Premessa.
Come per precedenti scadenze elettorali e referendarie, anche per il referendum per l'estensione dell'art. 18 il sito Riforme Istituzionali ha proposto materiale di propaganda da diffondere in proprio (Proposta di volantino). In forma molto provocatoria, sono state prodotte due locandine (Locandina prima del referendum - Locandina dopo il referendum), per le quali è stato rivolto l'invito alla massima diffusione anche presso i maggiori protagonisti della vita politica e sindacale. Non è qui possibile stabilire quanto l'iniziativa sia stata seguita. Si può soltanto confermare, nonostante il breve periodo, un buon numero di accessi al file appositamente preparato per la stampa. In ogni caso, va dato atto
all'On. Fassino di essere stato l'unico, tra i tanti destinatari delle
e-mail di propaganda e di approfondimento sul Referendum, ad aver sentito
l'esigenza di dare una risposta con le ragioni che hanno motivato la presa
di posizione contraria al referendum da parte dei DS.
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2. Qualsiasi persona ragionevole capisce bene che non ha alcun senso considerare un’azienda artigiana o commerciale di 4 o 6 – 9 dipendenti uguale alla Fiat o all’Enel o alla Pirelli. Ed è per questo che lo Statuto dei lavoratori – sì lo Statuto, non una legge della destra – distingue tra aziende grandi e aziende piccole. Ignorare questa distinzione ha la sola conseguenza non di colpire Berlusconi, ma di gettargli nelle braccia artigiani, commercianti e lavoratori autonomi che da questo referendum si sono sentiti ingiustamente colpiti.
3. La conseguenza vera di un eventuale vittoria del sì non sarebbe stata l’aumento dei diritti, ma la crescita del lavoro nero, sommerso e irregolare a cui le piccole imprese sarebbero state spinte.
4. Vorrà pur dire qualcosa che uomini come Cofferati, Trentin, Carniti, Ruffolo, Treu, Pizzinato, Benvenuto, Sylos Labini e altre note personalità della sinistra e del movimento sindacale abbiano considerato questo Referendum sbagliato e inutile, raccomandando la non partecipazione al voto.
5. Il risultato stesso dimostra in modo chiarissimo come questo referendum aveva pochissime possibilità di vincere. Se anche i DS avessero deciso di votare sì, forse ne avrebbero aumentato la quantità, ma non avrebbero evitato la sconfitta. E dopo il successo elettorale delle amministrative – che è stato in primo luogo un successo dei DS – una sconfitta che coinvolgesse i DS avrebbe, questo sì, fatto un favore a Berlusconi.
6. Tutto questo non significa affatto che non si debba affrontare il tema dei diritti dei lavoratori. E noi lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo, sia contestando in Parlamento le proposte del governo di precarizzazione del lavoro, sia presentando proposte che diano a ogni lavoratore garanzie e diritti. Per questo abbiamo depositato proposte per una nuova Carta dei Diritti dei lavoratori; una riforma degli ammortizzatori sociali che estende cassa integrazione, indennità di disoccupazione e indennità di mobilità anche ai lavoratori che oggi non dispongono di questi strumenti; una riforma del processo del lavoro che sia più rapida e più dura.
7. Voglio infine anche affrontare il tema dell’unità del centrosinistra. Tutti vogliono l’unità come condizione per battere Berlusconi. Proprio per questo quel referendum era sbagliato : quand’anche i Ds avessero deciso di votare sì, al referendum erano contrari Margherita, Udeur, Sdi. Così come contrari erano Cisl, Uil e buona parte della Cgil. E contrarie erano tutte le associazioni di categoria, ivi comprese quelle più vicine al centrosinistra come Cma, Confesercenti, Confindustria Agricoltura. Tutto questo lo sapeva anche Bertinotti. E allora c’è da chiedersi perché abbia insistito fin dall’inizio su un referendum che era perso in partenza.
8. Sono tutte queste le ragioni che ci hanno portato alla indicazione di non partecipare al voto per ridurre i danni che il referendum avrebbe provocato. Al tempo stesso, ci battiamo perché si approvino leggi che garantiscano i diritti di tutti i lavoratori.
Ringraziandoti per l’attenzione, con amicizia
Piero Fassino
Come si vede, quindi, per quanto comprensibili approcci che tengano
conto delle differenze tra grandi e piccole imprese, appare quanto mai
contro ogni logica giuridica il fatto che possano esistere differenze di
trattamento così marcate per lavoratori che hanno subito la medesima
ingiustizia; altresì, le stesse differenze appaiono assurde anche
in considerazione del diverso status stabilito per i datori di lavoro.
Da un lato soggetti che rispondono secondo principi giuridici generali:
chi compie l'atto illegittimo viene sanzionato per il danno effettivamente
arrecato (danno pregresso più l'obbligo del reintegro o,
a scelta del lavoratore, un indennizzo sino a 14 mensilità).
Dall'altro lato, soggetti che non rispondono del danno arrecato (nessun
onere per il periodo che va dal momento del licenziamento alla sentenza)
e ai quali viene lasciata la scelta riguardo a quale regime sanzionatorio
sottoporsi: riassunzione o sino a 6 mensilità d'indennizzo.
Pur comprendendo, quindi, considerazioni di opportunità, anche
politica, ritengo che l'aver rifiutato il confronto sulla base del diritto
di ogni cittadino (i lavoratori sono, prima di tutti, cittadini con eguali
diritti) a vedersi riconoscere, per il danno ingiustamente subito, un risarcimento
che non dipenda da fattori terzi che non siano di tipo universale, abbia
in qualche modo accelerato i processi in atto di demolizione del sistema
delle tutele dei soggetti più deboli.
Se la sanzione al licenziamento senza giusta causa, infatti, può
dipendere da fattori terzi (dimensioni d'impresa; esistenza di altri
settori non tutelati), e non come logica conseguenza dell'atto illegittimo,
ponendo tutti i soggetti che compiono o che subiscono
l'atto illegittimo su un piano di sostanziale (e non soltanto formale)
eguaglianza, non è più possibile parlare di diritti inviolabili.
Obiettivo, quest'ultimo, largamente inseguito dal Governo Berlusconi
per mettere in discussione l'impianto sul quale si tiene l'art. 18 dello
Statuto dei lavoratori.
Relativamente, infine, all'impegno per il raggiungimento di una buona
legge, qui nessuno vuole mettere in discussione la buona volontà
di chicchessia.
E' evidente, però, che esistono differenze, all'interno all'Ulivo,
tali da far dubitare, ad esempio, che si possa adottare il progetto di
legge presentato dalla CGIL.
Non è poi possibile trascurare, inoltre, il banalissimo dettaglio
che a governare il paese ci sono forze politiche con interessi diametralmente
opposti a quelli dei lavoratori; interessi, per altro, oggi di più
facile attuazione proprio in forza dell'isolamento politico nel quale sono
stati lasciati oltre 10 milioni di elettori che si sono espressi per la
difesa e l'estensione, per tutti, dell'art. 18.
In tal senso, ritengo sia stato un grave errore guardare al possibile
risultato referendario tenendo conto dei soli aspetti formali.
La presenza dei DS nel fronte del Sì, anche in caso di non raggiungimento
del quorum, avrebbe fatto la differenza.
Ciò che purtroppo è infatti mancato, è stato un
livello di confronto tale da costringere tutte le forze di Governo, come
dell'opposizione, ad affrontare la questione anche e soprattutto dal lato
del rispetto dei diritti di cittadinanza.
E pur nella sconfitta, la presenza del maggior partito di opposizione
avrebbe certamente contribuito ad un risultato in grado di far emergere
la presenza e la forza di un ampio blocco sociale (come del resto credo
vadano in ogni caso interpretati gli oltre 10 milioni di Sì) fortemente
determinato a contrastare i progetti del Governo Berlusconi in tutte le
sedi del confronto politico.
Certo dell'attenzione che ancora una volta vorrà prestare a queste mie considerazioni, colgo l'occasione per porgere i più cordiali saluti
Franco Ragusa
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