La Stampa - 8 maggio
Sì al referendum, la Cgil si schiera con Epifani
Dissenso dei «fassiniani» e «cofferatiani»:
non hanno partecipato al voto
ROMA - Tutto come previsto: la Cgil segue con una larghissima maggioranza
il segretario generale, e si schierà per il «sì»
al referendum per l’estensione delle tutele dell’articolo 18 contro i licenziamenti
senza giusta causa. Non è facile immaginare se l’impegno del principale
sindacato italiano contribuirà a permettere di raggiungere il quorum
(e lo stesso Guglielmo Epifani continua a pensare che non sia alla portata),
necessario per rendere valido il risultato. Certo è che a questo
punto per il sindacato di Corso d’Italia un esito elettorale particolarmente
negativo rappresenterebbe una dura batosta. Sarebbe la fine per i progetti
di riforma per via legislativa della disciplina dei licenziamenti vagheggiati
dalla Cgil, e diventerebbe una partita quasi persa in partenza anche il
progettato referendum contro i provvedimenti del governo in tema di mercato
del lavoro. E, va da sé, molti avrebbero gioco facile a mettere
in discussione la strategia attuata (tra qualche mugugno) dal segretario
generale Epifani. Per adesso Epifani ha visto ampiamente premiata la sua
decisione, che definisce «inevitabile» e di «buon senso».
Davvero ridotti, anche se di peso politico, i dissensi emersi nel Parlamentino
Cgil. Dei 158 componenti, erano presenti 140. Solo due gli ordini del giorno
presentati: 127 i voti a favore di quello del segretario (votata anche
dalla minoranza congressuale vicina al Pdci e Rifondazione), mentre il
genovese Grondona (militante storico di Lotta Comunista) ha votato il suo,
per una piena adesione al referendum. I «fassiniani» e i «cofferatiani»
hanno alla fine ritirato gli ordini del giorno che avevano presentato,
e si sono limitati a dichiarare la non partecipazione al voto per marcare
il dissenso sulla questione del referendum. Cinque dirigenti «riformisti»
(il leader della Cgil milanese Panzeri, oltre a Megale, Amoretti, Castellano
e Combattente), sette i sindacalisti considerati vicini a Sergio Cofferati:
quattro segretari confederali (Casadio, Passoni, Chezzi e Maulucci), il
leader di Firenze Gramolati, i numero uno dei tessili, Fedeli, e degli
atipici, Viafora, e l’esperto di previdenza Lapadula. Epifani, nel corso
della conferenza stampa seguita al Direttivo, non ha nascosto la sua soddisfazione
e, nonostante la scelta del sì sia diversa da quella di Cisl e Uil,
ha teso la mano alle confederazioni guidate da Savino Pezzotta e Luigi
Angeletti. Quella presa oggi, ha detto, «non è stata una scelta
di convenienza, ma una scelta responsabile e di coerenza» per sostenere
le proposte di riforma sulle quali la Cgil ha raccolto 5 milioni di firme.
Per sostenere questa scelta, ha quindi sottolineato, la confederazione
«starà in campo con la sua autonomia»: dunque, «non
entrerà nei comitati per il sì già esistenti»,
e condurrà una campagna «con le sue parole d'ordine».
«Non ci stupiamo - dice Epifani - se le organizzazioni imprenditoriali
invitano a votare "no", non ci stupiamo se i partiti che hanno forme di
rappresentanze complesse, danno altre indicazioni. Allora, non ci si stupisca
se noi che rappresentiamo chi lavora, diciamo sì». E Cofferati?
Intervistato da «Radio Popolare», Epifani nega una contrapposizione:
«Sergio può scegliere sulla base di un proprio convincimento
personale. Il mio è un problema diverso: da segretario della Cgil
devo tener conto di quelle che in Cgil sono le spinte di chi rappresento».
Infine, un giudizio di grandissima preoccupazione per l’attacco di Berlusconi
alla magistratura, che crea il rischio di un «corto circuito istituzionale».
E mentre la Uil darà indicazione di astensione al referendum, molto
critico è il giudizio del ministro del Welfare Roberto Maroni sulla
scelta della Cgil per il «sì». Maroni esprime «grande
preoccupazione», parla di decisione «figlia del radicalismo
avventurista della segreteria Cofferati», che «rischia di creare
danni irreparabili al sistema economico italiano, in particolare alle piccole
e medie imprese, sopra le quali si materializza lo spettro di un'inevitabile
chiusura». «La decisione della Cgil - prosegue Maroni - conferma
che ancora una volta ha prevalso un atteggiamento pregiudiziale di chiara
natura politica rispetto alle ragioni di merito sulle quali la stessa Cgil
non aveva mancato di esprimere le sue perplessità. Questa decisione
- sottolinea il ministro - rende più complicata la ricerca di un
dialogo utile e costruttivo con la Cgil». Al contrario, Fausto Bertinotti
esulta: «la scelta della Cgil di votare sì al referendum è
di grande importanza. E lo è tanto più perchè essa
è stata fatta dopo un percorso del tutto autonomo e dopo una autonoma
valutazione sociale e politica».
Roberto Giovannini