Riforme Istituzionali
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01 ottobre 2002 - Franco Ragusa

Alcune osservazioni sui rischi di non ammissibilità del referendum sull'art. 18 dello Statuto dei lavoratori promosso da Rifondazione Comunista
 
In occasione del giudizio di legittimità costituzionale di una legge della Regione Marche impugnata dal Governo, sentenza 282/2002, (commento completo alla pagina: http://www.riforme.net/devolution/certezze1.htm) la Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunziarsi riguardo la "potestà legislativa concorrente delle Regioni, la quale si esplica nel rispetto della competenza riservata allo Stato per la “determinazione dei principi fondamentali”", per arrivare, attraverso questa via, alla dichiarazione d'illegittimità costituzionale della legge regionale in esame per il non rispetto, appunto, dei principi fondamentali.
 
Importante, ai fini generali, il modo di procedere adottato dalla Corte per l'individuazione di questi principi, che possono trarsi  anche in assenza di "leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo. Specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore".
Per lo specifico della legge regionale in esame, inoltre: "Non può ingannare la circostanza che non si rinvengano norme di legge statale esplicitamente volte a disciplinare l’ammissibilità delle pratiche terapeutiche in esame, o delle pratiche terapeutiche in generale. Anzi l’assenza di siffatte statuizioni legislative concorre a definire la portata dei principi che reggono la materia, e che, nella specie, non possono non ricollegarsi anzitutto allo stesso sistema costituzionale."
Al di là degli aspetti particolari trattati, è agevole trarre, da queste considerazioni, una regola di tipo generale:
   per l'esercizio delle competenze legislative nell'ambito delle materie concorrenti non è necessario attendere, nel concreto,  che il Legislatore statale si svegli dal proprio torpore, mettendo finalmente mano a tutta la materia, potendo le Regioni avere, come riferimento, in relazione all'individuazione dei principi fondamentali riservati alla competenza statale, la legislazione statale già in vigore, nonché, ovviamente, il sistema costituzionale stesso.

Le Regioni sono già da ora, quindi, nella possibiltà di poter esercitare, appieno, le proprie competenze nell'ambito delle materie concorrenti.
Da questa semplice considerazione, dovrebbero discendere alcune conseguenze sul piano istituzionale.
Una questione che sicuramente merita di essere approfondita, è quella relativa alle influenze che il nuovo Titolo V potrà esercitare sull'istituto del Referendum Abrogativo, essendo questo uno degli strumenti a disposizione per intervenire sulla legislazione statale.
Come si orienterà, ad esempio, la Consulta, quando dovrà decidere dell'ammissibilità del quesito referendario presentato da Rifondazione Comunista per la modifica dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori?
Sulla materia, "tutela e sicurezza del lavoro", a partire dall'ottobre 2001 le competenze statali sono limitate e circoscritte alla sola determinazione dei principi fondamentali; alle Regioni, quindi, la scelta dei mezzi più idonei per la realizzazione di questi principi. Al riguardo, è forse bene ricordare un passaggio chiave della sentenza (prima dell'approvazione del nuovo Titolo V) di ammissibilità del referendum abrogativo dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori:
 

 (sentenza 46/2000) ... è da escludere, tuttavia, che la disposizione che si intende sottoporre a consultazione, per quanto espressiva di esigenze ricollegabili ai menzionati principi costituzionali, concreti l'unico possibile paradigma attuativo dei principi medesimi. 
Pertanto, l'eventuale abrogazione della c.d. tutela reale avrebbe il solo effetto di espungere uno dei modi per realizzare la garanzia del diritto al lavoro, che risulta ricondotta, nelle discipline che attualmente vigono sia per la tutela reale che per quella obbligatoria, al criterio di fondo della necessaria giustificazione del licenziamento. Né, una volta rimosso l'art. 18 della legge n. 300 del 1970, verrebbe meno ogni tutela in materia di licenziamenti illegittimi, in quanto resterebbe, comunque, operante nell'ordinamento, anche alla luce dei principi desumibili dalla Carta sociale europea, ratificata e resa esecutiva con legge 9 febbraio 1999, n. 30, la tutela obbligatoria prevista dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificata dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, la cui tendenziale generalità deve essere qui sottolineata
Nel caso in esame, addirittura, si trattava di tutelare principi costituzionali per i quali, in ogni caso, la Corte ritenne possibile ammettere il quesito abrogativo sulla base della persistenza, nell'ordinamento, di altre norme formalmente in grado di garantire la sanzionabilità e, quindi, l'obbligatoria tutela nei confronti del licenziamento illegittimo; sancendo così, per il caso specifico, ma potremmo dire più in generale, l'esistenza di una distinzione netta tra il contenuto dei principi ed i mezzi idonei (senza per altro sentire l'esigenza di valutare nel merito "se più o meno" idonei) a realizzarli.
Distinzione alla base, del resto, del sistema di competenze concorrenti realizzato con il nuovo Titolo V.
Certamente, prevedere oggi, ciò che la Corte Costituzionale riterrà più opportuno di fronte al quesito referendario proposto da Rifondazione comunista, non è impresa tra le più facili; ciò che però non può essere escluso a priori, tanto più visto l'orientamento generale espresso con la sentenza 282/2002 (vedi commento), è la possibilità che la Corte individui dei sopraggiunti motivi impliciti, derivanti dall'entrata in vigore delle nuove norme costituzionali, tali da costringerla ad allargare la propria giurisprudenza in materia di ammissibilità dei referendum, con le conseguenze che è facile immaginare.
Conseguenze che non potrebbero, però, non riflettersi anche sull'operato degli altri soggetti istituzionali.
Sarebbe infatti paraddossale la coesistenza di Organi di garanzia ognuno con un proprio indirizzo: da un lato la Consulta, che potrebbe non ammettere quesiti referendari per i motivi su esposti; dall'altro lato un Presidente della Repubblica che, con troppa facilità, potrebbe invece chiudere gli occhi anche di fronte a provvedimenti palesemente invasivi delle competenze regionali, evitando così di esercitare il diritto-dovere di rinviare le leggi alle Camere.

 


 
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Referendum 7 ottobre