Riforme Istituzionali
Referendum 2003
 
Rassegna stampa
 
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il manifesto - 21 maggio
 
Il leader del Pdc denuncia la strategia del silenzio di viale Mazzini. E Guglielmo Epifani critica Cofferati
 
A. CO.

ROMA - La consegna è imperativa e trasversale: del referendum sull'art. 18 meno se ne parla meglio è. L'eccellenza però sarebbe non parlarne per niente, nascondere la sua esistenza, e in questo la Rai di Lucia Annunziata non è seconda a nessuno. Se proprio non è riuscita a cancellarlo dai palinsesti ci è andata vicinissima. La denuncia viene da Fausto Bertinotti. E' precisa, circostanziata e purtroppo del tutto fondata. «La Rai - s'infiamma il segretario del Prc - ha scelto deliberatamente di boicottare il referendum e di iscriversi al partito, peraltro consistente, di chi si propone di farlo fallire». La scelta dei partiti e dei giornali privati che puntano sul mutismo per far mancare il quorum è assai discutibile ma legittima. La stessa strategia fatta propria dalla Rai invece non lo è, e Bertinotti ha tutte le ragioni nel segnarlo: «Il boicottaggio è una scelta disdicevole per per una forza politica, ma è gravissima per la Rai, perché va contro la sua natura di servizio pubblico».

Qualche dato, tanto per verificare se la denuncia del leader rifondatore è una delle tante lamentele propagandistiche, di quelle in cui sono maestri i radicali, o è, invece, persino troppo moderata di fronte a una situazione che più scandalosa non potrebbe essere. Al referendum saranno dedicate ben due tribune politiche, entrambe in seconda serata, orario di basso ascolto. Nella prima il contraddittorio a due garantirà 7 minuti e mezzo a testa, poi si passa ad altro. Il secondo appuntamento prevede un raddoppio delle squadre: quattro interventi, ciascuno con i soliti 7 minuti e mezzo a disposizione. A ciascuna forza politica o associazione è stato assegnato un unico «spazio autogestito». Di tre minuti.

Le tribune politiche contano fino a un certo punto. Non è nei talk show che si fa la politica? Non in questo caso. Questione di forza maggiore, per carità, coincidenze. Capita che Ballarò chiuda a fine maggio, e che Porta a Porta vada in vacanza a inizio giugno. Spiacenti, ma di referendum proprio non si potrà parlare.

«Tutti quelli che tacciono - conclude Bertinotti - sono in questo momento complici di un attentato alla democrazia». E quelli che tacciono sono tanti, tantissimi. Un muro tanto plumbeo che lo stesso segretario della Cgil Epifani, nonostante il suo predecessore Cofferati faccia parte degli ammutoliti, non può fare a meno di sbottare: «Avverto una perplessità che mi cresce dentro per chi invita all'astensione. E' una scelta legittima, ma vorrei che si riflettesse di più sui rischi che comporta. Quello più delicato è il problema che avverte chi decide di andare a votare e considera la scelta collettiva del boicottaggio come fatta contro di sè». Chi ha scelto l'astensione dando per certo che la sua base di consenso dimenticherà presto e perdonerà facilmente potrebbe aver ragione. Ma potrebbe anche avere torto.

Del resto, se la presidente del cda Rai sorvola così poco elegantemente sul ruolo di garanzia che le spetterebbe e che ha assicurato di voler rispettare è proprio perché, stavolta, non se ne risentirà nessun potente, né quelli di governo nè quelli d'opposizione. Anzi, se ne compiaceranno tutti con sincero spirito bipartisan.

Del referendum parla invece, per una volta, il vicepremier Fini. Ma solo per dichiararlo «già morto», oltre che «profondamente sbagliato e inutile». Che l'anatomo-patologo di An abbia ragione è tutto da verificarsi. Ma nel caso dovesse avere ragione, il merito non sarà certo suo. Non sarà neppure del voto liberamente espresso dal paese. Sarà di tutti quelli che hanno ordinato il silenzio. E di chi ha obbedito.



 
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