Il catalogo è questo, non ci sono voci derubricabili. Chi ancora non l'avesse capito, nel centrosinistra, e proseguisse nell'illusione di poter dividere gli obiettivi su cui dar battaglia da quelli, come le «riforme sociali», su cui invece aprire con la destra un «dialogo»(per altro pernicioso, visto il merito di tali riforme), si ritroverebbe, tappa dopo tappa, battuto su tutto.
La relazione del presidente della Confindustria, fra una strizzata d'occhio sull'alternanza dei governi, e la gratitudine a Cisl e Uil - sindacati consenzienti oggi, e sperabilmente anche domani - ribadisce a più riprese la sostanza del messaggio: c'è un unico pacchetto, tout se tiens.
Ma stiamo alle questioni del lavoro. Quanto allo stile «discorsivo», qui c'è una perla sull'art.18: «Confindustria non ha mai voluto imporre le sue idee a nessuno», recita flautato il presidente. Si dimentichi l' arrembaggio di D'Amato sull'art.18, l'imposizione della materia dei licenziamenti individuali illegittimi come punto qualificante del programma di governo, che gli creò dissensi tra gli stessi industriali. E si può dimenticare, visto che oggi ci si trova con «la stragrande maggioranza delle forze politiche e sindacali» contrarie al referendum per l'estensione dell'art.18 nelle piccole aziende.
D'Amato chiarisce con nettezza cosa seguirà allo sperato fallimento di quel referendum: la cancellazione dell'art.18 per tutti; in ogni azienda ciascuno potrà essere licenziato arbitrariamente, si consolerà con un «risarcimento» monetario.
Ugualmente discrepanti forma e sostanza a proposito della «contrattazione»: ci sarà, dice D'Amato, ma l'esempio che porta è l'accordo separato metalmeccanico firmato da Fim e Uilm. Colpa della Cgil, che si è «separata», ma quel contratto nazionale è «valido», pur se l'hanno firmato organizzazioni di minoranza, pur se i lavoratori non possono votarlo. Pur se viene svuotato giacché saranno i decreti berlusconiani sul lavoro a scriverne in seguito i contenuti: è «valido», per tutti, perché lo decidono gli imprenditori.