Con gli esclusi senza sì e senza no
Stefano Fancelli (Presidente nazionale
Sinistra giovanile)
La Sinistra giovanile concorda con coloro che
ritengono che questo referendum sia rivolto contro il sindacato e la sinistra.
L'uso dei referendum per questioni concernenti i diritti dei lavoratori
e il mercato del lavoro è a nostro avviso dannoso perché
svuota il ruolo delle rappresentanze sociali, contribuisce alla demolizione
delle strutture intermedie di rappresentanza (perseguita dal Governo con
il ricorso alle deleghe e con l'accantonamento della concertazione) e si
sostituisce al dialogo tra le parti sociali e al loro autonomo confronto
col Parlamento. Oggetto del referendum è l'estensione del reintegro
obbligatorio alle piccole imprese: uno strumento di tutela del diritto,
garantito a tutti i lavoratori a tempo indeterminato, a non essere licenziati
senza giusta causa. L'ipotesi di uniformazione della tutela in caso di
licenziamento ingiustificato è stata scartata storicamente dal movimento
sindacale, proprio sulla base della specificità delle piccole imprese:
quella specificità resta e ad essa si aggiungono per quelle imprese
nuovi problemi come l'accesso al credito, la formazione dei dipendenti,
l'estensione degli ammortizzatori sociali.
Questo referendum non fa i conti con i mutamenti del mercato del lavoro, con i 700 mila lavoratori interinali, con i 2 milioni di CoCoCo: lavoratori lontani, purtroppo, dalle forme tradizionali di rappresentanza politica e sociale e esclusi dall'attuale sistema di tutele e dal welfare. Sono quei lavoratori che con il loro contratto di collaborazione non sono in condizione di affittare da soli una casa o comprare un motorino a rate, che hanno insufficienti tutele anche in caso di maternità, paternità, infortunio o malattia; sono quelli che avranno una pensione inferiore ai 100 euro mensili: per loro il referendum è inutile, o peggio dannoso perché può aumentare il ricorso ai lavori precari o al lavoro nero. La scelta tra Sì o No è una scorciatoia: questi lavoratori hanno bisogno di tutele comuni a tutti ma «ritagliate» sulle loro condizioni specifiche, definite per legge o con i contratti, hanno bisogno di un welfare che li includa e non li lasci in balìa delle disuguaglianze familiari.
Il comitato degli esclusi dal referendum è uno strumento con il quale dare loro voce. La Sinistra giovanile ha un obiettivo preciso, coerente con la propria autonomia e identità e con il percorso che ci ha visti in piazza e nel movimento in questi mesi: sfidare la sinistra a uscire dalle sterili divisioni e lotte tra ceto politico (di cui questo referendum è figlio) e rispondere alle domande della nostra generazione.
La nostra proposta vuole provocare questa discussione
non più rimandabile. E se le sollecitazioni che poniamo da anni,
incontrano una risposta nella «Carta dei diritti» proposta
dai Ds, noi la sottoscriviamo, perché non siamo un logo. Dietro
il brand Sinistra giovanile, osservando senza pregiudizi o senza
ansie di collocazione nello sterile dibattito interno ai Ds, si possono
trovare valori e la loro traduzione in azione politica.
Per quanto riguarda il merito del referendum ritengo che non possiamo fare altro che invitare i cittadini a votare si. Qualora, infatti, dovesse prevalere il no si fornirebbe un ulteriore legittimità al governo Berlusconi a proseguire nell'opera di smantellamento dei diritti dei lavoratori in atto con la legge 30 e con il disegno di legge 848bis. Una vittoria dei si, al contrario, fornirebbe nuova linfa al fronte di chi in questi anni in parlamento, nelle piazze, nelle fabbriche e nelle scuole ha combattuto l'impianto liberista delle politiche del governo. E' chiaro che il referendum non basta, che è necessario avanzare proposte legislative di modifica del quadro normativo esistente nella direzione dell'estensione ma anche della creazione di nuovi diritti per i lavoratori delle piccole imprese e degli atipici a partire da una seria riflessione sulla centralità della formazione continua come fondamentale diritto all'accesso e al successo per ciascuno. Ma il punto è che noi oggi siamo di fronte ad una scelta difficile. Pongo a tutti coloro che nella Sg hanno espresso posizioni contrarie per il referendum i seguenti interrogativi: «Se vincesse il no o una bassa partecipazione incoraggiasse (anche se non ha bisogno di incoraggiamento) il Governo nel procedere sulla strada della riduzione dei diritti e della precarizzazione, le nostre proposte - a partire dalla carta dei diritti dell'Ulivo per i lavoratori atipici in cui ci riconosciamo - sarebbero più forti o più deboli nel paese? La nostra credibilità maggiore o minore tra quei giovani precari a cui diciamo oggi di infischiarsene delle tutele di altri giovani e dei loro padri? Non rischiamo, con l'argomentazione che poiché un'azione finalizzata comunque all'estensione dei diritti porterebbe a maggior precarietà, a trovarci culturalmente subordinati proprio a quella logica dei figli contro i padri che noi abbiamo sempre rifiutato?» Vi invito in questo senso a riflettere sulle posizioni espresse dal prof. Andrea Fumagalli sul sito della Fondazione Di Vittorio. Sosteniamo dunque i lavoratori in questa difficile battaglia e sfruttiamo questa occasione per discutere approfonditamente sulle riforme del mercato del lavoro e soprattutto per dimostrare all'esterno che non siamo solo un brand del partito.