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lastampa.it  16-01-2008

Sentenza-lampo della Consulta: sì ai referendum

La decisione a stretta maggioranza
Si voterà tra il 15 aprile e il 15 giugno

Pierluigi Franz

Via libera della Corte Costituzionale ai tre referendum elettorali. Toccherà ora al governo Prodi fissare la data della consultazione popolare tra il 20 aprile e il 15 giugno (ultima domenica possibile per legge). Se fosse scelta quest’ultima data il Parlamento avrebbe quasi 5 mesi di tempo per approvare la riforma della legge elettorale prima della chiamata alle urne. Il referendum slitterebbe di un anno solo in caso di scioglimento anticipato delle Camere. L’atteso verdetto della Consulta, presieduta da Franco Bile, è giunto ieri pomeriggio senza colpi di scena al termine di una breve riunione in camera di consiglio dei 14 giudici, conclusasi a stretta maggioranza (a quanto sembra per 8 a 6 come si vociferava già nella vigilia), ed ha immediatamente innescato una serie di reazioni politiche. Da palazzo Chigi, che non si è opposto davanti alla Corte tramite l’Avvocatura generale dello Stato, si fa sapere che «il lavoro politico parlamentare sarà ancora più intenso nelle prossime settimane con l’obiettivo di cancellare questa pessima legge elettorale». In pratica, la Presidenza del Consiglio invita le Camere ad accelerare i tempi per trovare un accordo che eviti il referendum e le possibili ricadute sul governo in una situazione già profondamente incrinata. Ma se non si cambierà l’attuale legge elettorale sarà inevitabile la consultazione popolare. E solo in questo caso la parola spetterà ai cittadini. Da Caracas interviene il presidente della Camera Fausto Bertinotti, ricordando che la sentenza dell’Alta Corte non cambia nulla da punto di vista degli scenari, in quanto spetta sempre al Parlamento «dover determinare con le sue proprie forze e in piena autonomia lo sblocco della crisi del sistema politico».

Euforici i referendari, guidati da Mariotto Segni e dal costituzionalista Giovanni Guzzetta, che chiedono di andare subito al voto e criticano sia Bertinotti («non era mai accaduto che un presidente della Camera, e per di più in visita all’estero, si permettesse di dire che il referendum è nocivo per la democrazia»), sia la bozza Bianco nel merito e nel metodo («non era mai accaduto che proposte di soluzione, peraltro pessime, fossero presentate il giorno prima del giudizio della Corte. Proposte inaccettabili e sfrontate che vanno nella direzione opposta a quella che i cittadini scelsero nel ‘93 con il referendum»).

Soddisfatto anche il ministro della Difesa Arturo Parisi, secondo cui «il tempo delle soluzioni pasticciate e dei tentativi di imbrogliarsi a vicenda è scaduto. La Corte ha deciso per noi. I referendari, che conoscono le attese degli italiani, sono con gli italiani». Per il leghista ex ministro del Lavoro e dell’Interno Roberto Maroni non ci sarà la riforma della legge elettorale prima del referendum «a meno che qualcuno della maggioranza non stacchi la spina e faccia cadere il governo». Gianfranco Fini ne ha parlato ieri a palazzo Grazioli con Silvio Berlusconi. Il leader di An avrebbe detto che il referendum è invece la via per una buona legge elettorale, invitando così la Cdl a seguire questa strada. Ma il leader di Forza Italia non si sarebbe sbilanciato in una risposta. Duri i rappresentanti dei partiti minori (Udeur, Verdi, Sdi e Pdci) che, temendo di scomparire dalla scena politica, si erano tenacemente opposti davanti alla Corte Costituzionale con un folto stuolo di legali, chiedendo che i tre referendum fossero dichiarati inammissibili.

I tre quesiti referendari, esaminati dall’Alta Corte, dei quali uno lungo più di 4 pagine, riguardavano l'abrogazione delle coalizioni elettorali per Camera e Senato (in modo tale da assegnare il premio di maggioranza alla singola lista con più voti e non più all'intera coalizione) e il divieto di candidature multiple. Le motivazioni della Corte si conosceranno entro un paio di settimane.



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