Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
www.riforme.net


Bipolarismo: quando si dice accanimento terapeutico

corriere.it  17-07-2007


Referendum e alleanze senza estremisti
Il bipolarismo da salvare

di Angelo Panebianco

È possibile salvare il bipolarismo, ossia l'alternanza fra schieramenti contrapposti e, contemporaneamente, «scaricare» in modo permanente l'estrema sinistra, escluderla in via definitiva dalle coalizioni che competono per il governo? È una domanda resa di attualità dal manifesto di Rutelli (che ipotizza, guardando a Casini e all'Udc, nuove alleanze per il centrosinistra) ma, ancor più, dalla constatazione, oggi difficilmente oppugnabile, che un governo che dia troppo spazio alle posizioni estreme è necessariamente destinato al fallimento.
La storia italiana sembrerebbe negare la possibilità che bipolarismo ed esclusione delle estreme possano convivere. A causa della forza elettorale delle estreme, la loro esclusione permanente dalle coalizioni di governo è sempre apparsa incompatibile con la competizione fra schieramenti contrapposti.
Salvare il bipolarismo non è una fissazione da politologi. Significa voler salvare una cosa molto concreta: la possibilità per gli elettori di mandare via i governi e le maggioranze di cui sono insoddisfatti (come gli italiani poterono fare col centrosinistra nel 2001 e col centrodestra nel 2006).
Salvare il bipolarismo significa salvare il principio per cui i governi e le maggioranze sono responsabili di ciò che fanno e ne pagano le conseguenze. Fu proprio perché non c'erano bipolarismo né possibilità di alternanza che i governi della Prima Repubblica, nel corso degli anni, sicuri della loro impunità, poterono scaricare sulle spalle delle generazioni successive un immenso debito pubblico.
Dunque, salvare il bipolarismo è fondamentale. Ma è anche sicuramente vero che un bipolarismo che obblighi a «imbarcare » l'estrema sinistra non funziona. Poiché l'estrema sinistra (penso che su questo potrebbero concordare anche i suoi dirigenti) non è affatto compatibile con il governo di una democrazia capitalista fermamente decisa, per la volontà della schiacciante maggioranza dei suoi cittadini- elettori, a rimanere tale.
Che fare, allora? Come salvare capra e cavoli? Ricette miracolose non ce ne sono. Bisogna darsi da fare con quel che c'è. E l'unica cosa che c'è (o è possibile che ci sia) è la riforma elettorale. Se, come appare probabile, l'iniziativa referendaria in corso avrà successo, raggiungerà le cinquecentomila firme necessarie.
Criticabile quanto si vuole, il sistema elettorale che uscirebbe dal referendum (con lo spostamento del premio di maggioranza dalla coalizione al partito più votato) metterebbe fuori gioco le estreme. L'estrema sinistra non potrebbe mai aggregarsi al Partito democratico (perderebbe credibilità e farebbe perdere la faccia allo stesso Partito democratico). L'estrema sinistra dovrebbe correre da sola per superare lo sbarramento del quattro per cento.
A destra, probabilmente, la Lega farebbe la stessa scelta o, quanto meno, ne sarebbe molto tentata. La competizione testa a testa per il premio di maggioranza (imposta dalla legge elettorale post-referendum) vedrebbe contrapposti il Partito democratico e una grande aggregazione di centrodestra.
Un esito simile si potrebbe forse ottenere, certo più elegantemente, con un sistema maggioritario a doppio turno (ma davvero di tipo francese, ossia con una soglia di esclusione molto alta fra primo e secondo turno). Sarebbe la scelta più logica e razionale. C'è solo il piccolo particolare che nel Parlamento italiano non si troverà mai una maggioranza in grado di far passare un tale sistema. Sospetto che chi vorrà salvare il bipolarismo e, insieme, tener fuori le estreme dovrà per forza accontentarsi del risultato del referendum.



corriere.it  20-07-2007

Il bipolarismo che non funziona
Perché è ancora una costruzione artificiale

di Giovanni Sartori
   
Abbiamo un governo moribondo che si ostina a vivere. Così Eugenio Scalfari, che si chiede se questo durare in agonia sia meglio che decedere subito. Un bel problema. Che ha radici antiche nel senso che risale al bipolarismo che abbiamo inventato alla caduta del regime democristiano. Inventato perché è un unicum molto diverso dagli altri bipolarismi.

Il nostro è un bipolarismo rigido, ingessato, nel quale ogni polo è un fortilizio chiuso in se stesso. In tutte le altre democrazie, invece, il bipolarismo è flessibile e aperto; il che vuol dire che ogni polo si adatta alle circostanze e si apre, occorrendo, a soluzioni «allargate». Imperocché il nostro è un bipolarismo disfunzionale che si può inceppare senza rimedio, mentre il bipolarismo flessibile può funzionare comunque vadano le elezioni. Già, le elezioni. Il bipolarismo all'italiana si fonda sull'originalissima idea che le elezioni lo devono servire producendo ogni volta una maggioranza largamente autosufficiente. E se non lo fanno? E se producono dei pareggi? In tal caso sbagliano gli elettori, ed è il sistema elettorale che li deve costringere al bipolarismo. Questo è stato l'intento primario del Mattarellum; ed è sempre lo stesso intento di «salvare il bipolarismo» che giustifica l'attuale premio di maggioranza. Forse tutto bene, se non fosse per il fatto che il bipolarismo che sarebbe da salvare è soltanto la sua deformazione italica, soltanto il bipolarismo alla Prodi.
La verità è che a livello elettorale una distribuzione dualizzata tipo «destra- o-sinistra» è normale, è fisiologica, in tutte le democrazie. Anche il «bipartitismo imperfetto» teorizzato da Giorgio Galli negli anni Sessanta descriveva una struttura di voto bipolare tra Pc e Dc (che non era imperfetta in chiave dualistica, ma perché non comportava alternanze). E la riprova del fatto che il bipolarismo sia fisiologico è data dalla constatazione che tutte le democrazie occidentali sono bipolari quale che sia il sistema elettorale.

Il punto è, allora, che il bipolarismo all'italiana è una costruzione del tutto artificiale, artificiosa e innecessaria che si ascrive soprattutto alla formidabile ostinazione di Prodi. Ma oramai i nodi stanno venendo al pettine. Dopo un anno di governo paralizzato dalla sua non-maggioranza, e anche (come tutti, salvo Prodi, avevano previsto) da un'insanabile conflittualità interna, lo scenario sta cambiando. Il quadro non è più quello di un Prodi «insostituibile», ma di un Veltroni che lo andrà a sostituire. Così l'ala riformista che Prodi sacrifica da sempre alle istanze del massimalismo che si è messo in casa, riacquista forza e voce.

Rutelli dichiara che il nascente Partito democratico «dovrà proporre un'alleanza di centrosinistra di nuovo conio»; Fassino suggerisce che «tutto il centrosinistra dovrebbe cercare convergenze più ampie»; e l'ex premier Lamberto Dini bolla la sinistra bertinottiana come «una minoranza » sconfitta dalla storia, e si chiede perché non si dovrebbero cercare nuove alleanze. Sì, questo è il metodo del bipolarismo flessibile. Ma Prodi resta chiuso nel suo bunker, e il suo fido Parisi controbatte che «questi vogliono solo un ritorno al passato». Il che sottintende che finché Prodi resta in sella il bipolarismo che funziona non vedrà mai la luce.
Non so quando sia bene, per il Paese, che Prodi cada. Ma certo Prodi non è la soluzione del problema: oramai è il problema. Il suo bipolarismo non è né immaturo né maturo; è puramente e semplicemente sbagliato.





Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2007
 
Indice "Speciale legge elettorale"

Mailing List di Riforme istituzionali