Riforme Istituzionali
Referendum 2003
 
Rassegna stampa
 
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La Stampa - 25 maggio
 
Berlusconi si astiene
Le reazioni di due esponenti dell'opposizione. Il diessino schierato per il Sì e il coordinatore dell'esecutivo della Margherita



 
«Spero che i Ds ci ripensino»
Salvi: difendere un istituto della democrazia

ROMA - SENATORE Salvi, lei è uno dei promotori del referendum sull’articolo 18, che cosa pensa di Silvio Berlusconi che ha annunciato che inviterà gli italiani a disertare le urne?
 
«Intanto mi auguro che dopo questo annuncio cambi qualcosa».
 
In che senso, scusi?
 
«Sì che cambi qualcosa per coloro che, nel centrosinistra e nel mio partito, pensavano di astenersi il 15 giugno, al referendum. Spero che ci ripensino».
 
Senatore, come giudica un presidente del Consiglio che prende ufficialmente posizione a favore dell’astensionismo?
 
«Sin da quando il governo ha deciso di indire il referendum il 15 giugno era evidente l’intento del centrodestra: quello di puntare al non raggiungimento del quorum per far fallire l’iniziativa referendaria. E questo perchè Berlusconi e i suoi sanno benissimo che in realtà la maggioranza dei cittadini è favorevole al sì, e che se è vero che la più parte di questi sono elettori di centrosinistra, è anche vero che vi è pure una fetta del loro elettorato. Insomma è una scelta studiata, quella di Silvio Berlusconi».
 
Finora, però, il presidente del Consiglio non aveva mai esplicitato questa sua opzione astensionista.
 
«Già, adesso ha fatto questo appello pubblico e aperto ai cittadini perchè non vadano a votare. Ed è veramente inquietante che un presidente del Consiglio inviti gli elettori a disertare le urne in occasione di una scadenza istituzionale. Anche se mi rendo conto che questo fatto rischia di avere minore valenza di quanta ne debba avere dal momento che anche il maggior partito dell’opposizione, cioè i Ds, sembrano orientati all’astensionismo».
 
I Ds, senatore Salvi, sono il suo partito.
 
«Sì e proprio per questo io spero fino all’ultimo che cambino orientamento, tanto più dopo la grave presa di posizione del presidente del Consiglio che attacca un importante istituto di democrazia diretta».
 
L’astensionismo al referendum, comunque, è previsto, non è un attacco alla democrazia.
 
«Quello che sta avvenendo, diciamocelo chiaramente, è un imbroglio. Adesso c’è questo nuovo andazzo: non si fa più una battaglia per il “no”, si aggiunge all’astensionismo fisiologico un’altra fetta di elettori che non va a votare e in questo modo si ottiene il risultato di far fallire il referendum. Si tratta di un’alterazione della democrazia».
 
A cui, però, partecipano tutti: inclusa la maggioranza dell’Ulivo.
 
«In un sistema maggioritario il referendum è uno strumento particolarmente rilevante. Serve a verificare se la maggioranza del Parlamento e la maggioranza dei cittadini coincidono. Oltre tutto, per quel che riguarda specificatamente il quesito che prevede l’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non c’è alcuna forzatura nell’uso di questo strumento. In ballo c’è una questione di cui si discute da molto tempo e che è giusto sottoporre al vaglio dei cittadini. E’ questa la logica referendaria».
 
Di nuovo: è una logica referendaria che però non viene accettata dai maggiori partiti del centrosinistra, Ds e Margherita, che su questo punto almeno la pensano come Berlusconi.
 
«E la cosa è preoccupante, perchè se passa questo andazzo l’istituto del referendum viene ucciso. Purtroppo tutto ciò avviene con il consenso del mio versante politico. Il bello è che in questi mesi il centrosinistra ha ipotizzato di proporre tanti referendum - sulle rogatorie, sulla Cirami, sul conflitto d’interessi - e adesso che c’è sul serio un referendum decide di farlo fallire. Ma bisogna stare molto attenti, perchè di questo passo potrebbe accadere che gli elettori decideranno di astenersi anche quando sarà l’Ulivo a chiedere il voto».
 



 
«Non ci lasciamo condizionare»
 
ROMA - ONOREVOLE Franceschini, lei è il coordinatore dell’esecutivo della Margherita: non la imbarazza un po’ avere la stessa posizione di Silvio Berlusconi sul referendum che prevede l’estensione dell’articolo 18?
«Sarebbe da irresponsabili cadere nell’errore di trasformare questo referendum in una battaglia tra centrodestra e centrosinistra».
 
E infatti così non è: voi e i Ds avete posizioni simili a quelle del premier e Bertinotti ve lo fa notare.
 
«Noi ci atteniamo al merito del quesito referendario, che è sbagliato. Temo che invece vi possa essere una sorta di riflesso condizionato: siccome Berlusconi, per contrastare il referendum sceglie l’astensionismo - il modo più efficace per farlo fallire - allora qualcuno pensa di modificare le proprie posizioni. Sarebbe un gravissimo errore».
 
Nell’opposizione, però, c’è chi ritiene un “gravissimo errore” quello di sposare la stessa linea di Berlusconi.
 
«A parte il fatto che noi, come i Ds del resto, non abbiamo preso ancora una posizione ufficiale e abbiamo detto solo che siamo contrari a questo referendum non vedo che cosa ci sia da scandalizzarsi se per far vincere la nostra linea decidessimo per l’astensione».
 
E poi che cosa fareste, una campagna pro-astensionismo in cui dite le stesse cose del premier?
 
«E’ ovvio che non prenderemmo nessuna iniziativa con la maggioranza, ci mancherebbe altro, continueremmo a dire quello che andiamo dicendo da prima che Berlusconi si schierasse ufficialmente, avendo sempre presente solo il merito della questione che abbiamo di fronte».
 
Lei dice che bisogna attenersi al merito, ma non sarà facile se il referendum diventerà terreno di scontro politico.
 
«Noi dobbiamo mantenere la nostra posizione indipendentemente da quello che fa la Casa delle Libertà. L’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori produrrebbe grandi danni alle piccole e medie imprese e agli stessi lavoratori. Infatti, se vincessero i sì, una parte di loro verrebbero licenziati prima della promulgazione del risultato referendario, e poi nessuna piccola azienda assumerebbe. Anzi, decollerebbe il lavoro subordinato, quello con minori garanzie. Insomma, questo referendum finirebbe per sortire l’effetto opposto rispetto alle intenzioni dichiarate dai suoi promotori. Del resto, non si può paragonare un negozio di due dipendenti a una grande impresa».
 
Comunque non tutti nell’Ulivo la pensano come la maggioranza ds e la Margherita.
 
«Io mi auguro che l’Ulivo, che è diviso sul referendum che riguarda l’articolo 18, quanto meno resti unito, dopo il voto, sulle proposte legislative per l’estensione delle garanzie, perchè saranno quelle le vere battaglie. E dobbiamo restare uniti anche per un altro motivo».
 
Quale?
 
«Ho paura che, tanto più con la Cgil schierata dall’altra parte, Berlusconi punti a politicizzare lo scontro, così, in caso di mancato raggiungimento del quorum, si approprierebbe del risultato, spacciandolo come un suo successo, approfittandone per restringere i diritti e le garanzie dei lavoratori. Per questa ragione, dopo il voto, l’Ulivo deve rimanere unito. E sempre per questa ragione, per impedirgli cioè di trasformare in una sua vittoria il fallimento del referendum, la maggior parte dell’Ulivo, quella che è contraria a questo quesito referendario, deve restare attaccata al merito del problema, fregandosene di quello che dice o fa Berlusconi, tenendo dritta la barra. Lo ripeto: guai a cambiare idea e a schierarsi a favore di una battaglia sbagliata perchè il Cavaliere dice delle cose simili alle nostre. Spero che nessuno abbia questa tentazione».
 
m. t. m.


 
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