Sull'obbligatoria tutela del lavoratore licenziato senza giusta causa
Di fronte alle polemiche alimentate per contrastare il buon esito del
quesito referendario che chiede l'estensione dell'art. 18 anche ai lavoratori
alle dipendenze delle imprese sino a 15 dipendenti, è tornato alla
ribalta il tema più generale dei diritti dei lavoratori.
Da più parti è stato chiesto al centro-sinistra e al
sindacato di fare autocritica per l'opposizione di principio che lo scorso
anno impedì al Governo di rivedere l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Una sorta di autogol, infatti: se l'art. 18 tutela diritti intangibili,
questi dovrebbero valere per tutti. Come e perché, allora, la spaccatura
di fronte al quesito referendario sull'art. 18?
Di fatto, tra le spinte del Governo Berlusconi, i tentennamenti dei
DS e l'atteggiamento sprezzante di CISL, UIL e buona parte dell'Ulivo,
va facendosi strada l'idea che la tutela nei confronti del licenziamento
illegittimo attenga più alla sfera dei privilegi, per altro legati
ad un momento storico particolare, che non a quella dei diritti intangibili.
Non è evidentemente così.
Che le norme a tutela dei lavoratori contro il licenziamento illegittimo
traggano fondamento, e obbligatorietà per l'ordinamento giuridico,
dall'insieme dei principi costituzionali, è facilmente desumibile
dal combinato disposto degli art. 3, 4, 35 e 41 Cost.:
(art. 3) pari dignità sociale e rimozione
degli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese;
(art. 4) il riconoscimento a tutti i cittadini del
diritto al lavoro e la promozione delle condizioni che rendano effettivo
questo diritto;
(art. 35) tutela del lavoro in tutte le sue forme
ed applicazioni ed impegno in ambito internazionale per affermare e regolare
i diritti del lavoro;
(art. 41) il riconoscimento, infine, che l'iniziativa
economica privata è libera, con il limite, però, che non
rechi danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
In ogni caso, per i più cavillosi che ancora si ostinano a negare
che dagli articoli su citati derivi l'obbligatoria tutela contro il licenziamento
illegittimo, a tagliare la testa al toro ci ha pensato la Carta Sociale
Europea, ratificata dall'Italia con legge 9 febbraio 1999, n. 30.
La Carta Sociale Europea, infatti, pur costituendo una piattaforma
minima, rispetto alla quale gli Stati che vi aderiscono devono conformarsi,
ha il pregio di aver fissato alcuni punti fermi.
Uno di questi, appunto, è che la tutela contro il licenziamento
illegittimo appartiene alla sfera dei diritti.
Carta Sociale Europea, Art. 24 - Diritto ad una tutela in
caso di licenziamento
Per assicurare l'effettivo esercizio del diritto ad una
tutela in caso di licenziamento, le Parti s'impegnano a riconoscere:
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Stabilito, quindi, che non possono esservi dubbi riguardo la necessità di tutelare il lavoratore dal licenziamento senza valido motivo, quali che siano le dimensioni dell'impresa, si tratta ora di valutare, nel concreto, se e come tale tutela possa realmente essere applicata.
La Carta Sociale Europea, come visto, ammette il diritto dei lavoratori
ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione.
Una prima questione, quindi, riguarda l'ammissibilità di un
diritto dei lavoratori differenziato per legge: ad alcuni soltanto il congruo
indennizzo, ad altri anche o soltanto una diversa forma di riparazione.
Evidentemente no, a meno di non intendere questa possibilità
di diverso regime di trattamento nel senso che è al solo lavoratore
che potrebbe darsi la possibilità di scelta tra l'indennizzo e l'altra
adeguata riparazione.
L'articolo non permette, infatti, altre interpretazioni in grado di
giustificare doppi regimi di trattamento per diverse tipologie di lavoratori
sulla base d'imprecisate e non previste utilità sociali.
La questione non è di poco conto, in quanto investe direttamente
il merito del referendum per il quale siamo chiamati a votare il 15 giugno.
È giusto o no estendere il diritto al reintegro del lavoratore
licenziato senza giusta causa a tutti i lavoratori, indipendentemente dalle
dimensioni e dalla natura dell'impresa?
A leggere la Carta Europea, un tale referendum non dovrebbe neanche
svolgersi per il semplice motivo che dovremmo già trovarci in una
situazione di eguaglianza dei lavoratori.
Ma anche volendo individuare dei diversi regimi di trattamento per
particolari situazioni, queste non potrebbero in ogni caso arrivare a separare
la figura del soggetto-lavoratore da quella, più ampia, del soggetto-cittadino
con dei chiari diritti di cittadinanza.
I lavoratori e i datori di lavoro, come i consumatori o i pedoni sfortunatamente
investiti dai pirati della strada, sono, prima di tutto, cittadini con
eguali diritti e doveri.
E che vi sia il sacrosanto diritto ad essere risarciti, con gli stessi
parametri di misura, per i danni subiti ingiustamente, è negato
soltanto dall'eccezione costituita dai lavoratori delle piccole imprese
che non possono usufruire dell'art. 18.
Per questi, i conti non si fanno sulla base dell'atto illegittimo compiuto
e sullo status del danneggiato, ma sulla base dello status e, soprattutto,
delle convenienze del soggetto che compie l'atto illegittimo.
La sanzione per il danno arrecato è diversa da soggetto a soggetto
e dipende dalle condizioni soggettive del soggetto che procura il medesimo
danno. Ma non solo: è il soggetto che viola le regole che sceglie
la "sanzione" da pagare; e può sceglierla tra il risarcimento totale
del danno, riassunzione, e il niente costituito dalle 2,5-6 mensilità
d'indennizzo da pagare.
Altra questione, invece, la scelta dello strumento atto a rendere effettivo
il diritto dei lavoratori, art. 24 punto a), a non essere licenziati
senza valido motivo. A tal riguardo, per l'appunto, l'art. 24 punto
b) prevede le sanzioni da adottare.
In tal senso, però, la valutazione del mezzo da adottare non
può prescindere dagli obiettivi perseguiti.
Obiettivi non limitati a garantire in astratto la sola tutela contro
il licenziamento senza valido motivo, ma anche a garantire tutti i punti
che trattano dei diritti dei lavoratori elencati al Preambolo della Carta
Sociale Europea in riferimento a: eque condizioni di lavoro, sicurezza,
equa retribuzione, speciale protezione per le lavoratrici in maternità,
diritti associativi e sindacali, pari opportunità, dignità
sul lavoro.
Ma è proprio il mancato rispetto di questi diritti che è
alla base, nella pressoché totalità dei casi, del licenziamento
senza valido motivo.
Il licenziamento senza giusta causa altro non è che la dimostrazione
che vi è stata lesione dei diritti in elenco.
E' un serpente che si morde la coda: fai valere i tuoi diritti? devo
essere costretto a rispettare i tuoi diritti? Ti licenzio senza valido
motivo!
La tutela del licenziamento senza valido motivo non può quindi
essere vista slegata dal contesto nel quale il licenziamento matura.
Se ha quindi un senso una tutela generale, questa non può prescindere
da una sanzione che non si ponga come obiettivo primario quello di vanificare,
all'origine, lo strumento utilizzato dal datore di lavoro per calpestare
i diritti sopra menzionati, e cioè una sanzione che svuoti di significato
il ricatto del licenziamento.
Per altro, a conferma che per rispondere a determinate esigenze vi
sia la necessità di un'effettiva tutela contro il licenziamento,
vi è la previsione all'art. 28 per i soli rappresentanti dei lavoratori.
Carta Sociale Europea, Art. 28 - Diritto dei rappresentanti
dei lavoratori ad una tutela nell'ambito dell'impresa ed agevolazioni da
concedere loro
Per assicurare l'effettivo esercizio del diritto dei rappresentanti
dei lavoratori di esercitare le loro funzioni di rappresentanti le Parti
s'impegnano a garantire:
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Al di là di queste semplici considerazioni, laddove si ritenga
di poter assolvere ai medesimi compiti di tutela attraverso il congruo
indennizzo, c'è da lamentare l'assenza, nel nostro sistema, di una
forma di risarcimento proporzionale al danno effettivamente arrecato.
La previsione di tot. mensilità, infatti, ha a che fare più
con la logica della buonuscita che all'effettiva esigenza di rispondere,
rispettosi della dignità dei lavoratori, del danno arrecato dal
licenziamento illegittimo.
Hanno quindi dell'incredibile tutti i rilievi all'attuale sistema di
reintegro che non permetterebbe, nell'incertezza dell'esito delle controversie
sul licenziamento, di avere certezze di spesa per l'impresa vista la lunga
durata dei procedimenti avanti al giudice.
Ma parlare di congruo indennizzo significa parlare, anche e soprattutto,
di congruo risarcimento del danno effettivamente subito, che potrebbe essere
più o meno elevato a seconda, ad esempio, dell'età del lavoratore,
dei livelli occupazionali della zona di residenza e quant'altro che non
potrebbe essere quantificato prima di essere correttamente valutato.
Alla luce, quindi, delle tendenze in atto nel nostro paese, per nulla
rassicuranti sotto il profilo delle garanzie, non si comprende come mai,
al fine di non fare pericolosi salti nel buio, non si possa procedere con
una revisione del sistema di calcolo della congrua indennità lasciando
in vigore, per tutti, l'art. 18.
Data la possibilità di scegliere, se è vero che con una
congrua indennità soltanto pochi lavoratori potrebbero decidere
per il reintegro, in modo particolare per le piccole aziende, saranno i
fatti a dirlo.
Ma che non vi sia alcuna possibilità e volontà di dimostrare
con i fatti la bontà di un sistema di congrua indennità,
per tutti, da contrapporre al reintegro, è per l'appunto confermato
dalla misera con la quale vengono oggi risarciti i lavoratori delle imprese
sino a 15 dipendenti; quei lavoratori, cioè, per i quali l'art.
18 non si applica.
Per i lavoratori che non godono delle tutele dell'art. 18, infatti,
non sono previste particolari attenzioni neanche sotto il profilo del congruo
indennizzo.
Art. 8, L. 15 luglio 1966, n° 604: Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro. |