Riforme Istituzionali
 
SENTENZA N. 470 - ANNO 1992
 
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
 
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:
Prof. Giuseppe BORZELLINO; Dott. Francesco GRECO; Prof. Gabriele PESCATORE; Avv. Ugo SPAGNOLI; Prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Prof. Vincenzo CAIANIELLO; Avv. Mauro FERRI; Prof. Enzo CHELI; Dott. Renato GRANATA; Prof. Giuliano VASSALLI; Prof. Francesco GUIZZI; Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della delibera legislativa riapprovata il 5 marzo 1992 dal Consiglio regionale del Veneto e avente per oggetto: "Referendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge statale per la modifica di disposizioni concernenti l'ordinamento delle Regioni", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 25 marzo 1992, depositato in cancelleria il 3 aprile successivo ed iscritto al n. 36 del registro ricorsi 1992.

Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto;

udito nell'udienza pubblica del 6 ottobre 1992 il giudice relatore Enzo Cheli;

uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara, per il ricorrente, e gli avvocati Mario Bertolissi e Federico Sorrentino per la Regione.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso in data 23 marzo 1992 (R. Ric. n. 36 del 1992), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la delibera legislativa riapprovata dal Consiglio regionale del Veneto il 5 marzo 1992, recante "Referendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge statale per la modifica di disposizioni concernenti l'ordinamento delle Regioni".

Il ricorrente rileva che la delibera impugnata, agli artt. 1 e 2, secondo comma, prevede la indizione, a norma dell'art. 47 dello Statuto regionale, di un referendum consultivo a carattere regionale in merito alla presentazione, ai sensi dell'art. 121 della Costituzione, di una proposta di legge statale per la modifica delle disposizioni costituzionali concernenti l'ordinamento delle Regioni, proposta basata sui seguenti principi: a) tassatività delle competenze legislative dello Stato e generalità della competenza legislativa delle Regioni; b) regime di reale autonomia impositiva e finanziaria delle Regioni; c) più ampia autonomia statutaria delle Regioni per la determinazione della propria forma di governo, inclusa la disciplina delle elezioni regionali; d) istituzionale e diretta presenza delle Regioni negli organi comunitari della nuova Europa.

Ad avviso del ricorrente la deliberazione impugnata contrasterebbe con l'art. 123 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il referendum regionale può riguardare esclusivamente "leggi e provvedimenti amministrativi della Regione", in relazione all'art. 47 dello Statuto che, attuando il dettato costituzionale, stabilisce che il Consiglio regionale "può deliberare l'indizione di referendum consultivi delle popolazioni interessate a provvedimenti determinati".

Il contrasto con i parametri richiamati riguarderebbe diversi profili.

Innanzitutto, la delibera impugnata, oltre a realizzare una indebita modifica statutaria, contrasterebbe con l'art. 47, primo comma, dello Statuto, dal momento che il referendum promosso non avrebbe ad oggetto "provvedimenti determinati", non potendosi comprendere in tale categoria l'atto di iniziativa di un procedimento legislativo statale.

Tale atto non sarebbe né un "provvedimento" proprio della Regione, né di portata "determinata", e cioè territorialmente circoscritto e incidente su interessi parimenti definiti e delimitati.

Inoltre, le norme impugnate sarebbero in contrasto con i principi in tema di referendum consultivi regionali indicati dalla Corte costituzionale (nella sentenza n. 256 del 1989)e con i limiti propri del potere di iniziativa legislativa regionale.

In proposito, il ricorrente osserva anche che l'art. 121, secondo comma, della Costituzione non prevede una facoltà di iniziativa regionale per leggi costituzionali o "in materia costituzionale", mentre la previsione mediante legge regionale di una iniziativa di legge costituzionale rafforzata da un previo referendum regionale consultivo risulterebbe in contrasto con la disciplina prevista dall'art. 138 della Costituzione in materia di revisione costituzionale.

2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si é costituita la Regione Veneto, per chiedere il rigetto del ricorso.

Dopo aver richiamato alcuni brani della relazione illustrativa della deliberazione consiliare impugnata - nei quali si chiariscono, da un lato, l'esigenza emersa in diverse sedi istituzionali di avviare un nuovo modello di regionalismo e, dall'altro, l'interesse della Regione a tale mutamento - la resistente contesta l'interpretazione letterale dei parametri di costituzionalità dei quali si assume la violazione e richiama la distinzione tra competenza e interesse regionale, già indicata da questa Corte con la sentenza n. 829 del 1988.

La Regione contesta altresì che il potere di iniziativa legislativa regionale possa ritenersi limitato, quanto all'oggetto, alle sole proposte di legge ordinaria, ricordando in tal senso la sentenza di questa Corte n.256 del 1989.

Per quanto concerne il referendum consultivo regionale, mentre deve escludersi - ad avviso della resistente - che la Regione possa promuovere consultazioni relative ad interessi la cui cura e la cui attuazione spetta in via esclusiva allo Stato, (come sono, ad esempio, quelli attinenti all'attività politica internazionale e alla difesa militare), ben diverso sarebbe l'oggetto della deliberazione legislativa impugnata, dal momento che esso non risulterebbe estraneo alla sfera degli interessi regionali ma, al contrario, riguarderebbe fattispecie nelle quali questi coesistono con interessi statali. Dall'esame del quesito referendario di cui all'art. 2 della deliberazione impugnata la difesa della Regione deduce, infatti, la compresenza nello stesso quesito di interessi statali e regionali in relazione a molteplici profili che vengono analiticamente richiamati. Ma una volta collocata in un contesto caratterizzato dalla compresenza di interessi statali e regionali, la deliberazione legislativa impugnata dovrebbe inquadrarsi, a pieno titolo, nella fattispecie prevista nell'art.47, primo comma, dello Statuto regionale, superando, di conseguenza, il vaglio della legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1. Forma oggetto di impugnativa la delibera legislativa approvata, in seconda lettura, dal Consiglio regionale del Veneto il 5 marzo 1992, recante "Referendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge statale per la modifica di disposizioni costituzionali concernenti l'ordinamento delle Regioni".

Con tale delibera la Regione ha previsto: a) l'indizione, ai sensi del primo comma dell'art. 47 dello Statuto regionale del Veneto, di un referendum consultivo a carattere regionale in merito alla presentazione, ai sensi dell'art. 121 della Costituzione, di una proposta di legge statale per la modifica delle disposizioni costituzionali concernenti l'ordinamento delle Regioni (art. 1); b) l'enunciazione del quesito da sottoporre agli elettori, dove vengono enunciati i principi cui la proposta di revisione costituzionale dovrebbe ispirarsi (art. 3, primo comma): c) alcune prescrizioni relative ai tempi, alle modalità ed alla copertura dei costi dell'iniziativa (artt. 1, secondo comma; 3 e 4).

La delibera in questione é stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri con riferimento all'art. 123 della Costituzione - che rinvia agli statuti regionali la disciplina dei referendum su leggi e provvedimenti amministrativi delle Regioni - nonché all'art. 47, primo comma, dello Statuto regionale del Veneto - dove si prevede la possibilità di indizione, da parte del Consiglio regionale, di referendum consultivi "delle popolazioni interessate a provvedimenti determinati". Ad avviso del ricorrente, infatti, il referendum di cui é causa, avendo ad oggetto una proposta di legge statale di revisione costituzionale, non potrebbe considerarsi riferito né ad un atto proprio della Regione, né ad un "provvedimento" di portata "determinata", incidente su interessi di soggetti collegati ad un'area delimitata al territorio regionale.

Dopo aver richiamato i principi enunciati da questa Corte, in tema di referendum consultivi regionali, con la sentenza n. 256 del 1989, il ricorso deduce altresì la violazione degli artt. 121 e 138 della Costituzione, dal momento che l'iniziativa legislativa delle Regioni non potrebbe estendersi anche alle leggi costituzionali né potrebbe, in ogni caso, risultare rafforzata da un referendum consultivo regionale, senza alterare il procedimento di revisione costituzionale sancito dalla stessa Costituzione.

2. Va innanzitutto esclusa la fondatezza del profilo concernente la violazione dell'art. 121 Cost., in relazione alla previsione, espressa con la delibera impugnata, di una iniziativa regionale riferita ad una legge statale non ordinaria, ma di revisione costituzionale.

In proposito, va ricordato che l'art. 121 Cost., nel conferire ai Consigli regionali il potere di fare proposte di legge alle Camere, non ha introdotto nei confronti di tale potere limitazioni riferite alla forza, ordinaria o costituzionale, dell'atto normativo che la Regione intenda proporre. Né tali limitazioni potrebbero essere desunte, sia pure indirettamente, dalla disciplina generale che l'art. 71 Cost. ha posto in tema di soggetti legittimati all' esercizio dell'iniziativa delle leggi dello Stato, dove non si opera alcun riferimento alla forza dell'atto che viene proposto. Ed é proprio la considerazione di tale quadro normativo che ha condotto questa Corte a riconoscere, nella sentenza n. 256 del 1986, la spettanza al Consiglio regionale, ai sensi dell'art. 121, secondo comma, Cost., del potere di presentazione alle Camere di proposte di legge anche in tema di revisione costituzionale.

3. Del pari non merita accoglimento la censura formulata in relazione all'art. 47, primo comma, dello Statuto veneto, con riferimento alla natura dell'interesse connesso all'iniziativa nei cui confronti la Regione ha inteso attivare la procedura referendaria.

La formula espressa dalla disposizione in questione - dove si impiega il termine "provvedimenti" - va riferita chiaramente, aldilà della dizione impropria adottata, non solo agli atti amministrativi, ma anche legislativi della Regione, come risulta confermato dalla stessa disciplina attuativa emanata dalla Regione Veneto in tema di referendum consultivi (v. art. 26, secondo comma, legge regionale 12 gennaio 1973 n.11). Né tale formula potrebbe essere interpretata - come ritiene la difesa statale - nel suo significato più restrittivo così da limitare il referendum consultivo ai soli "provvedimenti" caratterizzati dalla presenza di un interesse territorialmente delimitato ed esclusivo della Regione. In realtà, l'interesse delle popolazioni regionali, che la norma statutaria ha inteso richiamare, oltre a investire l'intera gamma delle competenze proprie della Regione, può assumere anche connotazioni più late, che superano gli stretti confini delle materie e del territorio regionale, fino a intrecciarsi, in certi casi, con la dimensione nazionale. E questo in relazione alla soggettività politica e costituzionale che, nel contesto della nostra forma di Stato, delineata dall'art. 5 Cost., va riconosciuta alla Regione "riguardo a tutte le questioni di interesse della comunità regionale, anche se queste sorgono in settori estranei alle singole materie indicate nell'art. 117 Cost. e si proiettano aldilà dei confini territoriali della Regione medesima" (sent. n. 829 del 1988).

Non si può quindi disconoscere l'esistenza di un interesse qualificato di ciascuna Regione (e della sua popolazione) ai contenuti di una riforma che, come quella in esame, venga a investire lo stesso impianto dello Stato regionale e l'ordinamento delle competenze regionali nel loro complesso.

Né argomenti decisivi a favore della tesi restrittiva si potrebbero, d'altro canto, trarre dal carattere di "determinatezza" che la norma statutaria ha inteso riferire ai provvedimenti da sottoporre alla consultazione referendaria, dal momento che il richiamo a tale carattere, nella dizione statutaria, si presenta orientato a esprimere, più che a una limitazione di ordine territoriale, l'esigenza che il quesito referendario, proprio ai fini della sua chiarezza e percepibilità, sia tale da investire oggetti definiti e agevolmente identificabili da parte dell'elettore.

4. Il ricorso risulta, invece, fondato in relazione alla censura riferita agli artt. 121, secondo comma, e 138 Cost.

Ai sensi dell'art. 121, secondo comma, Cost., il Consiglio regionale "può fare proposte di legge alle Camere": tali proposte - pur caratterizzandosi come atti propri della Regione - assumono natura strumentale rispetto all'attivazione di un procedimento che é e resta di competenza statale e che, ove giunga ad una conclusione positiva, é destinato a sfociare, attraverso l'approvazione della legge da parte del Parlamento, in una espressione di volontà statuale. Ora, un referendum consultivo quale quello previsto dalla delibera in esame - per quanto sprovvisto di efficacia vincolante - non può non esercitare la sua influenza, di indirizzo e di orientamento, oltre che nei confronti del potere di iniziativa spettante al Consiglio regionale, anche nei confronti delle successive fasi del procedimento di formazione della legge statale, fino a condizionare scelte discrezionali affidate alla esclusiva competenza di organi centrali dello Stato: con la conseguente violazione di quel limite già indicato da questa Corte come proprio dei referendum consultivi regionali e riferito all'esigenza di evitare "il rischio di influire negativamente sull'ordine costituzionale e politico dello Stato" (sent. 256 del 1989, n. 5).

A questo va aggiunto il rilievo che il procedimento di formazione delle leggi dello Stato - quale risulta fissato negli artt.70 e ss. Costituzione - viene a caratterizzarsi per una tipicità che non consente di introdurre, nella fase della iniziativa affidata al Consiglio regionale, elementi aggiuntivi non previsti dal testo costituzionale e suscettibili di "aggravare", mediante forme di consultazione popolare variabili da Regione a Regione, lo stesso procedimento. Tale considerazione, se vale in relazione al potere di iniziativa delle Regioni così come configurato in generale nell'art. 121 Cost., vale a maggior ragione nei confronti di una iniziativa regionale quale quella in esame, destinata ad attivare un procedimento di revisione costituzionale ai sensi dell'art. 138 Cost.:e questo anche in relazione al fatto che la disciplina costituzionale prevede già, al secondo comma dell'art. 138, una partecipazione popolare al procedimento, ma nella forma del referendum confermativo, cui può essere chiamato, per il rilievo fondamentale degli interessi che entrano in gioco in sede di revisione costituzionale, solo il corpo elettorale nella sua unità.

Per questi motivi la Corte Costituzionale
 
dichiara l'illegittimità costituzionale della delibera legislativa riapprovata dal Consiglio regionale del Veneto in data 5 marzo 1992, recante "Referendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge statale per la modifica di disposizioni concernenti l'ordinamento delle Regioni".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/11/92.

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/11/92.



 
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