Riforme Istituzionali
Referendum 2003
 
Rassegna stampa
 
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Sinistra Giovanile a Confronto

il manifesto - 10 maggio

Con gli esclusi senza sì e senza no
 
     Stefano Fancelli (Presidente nazionale Sinistra giovanile)
 
La Sinistra giovanile concorda con coloro che ritengono che questo referendum sia rivolto contro il sindacato e la sinistra. L'uso dei referendum per questioni concernenti i diritti dei lavoratori e il mercato del lavoro è a nostro avviso dannoso perché svuota il ruolo delle rappresentanze sociali, contribuisce alla demolizione delle strutture intermedie di rappresentanza (perseguita dal Governo con il ricorso alle deleghe e con l'accantonamento della concertazione) e si sostituisce al dialogo tra le parti sociali e al loro autonomo confronto col Parlamento. Oggetto del referendum è l'estensione del reintegro obbligatorio alle piccole imprese: uno strumento di tutela del diritto, garantito a tutti i lavoratori a tempo indeterminato, a non essere licenziati senza giusta causa. L'ipotesi di uniformazione della tutela in caso di licenziamento ingiustificato è stata scartata storicamente dal movimento sindacale, proprio sulla base della specificità delle piccole imprese: quella specificità resta e ad essa si aggiungono per quelle imprese nuovi problemi come l'accesso al credito, la formazione dei dipendenti, l'estensione degli ammortizzatori sociali.

Questo referendum non fa i conti con i mutamenti del mercato del lavoro, con i 700 mila lavoratori interinali, con i 2 milioni di CoCoCo: lavoratori lontani, purtroppo, dalle forme tradizionali di rappresentanza politica e sociale e esclusi dall'attuale sistema di tutele e dal welfare. Sono quei lavoratori che con il loro contratto di collaborazione non sono in condizione di affittare da soli una casa o comprare un motorino a rate, che hanno insufficienti tutele anche in caso di maternità, paternità, infortunio o malattia; sono quelli che avranno una pensione inferiore ai 100 euro mensili: per loro il referendum è inutile, o peggio dannoso perché può aumentare il ricorso ai lavori precari o al lavoro nero. La scelta tra Sì o No è una scorciatoia: questi lavoratori hanno bisogno di tutele comuni a tutti ma «ritagliate» sulle loro condizioni specifiche, definite per legge o con i contratti, hanno bisogno di un welfare che li includa e non li lasci in balìa delle disuguaglianze familiari.

Il comitato degli esclusi dal referendum è uno strumento con il quale dare loro voce. La Sinistra giovanile ha un obiettivo preciso, coerente con la propria autonomia e identità e con il percorso che ci ha visti in piazza e nel movimento in questi mesi: sfidare la sinistra a uscire dalle sterili divisioni e lotte tra ceto politico (di cui questo referendum è figlio) e rispondere alle domande della nostra generazione.

La nostra proposta vuole provocare questa discussione non più rimandabile. E se le sollecitazioni che poniamo da anni, incontrano una risposta nella «Carta dei diritti» proposta dai Ds, noi la sottoscriviamo, perché non siamo un logo. Dietro il brand Sinistra giovanile, osservando senza pregiudizi o senza ansie di collocazione nello sterile dibattito interno ai Ds, si possono trovare valori e la loro traduzione in azione politica.



 
il manifesto - 15 maggio
 
Un referendum democratico
Il 15 giugno può diventare l'occasione per rilanciare la partecipazione democratica. Nello spirito dei movimenti, da Genova a Firenze.
 
   Francesco Iritale (Coordinatore segreteria regionale Sinistra giovanile Abruzzo)
 
Il referendum per l'estensione dell' articolo 18 ai lavoratori delle piccole imprese rappresenta un appuntamento tanto insidioso quanto importante per la sinistra ed esprimere un'indicazione di voto netta e definitiva non è certo una scelta semplice. Conosciamo tutti le motivazioni che hanno spinto parte dei promotori a sostenere questo quesito che potrebbe alla fine rivelarsi un vero e proprio boomerang contro quello stesso movimento che, nell'anno appena trascorso, ha difeso l'art.18 e ha combattuto, scendendo in piazza in numerosi appuntamenti, le politiche liberiste del governo Berlusconi. Tuttavia per questo referendum sono state raccolte la firme necessarie, la corte costituzionale ha espresso il giudizio di ammmissibilità e tra pochi giorni milioni di italiani saranno chiamati alle urne per decidere su un tema che, volente o nolente, inciderà sulla vita di milioni di lavoratori. Non credo che la Sinistra giovanile possa esprimere una posizione astensionista perché non appartiene alla nostra tradizione storica e culturale l'invito a non discutere ed esprimersi. Meno che mai questo può valere per un'organizzazione come la nostra che dedica numerose energie nel favorire la partecipazione politica dei giovani. Al contrario, soprattutto negli ultimi anni, forse anche grazie agli sforzi di chi come noi ha deciso di continuare a fare politica anche quando in pochi erano disposti ad impegnarsi, abbiamo assistito ad un ritorno massiccio alla partecipazione politica da parte delle nuove generazioni che si sono mostrate disposte a mobilitarsi a patto di comprendere i processi in atto, di cogliere i nodi della posta in gioco e soprattutto di potere esprimere nei luoghi più disparati il proprio diritto alla critica. Almeno questo è per me la lezione principale che dobbiamo apprendere dagli svariati appuntamenti di Genova, Porto Alegre, Firenze... Dunque contro ogni tentativo di abbassare i toni su questa discussione credo sia opportuno utilizzare questa campagna referendaria soprattutto per discutere, approfondire, analizzare con i nostri coetanei i processi di trasformazione del mercato del lavoro e le necessarie ed inevitabili conseguenze politiche.

Per quanto riguarda il merito del referendum ritengo che non possiamo fare altro che invitare i cittadini a votare si. Qualora, infatti, dovesse prevalere il no si fornirebbe un ulteriore legittimità al governo Berlusconi a proseguire nell'opera di smantellamento dei diritti dei lavoratori in atto con la legge 30 e con il disegno di legge 848bis. Una vittoria dei si, al contrario, fornirebbe nuova linfa al fronte di chi in questi anni in parlamento, nelle piazze, nelle fabbriche e nelle scuole ha combattuto l'impianto liberista delle politiche del governo. E' chiaro che il referendum non basta, che è necessario avanzare proposte legislative di modifica del quadro normativo esistente nella direzione dell'estensione ma anche della creazione di nuovi diritti per i lavoratori delle piccole imprese e degli atipici a partire da una seria riflessione sulla centralità della formazione continua come fondamentale diritto all'accesso e al successo per ciascuno. Ma il punto è che noi oggi siamo di fronte ad una scelta difficile. Pongo a tutti coloro che nella Sg hanno espresso posizioni contrarie per il referendum i seguenti interrogativi: «Se vincesse il no o una bassa partecipazione incoraggiasse (anche se non ha bisogno di incoraggiamento) il Governo nel procedere sulla strada della riduzione dei diritti e della precarizzazione, le nostre proposte - a partire dalla carta dei diritti dell'Ulivo per i lavoratori atipici in cui ci riconosciamo - sarebbero più forti o più deboli nel paese? La nostra credibilità maggiore o minore tra quei giovani precari a cui diciamo oggi di infischiarsene delle tutele di altri giovani e dei loro padri? Non rischiamo, con l'argomentazione che poiché un'azione finalizzata comunque all'estensione dei diritti porterebbe a maggior precarietà, a trovarci culturalmente subordinati proprio a quella logica dei figli contro i padri che noi abbiamo sempre rifiutato?» Vi invito in questo senso a riflettere sulle posizioni espresse dal prof. Andrea Fumagalli sul sito della Fondazione Di Vittorio. Sosteniamo dunque i lavoratori in questa difficile battaglia e sfruttiamo questa occasione per discutere approfonditamente sulle riforme del mercato del lavoro e soprattutto per dimostrare all'esterno che non siamo solo un brand del partito.



 
Indice Referendum 2003