compattare le schiere del
“sì” e spingere alle urne molti elettori che, invece, il 15 giugno
ai seggi avrebbero preferito il mare o la campagna. «Le scelte possibili
di fronte a una consultazione referendaria sono tre», spiega Guido
Bolaffi, segretario generale della Confartigianato, «si può
votare sì, si può votare no e si può scegliere di
non andare a votare. Noi siamo contrari agli appelli volgari a passare
la domenica in spiaggia, ma pensiamo che invece un atteggiamento di astensione
responsabile, dichiarandone in anticipo le ragioni e gli obiettivi, sia
assolutamente legittimo ed abbia la stessa dignità di quello di
chi decide di esprimere il voto. Tantopiù nel caso di un referendum
dannoso e decisamente abnorme, che soltanto in apparenza abroga una norma
come prevede la legge ma che in realtà la estende ad altri soggetti».
Il partito del non voto, o dell’astensione che dir si voglia, non si limita
però alle associazioni imprenditoriali e, anzi, raccoglie consensi
decisamente trasversali. Nel sindacato, innanzitutto. La Uil deciderà
il comportamento da tenere sul referendum il 9 maggio, ma il segretario
Luigi Angeletti ha criticato tanto il sì («non risolverebbe
il problema»), quanto il no («potrebbe essere letto come una
negazione del problema»). La possibilità di lasciare gli iscritti
liberi di scegliere come credono è stata esclusa espressamente dal
segretario aggiunto Adriano Musi. Dunque, sul tappeto resta solo l’astensione.
Su posizioni simili la Cisl che, spiega Savino Pezzotta, «punterà
al fallimento del referendum».
E un approccio “morbido” sembra piacere anche alla leadership riformista
dei Democratici di sinistra. Nella sede della Quercia di via Nazionale
le posizioni delle associazioni imprenditoriali vengono definite «interessanti».
Stretti fra la Margherita, coerentemente attestata a difesa della trincea
del “no”, e la minoranza di sinistra del partito schierata per il “sì”,
Fassino e D’Alema hanno tutto l’interesse a non alzare i toni dello scontro.
E, soprattutto, a ritardare il momento della scelta. Con l’intento di depotenziare
un referendum che il segretario ds ha definito «un grave errore»
e di non presentarsi lacerati e divisi durante la campagna elettorale per
le amministrative del 25 maggio. Resta da vedere che cosa deciderà
di fare Silvio Berlusconi. Il sondaggio di Datamedia, che è noto
anche a Palazzo Chigi, nelle sue conclusioni raccomanda espressamente al
governo di non partire lancia in resta in una crociata che potrebbe essere
controproducente. Ma il premier è imprevedibile e nelle ultime settimane
ha dimostrato di voler sfruttare il delicato momento del centrosinistra
seguito alla fine della guerra in Iraq. Potrebbe puntare perciò
a sottolineare le divisioni dell’opposizione su un tema come quello del
lavoro. Anche a costo di essere il solo a mettersi l’elmetto.