Referendum: il
Corriere scende in campo
corriere.it 13-07-2007 Il referendum e l'incapacità di decidere Il tempo di una firma Pierluigi Battista Il
tempo sta scadendo, nella raccolta delle firme per
il referendum sulla legge elettorale (il 24 luglio è l’ultimo
giorno
utile). Ma il tempo è ormai irrevocabilmente scaduto per una
soluzione
parlamentare che possa rendere vano l’iter referendario. Nei mesi
scorsi chi ha auspicato che il Parlamento trovasse una concordia
bipartisan, con la stesura di un testo necessariamente condiviso per lo
meno dai maggiori partiti dei due schieramenti, ha sperato anche che
quel traguardo potesse essere raggiunto in tempi certi e ragionevoli.
Invece il traguardo si è allontanato ancora di più.
Nessun testo
preparatorio appare credibile come base di discussione utile per
approdare a una soluzione. Ognuno gioca per sé. E anche il tema
della
riforma elettorale si appresta ad entrare nell’elenco oramai sterminato
delle occasioni mancate, ennesima vittima di quel morbo della
non-decisione tratto caratteristico di quest’ultima stagione politica.
Per
proporre una soluzione allo schieramento avversario
occorre il requisito di un minimo di univocità nel proprio: non
del
massimo, di un minimo. Ma nella maggioranza si assiste piuttosto
all’esplosione dei linguaggi e delle identità particolari. Come
dimostra la sconfitta subita ieri in Senato (posticipata di un giorno
solo grazie al provvidenziale sostegno di Giulio Andreotti), la
navigazione della maggioranza si è fatta sempre più
accidentata, preda
di una spirale di discordia che oscilla tra il cupio dissolvi e la
rassegnata registrazione dell’esaurirsi di un’alleanza. Appare oramai
remota la preoccupazione del premier Romano Prodi quando ebbe a
lamentarsi dell’invadenza della pulsione referendaria: «una
pistola
puntata» destinata a minare la compattezza della maggioranza. E
Silvio
Berlusconi che parla spazientito del referendum come di un’iniziativa
«impropria », mostra di affidare ogni speranza al ricorso
immediato
alle urne, abbracciando senza remore una visione totalizzante delle
elezioni anticipate che non prevede modifiche alla legge elettorale. La
percezione diffusa di un collasso dell’attuale formula di governo
rischia sempre più di configurarsi come una profezia che si
autoavvera.
Quale forza persuasiva può avere, nonostante le ottimistiche
previsioni
su misteriose «bozze segrete » che sarebbero alla base di
un accordo
«vicino », l’idea di una riforma condivisa del sistema
elettorale se
ogni voto al Senato su ogni singolo emendamento viene atteso come la
pietra tombale su questo governo?
Tempo
scaduto, dunque. Ma non è scaduta, se entro il 24
luglio verranno raccolte tutte le firme necessarie, la
possibilità che
l’impasse della non-decisione possa essere sfidata da un referendum in
cui è posto l’obiettivo di rafforzare la democrazia
dell’alternanza e
la diminuzione del potere di ricatto dei piccoli partiti. Come ha
scritto Giovanni Sartori già nel gennaio scorso in un articolo
che ha
interpretato autorevolmente l’impegno di questo giornale sui temi
sollevati dai referendari, a consigliare l’adesione non è tanto
l’assetto elettorale (ovviamente discutibile) che scaturirebbe
dall’esito della consultazione ma la convinzione che qualunque
soluzione alternativa possa assomigliare a un pasticcio desolante.
Perciò gli ultimi, decisivi giorni della raccolta di firme
saranno
seguiti dal Corriere mettendo a disposizione dei referendari una
tribuna quotidiana per spiegare i termini di una battaglia ancora in
corso. Sperando che basti una firma per arginare la deriva della
non-decisione.
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