Riforme Istituzionali
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Corriere.it  06-09-2007

I poli e la nuova legge elettorale
Il dialogo non fa miracoli

di Giovanni Sartori

Basta parlarsi e tutto si risolve? Vediamo in concreto. Per mesi e mesi i nostri grandi capi (Berlusconi e Fini da un lato e i loro equivalenti di sinistra dall'altro) hanno parlato della riforma elettorale senza parlarsi, gorgheggiando da soli. Ma qualche giorno fa, agli Incontri di Cortina, Fassino e Fini si sono incontrati faccia a faccia. Alleluia, alleluia, habemus dialogum. Volete sapere come è andata? Ecco qua.

Sul punto (riforma elettorale) Fassino propone il sistema tedesco. Fini risponde che quel modello non è accettabile perché non prevede la «condizione irrinunciabile» della dichiarazione preventiva, prima dell'elezione, delle alleanze di governo. Fassino, forse sentendosi in dovere di dialogare, accondiscende senza difficoltà: «Allora mettiamo un vincolo, integriamo (il sistema tedesco) con una clausola che prevede l'obbligatorietà di dichiararle». Al che Fini può facilmente ribattere: «Ma allora non è più il modello tedesco». Uno a zero? Si, ma no. Perché entrambi hanno, in premessa, torto marcio: Fini nel chiedere quel che chiede, e Fassino nel concederlo alla leggera come se si trattasse di una inezia.

I sistemi elettorali, così come i sistemi costituzionali, sono «sistemi» le cui parti debbono funzionare in sintonia, l'una ingranata nell'altra. Insomma, sono un po' come orologi. Mettiamo che il mio orologio richieda dieci rotelle; in tal caso non può funzionare né con nove né con undici. Così Fini sbaglia perché chiede una rotella di troppo, e Fassino sbaglia perché gliela concede senza rendersi conto del problema.

La contromossa di Fassino poteva essere di porre due domande: primo, quali sono al mondo gli altri sistemi parlamentari che richiedono quel che Fini richiede e, secondo, perché non lo richiedono. Alla prima domanda Fini non avrebbe saputo rispondere, visto che non ci sono; e alla seconda avrebbe probabilmente risposto che noi siamo i primi della classe all'avanguardia degli altri. Purtroppo no: la risposta corretta è che noi siamo, in materia costituzionale, i più somari di tutti. Difatti né Fini né Fassino danno mostra di sapere cosa sia un sistema parlamentare, il sistema prescritto dalla nostra costituzione e ribadito da un recente referendum.

Un sistema parlamentare si chiama così perché è fondato sul principio della sovranità del parlamento. Il che implica che in questo sistema l'elettorato sceglie i rappresentanti e poi gli eletti scelgono, in parlamento, le soluzioni di governo consentite dalle elezioni. Questa non è una minore democrazia — come l'imbottimento dei crani degli ultimi anni ci ha messo in testa — ma invece il pregio del sistema parlamentare: di essere un sistema flessibile e capace di auto-correzione. All'inverso, la predesignazione delle coalizioni di governo pone in essere un sistema rigido, bloccato, che per di più dimezza la libertà di scelta dell'elettore imponendogli le coalizioni di governo scelte per lui (oggi come oggi) da Prodi o da Berlusconi. Infine, se in un sistema fondato sulla sovranità parlamentare questa sovranità viene radicalmente esautorata, come può sfuggire che la predesignazione in questione sarebbe incostituzionale?

Eppure sfugge, la domanda è retorica. Proprio l'altro ieri il seguito è che Berlusconi, Fini e Bossi si sono riuniti per ribadire che la condizione irrinunciabile della predesignazione è davvero irrinunciabile.
A cosa servono, allora, i dialoghi? Nell'esempio a fare più male che bene. Anche se i dialoganti sono in buona fede (un caso abbastanza raro) basta che siano incompetenti per avallare soluzioni intrinsecamente stupide e legalmente incostituzionali. La «dialogomania» non è una corte dei miracoli.




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