Riforme Istituzionali
Referendum 2003
 
Rassegna stampa
 
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il manifesto - 12 giugno
 
«Cambio idea, vado a votare sì»
 
«Bisogna resistere alle recriminazioni dopo il referendum sulle scelte di voto differenti nell'opposizione: gran parte di chi andrà alle urne e molti di coloro che sceglieranno di astenersi, si troveranno infatti a operare insieme per costruire un programma comune per il governo futuro». Massimo Roccella, docente di diritto del lavoro, non ha dubbi sulle priorità: «cancellare le leggi di Berlusconi sulla precarietà dei lavoratori. E riflette sugli errori del passato: «mai più scorciatoie». Quanto a lui, è tra i Ds che hanno deciso di cambiare il punto d'inizio: non più astensione, ma un sì al referendum sull'art.18: «oggi è il voto più utile»
 
CARLA CASALINI
 
Una domenica difficile quella del referendum sull'art. 18 per i Ds, che tentano di mantenere la posizione del «non voto» sui licenziamenti individuali illegittimi, come hanno riconfermato anche ieri nella riunione del direttivo: una posizione che appare sempre più fragile e immotivata di fronte alle ultime tempestive bordate di Berlusconi sulla precarizzazione del lavoro, una posizione che solleva discussioni nelle sezioni di quel partito sfociando anche in decisioni tutt'affatto diverse. Ne discutiamo con Massimo Roccella, docente di diritto del lavoro all'Università di Torino, iscritto ai Ds e notoriamente molto vicino a Sergio Cofferati, di questi percorsi, come il suo, che mutano di direzione «perché è il contesto di questo referendum, che è mutato».

Contrario al referendum sui diritti del lavoro ieri, oggi e domani?

Assolutamente sì, non solo perché si tratta sempre di questioni tecnicamente e socialmente molto complesse, ma soprattutto perché il rischio della sconfitta è sempre incombente in una consultazione referendaria, e quindi il rischio di un arretramento nella battaglia per consolidare, estendere i diritti dei lavoratori. Non si gioca a dadi con i loro diritti. E questo giudizio vale anche se l'oggetto del referendum fosse ampiamente condivisibile, come ad esempio l'abrogazione delle leggi che sta varando il governo. Queste leggi andranno cancellate in parlamento, e bisognerà avere la pazienza di aspettare un'altra maggioranza.

Non referendum ma battaglie parlamentari con una futura, diversa maggioranza, sostieni. Ma il passato recente del centrosinistra al governo non pare avere offerto particolari garanzie in merito...

Ma in quel periodo comunque furono fatte anche buone leggi, nonostante quello fosse un governo debole e diviso: questo mi porta a pensare che con un programma comune che coinvolga tutta l'opposizione si potrebbe fare molto meglio. A partire dalla cancellazione delle leggi di Berlusconi, che hanno puntato subito sulla precarizzazione, dai contratti a termine a quest'ultimo decreto attuativo della legge 30 che riprende quell'ispirazione e la estende ad ampio raggio.

Quest'ultimo decreto, sfornato dal governo a dieci giorni dal referendum...

Una vera provocazione...

Sì, imbarazzante per chi ancora vuole astenersi, imbarazzante anche per Cisl e Uil.

Alcuni aspetti a ben vedere costituiscono un vero schiaffo a Cisl e Uil, sulla discussa questione della «cessione del ramo d'impresa». I sindacati firmatari del patto per l'Italia assicuravano di avere bloccato il tentativo di stravolgerne le regole, invece il decreto li smentisce: per fare un esempio, si potranno mettere insieme gruppi di lavoratori definendoli fittiziamente «ramo d'azienda» al solo scopo di espellerli senza necessità di rispettare le regole sui licenziamenti. Ancora più grave è la nuova disciplina del lavoro interinale - fra l'altro assolutamente illegittima perché non prevista neppure dalla legge 30 - che spazza via la contrattazione collettiva: al lavoro interinale si potrà ricorrere sempre e comunque per generiche ragioni «tecniche, produttive, organizzative», e per di più in caso di controversia giudiziaria si esplicita che il giudice non può sindacare nel merito se si tratti effettivamente di «esigenze» di carattere temporaneo.

La «provocazione» del governo è mirata: dire ai co.co.co., per esempio, che saranno assunti a tempo indeterminato....

E' pura popaganda: nel decreto si tratta di lavoro non stabile; bensì precario a tempo indeterminato. Per esempio nella «somministrazione di manodopera», dove l'impresa «utilizzatrice» può dare in qualsiasi momento la disdetta del «contratto di fornitura», ossia togliere il lavoro al lavoratore. Non c'è difesa dal precariato se non esiste controllo sul motivo del licenziamento.

Insomma, una «provocazione politica», dici, questo decreto presentato alla vigilia del referendum sulla difesa dai licenziamenti personali illegittimi: non è un'altra, robusta indicazione di voto per chi vuole fermare la precarizzazione?

E' un atto che in qualche modo cambia il quesito referendario; la scheda oggi può legittimamente essere letta come una domanda di questo tipo: vuoi tu contrastare le politiche di precarizzazione del mercato del lavoro del governo Berlusconi?

Dunque la risposta è votare sì al referendum...

Nel contesto mutato il fatto che a urne aperte si possano contare molti milioni di sì potrà aiutare nella battaglia contro le politiche del governo. A una condizione: quale che sia l'esito, bisognerà evitare in ogni modo recriminazioni dentro l'opposizione, sapendo che gran parte di coloro che voteranno, e molti di quelli che sceglieranno di astenersi, si ritroveranno poi assieme a operare per la difesa e l'estensione dei diritti dei lavoratori.

Mantengo il dubbio che ci consegna il recente passato.

Il punto importante è che d'ora in avanti non bisognerà scegliere scorciatoie ma far pesare le componenti di sinistra per costruire un programma comune dell'opposizione incentrato sulla lotta alla precarietà. Rifondazione potrebbe fare una cosa utilissima indicando alcune priorità.

Proposte di Rifondazione per i 100 giorni del futuro governo?

Non dei cento, bensì dei dieci giorni del futuro governo: potrebbe chiedere che subito sia inserita nel programma l'abrogazione della controriforma del mercato del lavoro del governo Berlusconi.

Ma dove si discuterebbe questo «programma», nei tavoli delle diverse componenti?

No, penso che un tale programma «comune» possa essere discusso solo sulla base di un'ampia consultazione dei movimenti, e che vi possano pesare anche le proposte legislative della Cgil.

La prima scadenza, dopo le elezioni, in vista di un agire «comune», però, è indubbiamente il referendum. Tu fino a poco tempo fa ti riconoscevi nella posizione del non voto. Oggi, dici, tutto è cambiato: vuol dire che ti ritroverai tra i milioni di sì nelle urne?

Ci sarò: nel contesto che si è determinato e rispetto alla prospettiva che ho cercato di delineare, oggi mi sembra più utile il voto per il sì.



 
Indice Referendum 2003