Riforme Istituzionali
Referendum 2003
 
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Sull'obbligatoria tutela del lavoratore licenziato senza giusta causa 
 
 
Di fronte alle polemiche alimentate per contrastare il buon esito del quesito referendario che chiede l'estensione dell'art. 18 anche ai lavoratori alle dipendenze delle imprese sino a 15 dipendenti, è tornato alla ribalta il tema più generale dei diritti dei lavoratori.
Da più parti è stato chiesto al centro-sinistra e al sindacato di fare autocritica per l'opposizione di principio che lo scorso anno impedì al Governo di rivedere l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Una sorta di autogol, infatti: se l'art. 18 tutela diritti intangibili, questi dovrebbero valere per tutti. Come e perché, allora, la spaccatura di fronte al quesito referendario sull'art. 18?
Di fatto, tra le spinte del Governo Berlusconi, i tentennamenti dei DS e l'atteggiamento sprezzante di CISL, UIL e buona parte dell'Ulivo, va facendosi strada l'idea che la tutela nei confronti del licenziamento illegittimo attenga più alla sfera dei privilegi, per altro legati ad un momento storico particolare, che non a quella dei diritti intangibili.
Non è evidentemente così.
 
Che le norme a tutela dei lavoratori contro il licenziamento illegittimo traggano fondamento, e obbligatorietà per l'ordinamento giuridico, dall'insieme dei principi costituzionali, è facilmente desumibile dal combinato disposto degli art. 3, 4, 35 e 41 Cost.:
    (art. 3) pari dignità sociale e rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese;
    (art. 4) il riconoscimento a tutti i cittadini del diritto al lavoro e la promozione delle condizioni che rendano effettivo questo diritto;
    (art. 35) tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni ed impegno in ambito internazionale per affermare e regolare i diritti del lavoro;
    (art. 41) il riconoscimento, infine, che l'iniziativa economica privata è libera, con il limite, però, che non rechi danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

In ogni caso, per i più cavillosi che ancora si ostinano a negare che dagli articoli su citati derivi l'obbligatoria tutela contro il licenziamento illegittimo, a tagliare la testa al toro ci ha pensato la Carta Sociale Europea,  ratificata dall'Italia con legge 9 febbraio 1999, n. 30.
La Carta Sociale Europea, infatti, pur costituendo una piattaforma minima, rispetto alla quale gli Stati che vi aderiscono devono conformarsi, ha il pregio di aver fissato alcuni punti fermi.
Uno di questi, appunto, è che la tutela contro il licenziamento illegittimo appartiene alla sfera dei diritti.
 
 

Carta Sociale Europea, Art. 24 - Diritto ad una tutela in caso di licenziamento 

   Per assicurare l'effettivo esercizio del diritto ad una tutela in caso di licenziamento, le Parti s'impegnano a riconoscere: 
     a) il diritto dei lavoratori di non essere licenziati senza un valido motivo legato alle loro attitudini o alla loro condotta o basato sulla necessità di funzionamento dell'impresa, dello stabilimento o del servizio; 
     b) il diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo, ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione. 
   A tal fine, le parti s'impegnano a garantire che un lavoratore, il quale ritenga di essere stato oggetto di una misura di licenziamento senza un valido motivo, possa avere un diritto di ricorso contro questa misura davanti ad un organo imparziale.

 
L'articolo è sin troppo chiaro, ma visti i tempi è bene sottolineare gli aspetti più rilevanti.
 
Siamo di fronte ad un diritto in quanto tale, a "prescindere", cioè, dai rapporti di forza tra le parti e non legato alla contrattazione sindacale, bensì immediatamente esigibile.
Inoltre, non si stabiliscono deroghe sulla base di particolari condizioni dell'impresa (vedi anche l'ANNESSO alla Carta per l'art. in questione).

Stabilito, quindi, che non possono esservi dubbi riguardo la necessità di tutelare il lavoratore dal licenziamento senza valido motivo, quali che siano le dimensioni dell'impresa, si tratta ora di valutare, nel concreto, se e come tale tutela possa realmente essere applicata.

La Carta Sociale Europea, come visto, ammette il diritto dei lavoratori ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione.
Una prima questione, quindi, riguarda l'ammissibilità di un diritto dei lavoratori differenziato per legge: ad alcuni soltanto il congruo indennizzo, ad altri anche o soltanto una diversa forma di riparazione.
Evidentemente no, a meno di non intendere questa possibilità di diverso regime di trattamento nel senso che è al solo lavoratore che potrebbe darsi la possibilità di scelta tra l'indennizzo e l'altra adeguata riparazione.
L'articolo non permette, infatti, altre interpretazioni in grado di giustificare doppi regimi di trattamento per diverse tipologie di lavoratori sulla base d'imprecisate e non previste utilità sociali.

La questione non è di poco conto, in quanto investe direttamente il merito del referendum per il quale siamo chiamati a votare il 15 giugno.
È giusto o no estendere il diritto al reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa a tutti i lavoratori, indipendentemente dalle dimensioni e dalla natura dell'impresa?
A leggere la Carta Europea, un tale referendum non dovrebbe neanche svolgersi per il semplice motivo che dovremmo già trovarci in una situazione di eguaglianza dei lavoratori.
Ma anche volendo individuare dei diversi regimi di trattamento per particolari situazioni, queste non potrebbero in ogni caso arrivare a separare la figura del soggetto-lavoratore da quella, più ampia, del soggetto-cittadino con dei chiari diritti di cittadinanza.
I lavoratori e i datori di lavoro, come i consumatori o i pedoni sfortunatamente investiti dai pirati della strada, sono, prima di tutto, cittadini con eguali diritti e doveri.
E che vi sia il sacrosanto diritto ad essere risarciti, con gli stessi parametri di misura, per i danni subiti ingiustamente, è negato soltanto dall'eccezione costituita dai lavoratori delle piccole imprese che non possono usufruire dell'art. 18.
Per questi, i conti non si fanno sulla base dell'atto illegittimo compiuto e sullo status del danneggiato, ma sulla base dello status e, soprattutto, delle convenienze del soggetto che compie l'atto illegittimo.
La sanzione per il danno arrecato è diversa da soggetto a soggetto e dipende dalle condizioni soggettive del soggetto che procura il medesimo danno. Ma non solo: è il soggetto che viola le regole che sceglie la "sanzione" da pagare; e può sceglierla tra il risarcimento totale del danno, riassunzione, e il niente costituito dalle 2,5-6 mensilità d'indennizzo da pagare.
 
Altra questione, invece, la scelta dello strumento atto a rendere effettivo il diritto dei lavoratori, art. 24 punto a), a non essere licenziati senza valido motivo. A tal riguardo, per l'appunto, l'art. 24 punto b) prevede le sanzioni da adottare.
In tal senso, però, la valutazione del mezzo da adottare non può prescindere dagli obiettivi perseguiti.
Obiettivi non limitati a garantire in astratto la sola tutela contro il licenziamento senza valido motivo, ma anche a garantire tutti i punti che trattano dei diritti dei lavoratori elencati al Preambolo della Carta Sociale Europea in riferimento a: eque condizioni di lavoro, sicurezza, equa retribuzione, speciale protezione per le lavoratrici in maternità, diritti associativi e sindacali, pari opportunità, dignità sul lavoro.
Ma è proprio il mancato rispetto di questi diritti che è alla base, nella pressoché totalità dei casi, del licenziamento senza valido motivo.
Il licenziamento senza giusta causa altro non è che la dimostrazione che vi è stata lesione dei diritti in elenco.
E' un serpente che si morde la coda: fai valere i tuoi diritti? devo essere costretto a rispettare i tuoi diritti? Ti licenzio senza valido motivo!

La tutela del licenziamento senza valido motivo non può quindi essere vista slegata dal contesto nel quale il licenziamento matura.
Se ha quindi un senso una tutela generale, questa non può prescindere da una sanzione che non si ponga come obiettivo primario quello di vanificare, all'origine, lo strumento utilizzato dal datore di lavoro per calpestare i diritti sopra menzionati, e cioè una sanzione che svuoti di significato il ricatto del licenziamento.
Per altro, a conferma che per rispondere a determinate esigenze vi sia la necessità di un'effettiva tutela contro il licenziamento, vi è la previsione all'art. 28 per i soli rappresentanti dei lavoratori.
 
 

Carta Sociale Europea, Art. 28 - Diritto dei rappresentanti dei lavoratori ad una tutela nell'ambito dell'impresa ed agevolazioni da concedere loro 

   Per assicurare l'effettivo esercizio del diritto dei rappresentanti dei lavoratori di esercitare le loro funzioni di rappresentanti le Parti s'impegnano a garantire: 
     a) essi godano di un'effettiva tutela riguardo ad atti che potrebbero recar loro pregiudizio ivi compreso il licenziamento, e di cui sarebbero oggetto per via della loro qualifica o dalle loro attività di rappresentanti dei lavoratori nell'impresa. 
     b) ...

 
Ma come e perché ciò che appare logico per i rappresentanti dei lavoratori, non dovrebbe esserlo anche per tutti i lavoratori delle piccole imprese, poco tutelati sotto il profilo sindacale e particolarmente esposti ad analoghe forme di ritorsione per l'eventuale attività svolta a tutela dei propri diritti?

Al di là di queste semplici considerazioni, laddove si ritenga di poter assolvere ai medesimi compiti di tutela attraverso il congruo indennizzo, c'è da lamentare l'assenza, nel nostro sistema, di una forma di risarcimento proporzionale al danno effettivamente arrecato.
La previsione di tot. mensilità, infatti, ha a che fare più con la logica della buonuscita che all'effettiva esigenza di rispondere, rispettosi della dignità dei lavoratori, del danno arrecato dal licenziamento illegittimo.
Hanno quindi dell'incredibile tutti i rilievi all'attuale sistema di reintegro che non permetterebbe, nell'incertezza dell'esito delle controversie sul licenziamento, di avere certezze di spesa per l'impresa vista la lunga durata dei procedimenti avanti al giudice.
Ma parlare di congruo indennizzo significa parlare, anche e soprattutto, di congruo risarcimento del danno effettivamente subito, che potrebbe essere più o meno elevato a seconda, ad esempio, dell'età del lavoratore, dei livelli occupazionali della zona di residenza e quant'altro che non potrebbe essere quantificato prima di essere correttamente valutato.

Alla luce, quindi, delle tendenze in atto nel nostro paese, per nulla rassicuranti sotto il profilo delle garanzie, non si comprende come mai, al fine di non fare pericolosi salti nel buio, non si possa procedere con una revisione del sistema di calcolo della congrua indennità lasciando in vigore, per tutti, l'art. 18.
Data la possibilità di scegliere, se è vero che con una congrua indennità soltanto pochi lavoratori potrebbero decidere per il reintegro, in modo particolare per le piccole aziende, saranno i fatti a dirlo.

Ma che non vi sia alcuna possibilità e volontà di dimostrare con i fatti la bontà di un sistema di congrua indennità, per tutti, da contrapporre al reintegro, è per l'appunto confermato dalla misera con la quale vengono oggi risarciti i lavoratori delle imprese sino a 15 dipendenti; quei lavoratori, cioè, per i quali l'art. 18 non si applica.
Per i lavoratori che non godono delle tutele dell'art. 18, infatti, non sono previste particolari attenzioni neanche sotto il profilo del congruo indennizzo.
 

Art. 8, L. 15 luglio 1966, n° 604: Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro. 
 
8 maggio 2003 -  Franco Ragusa
 


 
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