Claudio Castelli
Magistratura democratica e il referendum sull'art. 18
Magistratura Democratica manifesta la sua forte preoccupazione per la
politica governativa in materia di lavoro, che, attraverso un serie di
interventi legislativi (da ultimo la legge delega n. 30/2003), tende a
ridurre le garanzie dei lavoratori, attraverso la sempre maggiore precarizzazione
dei rapporti, la preferenza per l'autonomia individuale a scapito della
protezione costituita dalla contrattazione nazionale e dalle norme inderogabili
di legge e la marginalizzazione della giurisdizione del lavoro, e a mettere
in discussione quindi la stessa ragion d'essere del diritto del lavoro.
Uno dei bersagli più importanti della controriforma del diritto
del lavoro è stato nell'anno passato l'art. 18 S.d.L. (reintegrazione
nel posto di lavoro nel caso di licenziamento illegittimo), e cioè
la norma che ha rappresentato una delle riforme fondamentali di democratizzazione
della società italiana, sottraendo milioni di lavoratori al ricatto
della perdita del posto e consentendo quindi l'effettiva esplicazione dei
diritti del lavoro, altrimenti di fatto spesso non esercitati e compressi.
Infatti, prima della sua introduzione erano pochissime le cause proposte
nel corso del rapporto di lavoro e lo stesso avviene ancora oggi per le
imprese fino a 15 dipendenti. Infatti, il lavoratore durante il rapporto,
senza lo scudo dell'art. 18, non faceva valere i propri diritti, né
individuali nè collettivi, per il timore di essere licenziato ed
era quindi soggetto a qualsiasi abuso da parte del datore di lavoro (analogamente
a quanto avviene nei rapporti precari, come il rapporto a termine, e per
i collaboratori economicamente dipendenti). La norma consente quindi leffettivo
esercizio dei diritti del lavoro, senza paura di eccessive ritorsioni,
ed ha quindi una portata generale, ben più ampia di quella che si
vuol far credere.
Il progetto governativo di modifica della norma nella nuova formulazione
contenuta nel "Patto per l'Italia (se ne sta discutendo in parlamento),
prevede una deroga all'applicazione della norma (mancato computo dei nuovi
assunti nel triennio ai fini dei limiti numerici), che è solo apparentemente
sperimentale e temporanea, ma che comporterebbe in realtà effetti
per molti anni a venire per le imprese che la utilizzeranno, e costituisce
quindi un pesante attacco ai diritti del lavoro e ai principi costituzionali
di tutela dei lavoratori, perché consente anche ad imprese di grandi
dimensioni la libera recidibilità.
Come è noto, nel 2002 in difesa dell'art. 18 si è schierata
una gran massa di lavoratori e cittadini, al di là degli steccati
della Cgil e dei partiti di sinistra, e quindi una vasta e compatta opposizione
della società civile alle riforme annunciate.
L'iniziativa referendaria di estensione del'art. 18 a tutti i lavoratori
anche nelle imprese sotto i sedici dipendenti, è stata avanzata
nel periodo più caldo delle manifestazioni contro la volontà
di ridurne la portata.
Md non condivide lo strumento referendario con riguardo ad un tema
che mal si presta ad una risposta secca per il si e per il no, essendo
più ragionevoli e giuste scelte intermedie di modulazione delle
tutele.
Md rileva, tuttavia, che l'iniziativa pone all'attenzione dell'opinione
pubblica un problema reale di tutele inadeguate, come è del tutto
inadeguata, ed anzi ancora minore, l'attuale tutela dei c.d. cococo (collaboratori
coordinati e continuativi). Infatti il limite numerico dei 15 lavoratori
per l'applicazione della norma appare ormai superata dalle modifiche intervenute
nel mondo del lavoro, poiché, per effetto dei processi di automazione
e per la diffusione del decentramento produttivo, tale numero non indica
più il limite delle piccole imprese personali o artigianali, per
le quali era stata ritenuta inopportuna la forzata reintegrazione nel posto
di lavoro, essendo ormai diffusissime le imprese con pochi dipendenti ma
di rilevante dimensione economica e di mercato.
Inoltre la tutela riservata agli ormai numerosissimi dipendenti delle
imprese sotto la soglia indicata è davvero irrisoria, ponendosi
fra l'altro in contrasto con l'art. 30 della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, essendo possibile, in caso di licenziamento ingiustificato,
anche un risarcimento di sole 2 mensilità e mezzo della retribuzione,
molto al di sotto del risarcimento che il lavoratore otterrebbe se il rapporto
di lavoro fosse un normale rapporto commerciale illegittimamente interrotto
(con il conseguente diritto all'intero danno emergente e lucro cessante),
che rende evidente l'accentuata precarietà di tali lavoratori esposti
costantemente al ricatto del licenziamento. E' urgente quindi una diversa
disciplina che garantisca un'effettiva tutela, eventualmente mediante una
sistema di valutazione delle dimensioni delle imprese non necessariamente
(o non solo) legate al numero dei dipendenti, ma anche ad esempio alle
capacità economiche.
Md in conclusione, pur non aderendo all'iniziativa, né a comitati
per il si, condivide la necessità e l'urgenza di un'estensione dei
diritti, in direzione opposta rispetto alle recenti iniziative legislative
che tendono a comprimerli, nella prospettiva che, in caso di vittoria del
"si", comunque auspicabile (anche perché una vittoria del "no" darebbe
un potentissimo alibi al governo per procedere senza più ostacoli
verso lo smantellamento del diritto del lavoro), sia poi possibile un intervento
legislativo, di estensione modulata, ma effettiva, delle tutele.
maggio 2003
il comitato esecutivo