La legge elettorale e i due referendum - Il «PORCELLUM»
da eliminare
di GIOVANNI SARTORI
L’ultima malefatta di Berlusconi è stata il porcellum , la legge
elettorale varata sotto elezioni che il suo stesso estensore ha definito
una «porcata». Tutti d’accordo, oggi, nel ripudiarla. Ma tutti
in disaccordo, al solito, su come rifarla. Temendo l’ormai consueto impantanamento,
un valente costituzionalista, Giovanni Guzzetta, ha lavorato di cesello
sul testo del porcellum ricavandone due quesiti referendari «abrogativi»
già depositati - per l’accertamento di ammissibilità - in
Cassazione. Il primo referendum propone che venga abrogata la facoltà
di collegamento elettorale tra partiti; dal che consegue che il premio
di maggioranza previsto dalla legge vigente sarebbe attribuito al singolo
partito più votato invece che all’attuale coalizione di liste. Il
secondo referendum propone l’eliminazione delle candidature multiple che
oggi coinvolgono addirittura un terzo dei nostri parlamentari. A mio avviso
questo secondo referendum è sacrosanto. Candidati che fanno da acchiappavoto
in tutto il Paese sono un palese imbroglio degli elettori attratti dal
capolista, da Pinco, e poi si ritrovano insediato un ignoto Pallino; e
creano anche un plurieletto che è signore del destino di candidati
«sudditi» eletti grazie alla sua benevolente rinunzia.
La valutazione del primo referendum è invece più complessa.
Come ripeto da sempre, stabilire una soglia di sbarramento (attualmente
del 4 per cento alla Camera e dell’8 per cento al Senato) e poi consentire
coalizioni elettorali è un controsenso: perché le coalizioni
vanificano lo sbarramento. Pertanto la proposta di vietare i collegamenti
elettorali è anch’essa sacrosanta. Solo così gli sbarramenti
funzionerebbero e andrebbero a ridurre drasticamente la nostra frammentazione
partitica.
Le mie perplessità vertono invece sull’implicazione che - vietate
che siano le alleanze - il premio di maggioranza spetta soltanto al primo
vincitore. Il sottinteso di questa proposta è meritorio: incentiva
l’aggregazione dei partitini in un «partitone» in grado, appunto,
di vincere il premio. Fin qui benissimo. Salvo il rischio - già
segnalato da Mannheimer - che il premio venga sdoppiato nelle due Camere
tra due partiti diversi. Ma questo è un rischio che ritengo minore.
Il più grave è che un partito di maggioranza relativa - attualmente
Forza Italia - possa vincere in entrambe le Camere il premio senza aggregarsi
con nessuno, e così conseguire una maggioranza assoluta (di seggi)
tutto da solo: il che prefigura, in ipotesi, un inedito strapotere di Berlusconi.
Si capisce che se la sinistra si fonderà (parzialmente) nel
Partito Democratico, in tal caso anche Berlusconi dovrà cercare
una amalgama parziale. Ma il punto è che le aggregazioni a sinistra
sono molto più difficili delle aggregazioni a destra. A sinistra
le fusioni producono scissioni, e poi il suo cespugliume massimalista non
ha nessuna intenzione di lasciarsi fagocitare. Dal che risulta che il premio
di maggioranza pone alla nostra sinistra più problemi di quanti
sia mai stata in grado di risolvere.
La soluzione ideale sarebbe di abolire il premio di maggioranza. Occorre
davvero? In Germania il premio non c’è, e la soglia di sbarramento
del 5 per cento ha funzionato come doveva. Da noi potrebbe azzerare o quasi
una diecina di partitini. Sì, certo, i referendum abrogativi proposti
dal professor Guzzetta sono di gran lunga meglio che niente. Ma sarebbero
ancora più utili se costringessero i politici a darsi una mossa
abrogando anche, ripeto, un premio di maggioranza troppo rischioso o deformante.
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