Riforme Istituzionali
Referendum 2003
 
Rassegna stampa
 
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il manifesto - 25 maggio
 
A Milano prime crepe nel fronte dei contrari La Cisl del commercio annuncia: «Noi voteremo sì»
 
Astenerci il 15 giugno? Giammai, noi andremo a votare e voteremo sì al referendum per estendere l'articolo 18. Viene da Milano, dalla Fisascat (la categoria del commercio della Cisl), il primo e per ora unico atto d'insubordinazione alla linea Pezzotta di far fallire il referendum disertando le urne. Nel giorno in cui anche il premier annuncia che lavorerà per far fallire la consultazione, i tre segretari della Fisascat milanese hanno inviato ai loro dodicimila iscritti una lettera in cui spiegano perché non sono d'accordo con l'astensione e perché voteranno sì. Un sindacato ha interessi di parte da difendere, affermano, «non può far fallire un referendum, per quanto non condivisibile come strumento, che pone una domanda di giustizia sostanziale per tutti i propri rappresentati». Elencano i tre segretari dieci punti «squisitamente sindacali» a sostegno del sì.

«Tutti sbagliati», replica la segretaria della Cisl milanese Maria Grazia Fabrizio che ha chiesto alla Fisascat di inviare ai tesserati anche una lettera che spiega perché la Cisl, «prima di tutti gli altri», ha scelto la strada dell'astensione. Una decisione assunta «all'unanimità dall'esecutivo nazionale della Cisl», sottolinea Fabrizio, che la Fisascat era tenuta a rispettare.
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Milano: i tre segretari della Fisca, contrari all'astensione, invitano gli iscritti a votare sì
Critiche a Pezzotta. «Non capiamo perché un sindacato deve far fallire un referendum che chiede giustizia per tutti i propri rappresentati»
 
MANUELA CARTOSIO
 
MILANO - Udite, udite. In casa Cisl c'è qualcuno che non è d'accordo con l'Orso bianco Pezzotta e, soprattutto, lo dice. Anzi, lo scrive e si firma con nome e cognome. Il 15 giugno i tre segretari della Fisascat Cisl di Milano non andranno al mare, andranno a votare sì al referendum per l'estensione dell'articolo 18. Gilberto Mangone, Luigino Pezzuolo ed Elena Vanelli, segretari della Cisl commercio, hanno scritto una lettera ai loro 12 mila tesserati. Lunga quattro pagine. Le prime due sono piene di preoccupazione e sdegno per le minacce, le intimidazioni e le offese alla Cisl e al suo segretario generale. A rinforzo, e per evitare equivoci, segue bacchettata alla Fiom: la responsabilità del contratto separato dei metalmeccanici è tutta sua. La musica cambia nelle due ultime pagine dove i tre segretari prendono di petto il referendum sull'articolo 18. «Non comprendiamo come un'organizzazione sindacale, che ha anche interessi di parte da difendere, possa pensare di far fallire un referendum, per quanto non condivisibile come strumento, che pone una domanda di giustizia sostanziale per tutti i propri rappresentati». Seguono ben dieci considerazioni «di carattere squisitamente sindacale» e «scevre da ogni possibile strumentalizzazione politica» che depongono contro l'astensione e a favore del sì. Ne citiamo alcune. Come è possibile che la Cisl pretenda di conquistare all'astensione chi ha tutele solo parziali e, disertando le urne, conseguirebbe il formidabile risultato di non ottenere ciò che da sempre vuole? All'esito del referendum sono interessati lavoratori e lavoratrici, moltissimi stranieri, che si presentano negli nostri uffici «pieni di disperazione», perché costretti a lavorare in nero, perché gli sono negati i diritti minimi, perchè hanno subito molestie sessuali e, senza lo scudo dell'art.18, «non sanno come comportarsi». All'esito del referendum sono interessati quelli che oggi hanno paura di iscriversi al sindacato o lo fanno di nascosto. All'esito del referendum sono interessati anche i lavoratori coperti dall'art.18: votando sì hanno modo di difendere «il più importante strumento legislativo capace di salvaguardare diritti, dignità e libertà nella vita lavorativa». Uno strumento messo sotto pesante attacco dal governo, aggiungono i tre segretari, consapevoli che la vera posta in gioco il 15 giugno è la sopravvivenza dell'art.18 per tutti. Botta finale: da nessuno, e tanto meno da chi fa sindacato, possiamo accettare l'equazione «meno diritti e tutele, più occupazione». Se così fosse, «per coerenza», in nome della piena occupazione andrebbe abolito tutto. Tutele, leggi, contratti, sindacati, «Cisl compresa!».Per tutte queste ragioni, la Fisascat Cisl di Milano «ha deciso che andrà a votare e voterà sì». Non è un atto di coraggio, ma l'espressione legittima di «un'obiezione di coscienza», dettata da ragioni di merito e per esercitare un diritto civile - il voto - che la Repubblica italiana assegna a ogni cittadino. Per ora la reazione della Cisl milanese è soft. La segretaria Maria Grazia Fabrizio ha chiesto alla Fisascat di far pervenire ai suoi iscritti «un'altra lettera che spiega le ragioni dell'astensione, decisa all'unanimità dall'esecutivo nazionale della Cisl». La Cisl non è padrona del voto dei suoi iscritti, concede Fabrizio, «ma qui si tratta di un organismo di categoria territoriale che non rispetta la decisione di un organismo confederale nazionale». Liberissimi i tre segretari della Fisascat di dire ai loro iscritti di votare come credono, ma indicando il sì sono «andati oltre». Fabrizio non salva neppure uno dei dieci punti elencati dalla Fisascat. «Sono tutti sbagliati, ce ne fosse uno giusto all'esecutivo avrei votato contro l'astensione». Berlusconi annuncia che farà campagna per l'astensione. «Arriva buon ultimo e non mi imbarazza. La Cisl è stata la prima a scegliere l'astensione come metodo migliore per far fallire un referendum sbagliato, i compagni di viaggio non mi interessano». Neppure Cofferati? «Lui sì che è incoerente, ha raccolto folle osannanti per poi disilluderle». Tutto per fare il sindaco di Bologna?



 
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