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corriere.it  21-01-2010

Presidenzialismo all’italiana - I Consigli regionali svuotati

di Ernesto Galli della Loggia

Il 28 e 29 marzo gli italiani andranno a votare per eleggere, insieme ai «governatori» delle 15 regioni interessate, altrettante assemblee la cui utilità è da considerare in pratica eguale a zero: i consigli regionali.
I quali, peraltro, come si sa, consistono di parecchie centinaia di persone, tutte lautamente (talvolta favolosamente) retribuite, tutte dotate dei benefici del caso (portaborse, studio, facilitazioni postali e telefoniche, ecc. ecc.), e tutte naturalmente ansiose di accaparrarsi incarichi e prebende, di accrescere la propria influenza politica in vista di futuri traguardi. Le eccezioni non mancano, certo, ma in generale il quadro è questo.
Perché i consigli regionali sono assolutamente inutili? Per la stessa ragione per cui sono inutili i consigli comunali e provinciali. Perché l’elezione diretta del capo dell’esecutivo (governatore, sindaco o presidente che sia)— la quale, si noti, avviene in perfetta coincidenza cronologica con l’elezione del consiglio (regionale, comunale o provinciale che sia)— grazie al meccanismo del cosiddetto «listino» o altro analogo (per esempio un premio di maggioranza) di fatto produce la costante coincidenza di colore politico tra esecutivo stesso e maggioranza dell’assemblea. È come se negli Stati Uniti il presidente e il Congresso fossero eletti contemporaneamente e il presidente e la maggioranza del Congresso fossero sempre dello stesso orientamento politico.
La conseguenza è, naturalmente, che i Consigli, eletti per una parte significativa al traino del rispettivo esecutivo, non hanno alcuna autonomia rispetto ad esso, non contano nulla, approvano ad occhi chiusi qualunque deliberazione esso gli sottoponga, e quindi possono ambire a farne parte solo sfaccendati o personale politico di terz’ordine in attesa di migliore sistemazione.
Ma in questo modo, contribuendo a dare vita a un sistema del genere e riconoscendovisi, quel mondo politico italiano che pure in maggioranza si dice ostile al presidenzialismo perché afferma di temerne i possibili risvolti autoritari, e l’opinione pubblica che è d’accordo con lui sono riusciti nell’impresa di realizzare in quindici regioni d’Italia il presidenzialismo più autoritario che ci sia perché sottratto a qualsiasi controllo, a qualsiasi sistema di «freni e contrappesi». Infatti, nel modello pre-sidenzialistico che oggi caratterizza il governo di tutti nostri enti locali, la principale vittima è la divisione dei poteri: proprio quella divisione dei poteri che invece nel presidenzialismo vero (come quello americano, appunto) trova la sua più coerente applicazione.
Grazie invece alla sovrapposizione dei due momenti elettorali e al geniale espediente della «clausola di governabilità», che si esprime per l’appunto nel «listino» o nel premio di maggioranza, noi abbiamo inventato un vero e proprio presidenzialismo blindato. Nel quale è solo l’esecutivo che conta, è solo l’esecutivo che assomma in sé tutti i poteri, mentre il potere legislativo dei Consigli, virtualmente eletti come sue semplici appendici, resta un finto potere privo di qualunque efficacia. E infatti in quindici anni non si ricorda neppure un caso in cui un consiglio regionale, comunale o provinciale, abbia dato il minimo fastidio di qualunque tipo al suo presidente-padrone. Senza che la cosa, peraltro, abbia richiamato l’attenzione e la denuncia di nessuno dei tanti guardiani della «democrazia» e delle «regole» che sono in circolazione.
19 gennaio 2010



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