Riforme Istituzionali
Rassegna stampa - Opinioni
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Dopo Referendum: corrispondenza con l'On. Fassino
 
Premessa. 
  
Come per precedenti scadenze elettorali e referendarie, anche per il referendum per l'estensione dell'art. 18 il sito Riforme Istituzionali ha proposto materiale di propaganda da diffondere in proprio (Proposta di volantino). 
In forma molto provocatoria, sono state prodotte due locandine (Locandina prima del referendum - Locandina dopo il referendum), per le quali è stato rivolto l'invito alla massima diffusione anche presso i maggiori protagonisti della vita politica e sindacale. 
Non è qui possibile stabilire quanto l'iniziativa sia stata seguita. Si può soltanto confermare, nonostante il breve periodo, un buon numero di accessi al file appositamente preparato per la stampa. 

In ogni caso, va dato atto all'On. Fassino di essere stato l'unico, tra i tanti destinatari delle e-mail di propaganda e di approfondimento sul Referendum, ad aver sentito l'esigenza di dare una risposta con le ragioni che hanno motivato la presa di posizione contraria al referendum da parte dei DS. 
  
5 luglio 2003

 


Piero Fassino, via e-mail - 23 giugno 2003
 
Caro Franco,
rispondo volentieri alle Tue considerazioni sull’art. 18.
Mi scuserai se la risposta non è breve, ma mi pare giusto sottoporti i molti argomenti che hanno motivato le posizioni assunte dai DS.
 
1. Intanto l’oggetto del referendum. I cittadini erano chiamati a pronunciarsi sull’articolo 18 dello Statuto, in particolare laddove quell’articolo riconosce a tutti i lavoratori il diritto alla giusta causa, ma ne differenzia le modalità di applicazione. Sulla base di quell’articolo – e della legge 108 approvata nel ’92 su sollecitazione sindacale – oggi per le aziende con più di 15 dipendenti se il licenziamento è senza giusta causa si procede al reintegro del lavoratore nel posto di lavoro; se l’azienda ha meno di 16 dipendenti il giudice può decidere o il reintegro o un indennizzo fino a 14 mensilità. Va ancora detto che se il licenziamento non solo è senza giusta causa, ma è frutto di una discriminazione di sesso, religione, politica o etnica, ha diritto al reintegro obbligatorio anche il dipendente di aziende con meno di 16 dipendenti. Con il referendum si proponeva di abolire la differenza tra aziende con più o meno di 15 dipendenti, estendendo a tutti il reintegro automatico. Dal che si capisce che l’argomento per cui bisognava votare sì perchè il referendum era contro Berlusconi era del tutto infondato.

2. Qualsiasi persona ragionevole capisce bene che non ha alcun senso considerare un’azienda artigiana o commerciale di 4 o 6 – 9 dipendenti uguale alla Fiat o all’Enel o alla Pirelli. Ed è per questo che lo Statuto dei lavoratori – sì lo Statuto, non una legge della destra – distingue tra aziende grandi e aziende piccole. Ignorare questa distinzione ha la sola conseguenza non di colpire Berlusconi, ma di gettargli nelle braccia artigiani, commercianti e lavoratori autonomi che da questo referendum si sono sentiti ingiustamente colpiti.

3. La conseguenza vera di un eventuale vittoria del sì non sarebbe stata l’aumento dei diritti, ma la crescita del lavoro nero, sommerso e irregolare a cui le piccole imprese sarebbero state spinte.

4. Vorrà pur dire qualcosa che uomini come Cofferati, Trentin, Carniti, Ruffolo, Treu, Pizzinato, Benvenuto, Sylos Labini e altre note personalità della sinistra e del movimento sindacale abbiano considerato questo Referendum sbagliato e inutile, raccomandando la non partecipazione al voto.

5. Il risultato stesso dimostra in modo chiarissimo come questo referendum aveva pochissime possibilità di vincere. Se anche i DS avessero deciso di votare sì, forse ne avrebbero aumentato la quantità, ma non avrebbero  evitato la sconfitta. E dopo il successo elettorale delle amministrative – che è stato in primo luogo un successo dei DS – una sconfitta che coinvolgesse i DS avrebbe, questo sì, fatto un favore a Berlusconi.

6. Tutto questo non significa affatto che non si debba affrontare il tema dei diritti dei lavoratori. E noi lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo, sia contestando in Parlamento le proposte del governo di precarizzazione del lavoro, sia presentando proposte che diano a ogni lavoratore garanzie e diritti. Per questo abbiamo depositato proposte per una nuova Carta dei Diritti dei lavoratori; una riforma degli ammortizzatori sociali che estende cassa integrazione, indennità di disoccupazione e indennità di mobilità anche ai lavoratori che oggi non dispongono di questi strumenti; una riforma del processo del lavoro che sia più rapida e più dura.

7. Voglio infine anche affrontare il tema dell’unità del centrosinistra. Tutti vogliono l’unità come condizione per battere Berlusconi. Proprio per questo quel referendum era sbagliato : quand’anche i Ds avessero deciso di votare sì, al referendum erano contrari Margherita, Udeur, Sdi. Così come contrari erano Cisl, Uil e buona parte della Cgil. E contrarie erano tutte le associazioni di categoria, ivi comprese quelle più vicine al centrosinistra come Cma, Confesercenti, Confindustria Agricoltura. Tutto questo lo sapeva anche Bertinotti. E allora c’è da chiedersi perché abbia insistito fin dall’inizio su un referendum che era perso in partenza.

8. Sono tutte queste le ragioni che ci hanno portato alla indicazione di non partecipare al voto per ridurre i danni che il referendum avrebbe provocato. Al tempo stesso, ci battiamo perché si approvino leggi che garantiscano i diritti di tutti i lavoratori.

Ringraziandoti per l’attenzione, con amicizia
Piero Fassino
 



 
Franco Ragusa, risposta via e-mail - 24 giugno 2003
 
Egr. Piero Fassino,
in primo luogo la ringrazio per l'attenzione.
Devo però con rammarico prendere atto, dalle sue argomentazioni per spiegare la posizione dei DS sul referendum per l'estensione dell'art. 18, come vi fosse la necessità di un vero confronto che, invece, la scelta del boicottaggio ha di fatto impedito.
La sua sintesi sul quesito e sulla normativa vigente, mi permetta, non risponde alla realtà.
In primo luogo, per i lavoratori al di sotto dei 16 dipendenti il giudice non decide affatto per il reintegro o l'indennizzo: la legge
prevede, infatti, la riassunzione (cosa molto diversa dal reintegro, in quanto si viene così ad escludere, a differenza che per il lavoratore reintegrato, qualsiasi risarcimento per il danno arrecato dal momento del licenziamento al momento della sentenza del giudice) o, in alternativa, l'indennizzo. E' il datore di lavoro, quindi, cioè colui che compie l'atto illegittimo, che sceglie quale sanzione debba essere applicata.
Anche riguardo all'entità dell'indennizzo, mi permetto di ricordarle che per le imprese sino a 15 dipendenti la legge prevede sino ad un massimo di 6 mensilità e non le 14 da lei citate.
Altresì, l'ampia possibilità, data al datore di lavoro, di poter ricorrere al licenziamento senza giusta causa al prezzo di sole 6
mensilità, di fatto rende vana la tutela contro i licenziamenti discriminatori: quale potrebbe essere il datore di lavoro così scemo da cadere nell'errore di compiere atti tali da far annullare il licenziamento?

Come si vede, quindi, per quanto comprensibili approcci che tengano conto delle differenze tra grandi e piccole imprese, appare quanto mai contro ogni logica giuridica il fatto che possano esistere differenze di trattamento così marcate per lavoratori che hanno subito la medesima ingiustizia; altresì, le stesse differenze appaiono assurde anche in considerazione del diverso status stabilito per i datori di lavoro.
Da un lato soggetti che rispondono secondo principi giuridici generali:
chi compie l'atto illegittimo viene sanzionato per il danno effettivamente arrecato (danno pregresso più l'obbligo del reintegro o,
a scelta del lavoratore, un indennizzo sino a 14 mensilità).
Dall'altro lato, soggetti che non rispondono del danno arrecato (nessun onere per il periodo che va dal momento del licenziamento alla sentenza) e ai quali viene lasciata la scelta riguardo a quale regime sanzionatorio sottoporsi: riassunzione o sino a 6 mensilità d'indennizzo.

Pur comprendendo, quindi, considerazioni di opportunità, anche politica, ritengo che l'aver rifiutato il confronto sulla base del diritto di ogni cittadino (i lavoratori sono, prima di tutti, cittadini con eguali diritti) a vedersi riconoscere, per il danno ingiustamente subito, un risarcimento che non dipenda da fattori terzi che non siano di tipo universale, abbia in qualche modo accelerato i processi in atto di demolizione del sistema delle tutele dei soggetti più deboli.
Se la sanzione al licenziamento senza giusta causa, infatti, può dipendere da fattori terzi (dimensioni d'impresa; esistenza di altri
settori non tutelati), e non come logica conseguenza dell'atto illegittimo, ponendo tutti i soggetti che compiono o che subiscono
l'atto illegittimo su un piano di sostanziale (e non soltanto formale) eguaglianza, non è più possibile parlare di diritti inviolabili.
Obiettivo, quest'ultimo, largamente inseguito dal Governo Berlusconi per mettere in discussione l'impianto sul quale si tiene l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Relativamente, infine, all'impegno per il raggiungimento di una buona legge, qui nessuno vuole mettere in discussione la buona volontà di chicchessia.
E' evidente, però, che esistono differenze, all'interno all'Ulivo, tali da far dubitare, ad esempio, che si possa adottare il progetto di legge presentato dalla CGIL.
Non è poi possibile trascurare, inoltre, il banalissimo dettaglio che a governare il paese ci sono forze politiche con interessi diametralmente opposti a quelli dei lavoratori; interessi, per altro, oggi di più facile attuazione proprio in forza dell'isolamento politico nel quale sono stati lasciati oltre 10 milioni di elettori che si sono espressi per la difesa e l'estensione, per tutti, dell'art. 18.
In tal senso, ritengo sia stato un grave errore guardare al possibile risultato referendario tenendo conto dei soli aspetti formali.
La presenza dei DS nel fronte del Sì, anche in caso di non raggiungimento del quorum, avrebbe fatto la differenza.
Ciò che purtroppo è infatti mancato, è stato un livello di confronto tale da costringere tutte le forze di Governo, come dell'opposizione, ad affrontare la questione anche e soprattutto dal lato del rispetto dei diritti di cittadinanza.
E pur nella sconfitta, la presenza del maggior partito di opposizione avrebbe certamente contribuito ad un risultato in grado di far emergere la presenza e la forza di un ampio blocco sociale (come del resto credo vadano in ogni caso interpretati gli oltre 10 milioni di Sì) fortemente determinato a contrastare i progetti del Governo Berlusconi in tutte le sedi del confronto politico.

Certo dell'attenzione che ancora una volta vorrà prestare a queste mie considerazioni, colgo l'occasione per porgere i più cordiali saluti

Franco Ragusa
 


Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2003
 
 
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